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Autore: Hermione Weasley    25/08/2015    4 recensioni
“Non siete il primo che è venuto a vedere la strega,” alluse, il sospetto vivissimo.
“Io non credo alle streghe,” non poté fare a meno di sottolineare, vagamente risentito dall'essere stato accomunato ai superstiziosi babbei del villaggio.
“Però siete venuto a vederla comunque,” la ragazza non voleva proprio mollare il colpo. Si sentì messo alle strette, innaturalmente indispettito.
“Ero curioso.”
“Quindi ci credete.”
“No, che non ci credo. Questo posto è piccolo e gli estranei sono sempre fonte di curiosità, non vi pare abbastanza?”
---
XVIII secolo. La vita di Clint Barton, figlio adottivo dell'eccentrico lord Phillip Coulson, cambia radicalmente quando una presunta strega viene ad abitare nel bosco vicino alla villa della famiglia. Clint dovrà fare i conti con la superstizione, gli obblighi, le responsabilità e forze in gioco molto più grandi di lui.
[1700 AU] [Clint/Natasha] [apparizioni di tutti gli Avengers + alcuni personaggi di Agents of Shield] [COMPLETA]
Genere: Avventura, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Agente Phil Coulson, Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera, Steve Rogers/Captain America, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2

~

 

 

“Sono tre lepri, due beccacce e una quaglia,” dichiarò con malcelato orgoglio, appoggiando la sacca della selvaggina sotto il naso di Kate.

Seduta ai piedi di un albero al limitare del bosco, la ragazza lo guardò da sotto in su con aria esageratamente annoiata.

“Stavo cominciando a darti per disperso...”

“I professionisti hanno bisogno di tempo per lavorare,” ribatté.

“... che la strega ti avesse rapito...”

“Perché non mi dici che hai preso, piuttosto?”

“... e lasciato ad ingrassare in attesa di poterti mangiare,” si allungò per afferrargli una coscia, facendolo sobbalzare per la sorpresa.

Le scostò la mano con un gesto inutilmente pomposo.

“Va bene, se continui a non collaborare...”

L'aggirò per andare a recuperare personalmente la sacca di pelle della ragazza, allentandone il laccio per spiarne il contenuto. La sua espressione si fece da placida a stizzita nel giro di pochi secondi.

“Dove diavolo le hai trovate sei lepri?” Chiese con una certa urgenza, la consapevolezza di essere stato battuto ad increspargli le labbra in una smorfia di disappunto.

“Dove pensi che le abbia trovate?” Gli ritorse Kate, facendoglisi di fianco con un gran sorriso stampato in faccia.

Prese in considerazione la possibilità di rispondere, ma – senza che potesse far molto a riguardo – la delusione gli si sfaldò sul viso come neve al sole. Scosse il capo, incredulo e divertito assieme: per la prima volta, l'allievo aveva superato il maestro. Non sapeva se sentirsi preoccupato per la sua virilità minacciata, o orgoglioso della sua protetta... probabilmente entrambe le cose.

“Sembra sia già entrato nella fase discendente della mia vita,” commentò drammaticamente, lasciandosi cadere seduto sul prato, archi e faretre abbandonati poco distante.

“Solo perché ti sei messo a cacciare le quaglie?” Mitigò l'affondo con l'offerta del suo otre e un'occhiata innocente.

“I figli di Simone adorano le quaglie!” Protestò a gran voce, strappandole il vino di mano per berne un lungo sorso ristoratore.

“I figli di Simone sono due,” ci tenne a ricordargli, impietosa, il che le valse l'ennesima occhiataccia. “Non hai più l'età, Clint Barton,” decretò in tono definitivo.

“Adesso non ti allargare,” puntualizzò, “potrebbe essere la fortuna del principiante.”

“Oppure...” Kate si sporse verso di lui, fermandosi a pochi centimetri dal suo viso, occhi negli occhi tanto che Clint ebbe paura di essere diventato strabico, “... stai appassendo.”

“Stronza!” Le lanciò dietro l'otre, ma la ragazza fu più veloce, scattando all'indietro per andare a rifugiarsi dietro l'albero.

Si rimise in piedi mentre la risata di Kate tornava a solleticare il suo orgoglio ferito.

“Dovremmo darci una mossa,” le disse dopo aver lanciato un rapido sguardo al sole ancora alto nel cielo. “Portare questa roba al villaggio prima che faccia buio.”

Riassicurò la sacca della cacciagione alla cintura prima di andare a recuperare arco e frecce.

“Ehi,” Kate era ricomparsa e stava facendo altrettanto. “E' vero che ti esibirai alla festa in onore del capitano Rogers?”

Clint rischiò di vomitare il vino per la sorpresa.

“Chi te l'ha detto?”

