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Autore: reidina    01/02/2009    3 recensioni
Come premessa dico che è la mia prima storia e quindi molte recensioni costruttive aiuterebbero molto! Sono un'amante della coppia Merlin/Arthur e quando ho avuto l'ispirazione di scrivere una storia che narrava di loro due nel futuro, non ho resistito e mi sono cimentata! Che altro dire...non vi voglio trattenere, buona lettura e non dimenticate una buona recensione rende felice lo scrittore!
Genere: Romantico, Commedia, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Premessa della scrittrice:

Prima storia su Merlino!!!

Fandom: Merlin

 Coppia: Merlin/Arthur

Rating: arancione (poiche ci saranno scene red ma non verrano descritte come avviene nel telefilm XD)

Nota: se volete di più da me su Merlin, andate a vedere il video di Arthur/Merlin – girlfriend, opera mia! Non ho nient’altro….buona lettura!!!

 

 

 

 

Il giovane Merlino osservava con attenzione le persone intorno a lui.

Si trovava su un apparecchio mobile, capace di contenere più di cento persone. Che poteva viaggiare più veloce di una pallottola e...aveva le ali.

Si...l’aeroplano.

Odiava andarci, ma pareva fosse più veloce, comodo e meno costoso del traghetto che c’era per viaggiare da un continente all’altro. Dall’Europa, Inghilterra, al centro dell’America, New York.

Aveva la nausea sia per il decollo brusco, sia perché anche il suo compagno aveva la nausea, che però aveva già dato i suoi frutti. Odiava la voce delle hostess che diceva, proprio mentre andavi a vomitare, vi preghiamo di restare seduti con le cinture allacciate. Turbolenza in arrivo.

E più di tutto odiava i clienti che premevano il pulsante per chiamare le hostess continuamente e che chiacchieravano ad alta voce, impedendo al tuo cervello di riposarsi.

Nonostante tutti questi problemi nel viaggio,  l’idea di raggiungere la gran città in poche ore lo allettava non poco. New York era il suo sogno fin da bambino, per quello che ricordava.

Aveva dovuto aspettare anni per potersi allontanare dalla casa dei suoi genitori, e adesso, avrebbe dovuto aspettare solo un paio d’ore. Con vomito, sonno, nervosismo, ma pur sempre un paio d’ore, per far avverare il suo sogno: andare a vivere in America.

 

“Benvenuto a New York giovane! Un po’ di mini-burgers?”

“Vuole un appartamento a basso costo?”

“Questa è la città dei sogni! La tua ricerca è finita!”

Fantastico...era migliore di come se la fosse mai aspettata!

“Ei, ciao, io sono Anna Lucia...”

E si, Merlino era ancora single.

La città vorticava intorno ai suoi occhi, quando uno dell’immensa fila dei taxi suonò: Ding! Ding!

 

Ding!Ding!Ding!

“Hostess? Hostess! Il mio cocktail si è rovesciato!!

Sussultò sobbalzando sulla sua sedia.

Maledì a bassa voce quell’uomo basso, senza capelli, con la voce roca bassa e risonante, che durante tutto il viaggio aveva chiamato le hostess sette volte. Lo odiavano adesso perfino i piloti.

Certo, solo un sogno...doveva immaginarlo.

 

* * * * *

 

Quando atterrò la prima cosa che fece, al contrario d’alcune persone che baciavano per terra, alcune che piangevano dalla felicità ed altre che erano affaticate dal peso dei bagagli e si sedevano su delle panchine, Merlino andò in un bagno pubblico a vomitare.

Era il suo modo per dire “Ciao, New York!” dopo uno stressante viaggio in aereo.

Uscì nauseato e di pessimo umore, poi si guardò intorno e vide un sacco di persone totalmente differenti a quelle raffinate e amichevoli dell’Inghilterra… Ragazzi adolescenti che fumavano e si picchiavano, uomini che rimorchiavano ragazze appena sbarcate, donne alte con il naso all’insù che con disgusto allontanavano chiunque rivolgesse loro parola.

Purtroppo Merlino ne beccò una per chiedere informazione, la migliore che fosse riuscito a scrutare per quei pochi secondi d’intervallo tra una fitta allo stomaco ed un’altra.

Aveva i capelli raccolti in una cipolla shick, con un nastro rosso a fissarla bene. I vestiti eleganti con una borsetta di finta pelle rossa.

“Mi scusi, conosce un albergo vicino all’aeroporto?” Chiese, facendo subito notare il suo accento straniero.

La donna all’inizio sembrò non capire, poi sorrise.

“Viene dall’Inghilterra, vero?” Rise e si allontanò.

Si, molto divertente, pensò Merlino. Ma non aveva risposto alla domanda, la ragione per la quale aveva iniziato quella “conversazione”.

Rimase sorpreso dalla gente che c’era intorno: se in Inghirlterra ti scontravi con qualcuno ti chiedevano se ti eri fatto male e ti salutavano cordialmente. Se qui uno ti andava addosso dava la colpa a te.

“Mi scusi, conosce un albergo qua vicino?” Chiese di nuovo più speranzoso ad una donna giovane che aveva appena chiuso il telefono.

