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Autore: Neferikare    26/08/2015    1 recensioni
Dopo il Torneo Chojin Kid pensa di essere ufficialmente il campione dei campioni, di aver finalmente messo fine alla tirannia della dmp e di poter dichiarare finalmente una nuova era di pace e serenità.
Fino a quando i sovrani indiscussi della vecchia organizzazione nemica non ritornano con lo scopo di regolare i conti con la famiglia Muscle ed estinguere la loro stirpe una volta per tutte: le semifinali del Torneo si rifaranno e Kid dovrà soccombere, è questo l'ordine di Oregon e Cassandra, imperatori di un intero pianeta e genitori di Ricardo, unico erede al trono della dmp.
Il loro sarà uno scontro ben poco ad armi pari: da una parte la volontà di mettere a tacere i nemici della Muscle League con la forza della giustizia, dall'altra un potere immenso capace di spazzare via decenni di vittorie dei Kinniku in una manciata di secondi.
Che la guerra inizi.
Genere: Avventura, Azione, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Kid Muscle, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Erano nelle merda, nella merda fino al collo.
E non potevano fare nulla per evitarlo.
L'eclissi, quella fottutissima eclissi, era praticamente alle porte e, a meno che non fossero riuscite a spostare il Sole, non avrebbero potuto fare nulla per evitarla.
Per un improvviso senso di impotenza che non aveva mai provato nella sua intera esistenza Diantha tirò un colpo di coda così forte sul prezioso pavimento di marmo da aprire una voragine di un metro per trenta di profondità che, nemmeno a dirlo, si era immediatamente ricoperta di uno spesso strato di ghiaccio azzurrino:
-Non possiamo fare niente, niente di niente cazzo!- ruggì stringendo violentemente i pugni
-L'eclissi è domani Cassandra, domani! Il libro ha ragione, il libro ha sempre ragione!- continuò mentre l'altra sperava che non facesse altri danni, o peggio che si trasformasse lì dentro:
-Ti rendi conto di cosa accadrà? Ti rendi conto che là fuori c'è un mostro abnorme che è pronto a scatenare l'inferno appena quella tempesta di plasma solare sfiorerà il campo magnetico terrestre risvegliando tutto il nephilem di cui ha bisogno per sterminarci? Lo sai almeno, ne hai un...- non fece in tempo a finire che Cassandra le diede uno schiaffo incurante del fatto di essersi appena tagliata il palmo della mano con quegli affilati cristalli di ghiaccio.
Perlomeno l'aveva riportata alla realtà, e quello era ben più importante di un semplice taglio più o meno profondo sulla sua mano:
-Lo so Diantha, lo so: so che non posso fare nulla per interrompere questa folle catena di eventi, so che anche se iniziassi a disperarmi non cambierebbe proprio nulla, so che ci sono fin troppe possibilità che perderò un figlio alla fine di questa storia quindi, se ancora non lo hai capito, io lo so.- asserì con una serietà che non era da lei mentre continuava a sfogliare con la mano sana il libro senza un reale interesse ma più che altro per farsi vedere impegnata.
Diantha non aveva risposto, non trovava nessuna parola per confortarla ma nemmeno per smentire le sue affermazioni, così decise di limitarsi ad annuire sconsolata:
-Probabilmente hai ragione, quindi vediamo di occuparci del presente piuttosto che del futuro, o almeno proviamoci fino a domani.- si scusò a modo suo prendendole la mano e posandoci sopra la propria con una sorprendente delicatezza: c’era voluta giusto una manciata di secondi perché la stessa nebbiolina bianca-azzurra che aveva precedentemente salvato la rossa iniziasse ad aleggiare nell’aria fra una smorfia ed un’imprecazione da parte di Cassandra per poi, quando Diantha aveva tolto la propria mano, lasciare posto solo ad una diafana ragnatela di ghiaccio che pian piano era andata dissolvendosi a causa del calore corporeo.
Erano seguiti istanti di silenzio durante i quali entrambe avevano preso a sfogliare nervosamente altri libri che Diantha aveva portato appena qualche minuto prima e, proprio mentre la raptor era immersa nella lettura con la coda che ondeggiava inquieta, Cassandra aveva invece chiuso sonoramente il tomo che aveva fra le mani e l’aveva guardata negli occhi:
-Dobbiamo scoprire altro sulla profezia, ci serve sapere se una cosa simile è già accaduta in passato e se gli interessati sono sopravvissuti o meno a questa catastrofe.- si mise a riflettere fra sé e sé ad alta voce in modo che l’altra la sentisse così da capire se almeno lei sapesse cosa fare.
E a giudicare dall’improvviso bagliore che aveva visto nei suoi occhi un’idea l’aveva eccome, anche se non era proprio certa che volesse condividerla con lei: aveva smesso di agitare la coda da un momento all’altro lasciando che si avvolgesse intorno ad una delle gambe della sedia come se la stesse soffocando, lo sguardo rivolto alle pagine che non accennava ad alzare per rivolgerlo a Cassandra, forse per paura che non avrebbe accettato la verità o forse semplicemente perché era stanca di dover dare altre spiegazioni.

Alla fine si era alzata e, dopo un sospiro rassegnato ed un incitamento a seguirla nella stanza dove si trovava la biblioteca, le aveva fatto mestamente strada senza proferire parola; solo quando era arrivata e l’aveva fatta sedere, solo in quel momento, alla donna fu tutto improvvisamente chiaro: stava per dirle qualcosa che non le era mai stato detto, una sorta di segreto di famiglia che fino ad ora non le era stato concesso sapere, e purtroppo la sensazione di essere fuoriposto iniziò fin da subito a prendere largo nella sua mente:
-Cosa posso sapere oggi che non potevo sapere ieri? Cosa devo sapere oggi che non può aspettare domani per essere rivelato? Cosa?- domandò sperando che la raptor le rispondesse, tuttavia Diantha si limitò a metterle davanti una pila di volumi uno più alto dell’altro, e fra questi ne prese uno molto simile alle Cronache per forma e dimensioni con la differenza che la copertina, anziché vagamente azzurra, era di un intenso rosso rubino:
-Molte cose Cassandra, troppe a mio parere: ci sono storie che non sai, e sarebbe stato meglio che tu non sapessi mai, ma tutto questo… tutto questo mi costringe a dovertele dire, spero solo che Oregon possa perdonarmi per aver rotto la mia promessa di tenerti al sicuro dalle vicende più oscure della nostra razza, solo questo.- spiegò per poi iniziare a cercare la pagina che le interessava mentre l’altra la guardava a metà fra la delusione e la paura di ciò che avrebbe dovuto sapere.