“Betsy l'ha sentito dire in paese,” rispose semplicemente, divertita però dall'imbarazzo di lui.

“Betsy la donna che svuota il tuo vaso da notte?”

“Non cercare di cambiare discorso,” lo pungolò, “potrei dirle di vuotarlo sulla tua testa, la prossima volta.”

“Ottimo, magari potrebbe esibirsi lei per il capitano Rogers. Una giocoliera di vasi da notte! La funambola dell'acqua sporca!”

“La saltimbanco della cacca?”

“Woah, adesso cominci ad andare sul pesante,” finse di rimproverarla.

“Perché? Di che stavamo parlando? Credi che le donne non la facciano?”

“Oh dio, Kate, cambiamo discorso,” la supplicò, esilarato e turbato insieme.

“Se ti ricordi stavamo parlando della tua esibizione per il capitano.”

Arco alla mano, faretra a tracolla, selvaggina alla cinta, Clint si fermò per lanciarle un'occhiata ammirata: non solo l'aveva battuto a caccia, adesso era persino riuscita ad intortarlo a parole! Doveva proprio essersi svegliato dal lato sbagliato del letto quella mattina!

“Sì,” mormorò a denti stretti dopo aver imboccato il sentiero che tagliava in due il campo che li divideva dal villaggio.

“Sì cosa?” Interloquì Kate.

“Sì, mi esibirò per il capitano Rogers.”

“Che detta così...”

“Dovresti stare zitta.”

“Lo dicono tutti, ma lo sai che non mi piace prendere ordini dalla gente.”

“Mi stai tremendamente sul culo in questo momento.”

“Lo so.”

“Ottimo.”

Procedettero in silenzio per una decina di minuti buoni, godendosi il silenzio, la luce dorata che inondava il paesaggio, il calore del sole che riscaldava loro il viso e asciugava il sudore sulla pelle dopo un'intera mattinata trascorsa tra le ombre del bosco. L'idea di dover intrattenere il capitano più famoso del regno non lo metteva esattamente a suo agio, ma non era neppure la cosa peggiore che gli avessero mai chiesto di fare. Sposare lady Jemma era la voce che si era installata saldamente al primo posto di quella lista, e Clint temeva ci sarebbe voluto un miracolo perché qualcos'altro riuscisse a prenderne la posizione. Sarebbe dovuto essere un obbligo terribile, tipo: sposare Grant Ward. Ecco, in quel caso si sarebbe felicemente unito in matrimonio con la nipote di lord Phillip senza proferir parola.

“Hai pensato a quello che ti ho detto la settimana scorsa?” Si ritrovò a chiederle, l'atmosfera nuovamente mutata.

Kate si voltò per guardarlo. Ormai erano in dirittura d'arrivo, riusciva a distinguere i tetti delle casupole del paese sul fondo del campo, macchiette nere contro il cielo azzurro.

“Quale cosa?”

“Riguardo la... la fuga,” disse a mezza voce, per l'assurdo timore che qualcuno potesse sentirli.

La ragazza avanzò ancora per un paio di metri, l'espressione che tornava a farlesi innaturalmente seria; dopodiché si fermò, indecisa sul da farsi.

“Se fuggissimo, lo sai cosa si direbbe in giro.”

Clint fece altrettanto, ricambiando l'occhiata preoccupata che Kate gli aveva puntato addosso.

“Lo so, ma... non lo stiamo facendo per convincere tuo padre a darci il permesso di sposarci.”

Non era a questo che, da che mondo e mondo, puntavano tutte le fughe d'amore? Il loro obbiettivo non era un matrimonio ostacolato dalla famiglia, ma sfuggire a tutte le imposizioni, a tutti gli obblighi, a tutte le stupide convenzioni ritenute assolutamente necessarie alla vita in società.

“Se qualcosa andasse storto sarei rovinata,” la voce di Kate si era ridotta ad un misero sussurro. “Lo sai che sono la prima a volersi liberare da tutto questo, però...”

“Però?”

“Per te sarebbe diverso. La gente al villaggio non si fida di te, ma sei pur sempre un uomo. Se la figlia di sir Derek se ne andasse, direbbero che sono stata plagiata, svergognata... o dio solo sa cosa!” Gli rivolse uno sguardo carico di desolazione. “E comunque dove andremmo? Di cosa... di cosa vivremmo?”

“Di caccia. Ne terremmo un po' per noi e venderemmo il resto per comprare quello che ci serve.”

“Ma dove, Clint?”

“Non lo so...” ammise.

