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Autore: Genio95    02/02/2009    2 recensioni
Sono triste. Sono lontano da casa. La mia vera casa. A Benevento. Al centro equestre Perigon. Ero un cavallo felice, che aveva tutto ciò che desiderava. Fino a quel maledetto giorno. Quando la mia padrona mi portò in questo posto spregevole. Tutto cominciò così…
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la storia del mio cavallo raccontata in prima persona spero che vi piaccia, lo so che è un po’ triste ma non ci posso fare niente. Mi è venuta così. Mi raccomando recensita fatemi sapere cosa ne pensate.

 

 

 

 

 

 

IL MIO NOME E' 
NOLTON PREMIER

 

 

Sono triste. Sono lontano da casa. La mia vera casa. A Benevento. Al centro equestre Perigon. Ero un cavallo felice, che aveva tutto ciò che desiderava. Fino a quel maledetto giorno. Quando la mia padrona mi portò in questo posto spregevole. Tutto cominciò così…

 

 

Era il 15 di luglio e la mia padrona Serena Romano era partita insieme alle sue allieve alla volta di Caserta, dove avrebbe avuto luogo uno stage con Jaques Cavè, “l’inventore dei pony games”. Serena era completamente pazza di questo Jaques e il giorno successivo mi caricò sul van insieme ai miei due compagni Saetta e Botti e ci portarono a Napoli, al cia ( circolo ippico Agnano). Finalmente lo vidi e capii che le cose si sarebbero presto messe male. Jaques stava stregando la mia padrona per convincerla a portarci alle ponyadi (olimpiadi per pony con tutte le discipline dell’equitazione) che si sarebbero tenute al centro equestre federale il 4-5-6 settembre. Un’occasione perfetta. Serena erano mesi che diceva che voleva sbarazzarsi di me sostenendo che ero un peso eccessivo per lei e che mi poteva montare solo una ragazza di nome Ilaria.

 Ah! Quanti bei ricordi, con Ilaria e le sue amiche ho passato i giorni più felici della mia vita. Loro mi facevano divertire, mi facevano saltare e con loro ho imparato tante cose nuove.

Ma tornando a noi Serena aveva un’opportunità irripetibile: con la scusa delle ponyadi mi avrebbe potuto lasciare dalla sua amica Nicoletta senza dovere andare fino a Roma apposta per “abbandonarmi”.

Da quel giorno Serena aveva cominciato ad assillare i genitori perché mandassero le figlie alle ponyadi, e dopo tanti discorsi e ramanzine c’era riuscita, aveva raggiunto il suo scopo.

E così dopo un’estate passata a lavorare finalmente è arrivato il grande giorno: il giorno della partenza, che io ho cercato di rimandare il più possibile rifiutandomi di salire sul van. Ma alla fine ha vinto lei. E io sconsolato ho dovuto guardare, impotente, che mi portassero via da casa.

Dopo un viaggio non poco movimentato siamo arrivati ai Pratoni del Vivaro. Io lì ero di casa, infatti, prima che Serena mi portasse a Benevento io vivevo lì.

Le ragazze il pomeriggio ci fecero fare un giro per il centro: era immenso come me lo ricordavo, ti dà quella sensazione di smarrimento che non sopporto, non riesci a vedere oltre ti senti perso. In preda alla collera ho cominciato a sgroppare rischiando di buttare a terra Ilaria.

Alla fine, con la scusa che non avevamo un campo dove galoppare Serena ci ha portato da Nicoletta. Ho intravisto i box: mi sono venuti i brividi, un luogo oscuro, i cavalli chiusi nei box avevo lo sguardo perso, sembravano implorare la libertà. Già odiavo quel posto.

Un giro veloce e le ragazze ci hanno riportato nelle scuderie. Adoro quando mi coccolano: mi mettono il fieno, mi cambiano l’acqua, mi mettono le coperte e mi fanno tante, tante carezze.