Oregon non le nascondeva nulla, di quello ne era certa, ma se questa volta le aveva nascosto qualcosa beh, allora lo aveva fatto per il suo bene.
O almeno così sperava.
Tuttavia, quando vide l’illustrazione sulla pagina che Diantha le aveva piazzato davanti, sentì il respiro spegnersi nella sua stessa gola e le proprie certezze andare in frantumi: le squame, le ali, la coda.
Il fuoco.
Lo stesso che aveva scatenato la furia della terra in pochi secondi, 200 megatoni di pura roccia che esplodevano nel cielo come fuochi a capodanno, un boato che sembrava provenire dall’inferno che era stato udito a migliaia chilometri di distanza, un numero incalcolabile di persone travolte dalla lava che serpeggiava fra le rocce come insaziabili serpi di fuoco, altre travolte dagli immensi tsunami simili a belve d’acqua che ghermivano le coste e l’entroterra, una coltre di cenere così densa da aver privato gli umani della loro beneamata estate per un anno intero.
Quel giorno il Krakatoa era morto, ed il Re venuto dall’Inferno aveva appena deciso di posare le proprie regali ali d'ossidiana su qualsiasi cosa gli capitasse fra gli artigli.
E quel re, per quanto Cassandra si sforzasse di non crederci e per quanto Diantha cercasse invece di farla rassegnare alla realtà, quel re era stato Oregon.

Erano passati istanti di silenzio tombale durante i quali nessuna delle due aveva proferito anche una sola parola, istanti che sembravano non poter finire così velocemente come entrambe speravano ma che, nonostante il silenzio forse sarebbe stato più utile di mille parole, erano stati interrotti dalla raptor subito dopo aver chiuso il libro ed averlo riposto nello scaffale; si era alzata quasi controvoglia ed aveva preso a camminare fino ad arrivare ad affacciarsi sulla finestra, poi aveva appoggiato lì le proprie mani ed aveva lanciato uno sguardo sovrappensiero sul giardino che le si apriva davanti:
-Una madre non dovrebbe mai vedere il proprio figlio con il ventre squarciato come un animale, nessuna donna dovrebbe mai dover sopportare una visione del genere- disse come se stesse parlando fra sé e sé e contemporaneamente con Cassandra:
-Io e suo padre sapevamo che prima o poi avremmo dovuto fare i conti con il nephilem di Oregon, ma speravamo che la preparazione che gli avevamo dato avrebbe reso tutto più semplice, e invece...- continuò stringendo improvvisamente i pugni e chiudendo gli occhi:
-E invece no, è stato come se a nulla fossero valsi i nostri sforzi per essere dei bravi genitori: era incontrollabile ed allo stesso tempo fin troppo lucido, eravamo certi che non saremmo riusciti a fermarlo una volta arrivato sulla Terra, che lo avremmo dovuto macellare per portarlo a casa, e in effetti è proprio ciò che è accaduto.- si fermò quasi per il peso di ciò che stava dicendo, ed anche l'altra ebbe l'impressione che, almeno per Diantha, ricordare tutto quel dolore non facesse altro che annientare la fortezza di ghiaccio che si era pazientemente costruita in un'intera vita.
Cassandra avrebbe voluto intervenire, rassicurarla sul fatto che, seppur segretamente, qualche volta da quando era stato Ricardo a perdere il controllo aveva pensato che anche Oregon avesse dovuto passare quell'inferno prima di lui, che d'altronde erano cose da raptor che non potevano essere evitate; Diantha però non le lasciò il tempo di fare domande, si girò lentamente e si guardò i palmi ricoperti di squame opalescenti di un profondo color ghiaccio:
-Gli ho dovuto sfondare la gabbia toracica con questi stesse mani perché l'effetto di quel maledetto nephilem si esaurisse più velocemente di quanto avrebbe fatto da solo, ho dovuto scavare nel suo torace e strappargli il cuore con questi maledettissimi artigli mentre il sangue colava ovunque volgessi il mio sguardo: i Re che vengono promessi non rinascono tali se prima la loro mortalità non viene meno, ma avrei voluto scoprirlo in un altro modo che non fosse mentre vivisezionavo l'unico figlio che avevo al mondo... non sarei riuscita a sopportare oltre quel massacro, non un secondo di più.- concluse mentre nei suoi occhi Cassandra sembrò vedere un alone di rimorso che mai e poi mai avrebbe pensato di vedere in lei.
Non capì né il perché lo avesse fatto né se fosse stato il suo istinto materno a suggerirglielo, seppe solo che qualche secondo dopo si era trovata ad abbracciare Diantha sperando che quel gesto le restituisse anche solo per un istante la forza per rispondere ad un'unica, terribile domanda che la stava attanagliando dal momento in cui lei aveva raccontato tutto quelle cose:
-Ricardo non si fermerà da solo, non potrebbe mai riuscirci anche se lo volesse, ma io devo saperlo, devo sapere se dovrò vedere mio figlio ridotto ad un grumo informe di carne e squame da voi altri: non voglio esserci se accadrà, non voglio che se non dovesse funzionare qualcosa il mio ultimo ricordo di lui sia di un animale mandato al macel...- non riuscì a finire che l'altra la interruppe:
-Dovrai, e non potrai tirarti indietro: è il prezzo del potere per noi raptor, un prezzo a cui nessuno, né figlio né genitore, può e vuole sottrarsi e dovrai pagarlo anche tu, quel prezzo.-asserì con una certa serietà, abbastanza perché Cassandra si piegasse sul tavolo con le mani fra i capelli senza la minima idea su come reagire a quelle parole così crudeli.
A consolarla però si impegnò Diantha, che con fare materno le si avvicinò e le sorrise così convinta che per un secondo anche l'altra si era convinta che fosse davvero felice e che non lo stesse facendo solamente per tranquillizzarla:
-E' inutile pensare a cosa fare ora tesoro mio, ci penseremo quando sarà il momento e troveremo una soluzione, questo te lo prometto: come dite voi umani? “Domani è un altro giorno”, giusto?- le disse strappandole una risata che, in effetti, un po' di buonumore riuscì a darle, poi diede un'altra occhiata furtiva fuori la finestra e sorrise nuovamente, questa volta più convinta di prima:
-Se non ho sbagliato a vedere tuo marito si sta svegliando proprio adesso, e sembra parecchio affamata a giudicare da come sta assaggiando la coda di quella povera creatura di nome Berenix: che dici, vuoi andare a dargli il buon giorno, o meglio la buona sera, o preferisci che vada io a sfracellargli le palle fino a farlo pentire di non dormire ancora un po'?- domandò senza aspettarsi una risposta dato che, il tempo di girarsi e guardarsi intorno, Cassandra era già sparita dalla sua vista per andare da Oregon come aveva tanto voluto nelle ultime ore.