Non ci aveva realmente pensato: la sua idea era quella di darsi all'avventura, vagabondare per il regno così come aveva fatto con i suoi genitori finché vari flagelli non erano arrivati a disperdere quel che restava della famiglia Barton. Ma forse... forse per Kate non era abbastanza. La ragazza non aveva mai vissuto nelle condizioni in cui lui aveva trascorso i primi undici anni della sua vita; sapeva che non erano le privazioni che la preoccupavano, ma abbandonare la sicurezza di villa Bishop per un vero e proprio salto nel vuoto avrebbe spaventato chiunque. Rinunciare ad un male conosciuto e rischiare di mettersi su una strada che avrebbe potuto condurre tanto ad una benedizione quanto ad una maledizione senza appello, avrebbe terrorizzato chiunque.

Eppure una cosa la sapeva: non esisteva uno scenario in cui avrebbe sposato lady Jemma. E d'altro canto era anche consapevole del fatto che non avrebbe potuto rimandare all'infinito. Presto o tardi sarebbe stato costretto a fare i conti con le volontà di lord Phillip e, se doveva essere del tutto sincero, non era sicuro che – messo davanti al suo benefattore e alle sue richieste – sarebbe riuscito a dirgli di no. Quel che era certo è che non voleva arrivare a quel punto, non si sarebbe permesso di farlo. Non era giusto nei confronti di lord Phillip, di lady Jemma e neppure nei propri. Si era sempre sforzato di essere sincero anche nell'angusto recinto che le convenzioni e l'educazione gli avevano stretto attorno, quei confini che obbligavano l'alta società ad uniformare i comportamenti, a renderli tutti uguali, tutti debitamente appropriati ad ogni situazione, formale o informale che fosse. Temporeggiare, adesso, avrebbe significato mentire agli altri e a se stesso e cominciava a sentirsi decisamente troppo adulto per continuare con quell'assurda pagliacciata.

“Me ne andrò dopo la festa.” Il proposito gli era sfuggito di bocca prima ancora che avesse potuto farsene una ragione. Ma non appena il suono di quelle parole si sciolse nell'aria calda del pomeriggio, Clint comprese che era la cosa giusta da fare. Che non c'era alcuna alternativa possibile.

“D-Dopo la festa?” La sua determinazione aveva sconvolto Kate tanto quanto lui.

“Quella stessa notte,” le confermò. “Se decidessi di venire con me, ne sarei felice, ma... se dovessi scegliere altrimenti, sappi che lo capisco. E non te ne devi fare una colpa.”

La ragazza fu sul punto di ribattere qualcosa, le guance di un rosa improvvisamente più acceso; Clint la zittì poggiandole una mano sulla spalla.

“Non devi rispondere adesso, mancano ancora tre settimane,” le ricordò, un sorriso a rallegrargli il volto tirato.

Lasciò ricadere il braccio e rimasero a guardarsi, fermi l'uno davanti all'altra, per un lunghissimo minuto prima che Kate riuscisse a scrollarsi di dosso la tristezza.

“A proposito,” fu di nuovo lui a parlare, mentre riprendeva ad incamminarsi verso il villaggio, “ottimo lavoro oggi.” Dopotutto la considerava come una sorta di sua protetta: i suoi successi appartenevano un po' anche a lui.

Il complimento gli valse un brusco spintone che, se non altro, permise alla ragazza di nascondere la luce trionfante che le aveva illuminato lo sguardo.

 

*

 

Le donne circondavano disordinatamente il grande vascone di pietra, uno stuolo di fazzoletti colorati e braccia nude che affogavano panni e lenzuola nell'acqua fredda con gesti decisi e energici. Alcune cantavano, altre chiacchieravano tra di loro, qualcuna era persa nei propri pensieri. Simone, dalla pelle scura e i capelli arricciati sotto la pezzuola umida che la teneva fresca la fronte, era una di queste: lasciata leggermente in disparte rispetto alle compagne, stava finendo di fare il bucato per sé e per un paio di signorotte che erano state abbondantemente persuase da lord Phillip a consegnarle i loro panni sporchi in cambio di pochi soldi. Per via della sua carnagione e del sospetto che suscitava, pochi altri avevano voluto a che fare con lei; tuttavia, la dolcezza della donna e quella dei suoi due bambini aveva comunque finito per imbonire gli abitanti del villaggio che – seppur molto lentamente – cominciavano a benvolerla.

Clint era rimasto seminascosto dietro al capannone del fabbro (la costruzione più vicina al lavatoio) in attesa che Simone avesse finito per consegnarle il bottino della mattinata. A villa Coulson la selvaggina non mancava mai: aggiungerne altra sulla tavola già riccamente imbandita sarebbe stato uno spreco totale. Per questo lui e Kate avevano deciso di unire l'utile al dilettevole e di andare a caccia sia per svago che per aiutare chi ne avesse avuto bisogno. La ragazza aveva distribuito le sue lepri ad alcuni contadini che abitavano al limitare del villaggio, nell'area più povera, e poi si era dileguata con la scusa che era giorno di bagno e che suo padre l'avrebbe costretta a suonare il clavicembalo per i suoi ospiti se si fosse presentata a cena sporca di terra e sangue di quaglia.

