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Autore: Loony Evans    25/08/2015    2 recensioni
Tutti noi conosciamo Uther Pendragon, il padre, il re, il tiranno. Ma cosa sappiamo della sua giovinezza? Poco o niente, frammenti persi nella memoria di chi ormai non c’è più. E allora torniamo indietro, prima di Merlino, di Artù, ma non prima della magia, o degli eroi. Al primo Uther Pendragon.
[Dalla storia]
- Il drago che vola…mio cugino. Lui porterà la morte?-
- Sì, forse. Tutti sappiamo che manca poco a che il drago-che-non-fu spicchi il volo e cali su di noi con il ferro e il fuoco. E la tua vista non è così potente da coprire un grande lasso di tempo.-
- Un mese…o anche meno.- stimò Vivienne, l’altra annuì.- Un mese e saremo contro il sangue del nostro sangue. Un mese e rivedremo il sigillo di Uther.-
Genere: Avventura, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Prima dell'inizio
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La sala del trono era decorata a festa,  arazzi rosso vivo con un drago d’oro, simbolo dei Pendragon, pendevano dal soffitto. Nobili, re e regine da ogni angolo di Albion erano venuti ad assistere alla cerimonia, ansiosi i primi di guadagnarsi subito il favore del nuovo re, i secondi di valutare la sua pericolosità per i loro confini.
Si intravedevano, tra gli altri, le insegne nere e argento di lord de Bois, insieme alla moglie, attaccata al suo braccio come se da quello dipendesse la sua vita. O forse erano lord Prescault e una delle sue figlie, accompagnati dal loro usignolo marrone in campo verde. Da dove la ragazza stava guardando, non si riusciva a capire bene: era troppo in alto, nella balconata sopra la folla, oltre gli arazzi stessi, e non poteva distinguere tutto.
Sebbene non fosse il posto con la vista migliore, lei l’aveva scelto perché era tutto suo, nessun’altro conosceva il modo per accedervi: la ragazza stessa l’aveva trovato per caso, dopo essersi nascosta dietro una grande armatura per scappare dal fratello che la stava inseguendo per tutto il castello. E lì aveva visto la porta. Spinta da curiosità l’aveva aperta e aveva trovato la scala, e da quel momento lì era sempre andata quando non voleva farsi scoprire, come in quel momento, nascosta dietro una tenda e osservava il rito…l’incoronazione, si ricordò all’improvviso.
Il re era morto, dunque ne serviva un altro. Ed eccolo avanzare, quell’altro, fiero in una cappa cremisi, con un cappuccio a nascondergli la testa, a fendere la moltitudine di nobili.
No, erano loro a scostarsi appena capivano che si stava avvicinando. Il suo potere era talmente grande che lo facevano ancora prima di guardarlo: non c’era necessità di vederlo per capire che era presente.
La ragazza si spostò più avanti, scavalcando distrattamente i cadaveri che trovava sul suo cammino: ci avrebbe pensato più tardi, in quel momento tutto ciò che importava era guardare meglio il re. Scostando la stoffa si trovò subito sotto il trono.
L’uomo era arrivato in cima alla scaletta che conduceva allo scranno, ma le dava ancora le spalle mentre alzava la corona, un cerchio dorato tempestato di rubini così scintillanti che anche l’aria circostante sembrò assumere quel colore.
La ragazza raccolse le gonne e si affrettò a salire i gradini, ma al terzo i suoi piedi nudi affondarono in qualcosa di umido. Si chinò a toccarlo: era caldo e più scarlatto di tutti gli stendardi attorno a lei, più del suo stesso vestito, notò osservando la manica, e si chiese perché fosse certa di averne indossato uno bianco. Dopotutto però anche gli indumenti di tutti gli altri mostravano vistose macchie rosse che si allargavano a vista d’occhio, eppure nessuno sembrava accorgersene.
Riprese a salire, questa volta tenendo lo sguardo fisso a terra sulla scia rossa, che scorreva sempre più forte, e arrivava a colorarle le caviglie.
Al quinto scalino sbatté contro la schiena del re e alzò lo sguardo. Si era messo la corona, finalmente, ma qualcosa non andava. Era troppo stretta, gli scavava il cranio, i rubini erano diventati spuntoni ricurvi che avanzavano verso il suo collo. Si allungò per togliergliela, e finalmente l’uomo si girò verso di lei. Ma era troppo tardi, i suoi occhi la guardavano implorante mentre il bel volto si ricopriva di sangue…
Vivienne Pendragon, principessa di Camelot, si risvegliò con un urlo nel proprio letto, sudata e terrorizzata. Afferrò la coperta e ci si avvolse, tentando di fermare i brividi. La visione era stata più macabra del solito, oltre che incredibilmente confusa: doveva assolutamente capirne il senso.
