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Autore: LunaMoony92    24/08/2015    1 recensioni
Gemma è una ragazza semplice. Ha 23 anni, studia psicologia, vive con la sua migliore amica Iris a Londra dove si è trasferita da 3 anni. Ha tutto quello che le serve adesso, anche se è lontana da casa. La sua amica e la biblioteca del campus sono il suo mondo. Uno scherzo del destino la porterà letteralmente a cadere ai piedi di un uomo che mai avrebbe immaginato, le sconvolgerà la vita.
Genere: Erotico, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Erano stati invitati ad una delle noiose serate di Gala indette ogni anno da quella società sportiva per cui Tom aveva fatto una pubblicità qualche anno fa. Non aveva molta voglia di andarci, non amava farsi vedere in pubblico, né tutti i flash insistenti dei fotografi, ma lui l’aveva convinta e ormai stavano per arrivare.
La limousine si fermò davanti all’ingresso della sontuosa villa che era stata addobbata in modo un po’ eccentrico. Alla vista di tutti quei festoni, un po’ infantili, Gemma non poté non sorridere. Lui non mancò di notarlo.
“Sapevo che alla fine l’avresti fatto”, le disse piano, avvicinando le sue labbra al suo orecchio, facendola sorridere di nuovo. Il soffio uscito dalle sue labbra, così vicino alla sua pelle, le aveva provocato un impercettibile brivido. Anche di questo, era sicura, lui aveva preso nota.
Scese dall’auto per primo, e, da buon cavaliere qual era, le porse la mano aiutandola a scendere.
“Lo faccio solo per lui. Lo faccio solo per lui.” continuava a ripetersi mentre cercava di fingere un sorriso, voltandosi di volta in volta verso il fotografo di turno. Tom sapeva quanto le risultasse difficile quella farsa. Non insisteva mai quando si presentavano queste occasioni, ma questa volta era diverso.
“Mi sento solo, se non ci sei. Lo sai”,  le aveva detto e lei non aveva potuto più dire di no.
Mentre avanzavano lungo il sentiero del giardino, sentiva gli occhi curiosi dei presenti che la scrutavano, guardavano il suo vestito, la sua acconciatura, registrando ogni minimo dettaglio. Lei non era bella, non aveva mai pensato di esserlo. Era una normale ragazza, un po’ bassina, fisico normale, viso normale, capelli normali. Non era niente di che, lei lo sapeva, e anche tutti quegli occhi che la scrutavano continuavano a dirlo, fra di loro. A lei non importava. Non le era mai importato nulla di abiti fastosi o di trucchi elaborati, preferiva essere vista per quello che era, senza maschere né inganni, poco importava se a vederla davvero erano poche, pochissime persone. Era felice così Gemma, felice del suo essere anonima, una tra le tante persone, ma diversa fra tutte loro.
Sorrise ripensando a quella frase. Era stato Tom a dirgliela, ormai quasi un anno fa.
 
 
FLASHBACK
 
Era da sola nell’enorme biblioteca del campus che lei amava con tutta se stessa. Passava li dentro la maggior parte delle sue giornate, cercando di leggere quanti più libri possibile, prima di dover inevitabilmente andare via.
Era a Londra da tre anni ormai e tra meno di un anno si sarebbe laureata. Il tempo era passato in fretta da quando si era trasferita dal suo paesino della Sicilia, 6000 abitanti, una farmacia, un supermercato.
Le mancava la sua famiglia certo, i suo nipotini più di tutto, ma non aveva lasciato nient’altro a casa. Non aveva amici, non più almeno, nessun altro legame. Per questo si era decisa a partire, per farsi una nuova vita, ripartire da zero. E così era stato.
Aveva trovato un’amica, la sua coinquilina, una città stupenda in cui vivere, in cui poter vivere le sue passioni senza essere guardata come quella “strana” che legge sempre, che ama i libri più delle persone e il suo mondo aveva ripreso a girare. Amava la sua nuova vita ed era felice. Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno ed era decisa a tenerselo stretto.
Aveva appena finito di leggere un saggio di Jung, quando si rese conto che era in tremendo ritardo per il seminario di Semiotica della cultura. La sua coinquilina l’aveva pregata di andare insieme a lei e Gemma non aveva potuto dire di no. Doveva sbrigarsi e raggiungerla nel cortile dove era certa che la stava aspettando.