Quando era arrivata nel grande giardino davanti a casa e lo aveva finalmente rivisto dopo un’intera giornata senza vederlo, che significava parecchio dato che al massimo si separavano per una decina di minuti e solo se era strettamente necessario, era rimasta come incantata da una visione così meravigliosamente distruttiva come quella data dall’immensa lucertolosità di Oregon: le squame nere come ossidiana erano così lucide da riflettere la poca luce che traspariva dalle spesse nubi che coprivano il cielo, le grandi ali dello stesso colore aperte a mostrare i piccoli fori e le lacerazioni lasciate da anni di combattimenti senza tregua donavano alle stesse un aspetto ancora più regale, la lunga coda simile ad una frusta tenuta a terra ed avvolta in parte su sé stessa, le zampe anteriori e posteriori erano teatro di artigli e spuntoni anch’essi neri come la notte, la testa tenuta in alto rispetto al resto del corpo era invece coronata da un numero indefinito di corna la cui dimensione aumentava andando dalla mascella alla sommità del capo.
E poi il magma, soprattutto quello: grovigli incandescenti di roccia fusa e fiamme cremisi che si contorcevano nelle profondità più remote del suo stesso corpo e che, grazie ad una serie di fessure piazzate sapientemente da madre natura fra una squama e l’altra, si riuscivano ad intravedere all’esterno dandogli l’aspetto di un vulcano in eruzione che mai avrebbe lasciato in vita ciò che si sarebbe trovato sulla sua strada di fuoco e cenere.
Tuttavia, per quanto fosse così tremendamente pericoloso in circostanze normali, ora Cassandra sentiva una profonda tenerezza nel proprio cuore guardando Oregon che, come aveva annunciato Diantha, era particolarmente preso ad assaggiare Berenix: per il momento era comodamente sdraiato sulla schiena con le ali distese a terra, le zampe che stringevano quasi fosse una preda la coda coperta di piume della raptor mentre la mordicchiava placidamente senza apparentemente la vera intenzione di mangiarsela, o almeno così sperava, l’altra invece se ne stava elegantemente accucciata ai piedi di un grosso albero intenta a pulirsi ogni singola penna di una delle ali mentre le altre venivano tenute ripiegate sul dorso, il tutto lanciando ogni tanto qualche occhiata furtiva per assicurarsi che la propria coda fosse ancora attaccata al fondoschiena.
Forse era stato quello il motivo per cui inizialmente Oregon non aveva nemmeno fatto caso alla presenza di Cassandra, tuttavia appena girò il muso per guardarsi intorno fu chiaro fin da subito che l’aveva finalmente vista e che, a giudicare da quanto sembrava entusiasta, anche lui nona spettava altro che vederla dopo tutte quelle ore che erano sembrate eterne: aveva impiegato una manciata di secondi per balzare sulle zampe dalla posizione supina che aveva prima, aveva ritirato le ali e le era letteralmente corso incontro smuovendo intere zolle di terra ad ogni falcata, le fiamme che si intravedevano dalle squame che sembrava uscissero dalle stesse e si mescolassero all’aria donando all’ambiente un’atmosfera quasi apocalittica.
E poi, esattamente come fa un cane quando non vede da molto tempo il proprio padrone, le era arrivato addosso facendola cadere nell’erba fresca ancora umida dalla pioggia, il tutto senza ferirla o farle anche solo un graffio a dispetto di ciò che si sarebbe pensato vedendo la scena: Cassandra non aveva nemmeno avuto il tempo di dirgli qualcosa che si era trovata il volto e la parte superiore del corpo bagnata da tutte le leccate di bentornato del compagno.
I raptor erano fondamentalmente lucertole, ma forse avevano anche qualche cenno di canide nel proprio dna, o almeno così sembrava.
Dopo gli attimi di follia canina Cassandra era riuscita a rialzarsi liberandosi dalla presa di Oregon, che nel frattempo era fortunatamente tornato nella sua forma comune strappando alla donna l’ennesimo sorriso compiaciuto e sorpreso della giornata: non cambiava molto dalla lucertola abnorme di qualche istante prima tranne le dimensioni ovviamente ridotte, le squame erano infatti dello stesso colore dell’ossidiana e fra l’una e l’altra si riuscivano ad intravedere ancora gli sprazzi di magma incandescente che se ne stava buono buono sotto quello spesso strato di acciaio organico come anche la corona di corna delle dimensioni più svariate, ed anche le ali nero fumo erano al loro posto; tuttavia, per quanto potesse essere visivamente non molto diverso, a Cassandra era bastato quel cambiamento perché potesse raggiungere finalmente l’altezza giusta per abbracciarlo come mai aveva fatto prima con le lacrime agli occhi:
-Io… io temevo che tu… che questa volta non…- cercò di spiegare ma sentì le parole morirle in gola ed anche Oregon se ne accorse, così la strinse ancora una volta a sé e le accarezzò i capelli:
-Anche io avevo paura piccola, avevo paura come mai ne ho avuta in vita mia: non mi sono mai sentito più impotente di fronte alla morte di oggi, mi sentivo come se neanche l’immortalità questa volta potesse salvarmi, come se fosse davvero la mia fine… ed era terribile- confessò continuando a consolare l’altra, che intanto sembrava essersi calmata stringendogli le mani dietro al collo:
-Ed era ancora peggio dover pensare che dopo di me sarebbe dovuta toccare a te la stessa sorte, ma non potevo permetterlo, non lo avrei mai potuto permettere: non so cosa mi abbia dato la forza di resistere di resistere il tempo necessario perché si distraesse, so solo che l’ultima cosa che ho sentito era il morso degli artigli che squarciavano la carne e dilaniavano ogni singolo organo che trovavano sul loro cammino… e quel colpo, quel colpo di fucile…- stava per finire quando si interruppe forse perché non sapeva più cosa dire, o forse perché si sentiva ancora troppo in colpa per l’accaduto per parlarne ancora così apertamente.