Scansò la trapunta e prese dall’armadio il vestito più semplice che aveva, che era cioè possibile indossare senza alcun aiuto dalle cameriere, profondamente addormentate nella stanzetta adiacente. Non avevano sentito l’urlo, e distrattamente Vivienne si domandò se avrebbe dovuto chiedere a suo padre servitrici con un sonno un po’ meno pesante, ma in fondo era meglio avere un po’ più di libertà, considerò tra sé e sé.
Facendo comunque attenzione a non fare troppo rumore, aprì la porta e sbatté contro qualcosa di grosso e morbido che non riuscì a identificare. Cadde all’indietro e soffocò un gemito di dolore per non fare ancora più rumore, e alzando lo sguardo si trovò davanti quello perplesso di Will Smithson, una delle sentinelle del castello, che aveva giudicato a quel modo sia per la sua enorme stazza, sia per la quantità di peli che popolavano il suo corpo in ogni angolo, tanto da guadagnargli l’epiteto di Orso quando parlavano di lui: Vivienne ricordava che quando era piccola preferiva che fosse lui a portarla dai genitori dopo che aveva combinato un guaio. Per quanto la stretta della sua mano fosse forte, infatti, la peluria la rendeva molto più soffice.
Mentre si alzava, l’uomo la scrutò con il suo consueto sguardo scontroso, che però in quel momento, fra lo spavento e la fretta di uscire, la ragazza non riuscì a sopportare: - Che ci fai qui fuori?- gli chiese bruscamente.
- La guardia.- replicò l’altro con semplicità.
- Falla a mio fratello come al solito, non a me!-
Will non si degnò neanche di risponderle, alzò solo le sopracciglia, facendo intendere a Vivienne, che dopo tutti quegli anni lo conosceva bene, che quelli erano gli ordini che aveva ricevuto, e poco importava che si discostassero da quelli abituali, proteggere fino alla morte il principe Gerhold Pendragon. Will si limitava a obbedire senza farsi troppo problemi, e non vedeva perché lei non potesse reagire allo stesso modo.
- D’accordo.- si arrese la ragazza.- Se proprio devi stare con me, accompagnami di sotto. Devo andare a parlare con una serva.-
Se l’uomo trovò la richiesta strana, non lo diede a vedere. Prese una delle torce appese in corridoio e la precedette verso le scale che conducevano ai piani inferiori. Lei lo seguì, sforzando di non infilarsi nei vari passaggi segreti che incontrarono lungo il cammino, grazie ai quali sarebbe arrivata nella metà del tempo: non aveva una luce e camminando in uno di quelli nel buio si sarebbe certamente rotta l’osso del collo. Tacitò dunque la propria impazienza e si rassegnò a seguire l’altro, o meglio la sua schiena, dal momento che era talmente grosso che quasi non si riusciva a vedere il corridoio.
Alla fine giunsero all’ingresso dell’ala della servitù, nella parte più umida e fredda dell’edificio. Will scosse con un grugnito Eonad, il guardiano dei porci che, a causa del suo odore penetrante, veniva sempre costretto dagli altri a dormire fuori dalla sua stanza, ben lontano da loro. Il servo si svegliò di soprassalto, e agitò un pugno contro l’ignoto disturbatore: - Chi diavolo sei, sacco di merda? Will!- aggiunse quando il gigante fu illuminato dalla torcia.- Vecchio orso puzzolente, che cosa vuoi?-
- Accompagno lei.- replicò lui mostrando Vivienne. Questa dovette trattenere un sospiro stizzito mentre Eonad spalancava gli occhi e si ricomponeva il meglio possibile, mettendosi rigido come una statua, il volto per qualche ragione volto a guardare il soffitto.
- Vo…vostra altezza! Cosa volete? Cioè, no, cosa posso fare? Per voi intendo…-
- Ho bisogno di vedere Alice. È qui?- si affrettò a interromperlo lei.
- La cuoca? È dentro, sì, la terza porta a destra. Vado a prendervela? A chiamarvela. A chiamarla per voi, cioè.-
- No. Vado io.- s’intromise Will, secco. Alle occhiate stupite degli altri due aggiunse: - Con l’odore che si ritrova si sveglierebbero tutti. Meglio evitare.-
Vivienne annuì e l’uomo la lasciò sola con l’altro, che manteneva la sua strana posa e strofinava i piedi sul pavimento, imbarazzato. Avrebbe anche potuto provare tenerezza per lui, se non avesse cominciato a grattarsi il sedere, salvo poi profondersi in un gran numero di scuse, che lei troncò fin dal principio perché se già l’odore del suo corpo, fango ed escrementi, era insopportabile, quello dell’alito era ancora peggio. Per sua fortuna Will tornò in fretta in compagnia di Alice, una ragazza piccola e minuta con i capelli biondo sporco in disordine e una modesta camicia da notte grigia.