Raccolse di corsa le sue cose e uscì. Era quasi arrivata nel cortile, riusciva già a vedere Iris che le faceva cenno con la mano di sbrigarsi, quando inciampò in qualcosa e cadde. Aveva ancora gli occhi chiusi, ma in sottofondo riusciva a sentire le risate di Iris che la prendeva in giro. Di riflesso, sorrise anche lei. Non si era fatta nulla dopotutto, sarebbe stata solo una storia divertente da ricordare.  Ma le risate di Iris erano sfumate all’improvviso, lasciando lo spazio ad un silenzio quasi surreale. Gemma aprì gli occhi e si trovò davanti agli occhi una mano, la mano di un uomo, che la invitava ad alzarsi. Ancora un po’ frastornata e senza guardare in faccia chi gliela stava porgendo, la afferrò e si rimise in piedi.
“Sta bene, signorina?” Sentì dire da una voce, con un accento inglese delizioso.
Da lontano le sembrò sentire Iris che borbottava qualcosa come: “Porca miseria!”, poi sentì la stessa frase provenire da più bocche, come un eco.
Alzò gli occhi per ringraziare il proprietario di quella mano e di quell’accento così dolce e rimase di pietra.
Lei conosceva quell’uomo.
Tutti conoscevano quell’uomo.
Per poco non cadde a terra di nuovo, nel tentativo vano di darsi un contegno.
L’uomo appariva sinceramente preoccupato e le chiese di nuovo: “Va tutto bene? Vuole sedersi?”
Gemma aprì e richiuse la bocca più volte, incapace di emettere alcun suono. Dov’era finita Iris? Probabilmente si stava godendo la scena e in barba al seminario di semiotica, questa era una storia troppo succulenta.
“Sto bene, la ringrazio” riuscì a dire Gemma, dopo qualche tentativo, certa di aver assunto una colorazione tendente al borgogna.
“Sono felice di sentirglielo dire.” L’uomo sorrise. “Ora devo andare. Arrivederci.” le disse poi, lasciandole la mano che ancora teneva tra le sue.
“Cazzo, ma ti rendi conto di cos’è successo?” Iris era apparsa dietro di lei, con gli occhi sgranati e un sorriso enorme.
“Io.. Non..” balbettò Gemma, visibilmente sconvolta. Tutti nel cortile continuavano a guardarla e a bisbigliare, rendendola ancora più nervosa.
“Andiamo dentro, sta per iniziare il seminario. Così questi idioti magari smettono di guardarti.” disse Iris, resasi conto della situazione.
“Andate via, sciò.” aggiunse poi in italiano, per calcare il concetto.
Gemma non riusciva a crederci. Era inciampata come un salame e darle una mano per alzarsi era stato Tom, Tom Hiddleston. Era una situazione davvero surreale. Iris non ci avrebbe mai creduto se non fosse stata presente. Non ci credeva nemmeno lei stessa, che ne era stata la protagonista.
Il seminario era già iniziato quando entrarono nell’enorme sala. Iris continuava a ripeterle sottovoce: “Se tu non fossi caduta ai piedi di quel fusto, avremmo certo un posto migliore” non nascondendo minimamente le sue risatine. Almeno un risultato l’aveva portato quella caduta: Iris stava ridendo.
Il seminario andava avanti da almeno mezz’ora e lei aveva iniziato a scribacchiare qualche appunto, quando Iris le assestò una gomitata, costringendola a distogliere gli occhi dal suo quaderno e guardare verso il palco. La sala aveva iniziato ad applaudire e ad agitarsi. Adesso anche lei capiva il perché. Sul palco, con un sorriso radioso impresso sul volto, c’era proprio lui. Né Iris né lei avevano idea che avrebbe preso parte al seminario. Così però si spiegava la sua presenza nel campus. Appena gli applausi furono sfumati, Tom iniziò a parlare. Era spigliato, sorrideva, sembrava perfettamente a suo agio in quella sala gremita di ragazze in adorazione che non prestavano minimamente attenzione alle sue parole, ma che lo mangiavano con gli occhi.
