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Autore: jappeis    25/08/2015    0 recensioni
Se fa ancora freddo ti coprirò. Se pioverà ancora, costruirò altri rifugi, altro legno con le mie mani stanche. Contro il tuo volto, persino il vento aveva timore a soffiare, per non sporcarti gli occhi.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si soffoca dal caldo, tanto che ho le lenti granulose sporche e appannate, sporche, unte. Esco fuori. Prendo una grossa boccata d’aria. Sotto di me, lo scricchiolio delle assi di legno avvizzite dalla muffa risuona tetro nel tamburellare grosso della pioggia. Scende incessante. Due giorni, forse di più: nuvoloni grigi sovrastano la mia testa nera, carichi di elettricità statica, vibrano nel cielo cupo, spostano le loro propaggini bitorzolute lentamente cercando di abbracciarlo tutto.

Faccio squillare il telefono qualche volta, è mia madre che chiama, poi lo prendo, rispondo, parlo con il mio solito tono pacato, le dico ciao mamma, qui tutto bene, sì, stiamo tutti bene. no. tranquilla. partiremo tra tre giorni. il tempo? moderatamente soleggiato. niente eccessi. rido morigerato. saluto blandamente, torno a guardare fuori. A prua, a poppa, sempre la stessa identica scenografia immutabile: la strada che si dispiega lenta a tappeto e tutt’intorno filari di alberi indefiniti e aghi e foglie, tutte compresse dalla mia vista scarsa in un collage di macchie silvestri. Dentro, tu guardi ancora la TV, con gli altri due ugualmente rinchiusi nelle loro braccia sotto le coperte a quadri, e taci da due ore, i capelli ti si muovono lentamente nell’ondeggiare del barcone, le mani aggrappate ai lembi del telo, fosforescenti nella luce del tubo catodico.

Muso di gatto è un coglione. Persino uno stronzo. Avrei dovuto capirlo. Non dargli modo di salire con noi, di toccarti o di posare la sua testa sui cuscini raccolti sotto le travi di legno della cascina. Ti guarda ancora con gli occhi languidi, biascica parole bugiarde, è lui un bugiardo. Lo guardo attraverso le falde del muro e vorrei fargli esplodere la testa con un colpo solo, dalla prua, un foro nel mezzo della fronte alta.

Fuori, oltre il parapetto, una lepre guarda giù e poi intorno e alza la zampa perché ha paura dell’altezza. Te lo dico. Ci sta una lepre fuori. Tu ridi. Mi chiedi se è vero.

Ti dico di si, che sembra un ombra cinese. Dici sono stanca, ma vorrei vederla. Dico, ti porto fuori. Dici, no, descrivimela. E’ una lepre piccola, i contorni sono compatti e compitamente si muove, guarda con occhi piccolini la luna più grande degli ultimi anni e poi ondeggia ai salti del vento e poi si lascia scivolare giù verso il mare languido. C’è un oceano sotto di noi. Non dovevamo essere arrivati, dici, già da un poco? Il timoniere con braccia di ragno mi chiama dice siamo sulla Q, abbiamo lasciato la B, tra poco saremo a casa, poi ancora in cielo, la strada per Roma.

Muso di gatto ti stringe le spalle fra le sue e la pioggia gronda dall’uscio, venti da nord frustano il costato dell’imbarcavelivolo e tu brilli al pallore lunare, in volo verso di me sfiori le gocce più grosse e fai posare le più piccole che sono rugiada sulle tue ossa lunghe, dalle clavicole al polso. Ci sono miriadi di stelle. Ti ricordi quella volta al mare.

Ci dovrebbero essere dei petali volati via, ma la notte è ancora nero turgido, non si vede più lontano di un getto di sasso. Quando verrà mattino saremo arrivati, dico, dici non ho fretta. Non ce n’è mai stata ombra in te. Le mie foglie che lambiscono le tue nel riflesso del vetro della cascina. Mantengo l’equilibrio mentre tu ti libri come una libellula. Se fa ancora freddo ti coprirò. Se pioverà ancora, costruirò altri rifugi, altro legno con le mie mani stanche. Contro il tuo volto, persino il vento aveva timore a soffiare, per non sporcarti gli occhi.

  
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