- Principessa?- chiese incerta, scrutando nel buio.
- Sì, sono io. Ho bisogno di parlare subito con te. In privato.- rispose lei con tono imperioso, lanciando un’occhiata veloce agli uomini che li fissavano. – E nessuno deve sapere che questo incontro è avvenuto, chiaro? Per il mondo, nessuno di noi si è incontrato stanotte.- gli altri tre annuirono.
Alice le fece segno di seguirla, e, dopo aver afferrato un’altra fiaccola, si addentrò  nel corridoio, oltre le porte dietro cui decine di domestici riposavano ignari di cosa stava accadendo accanto a loro. Vivienne provò un moto d’invidia verso di loro, che non erano costretti a vagare nel castello prima del sole stesso, come dei ladri, e si dispiacque per Alice che aveva dovuto coinvolgere nella sua maledizione, perché non aveva nessun’altro, e non riusciva ad affrontarla da sola.
La serva la guidò infine a un cantuccio dietro una scala, e le prese le mani.
- La tua vista si è attivata di nuovo, vero?- le domandò.
- Sì ma...è stato spaventoso, Alice! Non so se sia giusto farlo vedere anche a te, ma non sapevo cosa…- mormorò Vivienne lasciandosi finalmente andare alla paura.
- Ormai sei qui, no? E così capiremo insieme il significato.- ribatté la bionda.
Strinse gli occhi e la principessa avvertì il solito brivido  caldo che l’avvertiva che l’amica si stava insinuando nella sua mente. Aumentò la stretta delle mani per facilitarle il compito, e attese. Passò qualche minuto, le espressioni si susseguivano sul volto di Alice, passando dalla curiosità all’inquietudine. Quando i suoi tratti si distesero in una di orrore, Vivienne capì che era arrivata alla fine, al re con il volto di sangue, e infatti la ragazza si staccò poco dopo da lei con un gemito spaventato.
- Cosa vuol dire?!- chiese la principessa con tono isterico, prendendola per le spalle.- Mio fratello e mio padre moriranno?!-
La serva si portò un dito alle labbra per consigliarle di fare meno rumore, e rifletté per qualche momento: - Si può giocare al gioco dei potrebbe, con le visioni, te l’ho già detto. Potresti avere ragione tu, e i tuoi uomini sarebbero destinati alla morte. Potrebbe essere altro. È certo che ci sarà una guerra, troppo sangue e morti perché non ci sia. E sarà fra la tua famiglia: gli arazzi a destra avevano il dragone con le ali spiegate, quelli a sinistra no.-
- Il drago che vola…mio cugino. Lui porterà la morte?-
- Sì, forse. Tutti sappiamo che manca poco a che il drago-che-non-fu spicchi il volo e cali su di noi con il ferro e il fuoco. E la tua vista non è così potente da coprire un grande lasso di tempo.-
- Un mese…o anche meno.- stimò Vivienne, l’altra annuì.- Un mese e saremo contro il sangue del nostro sangue. Un mese e rivedremo il sigillo di Uther.-
 
 
- Pendragon! Lurido usurpatore sacco di merda!-
- Ha detto così?-
- Le parole sono state “vorrei parlare con lord Pendragon, se non gli è di disturbo”, ma sappiamo entrambe che il succo era quello.-
- Aye, hai ragione.-
Le due vecchie ridacchiarono. Erano quelle che nelle favole venivano chiamate megere: capelli grigi, stopposi e sporchi, occhi marroni lattiginosi, un ghigno sdentato e una risata stridula da far venire i brividi al più coraggioso degli uomini. Erano state servitrici dei Pendragon per così tanti anni, facendo da balia ai vari principini, compresi il vecchio re, Stefen, e suo fratello Addam, l’attuale, che nessuno ricordava più quanti anni avessero, o quando fossero arrivate. Giravano su di loro le più strane voci, fra le quali la più popolare era che fossero nate da un demone: la loro risata, si diceva, era profetessa di terribili eventi. Avevano riso prima della morte di Stefen. Nessuno, poi, ricordava più neanche i loro nomi, per cui tutti avevano preso a chiamarle con i nomignoli con cui si presentavano ai bambini: quella con tre denti e i capelli lunghi era Alta, quella con cinque denti e i capelli corti era Bassa. Ora, dopo aver lasciato Camelot, erano alla tenuta di lady Alyssa Pendragon, e passavano il tempo raccontando storie del terrore ai più piccini che commettevano l’errore di dar loro corda.