Il suono greve delle campane della chiesa sortì l'effetto di far alzare alcune delle donne impegnate al lavatoio. Le seguì con lo sguardo mentre raccoglievano le loro ceste piene di bucato pulito per poi caricarle su dei carretti personali o condivisi. Altre sciamarono via dopo essersele sistemate in bilico sulla testa, una mano a tenerle ferme, l'altra a gesticolare animatamente per sottolineare un qualche pensiero particolarmente sentito.

“Ti dico che l'ha vista,” quella che Clint riconobbe come la moglie dell'oste stava avanzando nella sua direzione affiancata da altre due compagne, “stava facendo non so che malefico sortilegio... nel bosco! Parlava al contrario come Satana!”

Si fecero tutte e tre il segno della croce per esorcizzare le forze demoniache che – senza alcun dubbio – quella frase doveva aver evocato.

“Pierre giura di averla vista decapitare degli animali,” bisbigliò la più giovane del terzetto, assicurandosi che nessun altro potesse sentirla.

“Gira voce abbia anche un libro... pieno di formule e anatemi e malocchi!” Ribadì l'ostessa che, costasse quel che costasse, non voleva di certo lasciarsi battere in materia di pettegolezzi.

“E' terribile,” convenne la terza che ancora non aveva aperto bocca, “sono proprio contenta di non saper leggere.”

“Una donna che legge è una di cui non ci si può fidare. Non si mangia mica con i libri! Non ci lavi i panni, fai la minestra o metti a letto i bambini. Quindi a che serve? C'è qualcosa di strano, vi dico,” insisté la ragazza, fattasi di colpo più pallida con tutto quel parlare di eresie.

“Non potremmo chiedere a qualcuno di intervenire?” Propose debolmente l'altra, la treccia che continuava a sobbalzarle sulla spalla ad ogni passo.

“E a chi?” La moglie dell'oste le aveva lanciato uno sguardo di fuoco. “I nostri mariti e i nostri figli rischiano di rimetterci la pelle e nessuno fa proprio un bel niente... il sindaco sta tutto il giorno a scaldarsi le mani, mentre il prelato è sempre dietro alle sottane di sir Coulson!”

Scossero il capo tutte e tre, prendendo lentamente atto della catastrofe che l'arrivo della strega avrebbe sicuramente comportato.

“Accadrà qualcosa di brutto, ricordatevi quello che vi dico,” l'ostessa aveva ripreso a parlare, abbandonandosi completamente ai toni apocalittici che prediligeva in qualsiasi discussione (si parlasse di zuppa al cavolo nero bruciatasi per disgrazia o della guerra non aveva alcuna importanza). “E sarà colpa di quella megera.”

“Una donna sola... nel bosco!”

“Potrebbe già averci avvelenato l'acqua senza che ce ne accorgessimo!”

Clint le seguì con lo sguardo mentre, con l'ennesimo, frettoloso segno della croce, le tre si allontanavano in fretta e furia, terrorizzate dall'inquietante quadro che loro stesse si erano dipinte con tanto religioso fervore.

L'idea che la sua sorte fosse nelle mani di gente tanto sprovveduta gli faceva ribollire il sangue nelle vene: aveva visto la fanciulla e sembrava tutto fuorché una strega pronta ad ucciderli tutti con chissà che assurdo rituale. Era vero, di lei non si sapeva praticamente niente. Neanche lui, che aveva trascorso non meno di un'ora in quella che era stata la vecchia casa del tagliaboschi, in attesa che spiovesse, era riuscito a tirarle fuori grandi informazioni. La donna si era limitata ad offrirgli un bicchiere di vino e ad affaccendarsi in giro per la stanza a cercare di porre rimedio alle falle del tetto. Clint si era offerto di metterglielo a posto, un giorno di quelli, ma la sconosciuta lo aveva invitato a lasciar perdere, che se le sarebbe cavata da sola, che non era la prima volta che le capitava.

A parte uno spiccato senso d'indipendenza, la donna non aveva niente di strano. Probabilmente veniva da un paese vicino, o – perché no? – da uno dei regni circostanti: non sarebbe stata né la prima né l'ultima ad essere partita in cerca di fortuna. Non era neppure sorpreso che avesse deciso di vivere nel bosco: una donna sola, senza famiglia o padre o marito, che arriva in un villaggio qualunque, non è esattamente nella situazione ideale per ingraziarsi gli abitanti del posto. L'unica soluzione pertinente a circostanze simili era la monacazione: nessuna ragazza per bene se ne sarebbe andata a spasso per il regno quando avrebbe potuto semplicemente consacrare la sua vita al Signore e togliere tutti dall'imbarazzo di doverla evitare per non lasciarsi contagiare dai suoi peccati (presunti o meno era irrilevante).