La mattina dopo sono venute e ho notato che erano molto agitate per la gara imminente. Ilaria mi ha strigliato e spazzolato con cura consapevole che sarebbe stata una della ultime volte. Mi ha sellato e mi ha portato a guardare la prima batteria dei pony games. Erano bravissimi e mi sono reso conto che anche se avrei dato il 110% di me stesso non sarei riuscito a eguagliarli, ma non ho voglia di arrendermi e ho deciso di lottare fino alla fine per il podio, per Ilaria e le ragazze e soprattutto per me stesso: per chiudere in bellezza la mia carriera con il Perigon.

Finalmente comincia la gara, sono emozionato! E’ da tanto tempo che non faccio competizioni di questo livello e nei pony games non ho mai gareggiato: la mia specialità è il salto ostacoli.

Per l’emozione e la competitività che mi dava quella gara ho cominciato a sgroppare facendo cadere per terra una tazza e compromettendo la nostra “vittoria”. Per fortuna c’era Ilaria che ha saputo come calmarmi e alla fine, per essere la prima volta che partecipiamo alle ponyadi non siamo andati tanto male!

Le ragazze hanno portato me e gli altri pony nei box per rilassarci, ma la pausa è durata poco, infatti alle due del pomeriggio eravamo di nuovo pronti per sfidare di nuovo gli altri contendenti all’ambito titolo di vincitore, ma questa volta in un’altra disciplina: la gimkana.

Le altre ragazze sono andate abbastanza bene anche se si vedeva lontano un miglio che erano emozionate e che avevano paura di fare brutta figura e di sbagliare.

Anche Ilaria sembrava tesa, ma come al solito lei ha rassicurato me e io ho rassicurato lei. E’ il nostro turno: sento le mani di Ilaria tremare sul mio collo, prima di entrare in campo mi ha detto, con un dolce sussurro

-Andrà tutto bene!-

Questo mi ha dato la carica per fare qualsiasi cosa, me ne ha data forse un po’ troppa, perché quando i giudici di gara hanno suonato la campana io mi sono sentito invadere dall’adrenalina sono partito come un razzo per quasi tutta la durata del percorso Ilaria ha saputo gestirmi al meglio, però quando è arrivato il momento di affrontare le tazze ha avuto un attimo di insicurezza e a quel punto la tazza le è scivolata dalla mano e per risistemarla ci è voluto un bel po’. Non nego di non aver collaborato, ero in preda al panico e anche lei sembrava aver perso quella sua naturale freddezza che si impadronisce di lei durante le gare, per poi svanire subito dopo e l’espressione corrucciata si trasforma in un dolce sorriso. Dopo svariate difficoltà finalmente io e Ilaria tagliamo il traguardo, con un sospiro di sollievo da parte di entrambi. Sono tornato nel box e subito dopo le ragazze sono andate a vedere i risultati: per i pony games 10 su 12 e per la gimkana 12 su 19, non male come risultato tenendo presente le mie pessime prestazioni ma mi impegno per non commettere  nuovamente gli stessi errori nelle gare di domani e credo che anche le ragazze seguano il mio esempio.

Verso le cinque del pomeriggio Carlo Angrisano, il rappresentante della Campania, ha avvisato le ragazze che tra meno di un’ora ci sarebbe stata la cerimonia di apertura: come a delle vere olimpiadi.

Le ragazze sono corse ai box per pulirsi ed essere un minimo presentabili, le ho sentite mentre si spazzolavano i pantaloni a vicenda, ridevano a crepapelle, anche se lo sporco non voleva saperne di andarsene.

Sono andate al campo dove si sarebbe svolta l’inaugurazione e si sono rese conto che la Campania era l’unica regione che aveva maglie diverse a seconda delle discipline: arancione fosforescente per il settore ludico ( gimkana e pony games), blu per dressage e salto ostacoli e rosse per il cross country. Le maglie le aveva scelte Flavia, l’istruttrice del cia, le magli delle ragazze assomigliavano a quei giubbotti fluorescenti che si usano in mezzo alla strada per non farsi investire: se una si metteva all’entrata dei Pratoni e un’altra dalla parte opposta si distinguevano benissimo.

Dopo quasi mezz’ora di attesa è cominciata la sfilata: a turno, in ordine alfabetico le regioni correvano in campo e facevano il giro andandosi a posizionare accanto alla precedente. Ogni regione aveva come sottofondo musicale una sua musica tipica.

