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Autore: Chars    25/08/2015    4 recensioni
Sono Haymitch Abernathy. Sono stato scelto per i cinquantesimi Hunger Games, per la seconda edizione della Memoria. Non ho intenzione di morire: voglio vincere, voglio tornare a casa. L'ho promesso. Nessuna alleanza, nessuna coscienza che salta fuori. Non posso permettermelo... peccato che "la buona sorte" ha davvero un modo sadico per divertirsi.
Questo racconto serve a farmi capire cosa rivivo ogni notte. Quale incubo, più di tutti, mi sveglia la notte. Quale motivo, a ormai vent'anni e passa, mi spinge a tenere un coltello sempre vicino.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haymitch Abernathy, Maysilee Donner
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alleanza: unione creata per raggiungere un obiettivo comune. Qualcosa di determinante, di vantaggioso. Qualcosa che è destinata a finire quando arriva uno scopo più urgente e, fidatevi, nell'arena arriva sempre il momento del più urgente.
Sopravvivere, ecco qual è la missione che i 48 tributi della seconda Edizione della Memoria, devono affrontare. Sopravvivere o morire in un modo tragico e divertente secondo i canoni di Capitol City.
Le alleanze, nei Giochi della Fame, si creano e si sciolgono in continuazione. Anche la mia, quella con Maysilee Donner, doveva finire. Lo sapevo, è inutile illudersi di poter tornare entrambi vincitori al Distretto 12. Speravo solo che, al momento dello scontro finale, qualcuno o qualcosa la uccidesse al posto mio. Magari, in una vita senza questi stupidi giochi, saremmo potuti diventare amici.
Cazzate. Le belle ragazze, figlie dei commercianti, non diventano amiche dei ragazzi del Giacimento.
E' stata la morte incombente a unirci. Sarà la morte concreta a dividerci.

[...]