Magari aveva perso tutti i suoi cari durante una qualche battaglia o cataclisma naturale, era sopravvissuta ad una qualche disgrazia e adesso nessuno le avrebbe teso una mano per aiutarla. Anzi, a giudicare dalla scontrosa riservatezza che aveva manifestato anche nei suoi confronti, Clint sospettava che la donna si fosse vista chiudere in faccia già diverse porte. Si era abituata a quella condizione di emarginata, non la combatteva più, non recalcitrava o agitava affinché l'accettassero. Si era rassegnata ad una vita solitaria, ma neppure quel proposito era riuscito a tenerla al sicuro dalle malelingue.

Il sapore amaro dell'ingiustizia gli riempì la bocca un attimo prima che Simone non comparisse nel suo campo visivo.

“Sir Barton,” lo richiamò con un gran sorriso sul volto, una cesta carica di bucato in ciascuna mano.

“Simone,” le fece eco, scuotendosi dal torpore in cui le sue elucubrazioni l'avevano fatto precipitare.

Si affrettò a farsi carico di almeno una delle due ceste – una volta aveva cercato di appropriarsi di entrambe e Simone aveva protestato tanto animatamente da convincerlo a non ritentare – e la invitò a far strada.

“Ho tre lepri, due beccacce e una quaglia,” le disse. “Ho cercato di prenderne due, ma oggi erano troppo rapide, le maledette.”

“Vi ho già detto che non c'è bisogn-”

“Lo so e io vi ho già risposto,” le sorrise. “Posso lasciarvi tutto. Se volete regalare qualcosa a qualcun altro, siete libera di farlo.”

“Non dovete andare a caccia per noi,” lo rimproverò bonariamente con un leggero accento che Clint non sapeva mai collocare, ma che dava un colore completamente diverso alla voce della donna.

“Infatti ci vado per me,” insisté. “Non ho molte altre scuse per utilizzare arco e frecce.”

Si fermarono davanti alla porta di una piccola casupola addossata da ciascun lato a due costruzioni più grandi che la sovrastavano di almeno un piano e mezzo. Non era esattamente una reggia, ma lord Phillip era riuscito a convincere il maniscalco a vendergli la casa in cui aveva abitato la sua defunta amante, assicurando a Simone un posto dove stare non troppo distante dal cuore pulsante del villaggio.

La donna gli lanciò un'occhiata incerta, quasi avesse voluto chiedergli qualcosa senza però avere il coraggio di farlo. O la sfacciataggine, forse. Fu sul punto di invitarla a proferir parola, ma Simone fu più rapida di lui: scacciò il dubbio e gli sorrise, aprendo la porta per invitarlo ad entrare.

“Potete appoggiare la selvaggina e il bucato sul tavolo,” gli disse, facendo altrettanto con la cesta che aveva con sé prima di sparire nella piccola cantina che si apriva subito alla destra dell'ingresso. Ne riemerse con un fiasco in mano. “Questo è per voi.”

“Per me?”

“Del vino che mi è stato regalato. Voglio che l'abbiate voi.”

“Simone, lo sapete che non ce n'è bisogno...,” si passò una mano sul collo, in evidente imbarazzo. Se c'era una cosa che detestava era declinare certe offerte, perché non sapeva mai riconoscere la linea che divideva un rifiuto educato da una vera e propria offesa.

“Vi prego, insisto. Fate così tanto per noi e il vino non è di mio gusto,” insisté, porgendogli il fiasco con aria agguerrita. “L'avrei fatto bere ai bambini, ma mi hanno detto che è meglio di no. Come vedete non me ne faccio di niente.”

“Va bene... d'accordo,” alzò le mani a mo' di resa, decidendo che – dopotutto – una bottiglia di vino non avrebbe ucciso nessuno.

La sua capitolazione riuscì a strapparle un gran sorriso soddisfatto, dopodiché ritornò più pratica e affaccendata che mai: andò a sistemare le ceste del bucato, svuotò la sacca della cacciagione e si affrettò a restituirgliela in caso ne avesse avuto bisogno a breve.

“E' una quaglia bella grande,” disse, andando a prendere tutto quello che le serviva per pulire la selvaggina, “vedrete che basterà per tutti e due i bambini.”

 

*

 

Il bosco era silenzioso e le finestre della casa del tagliaboschi completamente sbarrate; il sole stava ormai calando, ce ne si accorgeva anche tra le ombre proiettate dagli alberi. Le dita sudate cominciavano a perdere la presa sul collo scoperto del fiasco.

