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Autore: NienorDur    25/08/2015    3 recensioni
La tenuta di Fenris sembrava un cadavere morente per quanto era trascurata, la stessa cosa si poteva dire del suo unico inquilino.
"Aveva fatto un sacco di errori nella sua vita, li ricordava tutti, uno in particolare lo tormentava da troppo tempo.
Bevve altro vino, aveva intenzione di finire le poche bottiglie rimaste, probabilmente sarebbe stato male, magari avrebbe vomitato, sarebbe svenuto, inciampato e morto.
Gli sembrava un buon programma per la serata. Varric non avrebbe detto lo stesso."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Fenris
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti
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Odio dover mettere le premesse ma qui la trovo necessaria:
questa fic si può collocare dopo che Hawke ha lasciato Fenris per stare con Anders, cosa possibile solo se non si rifiuta il mago nel primo atto e in seguito si ha una relazione con l’elfo.
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(E)spirare
 
 
 
 
 
 
“Sei stato un’idiota a lasciare Hawke”
“E tu non hai perso tempo per rimpiazzarmi.”
 
 
Aveva fatto un sacco di errori nella sua vita, li ricordava tutti, uno in particolare lo tormentava da troppo tempo.
Bevve altro vino, aveva intenzione di finire le poche bottiglie rimaste, probabilmente sarebbe stato male, magari avrebbe vomitato, sarebbe svenuto, inciampato e morto.
Gli sembrava un buon programma per la serata. Varric non avrebbe detto lo stesso.
 L’alcool scendeva lentamente nella gola irritandola, bruciandogli le viscere, sentiva il liquido muoversi dentro di lui: non aveva mangiato niente quel giorno.
Lanciò l’ennesima bottiglia contro il muro, senza dire alcuna parola, tenendo la rabbia dentro di se, covandola, facendola crescere.
Aprì la bottiglia seguente, ne rovesciò a terra una parte, portandola alle labbra, ne cadde altro sul suo corpo. Emise un grugnito di disgusto, non verso l’armatura umida e sporca, ma verso se stesso: era patetico, ripugnante, disgustoso a tal punto da odiare la vista del suo riflesso nello specchio rotto dall’altro lato della sala. Non aveva mai pianto nella sua vita, almeno fino a ora: lacrime amare gli solcavano gli zigomi pronunciati, bagnando la pelle ambrata, i capelli bianchi, i vestiti fino a colare sul pavimento e mischiarsi col vino.
La sua tenuta era vuota, avvolta nel silenzio, quasi gli faceva paura.
Provò a stendersi per terra, era stanco, ma un conato di vomito glielo impedì; portò la mano alla bocca cercando di frenarlo, ci riuscì, ma l’acido della bile gli rimase in bocca. Bevve per farlo andare via.
Sbatté più volte la testa contro il muro, insultando se stesso.
Come aveva potuto essere così stupido?
Perché quella sera non era rimasto con Hawke?
Perché non gli aveva parlato prima?
Sapeva che era tutta colpa sua.
Ma ora il suo amato era felice, più di quanto non lo fosse stato da solo pensando a uno stupido elfo.
 
“Tu… vivi con Hawke ora?”
 
“E quindi?”
“Si bravo con lui. Spezzagli il cuore ed io ti ucciderò.”
 
Quel mago si era approfittato del suo errore e si era impossessato del suo tesoro: poche parole, pochi gesti e questo si era ritrovato tra le morbide coperte e l’abbraccio caldo di Hawke.
Era colpa sua, non di Anders: se non fosse stato così codardo da aver paura di ricordare, di poter essere felice, di non capire i propri sentimenti e quelli di Hawke, a quest’ora ci sarebbe lui tra sue braccia.
Pensò che se Hawke sarebbe stato felice con quel mago, allora poteva esserlo anche lui, per l’uomo fonte dei suoi problemi, alla fine era quello che voleva.
No.
Lui voleva che fossero felici assieme ed è una cosa completamente diversa dall’essere felice per la gioia di qualcun altro.
Diede un pugno al pavimento; sentì i frammenti di vetro conficcarsi nella sua carne, ma non percepì alcun dolore.
Si guardò il dorso della mano: al polso vi era ancora il pezzo di stoffa rosso. Lo guardò attentamente, bruciato ai lati, strappato, sporco di sangue rappreso.
Ripensò al giorno in cui glielo aveva dato: la mattina dopo che era fuggito da lui, come a dirgli che lui sarebbe rimasto al suo fianco in ogni occasione. Una bugia.
Ma infondo, lui non gli aveva lasciato nessun motivo per restare, si era semplicemente illuso che Hawke sarebbe stato al suo fianco: era un egoista che non pensava altro a se stesso.
 
“io e Fenris ci siamo lasciati.”
 
La vista si annebbiò, quasi non riusciva a respirare, questa volta sentiva qualcosa: un forte dolore al petto. Portò la mano sul cuore, si rannicchiò su se stesso per quanto faceva male.
Una voce gli s’insinuò nella mente, le parole fluivano come un fiume in piena; erano le parole di Hawke, di Anders, troppe per poterle capire, ma lui, in cuor suo, sapeva cosa stavano dicendo.
Il dolore continuava ad aumentare, strinse più forte le gambe a se, cadde per terra nella pozza di vino in posizione fetale, le budella si ritorsero, i tatuaggi s’illuminarono.
Urlava disperato, non aveva mai sofferto tanto in vita sua.
Voleva far uscire quelle voci dalla sua testa.
Poi capì che c’era un solo modo per fermarle, per non provare più nulla.
La sua mano penetrò nelle carni, sentì il proprio cuore pulsare, era piacevolmente caldo, ma lui sapeva che al suo interno era freddo e morto.
Era sicuramente la scelta più stupida che potesse fare.
 Ma cosa ne sapeva lui di tutti i sentimenti che le persone avrebbero potuto provare, in merito alla sua scomparsa, se nemmeno conosceva l’amore?
La sua mano strinse il muscolo gradualmente: aveva paura della morte, non voleva fosse dolorosa, anche se probabilmente era la giusta punizione verso se stesso. Lentamente il battito si fermò.
Cresciuto come un predatore ora moriva preda di se stesso.
 
 
“So che non dovrei criticare ma… sei sicuro riguardo Fenris? Somiglia più a un cane rabbioso che a un uomo.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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Faccio di nuovo soffrire uno dei miei personaggi preferiti… e pensare che io vorrei vederli felici, ma non ci riesco: hanno tutti un passato troppo tragico.
Spero che questa fan fiction introspettiva vi sia piaciuta,
grazie per averla letta e vi ringrazio in anticipo per un vostro eventuale commento.
   
 
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