Arrivo al dirupo e come una calamita il mio sguardo è attratto dalle rocce appuntite che si trovano molto più in basso. Fine della scampagnata. L'idea di buttarmi di sotto è assurda quanto invitante. Perché sottostare alle regole di Capitol City? Perché non dare agli spregevoli spettatori una morte veloce e senza combattimenti?
«E' tutto qui, Haymitch. Torniamo indietro.» 
La voce di Maysilee mi riscuote, ma nessuna frase, nessuna parola riuscirà a smuovermi. L'arena deve avere una fine. Deve esserci un modo per- per fare qualcosa.
«No, io resto qui. »
«Va bene. Siamo rimasti solo in cinque. Adesso possiamo anche salutarci. Non voglio che il campo si riduca a te e me. »
«D'accordo. »
Alleanza conclusa. Doveva accadere e il momento più opportuno è giunto.
La sento allontanarsi. Non si sforza nemmeno di essere silenziosa.
Inizio a camminare avanti e indietro per il bordo del dirupo, continuando a tenere gli occhi grigi, gli occhi del Giacimento, fissi nel vuoto sottostante. Se provo a scendere con una picca mi lasceranno fare o arriverà un hovercraft d'urgenza?
Non riesco a placare questa continua sensazione che mi dice: "Sveglia, Abernathy!".
Spingo casualmente un sassolino con il piede, percorrendo per l'ennesima volta gli stessi passi. Questo cade nell'abisso e non si azzarda nemmeno a produrre un qualche tipo di suono. 
La stanchezza è inversamente proporzionale al tempo che mi rimane e inizio a sentire la mancanza di cibo, di acqua e della voglia di sopravvivere. 
Mi siedo, perché ho davvero bisogno di riposo per qualche minuto. Penso a casa. A mia madre. A mio fratello. Alla mia ragazza e a come, al Palazzo di Giustizia durante gli ultimi saluti, è riuscita a trattenere le lacrime, mentre mi intimava di non fare il filo a nessuna. "L'arena ti sembrerà un sogno in confronto a quello che potrò farti io, Abernathy.". Sento le labbra secche e rotte tirate in un mesto e minuscolo sorriso e la mia mente corre, non so per quale motivo, alla mia ex-alleata. Non ho il tempo di formulare un vero e proprio pensiero, che un insetto abbastanza grosso spunta dal dirupo e mia atterra vicino. No, non un insetto. Un sasso.
Un sassolino. 
Simile a quello di prima. Troppo simile.
Mi guardo velocemente intorno e afferro la prima grossa pietra che vedo. Ha le dimensioni di un pugno e non esito a gettarla nel dirupo.
Aspetto, in silenzio. Non accenno a muovere nemmeno un muscolo, congelato sul posto. La mia mente si è svuotata, attendo e basta.
Attendo... e vengo ricompensato. 
Una pietra torna indietro. Non una, la stessa. La prendo al volo, con la stessa mano con cui l'avevo lanciata. 
Lo stesso sasso. 
Inizio a ridere e questo mi costa un gran dolore alla bocca, al naso e a tutta la faccia. Rido, rido, rido. Non so se per la sorpresa o per la rivelazione.
Rido, ma smetto all'istante.
E' un urlo a interrompere quel momento di isterica ilarità.
"Maysilee", penso. 
Passa, quanto? Quasi un secondo? Bene, dopo quasi un secondo sono in piedi e sto correndo verso di lei. 
Non so perché. Le alleanze finiscono e la nostra è chiaramente conclusa. E' stata lei ad andarsene. Non c'è nemmeno mezzo, plausibile motivo per dirigersi da lei, ma è quello che faccio.
Nonostante tutto, corro in suo aiuto. 
Corro per lei.
Non so se è l'adrenalina o solo uno scherzo del destino a farmi distinguere ogni cosa. Vedo perfettamente i contorni del fenicottero. Vedo il becco lungo e sottile che trapassa il collo della ragazza, da parte a parte. Vedo che raggiunge gli altri membri dello stormo di ibridi, ma è troppo tardi. Non rallento, non ho tentennamenti, ma ormai non c'è niente da fare. 
Raggiungo Maysilee che ora è per terra, con le mani al collo che sanguina e gorgoglia in modo inquietante. Mi inginocchio accanto a lei e la guardo.
Non riesco a pensare. Continuo a guardare le sue mani insanguinate e i suoi occhi impauriti. 
"Non è giusto."
La stessa frase che si ripete a intervalli regolari nella mia testa sin dal giorno della mietitura, torna prepotentemente ora, mentre guardo la mia ex-alleata.
No, non ex.
Abbiamo ancora un nemico in comune, un potente e schifoso nemico in comune a tutti i tributi, a tutti i distretti.
Prendo delicatamente la sua mano, senza staccare gli occhi dai suoi. Mi osserva. Sembra che voglia dirmi qualcosa, ma tutti gli sforzi sono inutili. 
Non potrà mai più dire niente.
Continuo a tenere e stringere la sua mano, anche quando gli occhi spalancati non vedono più niente. Sento il colpo di cannone, ma non riesco ad allentare la presa.
So che l'hovercraft non si avvicinerà con un altro tributo vivo nei paraggi, ma rimango qualche altro minuto.
Le abbasso le palpebre e poso l'altra mano, quella rimasta ancora sul collo, di fianco al busto.
Vorrei ripetere ancora una volta "Non è giusto", ma a che pro? Non è la prudenza a farmi rimanere zitto, ma la rabbia.
Mi allontano, con le mani sporche del sangue del tributo numero 46. Torno al dirupo e mi rimetto a sedere, stringendo forte denti e pugni.

-

Non so, che di lì a poche ore, altri due tributi moriranno. Che rimarrò insieme a un'altra ragazza. Che gli strateghi troveranno il modo per farmi tornare nella foresta e che avrò la lotta più sanguinosa di tutti gli Hunger Games. Non immagino minimamente che finirò disarmato, men che meno che correrò nuovamente al dirupo, cercando di trattenere le mie interiora al loro posto. 
Mentre, pieno di rabbia, ascolto il rumore delle eliche dell'hovercraft che recupera Maysilee, osservo il vuoto del precipizio. Non so che la barriera invisibile che ha rispedito i sassi indietro, sarà la mia salvezza. Non so che, quella scoperta, mi renderà vincitore della Cinquantesima edizione dei Giochi della Fame. Né che mi priverà di tutto.
Compresa la voglia di ottenere giustizia.

  
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