Quasi istintivamente Cassandra abbandonò la propria testa nell’incavo fra il collo e la spalla di Oregon, che a sua volta appoggiò la propria su quella dell’altra attento a non farle del male con le spesse squame che ricoprivano la parte inferiore del muso: rimasero così interi minuti, minuti durante i quali le uniche parole che tutti e due avrebbero voluto sentire sarebbero state quelle pronunciate nel silenzio più assoluto, le stesse che si scambiavano quando i loro occhi si incrociavano in quelle occhiate complici che piacevano così tanto ad entrambi.
E che sarebbe andato tutto bene, anche quelle sarebbero state gradite.

Diantha li aveva lasciati fare per dieci minuti buoni, poi si era avvicinata quasi in punta di piedi per intervenire in quel silenzioso discorso ed aveva guardato Oregon con uno sguardo pieno di comprensione materna che non era solita esibire troppo spesso in pubblico:
-Le ho parlato del Krakatoa, tutto qui: se vuoi perdonarmelo bene, se non vuoi non fa nulla, pensò che sopravvivrò anche con il senso di colp…- non riuscì a finire che l’altro l’aveva abbracciata impedendole di continuare, un abbraccio dal quale neanche lei aveva provato a sottrarsi e dopo il quale si era sentita inspiegabilmente meglio di come fosse prima:
-Hai fatto ciò che io non trovavo il coraggio di fare, e per questo ti assicuro che non potrò mai ringraziarti abbastanza- la rassicurò serenamente prendendole le mani fra le proprie:
-E soprattutto l’hai protetta quando io non potevo farlo, hai salvato la vita a tutti oggi: hai trovato per l’ennesima volta la forza che solo tu riesci a trovare e ci hai portati fuori dall’inferno senza pensare nemmeno per un secondo alla tua salute, sapendo perfettamente che nelle tue condizioni portare a casa tutti avrebbe potuto essere l’ultimo gesto eroico della tua vita immortale perché, di questo ne sono assolutamente sicuro, non sono stato l’unico a dubitare di questa nostra eternità che sembra svanire dinanzi alla morte.
E anche per questo ti ringrazio ancora una volta, e probabilmente continuerò a ringraziarti fino a quando avrò le parole per farlo, questo te lo prometto… mamma.- concluse senza lasciarsi sfuggire quella lacrima solitaria che, per quanto avesse cercato di farsi strada tra una squama e l’altra, si era ghiacciata dopo pochi attimi e si era ridotta ad un cristallo iridescente.
Erano anni che Oregon non la chiamava mamma e, nonostante normalmente fosse solita negare che la cosa le pesasse in qualche modo, ora che lo aveva fatto il suo cuore di ghiaccio aveva sentito come una brezza tiepida attraversarlo, e non era affatto una brutta sensazione.
Alla fine di tutti quei dolci convenevoli però tutti erano stati d’accordo sul cambiare argomento, e purtroppo Cassandra aveva la netta impressione che suo figlio sarebbe presto diventato il tema principale delle loro discussioni; dopo essere entrati in casa infatti Diantha li aveva invitati a sedersi tutti all’ampio tavolo del salotto in una sorta di riunione dei “cavalieri della tavola rotonda”, poi aveva fatto vedere ad Oregon la profezia che qualche momento prima aveva sfogliato insieme alla donna: erano stati momenti terribili quelli che avevano dovuto attendere mentre il raptor leggeva quelle pagine, sembrava che stesse studiando ogni singola parola che gli si poneva davanti e ne analizzasse tutte le sfumature di significato possibili, tuttavia dopo una decina di minuti passati nel silenzio il fatto che avesse alzato la testa e si fosse messo una mano sul muso iniziando a scuoterlo non prometteva nulla di buono.
E infatti le sue opinioni erano tutto tranne che positive riguardo l’argomento:
-L’unica cosa certa è che la profezia si avvererà di sicuro, su questo non possiamo assolutamente intervenire per fermarla, eppure…- rifletté ad alta voce mentre continuava ad osservare il libro, era come se qualcosa non lo convincesse del tutto, così Cassandra cercò di farlo parlare:
-Eppure cosa? C’è qualcosa che non si è avverato? Qualche, come dire, clausola?- domandò curiosa e preoccupata allo stesso tempo, ma il compagno pareva non averla sentita; solo dopo alcuni minuti si era deciso a parlare, o almeno a provarci:
-Sappiamo che l’eclissi avverrà in concomitanza con un’espulsione di massa coronale solare di dimensioni epocali che, una volta entrata in contatto con il campo magnetico terrestre, darà luogo ad una tempesta elettromagnetica che almeno in condizioni normali darebbe solo luogo a semplici aurore boreali o al massimo qualche evento di problemi con le apparecchiature che usano le onde magnetiche nel loro funzionamento- iniziò a spiegare nemmeno fosse a scuola:
-Eppure, signore mie, ora non ci sono condizioni normali, e ce ne siamo resi conto fin troppo bene: Ricardo ha controllato come se nulla fosse i fulmini, ed i fulmini sono generati nella alta atmosfera da grosse quantità di plasma incandescente a 25 mila gradi, forse anche il doppio se consideriamo che sono ulteriormente alimentati dal nephilem- continuò per poi iniziare a gesticolare:
-Ora immagina una tempesta di fulmini in grado di coprire ogni centimetro nel giro di mille chilometri o forse più, centinaia di migliaia di vipere azzurre che si schiantano al suolo violentemente aprendo voragini profonde pochi metri: uno forse farebbe poco o niente, ma cosa succederebbe se fossero dieci, cento, mille?
Te lo dico io cosa accadrebbe: ci troveremmo con un continente del tutto simile ad una fetta di formaggio svizzero ed un oceano mezzo evaporato a causa di temperature che sono state viste l'ultima volta durante la formazione della Terra.
E tutto questo accadrà tesoro mio, oh certo che accadrà: lo dice la profezia, e la profezia ha ragione sempre e comunque.- concluse per poi scrutare curioso le facce dei presenti.
Facce imperscrutabili, ma pur sempre facce.