- Ma chi è, Bassa?- chiese Alta.
- Un cavaliere mandato dal piccolo Addam. Ser Qualcosa.-
- E che vuole?-
- Parlare con Uther, lui dice.-
- Non vorrà fare del male al piccolo miracolo!-
Risero di nuovo, più forte.
- E com’è di faccia?- riprese Alta.
- Uther?-
- No, sciocca! Ser Qualcosa!-
- Ah! È giovane. C’avrà l’età del Miracolo. Capelli scuri, alto. Begli occhi.-
- Ed è già andato via?-
- Macché! È nella sala con la lady, che aspetta.-
- E andiamo a vederlo, no?-
Bassa le tirò uno schiaffo dietro la nuca.
- E che ci andiamo a fare, scema? Diciamo che siamo capitate là per caso? La lady ci frusta questa volta.-
- Tu segui me, e vedi che sapremo tutto senza ucciderci.-
L’altra scrollò le spalle e s’incamminarono verso la sala che gli abitanti della casa chiamavano grande, ma non loro, e neanche lady Alyssa o suo figlio, Uther. Quella stanza misurava giusto quanto le stalle del castello dove avevano abitate per anni, per cui non capivano dove la vedessero gli altri, la grandezza. Al massimo poteva essere definita “dei ricevimenti”, ma nulla di più.
Contava un pavimento di piastrelle decorate ciascuna con un trifoglio bianco e rosso, simbolo della casata della lady, proprietaria del maniero, e svariati divanetti per gli ospiti, ognuno con un annesso tavolino. Sulle sedie più lontane dalla porta, scoprirono le vecchie entrando, stavano seduti lady Alyssa e il suo ospite.
Quando si accorse del loro arrivo, la donna rivolse alle due un’occhiata stupita e infastidita: - Balie, cosa fate qui?-
Alta, vedendo la compagna messa in difficoltà dall’imbarazzo, si affrettò a prendere la parola: - Abbiamo incontrato re Uther…il signorino, cioè.- si corresse notando lo sguardo di rimprovero della padrona, e quello di sconcerto del cavaliere. “Ha proprio dei begli occhioni” pensò ”Almeno Bassa non mi è diventata cieca: - Sì, insomma, lui. L’abbiamo incontrato, appunto, e ci ha detto…ci ha incaricato di avvertirvi, cioè, che sta arrivando.-
- Bene!- esclamò l’ospite, non capendo, come invece aveva fatto Alyssa a giudicare dalla sua espressione, che si trattava di una scusa.- Devo tornare al più presto da sua maestà. E tu, balia, non dimenticare mai più chi è re e chi no.- aggiunse rivolta ad Alta, che annuì con un sorriso tanto amabile quanto falso. Quel ragazzo non era divertente. Bassa la imitò.
- Ser Egeon, gradite altro tè?- d’intromise lady Alyssa.- Come vi stavo dicendo, mi dispiace davvero che siate stato costretto ad avere solo la mia compagnia fino ad ora. La mia protetta, Maya, è uscita poche ore fa a cavalcare.-
- Una fanciulla da sola, prima del sorgere del sole? Curioso. Ma non crucciatevi, siete stata gentilissima. Purtroppo mio zio non è un uomo paziente, e si aspettava che tornassi molto prima, ma non posso andare senza aver visto lord Uther.- replicò il ragazzo, calcando sul titolo del giovane.
- Eccolo qui!- annunciò una voce squillante. Tutti si voltarono per vedere un giovane alto, con capelli castani e mossi che gli arrivavano alle spalle, e le labbra incurvate in un sorriso cordiale. Le balie lo riconobbero subito: era Gorlois, il figlio del fabbro della tenuta che si accompagnava a Uther da quando erano bambini. Alta e Bassa si scambiarono un’occhiata divertita, pregustando lo spettacolo cui stavano per assistere, anche perché il ragazzo indossava quelli che sembravano vecchi stracci impolverati, piuttosto che vesti da nobile. Per sua fortuna, riuscì subito a trovare un motivo per giustificarli: - Perdonate il ritardo e i vestiti, ma ero impegnato a strigliare il mio cavallo, non mi fido di nessun altro per farlo, e non mi pareva conveniente mettermi abiti più sontuosi. Con chi ho l’onore di parlare?-
- Sono ser Egeon Prescault, nipote del lord. Mio zio mi ha mandato qui per comunicarvi che ha una proposta per voi. Vorrebbe incontrarvi e discuterne insieme.-
Gorlois stava per rispondere all’ospite, ma la signora intervenne prima che potesse pronunciare una sola sillaba: - Saremo lieti di accontentare lord Prescault, ser, ma qui e in compagnia di lord de Bois, un caro amico di famiglia che ci aiuta spesso a prendere le decisioni più importanti.-
Le balie trattennero le risate davanti all’ira del cavaliere, trattenuta a stento. “Non ci può fare come vuole con la padrona, ah!” pensò Bassa mordendosi l’interno della guancia per non fiatare.