Una volta entrate tutte le regioni ha fatto il suo ingresso in campo Tony il Pony, la mascotte delle ponyadi: era un piccolo pony bianco con la criniera e la coda colorate di arancione, sulla chiappa sinistra aveva tre puntini dello stesso colore.

Dopo Tony sono entrati gli arcieri a cavallo di cinque stalloni bianchi. In seguito è entrato il presidente della F.I.S.E. ( Federazione Italiana Sport Equestre) e ha fatto un discorso, finito di parlare il presidente ha annunciato la squadra italiana pony che è arrivata terza, medaglia di bronzo, agli europei, capeggiata da Federico Roman ai quali è stato consegnato un premio. Successivamente è stato intonato dalla banda l’inno d’Italia mentre una guardia innalzava il tricolore.

Per concludere la cerimonia sono state liberate le colombe che hanno fatto un giro d’onore intorno al campo e poi si sono disperse nei boschi che costeggiano i Pratoni. Come ultimo saluto, nello stupore totale si è levata in cielo una fumata tricolore che ha fatto da sfondo all’uscita di scena delle regioni.

Le ragazze sono tornate a darci la buonanotte e a metterci le coperte, ho sentito Ilaria lamentarsi con le ragazze che per tutta la durata della cerimonia una ragazza continuava a romperle le palle e ha usato questa espressione: -se diceva un’altra parola finiva a botte e quando sarebbe tornata in albergo i genitore non l’avrebbero riconosciuta  per i lividi che sarebbero stati al posto della faccia della figlia. Quanto mi stanno sulle scatole le persone che se la tirano!- non credevo che Ilaria sapesse essere tanto impulsiva, con me era sempre dolcissima, anche quando la buttavo per terra. Una volta stavamo lavorando a casa io lo sgroppato, lei è caduta e si è ritrovata con la faccia di fronte alla mia e mi ha fatto -CIAO!!!-. La volta successiva è caduta di nuovo, e quella volta si era fatta male (l’ho visto dalla smorfia che ha fatto quando è caduta e da come tremava dopo) e quando Serena le ha ordinato di darmi un calcio nella pancia lei me lo ha dato piano e, non so se intenzionalmente o meno, mi ha lasciato andare e dopo mezz’ora che scorrazzavo nel campo tentando di non farmi prendere da Serena e da Ani, lei ha allungato la mano e mi ha sussurrato

-vieni qui- e io sono andato, non era arrabbiata e mi ha fatto tante carezze.

Erano quasi le otto quando se ne sono andate in albergo.

 

Il giorno seguente, il secondo giorno di gara è cominciato esattamente come i primo: verso le otto di mattina le ragazza sono venute e hanno cominciato a strigliarci. Ilaria ha combattuto un bel po’ con la mia coda ribelle e sporca di truciolo.

Una volta pronti siamo scesi al campo per osservare la prima batteria. Se ieri ce l’avevamo fatta per il rotto della cuffia oggi, non per essere pessimista, non ce l’avremmo mai fatta. I giochi di ieri erano molto più facili rispetto a quelli di oggi. Noi, e soprattutto Ilaria, siamo svantaggiati perché io sono alto e quindi se le cadeva qualcosa ci voleva tempo prezioso per risalire, mentre tutti gli alti erano mini ponetti.

Ilaria, che ieri era tranquilla perché sapeva che i giochi non erano molto complicati, oggi era nervosa e aveva il presentimento, come me, che sarebbe andato tutto storto. E così è successo. I primi giochi sono andati abbastanza bene ma quando è stato il turno della bottiglia abbiamo fatto un casino. Ilaria non è riuscita a prendere la bottiglia e io ho preso la mano portando la dall’altro lato del campo, per un pelo non siamo stati eliminati, ma alla fine non abbiamo fatto più schifo dei Tifatini e della Calabria. Non riusciamo a qualificarci per la finale, ma sapevamo già a priori che sarebbe stato impossibile.

Dopo questa sottospecie di esibizione ci hanno riportato ai box, ma la pacchia è durata poco, infatti dopo poco sono venute a riprenderci per fare la seconda prova della gimkana: la jamp 40.