Berenix era stata la prima a prendere in mano la situazione e, dopo essere sparita qualche secondo nella sua stanza al piano superiore, era tornata con in mano alcuni appunti stropicciati interrotti qua e là da quelli che sembravano disegni o simili, poi aveva appoggiato il tutto sul tavolo e lì aveva iniziato ad esporre le proprie idee a proposito di ciò che aveva appena ascoltato:
-Sono passati milioni e milioni di anni da quando Sonantis ha smesso di solcare i cieli di mezza nebulosa solo per il gusto di mostrare tutta la sua onnipotenza al mondo, tuttavia ora come ora ci stiamo rendendo conto che a quanto pare, come ha sempre narrato la leggenda e come abbiamo sempre sperato che non accadesse, il fatto che il nephilem appartenuto agli Antichi sia in grado di tramandarsi senza dare alcun segno per poi uscirne bello fresco al momento buono è vero, anche troppo vero per i miei gusti- fece presente mentre gli altri la guardavano interessati senza però proferire parola, era come se stessero riflettendo nelle loro teste su quelle informazioni.
Dopo poco fu Diantha a fare segno alla raptor di continuare:
-Prendete Vostra Grazia Diantha, lei ha sempre avuto tracce del nephilem di Glacier nelle vene, eppure non ne ha mai perso il control... ok, se contiamo quando ha spaccato in due un continente dovrebbe contare ma no, facciamo finta che non sia così... comunque signori, aspetta cosa stavo dicendo... ah sì, comunque per quanto mi riguarda credo che quel nephilem sia altamente instabile, proprio come era quello di Sonantis: le leggende che lo riguardano narrano che volasse nei cieli dei più svariati pianeti scatenando immani tempeste che causavano incendi, inondazioni e quant'altro, ma sappiamo anche che altri scritti raccontano di come tali inondazioni siano riuscite a rendere nuovamente fertili terreni ormai sterili permettendo alle genti di potersi salvare dall'estinzione.- continuò a spiegare per poi poggiare entrambe le mani sul tavolo ed assumere come una posizione di comando:
-In conclusione penso che a questo punto sia inutile cercare di capire come impedire all'inferno di scatenarsi ma sarebbe più produttivo trovare un modo per far sì che ciò che debba accadere lo faccia il prima possibile, velocemente e senza troppe vittime: quando Sonantis evocò la tempesta che spazzò via il popolo di Wyssa lo fece nel giro di poche ore e venne fermato solo quando la sua compagna aliena gli ricordò che come membro degli Antichi il suo compito era il progresso, non la distruzione; se riusciamo ad aprire un varco nella sua mente per ricordargli che la Terra è tutto tranne che un poligono di tiro per fulmini beh, secondo la mia idea questo dovrebbe bastare perché Ricardo ottenga nuovamente un minimo di controllo, quello sufficiente a poterlo fermare senza ricorrere ad estreme misure d'artiglieria pesante che sarebbero comunque inutili.- terminò tornando a sedere ed accavallando le gambe con nonchalanche.
Il silenzio, un ingombrante quanto assordante silenzio ecco cos'era calato fra i presenti.
Poi, quasi come un rombo di tuono dopo una tempesta ormai passata, era stata Cassandra a spezzarlo:
-Mi rendo conto che stiamo tutti ragionando dando per scontato che Ricardo possa sopravvivere in qualunque caso, ma se non fosse così cosa accadrebbe?- domandò facendo gelare il sangue a tutti, anche a Diantha il sangue gelato lo aveva già da un pezzo:
-Voi siete qui a parlare di quanto fosse epico Sonantis, di tempeste del millennio e di artiglieria pesante, ma vi ricordo che quello è mio figlio, il mio unico figlio: chi vi assicura che sia immortale?
Chi mi dice che il sangue umano che ha preso da me non sia ciò che lo separa da questa tanto acclamata eternità? Come la mettiamo se il sopravvivere ad un proiettile non sia solo stato l'ennesimo effetto del nephilem fuori controllo?- domandò senza che nessuno rispondesse, poi si rivolse ad Oregon e lo guardò dritto negli occhi indicando il proprio cuore:
-Non hai deciso di farmi vivere per sempre solo per poi farmi veder morire mio figlio, so che non lo hai fatto per questo: lo hai fatto perché non ritenevi giusto che il nostro bambino dovesse vivere senza la propria madre ed ora, esattamente come hai fatto tu, io non accetto di vivere senza di lui quindi ti prego, fai di tutto perché non muoia.- concluse per poi andarsene senza nemmeno ascoltare ciò che l'altro avrebbe voluto dirle.

Quando anche Cassandra aveva abbandonato la discussione erano rimasti solo i tre raptor a continuarla, tuttavia dalle loro espressioni sembrava che nemmeno uno dei presenti avesse ulteriori idee rispetto a quelle già proposte, così fu Oregon a prendere la parola rivolgendosi a sua madre:
-Tu sei stata l'ultima a vedere il cadavere, come ti è sembrato?- domandò a bruciapelo senza un'apparente motivo, ma Diantha sapeva benissimo dove voleva arrivare:
-C'era uno squarcio che attraversava le squame dorsali dal punto d'impatto del proiettile fino alla coda dal quale si diramavano altre fenditure più piccole, era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide pronta a schiudersi, l'impressione che ho avuto è stata quella.- rispose mentre sfogliava gli appunti portati da Berenix, poi fece vedere al figlio uno dei fogli:
-Le leggende che ci sono giunte narrano che dopo la tempesta di Wyssa l'aspetto di Sonantis cambiò radicalmente, ed anche le sue dimensioni ne risentirono notevolmente: da un mostro di sessanta metri diventò uno che sfiorava i novanta o forse più, non vorrei che la linea evolutiva di Ricardo possa seguire questa traiettoria perché in questo caso beh, potremmo trovarci con una creatura ben lungi dall'essere controllabile e con risorse quasi inesauribili dal punto di vista atmosferico.- spiegò mentre con gli occhi continuava a seguire ciò che c’era scritto:
-Non abbiamo la certezza della fonte di energia che sfrutta per creare plasma dal nulla, sappiamo solo che è sufficientemente elevata da permettergli di far percorrere ad ogni singolo fulmine una traiettoria ben delineata dell’ordine di qualche chilometro, e come la mettiamo con il fatto che mentre lui ci sguazza dentro come se nulla fosse i civili qui intorno potrebbero rimanerci secchi se una di quelle scariche li dovesse sfiorare minimamente? Senza contare i danni elettrici ed elettronici, e quelli magnetici, e poi quelli derivati da eventuali centrali elettriche colpite che potrebbero scatenare incendi incontrollabili, e non dimentichiamo che sarà probabile lo scatenarsi di una tempes…- stava dicendo quando Cassandra si ripresentò nuovamente ansimando e con il volto contratto in un’espressione di puro terrore.