Iris non smetteva di fare battutine sarcastiche, punzecchiando Gemma che, imperterrita, continuava a prendere appunti. Presa com’era dalla scrittura, si era isolata per un attimo e, in un gesto quasi automatico, aveva alzato la mano per fare una domanda. Iris aveva strabuzzato gli occhi. Nessuno dei presenti oltre lei aveva notato quel gesto, ma dal palco Tom smise di parlare e disse: “Si?” Iris scosse Gemma e lei finalmente si rese conto di ciò che aveva fatto. Adesso gli occhi di tutti erano nuovamente puntati su di lei, e si pentì come non mai di essersi assentata con la mente proprio in quel momento.
Tossì per un attimo e poi, costretta anche dagli sguardi di iris, si arrischiò a chiedere: “Pensa davvero che la recitazione, l’arte e il cinema siano gli unici strumenti attraverso cui riesce ad esprimere se stesso? Ha mai provato a scrivere?” La sala, che era stata in silenzio fino a quel momento, iniziava a rumoreggiare. Risatine e bisbigli riempivano adesso l’aria, facendo sbiancare Gemma. Che cosa aveva fatto? Non bastava la caduta disastrosa, adesso anche la domanda stupida! Ma che problema aveva oggi?
“Beh, signorina, noto che ci rincontriamo.” disse dal palco Tom, sorridendo.
Iris la guardava preoccupata.
“Beh, l’unica cosa che ho scritto sono state delle rappresentazioni estive che poi mettevo in scena con mia sorella e i miei cugini, ma questo è stato molto tempo fa.” La folla rise. Lui continuava a guardarla negli occhi.
“Diciamo che non ho mai provato seriamente a scrivere qualcosa, ma so che mi piacerebbe farlo. Amo molto leggere. Il mio libro preferito è Ogni Cuore Umano, di Boyd. Glielo consiglio.” concluse Tom, scoccandole un altro sorriso.
La mano di Iris stava stritolando la sua, sembrava più agitata di lei.
Il seminario si concluse e finalmente Gemma poté uscire. Le mancava l’aria.
“E allora, mia cara, che si fa adesso?  Cerchiamo un altro bonazzo a cui cadere davanti o andiamo a prendere un gelato? Vediamo se stavolta va bene a me.” le disse Iris, sorridendo.
“Andiamo a casa, ti prego.” disse soltanto Gemma, stanca di tutta quella notorietà.
Stavano uscendo dal cancello del campus, quando si sentì chiamare.
“Signorina?”
Era lui, ne era certa. Se la prima volta, quando lui le aveva dato la mano per rialzarsi, non aveva riconosciuto la sua voce adesso era certa che non l’avrebbe mai più dimenticata.
Senza darle nemmeno il  tempo di realizzare, Iris le aveva dato un bacio frettoloso sulla guancia e le stava urlando: “Ci vediamo a casa!”
“Signorina?” Tom la chiamò di nuovo e lei costrinse tutti i muscoli del suo corpo a girarsi per rispondere.
“Dice a me?” disse, certa di essere tornata alla sua tanto odiata tonalità borgogna.
“Pensavo non l’avrei più rivista.” disse lui, sempre con il sorriso stampato in viso.
Perché l’aveva fermata di nuovo? Cosa voleva da lei un uomo di successo, bello e impossibile come lui? Questo Gemma non riusciva davvero a capirlo. Così, un po’ caustica, chiese d’impeto: “C’è qualcosa che posso fare per lei, signor Hiddleston?”
All’uomo non sfuggì il suo tono, ma con la sua consueta gentilezza rispose:  “Chiamami pure Tom.”
La sorpresa sul volto di Gemma era evidente e questo, notò lei, lo divertiva.
Tom sembrava un'altra persona giù dal palco. La sua spigliatezza, la sua parlantina, sembrava essere sparita, sembrava leggermente impacciato.
Gemma continuava a torturarsi le mani, aspettando la prossima mossa, Tom continuava a guardarla e a sorridere senza parlare.
“Devo sembrare davvero un’idiota. Non riesco a smettere di sorridere, scusami.” Fece due colpetti di tosse per darsi un tono. “ Non ti ho nemmeno chiesto il tuo nome.”
“Gemma. Mi chiamo Gemma.” disse lei, il suo volto ormai paonazzo.
“Beh, Gemma. E’ un piacere conoscerti. Mi dispiace non averti potuto aiutare a raccogliere le tue cose prima.”
“Beh, si figuri.” balbettò lei, ma intercettò lo sguardo accusatorio di lui e riprese: “Cioè, figurati. Non fa niente, anzi, ti ringrazio. Adesso devo andare..” e fece per sviarsela. La situazione stava diventando troppo surreale. A Gemma sembrava di essere caduta dentro uno dei suoi libri che tanto amava o in una delle sue serie tv.