“Ah, si, ce n’è uno italiano a un isolato da qui, mi pare si chiami “Hotel D’Italia”, ma parlano anche la lingua inglese! Dicono che i letti italiani sono molto comodi…” Disse per poi usare un tono, secondo lei, sensuale, alla fine della frase.

Merlino fece una faccia come a dire “Siiiii, oooook!” ma intanto gli aveva dato un indirizzo, era quello che voleva.

Si allontanò di fretta da quella strana donna e attraversando una barriera di persone che impediva l’uscita dall’aeroporto uscì trovandosi immerso da grattacieli luminosissimi e rumorosi.

Spalancò la bocca e sgranò gli occhi estasiato da quella vista meravigliosa.

Sembrava che i grattacieli raggiungessero le nuvole e le superassero.

Poi guardò alla sua altezza, e le cose cambiarono.

La fila delle macchine sembrava non avere né un inizio né una fine, la gente attraversava, quindi, senza alcun problema poiché le macchine non avanzavano di un metro prima di qualche minuto.

Lui fece lo stesso andando in direzione della scritta glitterata verde che diceva “Hotel d’Italia” che si trovava dall’altra parte del marciapiede un po’ più lontano.

Sembrava lussuoso come hotel, e Merlino notò che molte persone entravano ed uscivano dalla porta sorvegliata da due facchini con una divisa verde e, sinceramente, un po’ buffa.

Si avvicinò a quei due individui.

“Mi scusi” Chiese a uno dei due “C’è una stanza libera o bisogna prima prenotarla?”

“Gli dirà tutto la ragazza alla reception, comunque non è necessaria una prenotazione per avere una camera.”

Merlino soddisfatto entrò nell’hotel e si diresse verso la reception a forma di semicerchio e apparentemente con il bordo il marmo lavorato e levigato.

“Potrei avere una camera?” Chiese alla giovane ragazza che aveva appena finito di parlare ad un signore anziano vagamente familiare a quel signore odioso che nell’aereo aveva dato fastidio al suo sonno.

“Certo! Ne abbiamo molte di libere, che piano preferisce?” Merlino notò subito che la “r” era ruotata nella bocca come si usava nell’italiano e l’accento non era di certo americano.

“Il secondo sarebbe perfetto. Quanto costa?”

“Le suite più ampie vanno per 200 dollari a notte, inclusi i pasti 300, ma per le stanze singole con i pasti costa 100 dollari a notte.” Esclamò gioiosa la ragazza bruna, vestita con una camicia a righe rosa e bianche e un paio di jeans.

Merlino frugò nel suo portafoglio con sopra un gattino – cercò di non farlo vedere – e trovò 180 sterline.

“Queste vanno bene?” Chiese speranzoso facendo una faccia che avrebbe fatto commuovere anche il più duro dei gangster.

La ragazza guardò quei soldi aggrottando le sopracciglia: evidentemente non aveva mai visto delle sterline prima d’ora.

“Sono sterline. Sono 180, ma rispetto ai dollari valgono di più.” Disse Merlino piegando anche lui la testa a destra come aveva fatto la ragazza.

“Uhm...vanno bene. Dopotutto ho tanti clienti e queste potrebbero servire per un viaggio fuggiasco in Scozia!” Fece ridere Merlino, anche se non era una battuta.

La ragazza si girò per prendere una chiave dal mobile dietro di lei.

“Camera numero 108!” Disse sorridendo.

Merlino per familiarizzare disse:

“Mi chiamo Merlino, e tu?”  Azzardò tentando di fare amicizia.

Ma la ragazza invece che sembrare sorpresa rispose normalmente:

“Mi chiamo Muriel. Piacere di conoscerti!” Merlino sorrise e si avviò per le scale ignorando l’ascensore, essendo claustrofobico.

Raggiunto il suo piano cercò la porta 108 e, divertendosi, provò ad identificare i rumori provenienti dalle altre stanze.

Camera 102, si sentivano i rubinetti scorrere, probabilmente si stava preparando per uscire…

Camera 105 vuota…

Camera 108. La sua.

Girò la chiave ed entrò in quella stanza molto piccola. Le pareti erano blu e bianche a quadratini e il pavimento era il parquè.

C’era un ventilatore con della polvere adagiata sulla tre pale e una luce fioca che aspettava di essere accesa.

Due finestrelle erano coperte da delle tende rosso bordò che non erano affatto belle insieme alla tinta delle pareti e Merlino distolse lo sguardo schifato; la porta del bagno era vicino all’ingresso stretto della camera e come notò Merlino c’era un gabinetto, il lavandino…e niente doccia.

“Mi accontenterò….” Mormorò tra sé distendendosi sul letto ad una piazza con le coperte sorprendentemente comode.

“bhè, almeno quella donna aveva ragione…” esclamò togliendosi le scarpe. Adesso che aveva trovato un posto comodo voleva riposarsi e farsi passare la nausea.

Le palpebre erano pesanti così chiuse gli occhi e si girò su un fianco per evitare la luce delle finestre. Si infilò infine delle cuffie e accese il suo mp3 sulla sua canzone preferita: Who are you degli Who.

Sospirò stiracchiandosi stanco le braccia con un lieve sorriso sulle labbra.

“C’mon tell me who are…” L’apparecchio si interruppe di botto segnalando una famigerata scritta sul piccolo schermino giallo: no power.

“Ah, magnifico….”

  
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