Questa volta Oregon non le aveva lasciato il tempo di parlare che l’aveva tirata a sé stringendola poi, prendendole il viso fra le mani per calmarla, le aveva fatto un cenno come a dire di parlare; la donna, dopo attimi di profonda esitazione e tra un respiro affannoso e l’altro, l’aveva guardato con le lacrime agli occhi:
-Jaqueline… Jaqueline è sparita, non è più in camera.. io… io temo che…- provò a dire ma sentì le parole smorzarsi nella sua gola, poi prese finalmente coraggio e guardò il marito dritto negli occhi appoggiandosi al suo petto:
-E’ andata a cercare Ricardo… se lo dovesse trovare lei… lei non sopravvivrà... non un’altra volta.- concluse rendendosi conto che dire quelle parole le era costato una fatica che le aveva spezzato lentamente il cuore in tanti piccoli frammenti: forse Jaqueline non era proprio sua figlia dal punto di vista genetico, eppure la considerava tale dopo tutto quello che aveva passato insieme a lei, dopo tutti i pomeriggi passati in sua compagnia a parlare e discutere dei classici argomenti da donne che andavano dallo shopping ai suoi commenti riguardo il brutto vizio di Oregon di fare, intenzionalmente o meno, irruzione in camera mentre lei e Ricardo erano da soli.
Se ora ci pensava a Cassandra veniva solo da ridere, era impressionante come lui si preoccupasse che suo figlio potesse sfuggirgli dalle mani quando si trattava di questioni di letto, ma da una parte si sentiva tremendamente in colpa: non si sarebbe mai perdonata la morte di quella povera ragazza proprio ora, proprio quando la sua vita sembrava procedere più serenamente di quanto avesse mai fatto prima di conoscere Ricardo, e soprattutto non si sarebbe perdonata se fosse stato proprio lui ad ucciderla senza nemmeno rendersene conto.
Mentre Oregon era occupato a rassicurare la moglie riguardo il fatto che sarebbe tutto finito nel miglior modo impossibile, il tutto nonostante non ci credesse nemmeno lui, erano state Berenix e Diantha quelle che si erano occupate di prendere in mano la situazione e giustamente, da brave guerriere quali erano, si erano fatte avanti per prime per andare a cercare la ragazza; tuttavia, al contrario di ciò che tutti si sarebbero aspettati dalle apparenze, Cassandra si era messa fra loro e la porta d’uscita prima che potessero andare a fare ciò che dovevano:
-Voglio andare io a cercare Jaqueline, è una mia responsabilità- asserì tornando seria per poi girarsi verso Oregon che se ne stava in un angolo zitto ad ascoltarla:
-Lascia che sia io ad andare in quella foresta, ci sono cresciuta e conosco la strada di andata e ritorno: posso cavarmela da sola, tutte le guerre combattute al tuo fianco mi hanno insegnato a tenere testa ad un raptor, me lo ricordo ancora- gli disse con una nuova sicurezza negli occhi; lui l’aveva guardata per qualche istante, poi aveva sorriso e le aveva messo una mano sulla spalla:
-Hai abbastanza risorse da tenergli testa, e so che sei in grado di combattere fino allo stremo per proteggere ciò che ami, ma stai attenta piccola, promettimi solo questo.- le chiese cercando di nascondere un velo di preoccupazione, ma l’altra gli si avvicinò quasi per parlare in segreto:
-Ho il sangue del sovrano dei raptor che scorre nelle vene, ed i miei artigli sono affilati quanto i tuoi quando è necessario.- concluse per poi uscire di tutta fretta dalla porta dirigendosi verso l'inferno d'acqua che si stava ancora scatenando al di fuori della barriera che circondava la loro casa, dopo qualche istante non si sentiva nemmeno più il rumore dei suoi passi sull'erba bagnata.
Sarebbe tornata, Oregon ne era certo.


Cassandra non sapeva di potersi muovere così velocemente e con la stessa agilità che aveva vent’anni prima eppure ora, proprio come nella sua adolescenza, era ancora lì a correre in mezzo alla foresta amazzonica nel bel mezzo di una tempesta con la differenza che, se prima lo faceva per la propria sopravvivenza, adesso lo stava facendo per quella della ragazza che considerava praticamente sua figlia: l’odore dell’acqua le riempiva le narici mischiandosi a quello del muschio e delle foglie ormai fradice, il suono della pioggia battente era tutto ciò che riusciva a sentire in quell’ambiente dove gli alberi sembravano amplificare ogni singolo rumore, il ruggito dei tuoni che si propagava prepotente in mezzo alle fronde pensando invano di riuscire a spaventarla.
Ma per Cassandra ormai non c’era nulla di spaventoso nei temporali come anche nei monsoni estivi, per lei era proprio quello il bello di quel luogo incontaminato e selvaggio, un luogo dove la natura da sola poteva renderti la vita più semplice o riprendersi con violenza tutto ciò che ti aveva dato in un battito di ciglia.
Proprio come il nephilem con i raptor: da una parte li rendeva creature quasi invincibili che avevano fatto della distruzione il loro principio di vita, dall’altra c’erano momenti durante i quali aveva la convinzione che anche loro, per quanto potessero essere re o regine o esseri immortali, avrebbero di gran lunga preferito la morte ad un’esistenza simile.
E lo stesso doveva valere per Ricardo dato che lei, mentre tutti erano presi da quella lotta furibonda all'ultimo sangue, non si era lasciata scappare gli istanti di esitazione che avevano preceduto ogni sua mossa, gli stessi durante i quali le era come parso che quella maledetta ombra che aleggiava nel suo sguardo fosse scomparsa donandogli un po’ di lucidità per poi tornare prepotentemente a soggiogargli la mente per altre ore: aveva sentito il suo dolore, lo aveva letto negli spasmi che accompagnavano ogni artigliata lanciata a Berenix, lo aveva provato lei per lui quando Oregon gli aveva piantato le zanne nel collo ed aveva udito il rumore delle ossa che si spezzavano.
Come avrebbe voluto risparmiargli tutta quell’agonia, cosa avrebbe dato pur di proteggerlo almeno questa volta… lo aveva già dovuto vedere in fin di vita una volta, una sola, eppure quella gli era bastata per il resto della vita: stava morendo dissanguato quel giorno, e lo stava facendo per proteggere Jaqueline.
Non per sua madre, non per sua padre: per lei, lei e nessun’altra.