“No, aspetta.” la fermò lui. “Mi è sembrato di vedere dei libri di psicologia, accanto a te quando sei caduta. Sai, è un argomento che a me interessa molto. Che ne dici di prendere un thè insieme?”
Gemma lo guardò con cipiglio indagatorio. Il suo cuore aveva fatto una capriola a quella richiesta, ma in un angolo del suo cervello, nemmeno tanto nascosto, la ragione aveva fatto un passo avanti  e l’aveva riportata con i piedi per terra. Adesso che lui si stava solo prendendo gioco di lei era palese, ai suoi occhi.
Aveva dei capelli improbabili, non era truccata. Indossava un jeans che si era addirittura strappato sul ginocchio dopo la caduta e una felpa, non certo abiti da premiere. Era solo una ragazza come un’altra. Nulla di speciale. Lui era un attore di fama internazionale. Probabilmente era annoiato e non sapeva come passare il pomeriggio e lei si era solo ritrovata coinvolta per puro caso.
A lui non sfuggì il suo repentino cambio di espressione, così disse: “Vorrei solo passare un pomeriggio piacevole, Gemma. E poi sono quasi le 5, è l’ora del thè. Bisogna rispettare le tradizioni.”
Massì, era solo un thè, dopotutto. Non sarebbe stata poi tutta questa tragedia pensò Gemma e si ritrovò ad accettare.
E così, Gemma, 23 anni, studentessa squattrinata, nerd e quasi sociopatica, si ritrovò in un’elegante sala da thè insieme a Tom, 30 anni, attore, bello da lasciare il fiato.
Ma non era solo bello, ebbe modo di scoprire. Era anche molto gentile, attento, intelligente e sembrava sincero. La sua risata non lasciava mai la sua bocca che sembrava essere stata fatta apposta per sorridere. E quando rideva, i suoi occhi verdi prendevano una leggera piega all’insù. Rideva con tutto se stesso. Rideva col cuore.
Passarono un pomeriggio improbabile, ma davvero piacevole. Dopo il thè, iniziarono a vagare per le strade di Londra. Lui insistette per passare da un negozio sportivo e comprarsi qualcosa di più consono al loro pomeriggio, disse. Forse lei con il suo abbigliamento lo stava mettendo in imbarazzo, pensò Gemma.
Dopo venti minuti, un altro Tom era uscito dal negozio. Jeans sgualcito, felpa oversize e cappellino. Gemma arrossì, di nuovo in imbarazzo. Lui la guardò, sempre sorridendo e le disse: “Voglio solo un po’ di privacy oggi. Voglio portarti in un posto.”
In effetti, usciti dalla sala da thè, la gente aveva iniziato a riconoscerlo e lui, gentilmente, si era fermato a fare foto con tutti e a firmare autografi. Invece adesso, pochi erano quelli che riuscivano a vedere chi c’era davvero sotto quegli abiti così lontani dal suo consueto completo elegante.
Lui la portò nella sua strada preferita, la South Bank. Lei lo portò nel suo posto preferito di Londra, Trafalgar Square, così da poter fare una capatina alla National Gallery. Era facile parlare con lui, a dispetto della sua notorietà.
La sera era arrivata in fretta, troppo in fretta si sorprese a pensare Gemma. Il telefono di Tom aveva squillato per molto tempo, poi lui aveva deciso di spegnerlo. A Gemma questo gesto non era sfuggito.
“Che ne dici di mangiare qualcosa insieme?” disse lui, torturandosi le mani.
Gemma avrebbe tanto voluto dire di si, non aspettava altro, ma la sua parte razionale prese il sopravvento.
“Mi dispiace, devo tornare a casa. Iris mi starà aspettando e poi io…” Lui la prese per mano e la fece voltare, in modo da guardarla negli occhi.
“Puoi sempre chiamarla, la tua amica. La vera domanda è: hai paura?”
Gemma aprì la bocca ma non emise suono. Poi riuscì a dire: “Come? Cosa? Paura?”
“Gemma, ti svelo un segreto” disse serio. “Io ho paura.” I suoi occhi, inspiegabilmente, avevano preso a lacrimare.