Tutto sommato era stata una pessima idea. Non ricordava come fosse passato dall'uscire da casa di Simone con il vino in regalo, a decidere che avrebbe potuto offrirlo alla tanto temuta strega che si nascondeva nel folto della vegetazione. Forse era stata la stizza con cui aveva constatato che la donna era sulla bocca di tutti, che non avrebbe ricevuto un briciolo di solidarietà per via del suo comportamento sospetto, a convincerlo che doveva dare il buon esempio. A chi, esattamente, non lo sapeva: di certo quei pazzi del villaggio non lo prendevano a modello. L'unico aspetto della sua vita degno di essere imitato era l'essere nato pezzente e poi adottato da un nobile spiantato per farsi mantenere a vita. O almeno era sicuro lo fosse agli occhi di chi lo invidiava e disprezzava in egual misura.

Il pensiero degli abitanti del paese lo mandava su tutte le furie, facendogli desiderare che quelle tre misere settimane che lo separavano dalla festa per il capitano Rogers passassero in un batter d'occhio; ma dall'altra l'immagine di lord Phillip tornava puntualmente a tormentarlo. Avrebbe mandato qualcuno a cercarlo? O magari l'avrebbe lasciato fuggire ringraziando ogni santo esistente di avergli tolto dal groppone un tale peso morto? Persino figurarsi una reazione tanto crudele acuì il suo senso di colpa: non sarebbe stata da lui, Clint lo sapeva. Forse, però, immaginarselo così avrebbe reso meno doloroso il distacco.

Qualcosa gli suggerì che si stava solo illudendo.

Si rigirò il fiasco tra le mani e – dopo aver bussato almeno tre volte – si arrese all'evidenza: ovunque fosse, la donna non era in casa. Se stava fingendo di non esserci, era ovvio che non aveva la minima intenzione di vederlo. Quale che fosse il caso, Clint decise che gli conveniva tornare a villa Coulson prima che facesse buio, senza trattenersi ulteriormente nel bosco. Appoggiò il fiasco sul gradino che separava il terreno dalla porta d'ingresso e fece dietrofront per andarsene...

… ritrovandosi la sconosciuta davanti con un'espressione indecifrabile sul volto impietrito.

“Cazzo!”

Se non sobbalzò fu solo per puro miracolo, ma il cuore aveva preso a battergli tanto rapidamente dalla sorpresa, che per un istante fu convinto di essere sul punto di avere un infarto. A quel punto sì che le accuse di stregoneria si sarebbero fatte pericolose: la fattucchiera ha ucciso un uomo con un solo sguardo! Gli ha lanciato addosso una maledizione! O qualche altra stronzata altrettanto suggestiva.

“Non è il mio nome,” la donna rispose, senza scomporsi minimamente.

Era già la seconda volta che la sconosciuta lo coglieva impreparato e tutte e due le volte si era convinto di essere stato silenzioso e discreto come un gatto nel sottobosco. A quanto pareva le sue doti si spia avevano bisogno di essere riviste e riaggiornate.

“Non me l'avete detto, il vostro nome,” replicò, mascherando in qualche modo lo stupore che ancora gli aleggiava sul viso.

“Neanche voi il vostro.”

“Clint.”

“Bene.”

“Vi chiamate Bene?”

“No,” scosse il capo, tutt'altro che impressionata da quello scambio di battute. “Perché avete lasciato un fiasco davanti alla porta?”

“Ero venuto a regalarvi del vino,” ma al modo in cui l'aveva accolto si era completamente dimenticato del perché avesse deciso di donarglielo: era chiaro che la donna non voleva avere niente a che vedere con lui o nessun altro.

“Perché?”

“Non lo so perché,” indietreggiò per andare a riprenderlo senza che la sconosciuta facesse nulla per impedirglielo. “E voi perché sorprendete sempre la gente?”

“Siete voi che vi fate prendere dal panico ogni volta,” gli ritorse contro con indifferenza.

“Non lo definirei propriamente panico,” protestò, sforzandosi di non lasciarsi andare in preda all'indignazione. Da quando era diventato così pigro? Quand'era piccolo sgattaiolava in giro senza che nessuno si accorgesse di lui, mentre adesso era arrivata una donna qualunque capace di coglierlo alla sprovvista non una, ma ben due volte! Se aveva davvero intenzione di tornare a vagabondare per il regno aveva bisogno di affinare le sue abilità o non avrebbe avuto vita facile.

“Adesso che fate?” La sconosciuta gli chiese. “Ve lo riportate a casa?”

“Non mi sembravate molto incline ad accettarlo,” le fece notare.

“Non me l'avete chiesto,” di nuovo quel tono monocorde che lo faceva uscire di testa.

“Posso offrirvi in dono questo fiasco di vino, signora... ?”

“Natasha.”

L'espressione ironica che aveva sfoggiato fino a quel momento si sfaldò in una di sincero stupore: gli aveva davvero appena rivelato il suo nome?