Forse era per quello che lei era andata a cercarlo, forse voleva solo sdebitarsi per averla salvata una volta, per averle dato la vita che aveva sempre sognato, forse Jaqueline era già morta, forse Ricardo avrebbe ammazzato anche lei, forse lui sarebbe morto sotto il peso di un potere così immenso da aver fatto impazzire anche un membro degli Antichi: forse, forse, forse... troppi forse.
Troppi dubbi e nessuna certezza, ecco qual era il problema, l'unico e vero problema: per quanto le Cronache potessero essere accurate e tremendamente veritiere c'era da dire che nessuno, né Oregon né Diantha e nemmeno gli altri membri del Consiglio, avevano davvero visto Sonantis in faccia: di lui erano rimasti disegni, pitture, rocce intagliate in suo omaggio, c'era addirittura un intero tempio su Arkanta scolpito a ricordare quel mostro che era sparito come tutti gli altri Antichi, ma nessuno gli aveva parlato di persona, o almeno nessuno che lei o gli altri conoscessero.
Perchè se le cose fossero realmente andate come diceva la profezia allora erano cazzi per tutti, raptor compresi: forse erano immortali davanti al mondo, ma Cassandra sapeva bene che il nephilem, esattamente come aveva donato loro la vita eterna eoni prima, poteva togliergliela in un battito di ciglia come se nulla fosse: non era un caso che il veleno dei raptor fosse così temuto oltre che dagli umani anche da loro stessi perché sì gli Antichi avevano stretto un patto con quella forza misteriosa che ora si celava nel loro codice genetico, ma era anche vero che quando Jaqueline si era avvelenata era stato Ricardo a rasentare l'arresto cardiaco per intossicazione, non lei.
Immortalità condizionata, a Cassandra piaceva quel nome, le ricordava che bastava un passo falso ed un intero pianeta sarebbe caduto come polvere al vento, che l'errore di uno solo avrebbe significato l'Apocalisse per tutti.
E in quel momento quell'uno solo era suo figlio, e quel tutti era l'intera razza che lei aveva giurato di servire come Imperatrice.
Tutti quei pensieri così vaghi ed indefiniti erano facilmente riusciti ad annegare la sua mente in quesiti esistenziali che mai avrebbe pensato di avere, ma soprattutto le avevano tolto il senso del tempo e dello spazio per cui, dopo minuti che a lei erano sembrati scivolarle addosso, si era trovata a pochi passi dal luogo dove ricordava di essere precedentemente partita con Diantha rendendosi conto che nel momento in cui il suo cervello vagava qua e là le sue gambe avevano fatto tutto il lavoro da sole, era quasi come se fossero state mosse da un istinto ben poco naturale, lo stesso che qualche momento dopo aveva fatto focalizzare la sua attenzione intorno a sé: la terra sembrava orribilmente simile al cadavere dilaniato dagli avvoltoi azzurri che continuavano a cadere prepotenti da quella nuvola nerastra sopra la sua testa sopra quella preda straziata, il terriccio prima umido e fertile era costellato in vari punti da macchie iridescenti che sembravano averlo vetrificato, le foglie che giacevano ai piedi degli alberi ormai spogli ridotte a grumi informi di cellulosa mista a corteccia carbonizzata ancora fumante che nascondevano tizzoni ardenti.
E pochi metri più avanti, finalmente, aveva visto Jaqueline: se ne stava lì in piedi quasi come quelle strane statue che sembrano sorvegliare inestimabili tesori, gli occhi acquosi fissi verso un punto indefinito che solo lei poteva vedere, le bracia abbandonate mollemente sui fianchi incapaci di qualsiasi movimento dettato dalla propria coscienza e soprattutto, su grande sorpresa ed orrore da parte della donna, tre graffi lineari sulla guancia pallida e umida dalla pioggia.
Le si era avvicinata in fretta e furia trattenendo a stento le lacrime di felicità per averla trovata dopo tutta la preoccupazione che l'aveva assalita fino a quel momento, ma quando l'aveva avuta a pochi centimetri ed aveva notato che era come se non la vedesse aveva sentito un brivido gelido salirle per la schiena: sembrava quasi non fosse nemmeno presente fisicamente, il suo corpo era lì ma la sua mente si era come volatilizzata verso un luogo che a Cassandra non era dato a sapere; dopo pochi istanti di esitazione e confusione si era decisa a prenderla per le spalle e scuoterla per riportarla alla realtà dalla quale si era distaccata:
-Cosa c'è? Cosa hai visto piccola?- chiese sperando di vedere nel suo sguardo un segno di ripresa
-Jaqueline ti prego, c'è qualcosa che non va? Non devi avere paura, ora ci sono io, sono con te: sono qui e nessuno potrà farti del male, te lo prometto, ma dimmi cosa ti prende almeno, così posso aiutarti, per favore...- continuò speranzosa, ma nulla sembrava sortire effetto, tutta via era stato solo dopo alcuni interminabili minuti che, quasi obbedendo ad un istinto primordiale, la rossa aveva alzato il braccio destro indicando quel punto dinanzi a se che fino ad ora non aveva avuto nessun significato ma che adesso, proprio adesso, aveva rischiarato la mente di Cassandra come un fulmine a ciel sereno.
Letteralmente.
Quando anche lei aveva alzato lo sguardo distogliendolo dalla ragazza aveva provato nuovamente quella sensazione di terrore puro attanagliarle il cuore in una morsa che non era in grado di sciogliere, un misto fra rabbia del non poter fare nulla e paura se avesse fatto qualcosa:
-Io non ho fatto nulla... sono venuta qui, non so perché... il mio cervello... lui mi ha guidato qui, io non... non sapevo la strada, ma l'ho trovata comunque...- aveva detto la rossa senza muovere un solo muscolo con la voce rotta dall'incertezza:
-Io ero qui ed ho visto... io non ricordavo che... quel colpo, era Berenix... ma io lo sapevo, sapevo che non era finita... oh sì che lo sapevo: sono arrivata, sì sono arrivata e poi... poi mi sono avvicinata, ho allungato la mano e l'ho toccato, e poi... poi, insomma... io...- si interruppe ma l'altra l'aveva afferrata saldamente per le spalle e le aveva piantato lo sguardo nel suo:
-Poi cosa? Poi cosa Jaqueline?- domandò impaziente per poi essere interrotta dalla ragazza che aveva ripreso a parlare tremando ed abbassando gli occhi:
-Le squame erano... erano aperte, rotte, spezzate... e c'era qualcosa... non so cosa, forse una membrana, io... io non ricordo cosa fosse... bianca, era bianca ecco... ma non bianco puro, no... era così... così sbagliato, oscuro... non lo so, io non so cos...- stava ancora parlando quando un rumore simile ad un grosso tronco spezzato aveva interrotto il loro discorso con un boato terribile.