- Milady, temo che i progetti di mio zio fossero diversi…- disse infine ser Egeon a denti stretti.
- Ma se non ve ne ha comunicato alcuno, ser, non dovevano essere altro che ipotetici progetti che possono essere messi da parte davanti a uno ben preciso.- replicò Alyssa stringendo il braccio di Gorlois per intimargli di non intromettersi.
- Mi sembra…giusto.- sbottò ser Egeon.- Lo comunicherò a lord Prescault.-
- Ditegli anche che una lettera con i dettagli del nostro incontro gli sarà spedita al più presto.-
- Come…desiderate. Vi auguro una splendida giornata.-
Si inchinò brevemente e uscì dalla stanza senza guardarsi indietro. Le vecchie intravidero la sua espressione furiosa e scossero la testa: i giovani uomini non andavano bene per le missioni diplomatiche, troppo impetuosi. Lo stesso valeva per Gorlois, si accorsero voltandosi dalla sua parte e prorompendo in una risata sguaiata che fece spuntare un’espressione perplessa sul viso del giovane, e sarebbe rimasta così se la signora non si fosse affrettata a tirargli un sonoro schiaffo in pieno viso, del tutto indifferente alle altre due. Aveva allenato se stessa a dimenticarsi della loro presenza.
- Che razza di scherzo è questo?! Dov’è mio figlio?- sbraitò Alyssa.
- Lui è uscito a…cavallo, mia signora.- replicò il ragazzo.
- E tu ti approfitti della sua assenza, ti atteggi a lui!-
- Assolutamente no, milady! Ut-il mio signore mi ha chiesto di fare le sue veci, in caso fosse stata richiesta la sua presenza.
“Ahi”, pensò Alta quando un secondo schiaffo colpì la guancia di Gorlois. “Brutta risposta”.
- E che cosa ti ha fatto pensare di esserne in grado? Ah, di certo quello sfaticato ha visto i colori dei Prescault ed è scappato per non avere fastidi.- la lady sospirò e si accasciò sulla sedia, l’ira svanita per lasciare il posto alla preoccupazione.- Almeno ti ha detto di voler raggiungere Maya? Non è da solo, vero?-
- Oh sì, signora. Ha chiesto dove si era diretta, ha sellato il cavallo e si è avviato in quella direzione.-
- Mh. Ora vai.-
Il giovane non se lo fece ripetere, e si avviò spedito verso la porta dei servitori, quella da cui erano entrate le balie. Superandole, fece loro l’occhiolino e in risposta Alta gli arruffò i capelli, mentre Bassa gli strinse il braccio. Erano affezionate a quel ragazzo, le faceva sempre divertire.
- Gorlois.- lo chiamò inaspettatamente Alyssa.- Se scopro che Uther è andato di nuovo al Vecchio Altare, non sarà solo lui ad essere punito. Odio i bugiardi.-
L’altro impallidì e mormorò un assenso prima di andarsene. Le vecchie si guardarono, chiedendosi se fosse saggio imitarlo, quando la signora parlò anche a loro: - Voi due rendetevi utili, per una volta. Mandate un messaggero a lord de Bois, che venga subito, e dite alla servitù di prepararsi per l’arrivo dei Prescault. Credo che saranno qui fra due giorni, come minimo, e vedremo cos’avrà da cantarci quella vipera travestita da lord.-
- Sì, padrona.- esclamarono in coro.
- Come sarà, amica mia?- chiese Alta quando furono fuori.
- L’usignolo e il drago sotto lo stesso tetto, a mangiare insieme? Sarà il finimondo.- rispose Bassa.
- Oh, che divertente! Finalmente un po’ di vita qui dentro!-
L’eco delle loro risate si diffuse per tutta la casa, facendo rabbrividire grandi e piccoli, tutti consapevoli che dalla loro gioia non sarebbero venuti altro che orrori.
  
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