“Comunque sì,” riprese la donna con fare pragmatico, “potete offrirmelo in dono.”

“Mi state prendendo in giro?”

La seguì con lo sguardo mentre si avviava verso la porta e l'apriva per invitarlo ad entrare.

“Perché dovrei prendervi in giro?”

“Per come parlo.”

“Dovrei prendervi in giro per come parlate?”

“No, dico solo che...,” sospirò, già largamente sfiancato da quella conversazione. “Lasciamo perdere.”

Era lui che si sentiva stupido per come le parlava: non era come con Kate. Con la ragazza si sentiva libero di dire qualsiasi cosa, in qualsiasi modo preferisse, ma con quella sconosciuta... gli veniva spontaneo darsi un tono. Purtroppo si accorgeva sempre in ritardo di essere scaduto nel ridicolo, di aver cominciato ad esprimersi come tutti quei parrucconi che non sopportava.

Entrò in casa per primo, restando a guardarsi attorno proprio come la prima volta, mentre la donna richiudeva la porta e andava ad aprire un paio di finestre per far entrare la superstite luce del giorno anche là dentro.

Non era cambiato niente dalla sua visita precedente: il tavolo era pulito, la cucina sgombra, le macchie d'umido sempre sul soffitto, la fiamma morente nel camino. C'era solo un oggetto fuori posto, un grosso libro abbandonato su una sedia.

Natasha gli sfilò delicatamente il fiasco dalle mani, andando a recuperare un paio di bicchieri puliti per versarvelo. Clint ne approfittò per spostarsi casualmente in quello spazio ristretto, finendo in prossimità del libro che – inutile girarci attorno – aveva attirato la sua attenzione.

“Siete venuto a vedere il mio grimorio?” La donna gli era comparsa di fianco, senza dar segno di essersela presa.

“E' veramente un libro di incantesimi?” Si ritrovò a chiedere, accettando il bicchiere che gli stava porgendo.

“E' un libro di cucina,” lo corresse, raccogliendo il volume dalla sedia per portarlo sul tavolo.

Clint si rimise seduto allo stesso posto che aveva occupato la volta prima, osservando curiosamente le pagine vergate a mano e in modo decisamente più disordinato di quanto non succedesse coi tomi della biblioteca di lord Phillip. Anche la rilegatura era in stoffa piuttosto che in pelle, sfilacciata in più punti; un ricettario che aveva l'aria di aver visto giorni migliori.

“In che lingua è scritto?” Non riuscì ad impedirsi di domandarle dopo aver inutilmente tentato di decifrare le prime parole. Gli ci era voluto qualche secondo per realizzare che non si trattava dell'opera di un copista particolarmente disattento, ma di un alfabeto completamente diverso.

“E' un'antica lingua dell'est,” rispose semplicemente, sorseggiando distrattamente il suo vino (che, per la cronaca, aveva un sapore terribile).

“Siete... slava,” gli uscì più come una constatazione che una domanda. Certo, si era immaginato venisse da fuori, ma non da così lontano. Avrebbe voluto chiederle come avesse fatto a raggiungere il regno da un impero tanto distante, ma non gli parve il caso. “Scommetto che è la stessa lingua in cui cantate,” mormorò, in preda ad un'improvvisa illuminazione.

“Qualche volta,” confermò. “Vi hanno detto che mi hanno sentita recitare formule magiche in una lingua demoniaca?” Le sue labbra si incresparono in un sorriso a malapena accennato attorno al bordo del bicchiere.

Una sensazione strana gli prese lo stomaco mentre si sforzava di rilassarsi.

“Qualcosa del genere,” ammise.

“Che altro?”

“Che decapitate animali per i vostri riti malefici?”

“Stavo pulendo della selvaggina che avevo catturato,” disse. “Lo faccio fuori casa perché detesto l'odore del sangue.”

Ovviamente c'era una spiegazione logica e razionale per ognuna delle fandonie che si stavano diffondendo sul suo conto. Quella consapevolezza gli procurò un moto di solidarietà improvviso che lo portò a sorriderle più apertamente, in modo molto meno irrigidito.

Natasha parve accorgersene perché la tensione che le teneva su le spalle sembrò allentarsi da un momento all'altro. Non aveva mai pensato alla possibilità che il disagio di lei fosse solo un riflesso del suo; si ripromise di comportarsi normalmente, senza lasciarsi suggestionare dalle stronzate con cui gli riempivano le orecchie in paese.

“Siete deluso?” Gli chiese.

“Da questo vino? Un poco.” Evidentemente la signorotta che ne aveva fatto dono a Simone si era solo voluta liberare di alcune bottiglie d'aceto di cui non sapeva che farsene.

“No, dal fatto che non sono una strega,” chiarì Natasha. “Cominciavo a credere che foste venuto qui per chiedermi di farvi un qualche incantesimo.”

