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Autore: Ega    24/08/2015    0 recensioni
Ariel è una ragazza sveglia ed in gamba, ama l'attività fisica ed il contatto con la natura.
Vive in un villaggio vicino ai boschi con i suoi zii ed il suo cuginetto, sua madre è morta quando era una bambina e suo padre è scomparso da tempo.
Sembra trascorrere un'esistenza felice e tranquilla, ma cose strane cominciano ad accaderle... quando poi scopre di non essere quello che credeva, uno sconosciuto la trova e la porta in un posto riservato alle persone come lei.
Ma quell'uomo è davvero chi dice di essere?
Ariel farà nuove conoscenze ed amicizie, ma altrettante inimicizie le verranno incontro, riuscirà mai a scoprire la verità?
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dovevo correre, era questa l'unica cosa che mi permisi di pensare, dovevo essere più veloce di loro.
Se mi avessero preso, per me sarebbe stata la fine di ogni cosa; sentivo le foglie scricchiolare sotto i miei anfibi, in torno a me gli alberi tra i quali ero cresciuta.  Certo, ero parecchio agile ed avevo una buona resistenza, ma era ormai più di un'ora che mi inseguivano.
Ero perfettamente conscia di dove ero diretta, ci andavo spesso ed ero certa che nessuno sarebbe stato in grado di capire la mia posizione.

Continuai a correre per almeno un altro quarto d'ora, con i rami che mi frustavano le braccia e le gambe, i moscerini che puntualmente mi finivano sul viso e i capelli che erano colmi di foglie e ragnatele.
Stavo per collassare, quando in lontananza vidi la roccia segnata, arrancai con la milza che implorava pietà e i polmoni stremati, fino a quella spaccatura piccola, ma abbastanza grande da farmi entrare senza problemi.
Non appena fui dentro la mia minuscola grotta sorrisi e mi accasciai al suolo, era esattamente come la ricordavo: il terreno era roccia pura e fredda, in un angolo stavano le provviste: carne secca, scatolette di tonno e frutta secca. Mentre verso la zona più buia avevo ricoperto la terra con vari strati di muschio per isolare e ammortizzare, avevo lasciato due cambi e un sacco a pelo.

Dopo aver ripreso fiato, mi avventai sul mio giaciglio, sotto al quale si trovava una roccia mobile, che una volta rimossa mostrava il mio bottino. Dentro vi avevo nascosto due pugnali, una lanterna, delle batterie, del denaro e del cortisone. Non si sa mai.
Ero arrabbiata, ma veramente furiosa, nonostante fossi cresciuta in mezzo a quelle persone, i pregiudizi avevano prevalso e mi avevano dato immediatamente la caccia come si fa con la volpe che ti mangia le galline. Non avevano voluto nemmeno sentire la mia versione dei fatti, tanto erano superficiali, ignoranti e testardi.
Mi cambiai, indossando un paio di jeans stretti, una maglia azzurra ed una felpa blu scuro. Mi infilai nuovamente gli anfibi consumati, che arrivavano a metà polpaccio e in entrambi misi un pugnale. Presi parte del denaro e rimisi tutto dov'era.  Non sarei potuta rimanere a lungo, ero comunque troppo vicina al villaggio.
Non appena uscii dalla roccia, feci qualche passo con calma per abituarmi alla luce del sole, ma sentii una voce che mi chiamava:

"Ariel" non risposi, mi misi immediatamente a correre.
"Ariel, fermati." non l'ascoltai e proseguii senza fermarmi.
"Ariel, non puoi scappare in eterno. Non appartengo al tuo villaggio e voglio solo parlarti."
Mi immobilizzai. Non era del villaggio? Allora come faceva a sapere di me? Insomma abitavo a chilometri da un altro centro abitato, per una comunicazione sarebbero state necessarie almeno ventiquattrore. E poi la gente era spaventata ed arrabbiata con me, la persona che aveva parlato sembrava avere voce perfettamente calma. Mi girai, ma nessuno era nei paraggi.
 "Hai corso troppo velocemente, devi darmi il tempo di raggiungerti."
"Ma... come faccio a sentirti?"
"Ascolta bene, non con le orecchie, con la mente." ascoltai prima con le orecchie ma non sentii nulla, poi con la mente e mi parve di sentire un flusso di pensieri non miei. Era nella mia testa!

"Chi sei? E perché sei nella mia testa?"
"Ecco, ora puoi vedermi, sono qui. "mi girai di nuovo e vidi un uomo, sulla sessantina, con una lunga barba brizzolata, e gli occhi grigi. Il volto mostrava qualche ruga di espressione, ma il viso aveva un'aria bonaria. Indossava una strana casacca in lino e delle scarpe in pelle.. le mani ed il collo erano ricoperti da tatuaggi tribali. "mi chiamo Sulfus"
"Come facevi a parlarmi nella testa?"
"Il mio è un dono, proprio come il tuo."
"Ti sbagli, la mia è una maledizione."
"Non è così, voglio farti una proposta."
"Non accetterò mai una proposta da uno sconosciuto."
"Ora ti parlerò nella mente per dimostrarti che dico la verità: tu non hai più una casa, i tuoi zii ti hanno cacciata e di certo non puoi vivere dentro quella roccia in eterno. Hai solo 17 anni e non puoi fare granché. Non hai più amici e nessuno ti vuole stare vicino.
Il prossimo punto civilizzato è almeno a una giornata di cammino. Io ti faccio una proposta, c'è un luogo dove i ragazzi come te vivono insieme e ricevono un'educazione adeguata alle loro doti. Non ti verranno richiesti pagamenti di alcun genere se non la tua collaborazione ed il tuo impegno. Ci stai?"


Vidi che era sincero, non sapevo come mai ma ne ero completamente consapevole. Avrei dovuto accettare? Non ne ero certa ma in quel momento era tutto ciò che potevo permettermi.
Da bambina avevo fatto varie esperienze da scassinatrice, sarei potuta scappare al momento più opportuno. Ma anche se mi fossi fidata di lui cosa mia garantiva che tutte le altre persone sarebbero state apposto? No, avrei camminato per un giorno e mi sarei trovata qualcosa da fare in città.
"Non credo che la tua proposta mi possa interessare, ma grazie lo stesso." scosse la testa con l'aria sconsolata di uno che si aspettava una risposta del genere.
"Ariel, non avevo mai incontrato una ragazza con così tanta potenza e forza, addirittura senza addestramento. Saresti al sicuro con noi."
"Apprezzo la tua proposta, ma davvero sto bene così."
"D'accordo. Come vuoi tu, ma sappi che se mai vorrai contattarmi, ti basterà urlare con tutto il potere mentale che hai il mio nome. Vedrai che ti basterà."

Detto questo se ne andò, io rimasi lì imbambolata a fissarlo fino a quando non scomparve alla mia vista. Infine ripresi a camminare a passo svelto, dovevo arrivare in centro il prima possibile, non mangiai nulla perché preferivo tenere quelle poche scorte che avevo al rifugio, in caso di emergenza estrema; verso sera, stremata, arrivai in prossimità di un ruscello, dove mi lavai il possibile e mi dissetai, mi creai un giaciglio con foglie e muschio e mi addormentai. La giornata seguente sarebbe stata altrettanto faticosa.
  
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