Per questa gara le ragazze si sono divise: tre in una squadra e una con il mio amico Botti nella squadra del cia.

Ilaria era meno nervosa di stamattina mi ha tranquillizzato e infatti abbiamo fatto un percorso stupendo: essendo una gara di velocità, a parte qualche ostacolo e dei passaggi obbligati, non era particolarmente difficile e abbiamo impiegato 58secondi uno tra i migliori tre tempi della classifica.

Ci classifichiamo 8° su 18 regioni partecipanti. Sono contento, almeno non abbiamo fatto schifo in tutto.

Il terzo ed ultimo giorno le ragazze vengono più tardi, sapendo di non dover gareggiare.

Ilaria mi spazzola con lentezza e malinconia, consapevole che è l’ultima volta.

Ci portano a vedere il salto ostacoli all’ombra di una quercia secolare. Anche la nostra squadra avrebbe potuto partecipare nel salto ostacoli, in particolare Ilaria che ha in brevetto ma Serena ha ritenuto inopportuno farle e farmi saltare un metro. E’ sempre così, ogni volta che si può fare qualcosa di bello lei deve rovinare tutto; mi hanno detto che tre anni fa Ilaria e altri due ragazzi dovevano partecipare ai campionati regionali ma lei ha fatto in modo che il pony di Ilaria, Jolie Coeur, si azzoppasse e ha mandato in fumo tutto il lavoro fatto con quella cavalla.

 

Verso mezzogiorno ci hanno riportato nei box, ma dopo appena tre ora ci hanno riportato fuori. Ho visto che cominciavano a radunare le mie cose e quelle di un mio compagno di disavventura: Saetta.

Con la morte nel cuore abbiamo oltrepassato  la collina che separa i Pratoni dal centro di Nicoletta. Ilaria da terra e le altre ragazze a cavallo piangevano in silenzio, a dire la verità ho notato che Ilaria aveva cominciato a piangere da quando mi ha messo la sella sul dorso.

Eccoli, li vedo quei box tetri, sporchi puzzolenti e chi più ne ha più metta.

Ilaria e le altre consegnano le nostre cose agli artieri e ci accompagnano dentro i box, ci abbracciano e si avviano silenziosamente e trattenendo a stento le lacrime. Come ultimo saluto nitrisco verso di loro, non mi avevano mai sentito nitrire. Ilaria si gira mi sorride, il suo solito sorriso seguito quasi sempre dalla sua faccia da schiaffi che mi sta tanto simpatica, ma non questa volta, questa volta è seguito da un espressione triste e da due occhi che mi implorano di restare con lei. Ma nei io ne lei abbiamo il potere di fare ciò, perciò i nostri sguardi si incontrano per un’ultima volta, quasi sicuramente l’ultima, ma non è detto che in futuro, rimando in questo sport non ci possiamo rincontrare, mi attacco con tutto me stesso a questa speranza, ma il nostro contatto visivo è interrotto da una delle ragazze:

- Ilaria andiamo?-

- Arrivo!- mi sorride, si gira e se ne va. La guardo allontanarsi con tutto quello che ho di più caro, con lei se n’è andato un pezzo del mio cuore, quello che mi teneva attaccato al Perigon e a loro.

 

Ed eccomi qui chiuso in questo box schifoso ma con ancora una speranza, la speranza di incontrarle ancora una volta.

E dunque che cos’è la mia storia in conclusione? Un lieto fine o una tragedia? I finali tristi sono quelli veri, dove tutto si conclude e il Nulla prende la forma di ciò che un tempo era bello. Il lieto fine non è affatto una conclusione, ma un inizio: l’inizio di qualcosa di meglio di ciò che è stato. E dunque questa storia è entrambe le cose, perché non è un libro è la mia vita. Non posso dire che la mia vita non sia triste. Piangerò ancora e desidererò ancora di essere altrove. Conterò ancora i giorni, a volte. Però voglio andare avanti. Forse penserete che è una storia triste. Non lo è, in realtà non lo è. E’ la mia vita. Tutte le vite sono tristi. Tutti piangiamo. Tutti pensiamo di precipitare a volte. Ma alla fine impariamo a sopravvivere.

 

 

 

Genio95

 

 

 

 

  
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