Gemma distolse lo sguardo, incapace di sostenere quegli occhi verdi che sembravano avere dentro tutta la sincerità del mondo. Non voleva cadere in quella trappola. Ma forse non lo era, dopotutto…
“Gemma, guardami.” gli disse lui, alzandole il viso con due dita.
“Ho paura perché, quando ti ho vista è successo qualcosa. E alla conferenza, tra tutte quelle ragazze, io continuavo a cercare il tuo viso, per vederti di nuovo. So che sembra stupido, ma credo sia stato il destino a farti oggi, così che io potessi incontrarti. E poi mi hai fatto quella domanda, nemmeno ti eri resa conto che ero io a parlare! Non mi è mai successa una cosa così. Perciò si,  ho paura. Ma ho passato una bella giornata insieme a te e non voglio finisca così.”
Era sincero, ogni fibra del suo corpo continuava a ripeterle che lui era sincero, ma nonostante questo, la sua coscienza sembrava intenzionata a non demordere.
“Tu hai paura, Gemma?” la incalzò.
“Si” rispose lei, con un filo di voce. “Mi dispiace davvero, ma devo proprio andare.”
E così, con le mani in tasca e un groppo in gola, Gemma andò via, convinta che quello che aveva vissuto era stato solo un bel sogno e che al mattino dopo sarebbe svanita ogni cosa.
Ma non fu così. Il mattino seguente, Iris era balzata sul suo letto a chiedere cos’era successo. “Dettagli succulenti” li chiamava lei. Così, suo malgrado, Gemma si era ritrovata a raccontare tutto all’amica che non mancava di darle dell’idiota e di alzare gli occhi al cielo ogni qual volta Gemma, secondo lei, avesse fatto una cosa stupida. Sul finale quasi urlò. “Cooosa??? Sei andata via? Tu hai lasciato Tom, QUEL Tom e sei andata via? Ma cosa c’è che non va in te, Gemma?”
Vedendo lo sguardo triste dell’amica, la abbracciò. Capiva bene quanto quella strana avventura l’avesse scossa.
“Andiamo al campus, ok? Giuro che non ti chiederò più nulla. Però adesso preparati.”
La giornata passò com’erano passate tutte le altre di quei tre anni. Lezioni al mattino, pranzo con Iris e pomeriggio in biblioteca. Ma quando, letto il messaggio di Iris che le diceva che avrebbe fatto tardi, aveva iniziato a raccogliere le sue cose per andare via, sentì qualcuno che la stava chiamando.
“Gemma?” la ragazza sussultò. Si girò lentamente e accanto a lei,  con gli stessi abiti comprati il giorno precedente al negozio sportivo, c’era Tom.
Perché era tornato? Forse non aveva accettato un rifiuto da una ragazza insipida come lei, non era certo abituato a sentirsi dire di no .
“Che ci fai qui?” disse lei, sempre bisbigliando.
“Sono venuto a cercarti. Non so dove abiti, così.. Sapevo che ti avrei trovata qui.”
Lei raccolse il suo zainetto logoro e gli fece cenno di uscire. Uscirono dal campus senza parlare, ma quando furono fuori lei esplose.
“Cosa c’è? Sei venuto a cercarmi perché  ti ho detto di no? Non sei abituato ai rifiuti tu, eh? Cosa vuoi da me? Sono solo una fra tante, non abbiamo nulla da spartire.” Una rabbia cieca si era impossessata di lei, la sensazione di essere stata un passatempo e che il gioco per lui non fosse ancora finito avevano innescato il tutto. Magari stava solo cercando un po’ di normalità, stanco delle luci della ribalta, ma non voleva esserne lei  a fare le spese, quando poi lui l’avrebbe scaricata e arrivederci.
“E’ stata una giornata diversa ieri per te, ok! Ma questa è la mia vita, non certo la tua, quindi metti il vestito buono e vai a girare qualche film.” Così  attraversò la strada, lasciando da solo Tom, una strana espressione in viso, sembrava triste.
“Gemma, aspetta.!!” le urlò e le corse dietro.
“Che c’è ancora?”
“Hai parlato tu, adesso tocca a me parlare. Sono venuto a cercarti perché volevo vederti. Ieri non è stata solo una giornata diversa per me. E’ stata una giornata perfetta, come non mi succedeva da un sacco di tempo. Volevo vederti perché mi piace parlare con te, mi piaci tu, Gemma.”
