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Autore: Deneb_Algedi    25/08/2015    7 recensioni
Taro, cresciuto solo con il padre, ha per la prima volta nella sua vita, la possibilità di incontrare sua madre.
Ma la scelta di vivere con lei, lo porterebbe ad allontanarsi dal suo amato papà.
È nel momento in cui perdi qualcuno che hai amato, che capisci quanto quella persona sia stata fondamentale per te.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Taro Misaki/Tom
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Cammino tenendo per mano mio padre. Non so se sono io a dargli la forza o è lui che la da a me. Forse siamo entrambi.
Le strade di Yokohama sono affollate ma io non mi accorgo di niente. Sono in una dimensione in cui gli unici abitanti siamo io e papà.


Il cuore batte all’impazzata e avverto dei giramenti di testa.                                                                              
Sono emozioni che non sono minimamente paragonabili all’ansia della finale del campionato nazionale. Perché quell’ansia era positiva, mi eccitava. Questa è l’esatto contrario.                                        
Alzo la testa per guardare mio padre. Il suo sguardo è deciso ma velato da sentimenti oscuri. Chissà cosa sta pensando. È felice per me? È triste? Ha paura? Vorrei tanto chiederglielo ma temo che se aprissi bocca uscirebbero solo delle parole strozzate.                                                                           
Allora l’unica cosa che posso fare è pregare nella mia testa, sperando che comunque le mie parole arrivino al suo cuore. Voglio fargli capire come mi sento.                                                                          
Sono combattuto. Da una parte spero che da un momento all’altro papà mi riporti indietro, rassicurandomi che rimarremo per sempre insieme.
Però ho anche il desiderio di incontrare mia madre.                                                                                                                                                                      

“Taro, siamo arrivati. Questa è la casa di tua madre” mi avverte la sua voce. Sembra il solito tono pacato e dolce, che ho ereditato anche io, ma so che si sta trattenendo anche lui.                                           
Quando vivi per anni con una persona, riesci a capire quando c’è qualcosa che non va. So che deve apparire forte, per me. Ma è un essere umano anche lui e sono sicuro che oltre quelle parole non potrà andare. Perché, come me, sente un nodo alla gola.                                                                      
Lascia la mia mano e fa un passo indietro. È giusto che sia solo io ad avvicinarmi alla mamma.                         


Mamma. Che strana parola. Non l’ho mai pronunciata ad alta voce. Fa quasi paura eppure sembra così bella.
Solo una volta ho accennato un discorso sui genitori. Con Genzo. Gli ho chiesto cosa significhi per lui la parola famiglia. Ci ha pensato su un bel po’ ma poi siamo stati chiamati dal nostro allenatore e abbiamo dovuto interrompere il discorso, che non abbiamo più ripreso.                                                       
Guardavo Tsubasa e Ryo, le cui madre erano molto protettive. A volte prima che uscissero di casa cercavano di baciare i figli, che però si scostavano, imbarazzati di farsi vedere in certi atteggiamenti dai loro amici.                                                                                                                                     
Quanto desideravo un bacio e una rassicurazione da parte della mia mamma.                                                              
Un'altra persona che viveva una situazione simile alla mia era Kojiro. Io senza madre e lui senza padre. Con lui non ho mai parlato della sua famiglia. Diventava più cupo e irascibile del solito se si parlava della madre, dei fratellini e delle sorelline. Eppure, sebbene non volesse mostrare i suoi sentimenti, quando guardava la madre pareva diventare un’altra persona. Immerso nella luce.                       


“Taro, cosa c'è?".                                                                                                                                                             
Mi voltai verso mio padre. Evidentemente ero rimasto per parecchi minuti immobile, con lo sguardo fisso, perso nei miei pensieri. Scossi la testa, rassicurandolo.                                                                       
Guardai oltre il cancello, cercando di non farmi vedere.                                                                                    
Eccola! Il mio cuore perde un battito, avverto il respiro mozzarsi. La osservo cercando di catturare ogni istante. Il tempo si dilata. Ogni secondo dura per me, delle ore. È così bella. Sorride e tiene per mano una bambina, più piccola di me.                                                                                                          
Non so per quanto tempo resto fermo a fissarli. Sono una famiglia. Una famiglia felice. Lo vedo dall’espressione di quella bambina, che dovrei chiamare sorella. Ma non c’è la faccio. Non perché la odi, ma semplicemente perché non avverto nessuno legame con lei. Siamo estranei. Lei ha la sua famiglia, composta da un padre e una madre. Ed io ho la mia di famiglia, mio padre.                                 
La sensazione del nodo in gola non c’è più. Le lacrime finalmente scorgano dai miei occhi, liberandomi di un peso che porto dentro da anni.                                                                                                        


Perché? Perché lo hai fatto? Come hai potuto vivere senza vedermi nemmeno una volta?                               
Dicono che i figli siano la ragione di vita dei genitori, per te non è stato così.                                                   
Ma fa male, tanto male essere rifiutati dalla propria mamma.                                                             
Ora sei felice, ma io? Non hai mai cercato di avere un contatto con me, neanche una lettera. Possibile che tu mi abbia cancellato dalla tua vita, come un errore?                                                       
Per te sono un un errore?                                                                                                                                  
Mi aggrappo con forza alle sbarre del cancello. Vorrei tanto odiarti, augurarti tutto il male possibile. Gioire del tuo dolore e delle tue sofferenze.  
Ma non ci riesco.
Mio padre non mi ha cresciuto in questo modo. E io non posso dargli anche questo dolore. Non mi trasformerò in un essere rancoroso, per causa tua. Non ti permetterò di rovinare la mia vita. Non ti permetterò più di portare dolore nel mio cuore.                                                


Mi volto nuovamente verso mio padre. Saranno tutte le emozioni di quella giornata, sarà che gli voglio un bene dell’anima, ma guardando la sua figura lo vedo avvolto da una strana energia. È impregnato d’amore.                                                                                        
“Papà portami via, per favore” lo prego con la voce rotta dal pianto. Ora che sono riuscito a sfogarmi, non riesco più a smettere di piangere. Ho accumulato troppo in questi anni e finalmente riesco a riversare fuori tutto il mio dolore.                                                                                                     
“Sei…  sei sicuro?”, balbetta.                                                                                                                                     
Non rispondo. Corro verso di lui e lo abbraccio forte. Respiro a pieni polmoni, cercando di inglobare dentro di me tutto il suo profumo. Se è questo l’odore di una madre, allora significa che papà è la mia mamma. Tanto lui è così forte che può essere entrambi i ruoli.
Prendo la sua grande mano e lo trascino via.
“Io non sono Taro Yamaoka. Io sono Taro Misaki” sorrido, guardandolo.
Ci avviamo verso la stazione, per tornare a casa nostra.                                                                     
“Papà, sei la mia famiglia e io non ti abbandonerò mai. Ti amo” sussurro baciandogli la mano.                                    
“Anche io ti amo, Taro. Sei la mia ragione di vita” mi risponde con le lacrime agli occhi, accarezzandomi la testa.                                                                                                                                                         
 
Sorrido nuovamente. Io non so nulla del mio futuro. Non so se mi sposerò o avrò dei figli. Non so nemmeno se la mia futura moglie, un giorno, abbandonerà i miei figli. Posso essere responsabile unicamente delle mie azioni. Sarò un buon padre, ne sono certo.                           
Sarò come te, papà.                                           
   
 
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