“Che genere di incantesimo?”

“Il solito. Chiedermi di maledire qualcuno, o di far innamorare una qualche fanciulla, magari.”

“Vi è capitato spesso?”

“Più di quante immaginiate. Di solito è per questo che devo trasferirmi altrove. Se c'è una cosa che la gente odia più di una strega, è di essere sorpresa a chiedere favori compromettenti ad una che si rivela non essere una strega.”

Clint si mise a ridere senza neanche sapere bene perché: l'intera situazione era semplicemente assurda.

“Farebbe ridere anche me se non fosse... dannatamente fastidioso,” convenne con lui, svuotando il suo bicchiere di vino senza proferir la benché minima lamentela riguardo il pessimo sapore. Possibile che volesse evitare di ferire i suoi sentimenti per un regalo non andato propriamente a buon fine?

“Non vengono a cercarvi per nessun altro motivo?”

“Oh no, più spesso per fare sesso.”

L'accesso di tosse che lo scosse un attimo dopo decise di imputarlo alla pessima qualità di quel vino schifoso e non al suo pudore (che non sapeva neppure di avere ancora!) oltraggiato. La seconda opzione gli parve troppo imbarazzante per i suoi gusti.

“A-Ah sì?” Biascicò, giusto per non lasciar morire lì la conversazione che erano straordinariamente riusciti ad intavolare.

“E' così che ho incontrato il macellaio ubriaco... e poi l'oste e il fabbro... oh e il maniscalco,” elencò rapidamente, sovrappensiero. “Insieme ad un altro paio di persone che non sono riuscita ad identificare.”

“E cosa fate in questi casi?”

“Solitamente declino l'offerta.” Solitamente. Probabilmente era per questo che gli uomini respinti avevano messo in giro le chiacchere sulla vecchia megera dall'aspetto terribile che lanciava maledizioni mortali dalla casa del tagliaboschi.

“Come fate a sapere che non sono qui per questo?” Domandò sfacciato.

“Non siete stato sufficientemente diretto,” rispose semplicemente.

“Magari non è il mio stile.”

“Vi ho visto con la figlia del bibliotecario,” gli rivelò. “Mi siete sembrato piuttosto diretto.”

Lo stomacò gli sprofondò bruscamente, mentre si sforzava di sostenere lo sguardo placidamente divertito e vagamente indifferente che Natasha gli stava riservando. L'aveva visto con Bobbi... eppure si sforzavano di essere cauti e attenti ogni santa volta! Come era potuto succedere? E perché diavolo gliel'aveva confessato con tutta quella leggerezza? Non le importava neppure un po' del suo amor proprio?

Gli bastò guardarla in faccia per accorgersi che no, non le importava; e un paio di secondi in più per realizzare che, nonostante tutto, l'apprezzava. Quand'era stata l'ultima volta che una donna l'aveva messo tanto spietatamente in imbarazzo a causa di troppa sincerità? Non era lui il paladino dell'onestà, forse?

“Va bene, mi avete scoperto,” si arrese, finendo il vino-aceto pur di dissimulare la vergogna che gli aveva acceso lo sguardo.

“Non ho intenzione di fare la spia,” lo rassicurò. “Non mi crederebbero comunque.”

“Sarebbero degli idioti. Ho come la netta sensazione che siate una delle poche persone in questo posto a dire la verità.”

Natasha non rispose, limitandosi a sorridergli in modo criptico: il divertimento non le raggiungeva più gli occhi, adesso. Ma Clint non ebbe il tempo di prenderne atto che la donna si era rimessa in piedi, sottraendogli il bicchiere ormai vuoto.

“Vi conviene incamminarvi,” gli disse. “Tra poco farà buio. Vi assicuro che non volete essere sorpreso nel bosco al calar delle tenebre.”

Qualcosa, nel suo tono di voce, lo fece rabbrividire.






Note: per chi non lo sapesse, Simone e i suoi bambini sono vicini di casa di Clint nel fumetto di Matt Fraction dedicato ad Hawkeye. Per il resto, l'intenzione di Clint di fuggire da villa Coulson sta lentamente prendendo forma, mentre la superstizione degli abitanti del villaggio la fa da padrona. La presunta strega si è rivelata essere Natasha, ma di misteri per Clint ne rimangono a bizzeffe. A cominciare dall'assenza di pudore (o diciamo un'idea molto personale di pudore) di Natasha, che è una delle cose che preferisco di lei :P
Ringrazio chi si è fermato a leggere e recensire il primo capitolo - mi fa sempre tanto piacere! - e la sociabeta Eli perché è sempre la spalla giusta su cui sclerare ù_ù
Mi sono dilungata anche troppo! Alla prossima settimana col prossimo capitolo
(◡‿◡✿)
  
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