Gemma doveva ammetterlo. La dichiarazione l’aveva colta di sorpresa, ma si  sforzava di mantenersi il più possibile indifferente.
“So che non mi credi e pensi io cerchi solo un passatempo, ma davvero non lo è così. Ti prego, credimi. Per me non sei una tra le tante, ma diversa fra tutte loro. L’ho capito dal primo momento in cui ci siamo guardati. Hai qualcosa di speciale, Gemma e io voglio conoscerti.”
Lei voleva, voleva davvero credergli. I suoi occhi, le sue mani che tremavano, tutto diceva che lui era sincero.
“Come posso crederti?”
“Fallo e basta. Dammi una possibilità.”
E Gemma, alla fine, quella possibilità gliel’aveva data. Aveva deciso di fidarsi, di mettersi in gioco, anche se poteva scottarsi.
 
 
 
 
Da quel giorno era passato quasi un anno. I primi tempi erano solo usciti come amici, per lo più giravano Londra in lungo in largo, come due turisti. Lui si era preso del tempo dal lavoro, così la aspettava ogni giorno all’uscita del campus per immergersi in quella splendida città e scoprire insieme qualcosa di nuovo l’uno dell’altro. Poi lei aveva accettato di uscire a cena e lui l’aveva sorpresa portandola al Mc Donald. Il miglior primo appuntamento di sempre.  E poi il loro primo bacio. Tom sembrava felice come un bambino quando le loro bocche si erano sfiorate per la prima volta.
All’inizio non era trapelato niente sulla loro relazione. Stavano sempre attenti a non farsi vedere, a non dare nell’occhio. Ma dopo i primi mesi, fu inevitabile. Furono sorpresi da un fotografo mentre uscivano dal campus, mano nella mano. Un gesto sconsiderato da parte loro, avrebbero dovuto immaginarlo. Era da un po’ che Tom era tampinato a vista da quel fotografo e lo scoop era solo questione di tempo.
Tutti i giornali ne parlavano, in tv in radio, dappertutto.
Gemma aveva avuto paura. Il loro mondo segreto era saltato in aria in un minuto e lei era sicura che non avrebbe retto.
Aveva pensato di tirarsi indietro. Quella vita non faceva per lei. Lei aveva i suoi libri, Iris, la sua vita riservata e monotona, non voleva vivere ogni giorno con i suoi fatti personali stampati su un giornale. Ma, d’altro canto, si era resa conto che era troppo tardi per tornare indietro.
Si era innamorata di Tom, non avrebbe mai potuto lasciarlo.
Così presero la decisione: non vedersi per un po’, fino a che lei non avrebbe finito l’anno all’università e poi partire insieme. Lui aveva un ingaggio a Los Angeles, avrebbero passato insieme l’estate.
 
E adesso lei era lì, davanti ai flash, solo per lui.
Arrivarono all’interno dell’ampia sala che era stata allestita per il rinfresco, mano nella mano.
Tom era nervoso, odiava metterla in situazioni che la facevano stare male, ma c’era un motivo per cui aveva insistito a portarla lì, quella sera.
Per distrarsi, Gemma aveva bevuto già due flûte di champagne e apprezzava la leggera sensazione di leggerezza che questo le dava. La serata sembrava  non volesse più finire, e quando finalmente arrivò il discorso conclusivo, che toccava a Tom, i flûte erano già diventati quattro. Non l’aveva lasciata sola nemmeno per un minuto durante la serata, aveva riservato i suoi sorrisi e le sue attenzioni solo a lei. Gemma non riusciva a staccargli gli occhi di dosso mentre lui, con la sua solita eleganza, le faceva il baciamano, scusandosi e si avviava verso il palco.
Tutta l’attenzione della sala era per lui in quel momento, ma lui stava cercando i suoi occhi, come la prima volta al campus
Appena tornò, le disse piano all’orecchio: “Fingi di svenire.”
Lei lo guardò incredula, ma non stava scherzando, un sorrisetto malizioso gli increspava le labbra. Così si portò una mano alla testa e, come la miglior diva che si rispetti, ebbe un finto malore da Oscar.
Fu lui a prenderla subito, una mano sotto le sue gambe e una dietro le sue spalle. La sollevava con facilità, quasi lei fosse fatta di piume.
“Le chiavi della stanza, presto. La mia ragazza non sta bene” disse a qualcuno che lei non vide.
Prese le chiavi tra i denti e iniziò a salire le scale, seguito a ruota da un cameriere. Ogni tanto Gemma apriva un occhio per sbirciare cosa stava succedendo. Tom aveva lo sguardo preoccupato, interamente calato nella parte. Lei dovette trattenersi per non ridere. Fecero due piani di scale a piedi, il cameriere che si ostinava a porgere una coperta a Tom da metterle addosso. Arrivarono finalmente davanti alla porta della stanza, e dopo che Tom  l’ebbe aperta ed ebbe cacciato il fastidioso cameriere, scoppiarono a ridere. Tom la adagiò sul  letto con delicatezza.
“Ma cosa ti  è saltato in mente?” le disse lei, togliendosi le scarpe, i piedi doloranti.
“Voglio te, Gemma.” disse lui, incatenando il suo sguardo su quello di lei.
Il cuore di Gemma perse un battito. Nonostante il tempo passato insieme, ogni volta che lui glielo diceva era come se fosse la prima.
Lui si inginocchiò di fronte a lei e le accarezzò piano i piedi, poi le prese le mani tra le sue. Quelle stesse mani che l’avevano aiutata ad alzarsi in quel campus, adesso fremevano di desiderio. Piano piano, si spostarono sotto la sua gonna  per sfilarle le calze. Lei lo attirò verso di sè e finirono insieme in quel letto, che avevano agognato per tutta la serata.
Sorridevano entrambi, occhi negli occhi, quando le loro bocche si incontrarono. Prima lentamente, poi sempre più a fondo le loro lingue si incrociarono, esplorando quei sentieri conosciuti ma sempre nuovi. Le loro mani corsero a cercarsi e si incatenarono sopra le loro teste. L’aria era carica di elettricità attorno a loro, il mondo poteva anche essersi fermato. Esistevano solo loro e il loro desiderio.
Lentamente Tom le accarezzò il viso e iniziò a lasciarle una scia di baci lungo il collo. Gemma fremeva ad ogni contatto, il cuore le batteva all’impazzata. Lei gli accarezzava la schiena, tastandone ogni muscolo, con le sue piccole dita. Lui era passato a torturarle un orecchio, cosa che la fece impazzire. Piano piano, lui le sfilò il vestito, lasciandola in intimo, sotto di lui. Lei gli tolse la camicia e iniziò a baciarlo sul collo e sui pettorali. Erano lenti, lascivi, ogni movimento calcolato per durare il più possibile. Si amavano e volevano farlo per sempre. Lentamente lui iniziò a baciarle il ventre e l’ombelico, mentre con le mani continuava a massaggiarle le cosce che fremevano, in cerca di maggiore contatto. Gemma era in balia del suo desiderio, lo voleva con tutta se stessa.
Si sfilò da sotto di lui e lo fece distendere sulla schiena. Si allungò su di lui e iniziò a baciarlo sul collo e lungo la spina dorsale, con calcolata lentezza e continuando ad accarezzargli la schiena. Poi gli tolse i pantaloni e iniziò ad accarezzarlo tra le gambe, compiaciuta del fatto che lui non potesse muoversi.
Ma la tortura durò poco. Tom si girò e lei si ritrovò sotto di lui. Le loro labbra si cercavano, si mordevano, non volevano lasciarsi. Con fare sapiente, le sganciò il reggiseno e iniziò a massaggiarle un seno, sempre senza staccarsi dalle sue labbra. Gemma iniziò a strusciarsi contro la sua erezione, incapace di resistere ancora. Ma lui non mollava. Con la mano libera le sfilò gli slip e con un dito le iniziò a massaggiare il clitoride. Gemma inarcò la schiena come a volersi avvicinare ancora di più a lui.  Poi finalmente Tom entrò dentro di lei, prima lentamente, con dolcezza, sempre guardandola negli occhi. Poi sempre più forte, con impeto, stringendola a sè, occhi negli occhi, incatenati per sempre. Il momento del piacere arrivò per entrambi e li travolse, lasciandoli senza fiato. Restarono così, l’uno dentro l’altra, per un tempo indefinito. Lei gli accarezzava la schiena, lui le lasciava piccoli baci sul corpo.
“Devo dirti una cosa, Gemma.” disse poi, la voce ancora roca.
“Dimmi amore.” Avrebbe potuto dirle qualunque cosa in quel momento.
“Vuoi sposarmi?”
  
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