I Re che vengono promessi non rinascono tali se prima la loro mortalità non viene meno, era come se quel corpo non fosse altro che una crisalide pronta a schiudersi, le parole di Diantha avevano appena iniziato a risuonarle in testa solo ora ed in modo quasi martellante: una membrana, era quello ciò che aveva visto Jaqueline, ma cosa diavolo poteva essere?
Forse era solo ancora troppo provata dallo scontro fra i quattro raptor al quale aveva assistito ore prima, eppure Cassandra aveva la netta sensazione ce questa volta la ragazza fosse stata anche troppo lucida per sbagliare a riferirle ciò che i suoi occhi avevano visto, ma dall'altra parte c'era sempre il dubbio che potesse aver sbagliato; fu per quel motivo, ed anche per una serie di tanti altri interrogativi, che si era decisa una volta per tutte a seguire con lo sguardo il punto indicato dall'indice della rossa e che, sorvolando un paio di alberi caduti che non ricordava fossero lì, l'avevano riportata ancora una volta a doversi soffermare sul cadavere di suo figlio.
Dal quale ora spuntava allegramente un'ala bianca di dimensioni mastodontiche.
Cazzo.

Nemmeno il tempo di elaborare la cosa mischiandola a tutti i pensieri e le supposizioni che aveva fatto da sé che si trovò ad osservare un'intera porzione di squame staccarsi, nel senso letterale del termine, dalla parte dorsale per poi ricadere a terra con un tonfo sordo lasciando spazio ad altre tre ali, una che doveva probabilmente completare la prima coppia ed altre due di dimensioni minori, ancora coperte di viscido sangue azzurro-dorato e di quelli che avevano dovuto essere fasci di muscoli e tendini ormai appartenenti ad un altro corpo; per lei non c'era stato il tempo di stare lì a guardare, sapeva perfettamente cosa stava accadendo: quel cadavere era troppo caldo, lei lo sapeva, e Ricardo era decisamente troppo potente perché un fottutissimo proiettile potesse abbatterlo come se nulla fosse senza contare che, esattamente al pari di suo padre, faceva parte dei sovrani promessi dalle profezie delle Cronache.
E le profezie avevano sempre ragione.
Senza aspettare oltre aveva ripreso immediatamente il controllo della situazione e si era girata nuovamente verso Jaqueline per spronarla ad iniziare a correre via come avrebbe fatto anche lei, tuttavia dovette presto constatare che la rossa era già sparita dalla sua vista, o almeno lo aveva fatto per i pochi secondi che impiegò per notare quanto si fosse pericolosamente avvicinata a quella sottospecie di roba informe che stava uscendo beatamente dal corpo di una lucertola di dodici metri:
-Non farlo, non andare avanti un metro!- le aveva urlato senza muoversi da dove si trovava
-Jaqueline no! Non è quello che ricordi, non sa nemmeno chi sei! Corri via da lì prima che ti veda e decida di inaugurare lo stomaco cazzo!- continuò inutilmente anche perché le bastò vedere lo sguardo dell'altra quando si era voltata per capire che parlare era inutile:
-Non preoccuparti Cassandra, sono certa che il peggio è ormai passato- rispose pacata avanzando di altri metri con tutta la tranquillità del mondo:
-E poi guarda, non sembra pericoloso, se avesse voluto uccidermi lo avrebbe già fat...- non fece in tempo a finire che si trovò imprigionata su tutti i lati da quattro grossi artigli color avorio che le avevano sbarrato la strada su tutti i lati lasciandole poco meno di un metro quadro di spazio dove muoversi e respirare, il tutto cogliendola brutalmente di sorpresa.
Questo non l’avevi previsto, vero Jaqueline? Tu ed il tuo dannato ottimismo ci porteranno all’inferno, pensò la donna fra sé e sé scuotendo la testa, tuttavia per quanto volesse urlarle che lei l’aveva avvisata del pericolo fu naturale che fosse il suo istinto materno di protezione a prendere il sopravvento e, anche se nutriva grossi dubbi sul da farsi, alla fine si era precipitata da lei con una manciata di lunghe falcate del tutto innaturali, si era chinata verso terra ed era riuscita a prendere la mano della rossa attraverso una fessura che si era creata tra un artiglio e l’altro:
-Ti tirerò fuori da lì ma fammi un favore: smettila di fare l'eroina con il cuore spezzato perché se ci provi ancora ti lascio qui a morire, chiaro?-chiese fredda per l'esasperazione ottenendo solo una sottospecie di gridolino che doveva equivalere ad un sì soffocato, così iniziò ad adoperarsi per tirarla fuori ricordandosi improvvisamente di avere ancora uno stiletto che aveva rubato anni ed anni addietro e che ora teneva sempre infilato nella giarrettiera per eventuali emergenze.
Tipo quella.

Ed era così che, pugnale alla mano, si era diretta con una sicurezza invidiabile nello sguardo verso il cadavere mezzo squartato a terra girandoci intorno non poche volte alla ricerca di un punto dove le squame erano sul punto di separarsi, e quindi lasciavano scoperta la pelle morbida sottostante, tuttavia la ricerca era difficoltosa oltre ogni dire: non solo si vedeva poco o niente a causa dei continui lampi che illuminavano la scena per poi farla ricadere nel buio, ma c'era anche il pericolo che Ricardo tirasse fuori la testa da un momento all'altro e la vedesse, il che avrebbe significato una valanga di problemi che difficilmente avrebbe potuto affrontare.
Per sua fortuna l'ennesimo flash del temporale aveva rischiarato un punto poco sopra quello che prima era l'occhio dove una crepa si stava aprendo fin troppo velocemente, segno che da lì a poco ne sarebbe uscito un musetto del tutto poco rassicurante, ed era stato allora che il suo cervello le aveva tolto tutti i freni inibitori ed aveva dato sfogo all'istinto: con tutta la forza che le era rimasta aveva piantato la lama di qualche centimetro sopra l'occhio destro ottenendo uno spasmo convulso dell'intero corpo che, se da una parte aveva fatto sì che la zampa che intrappolava la rossa si muovesse liberandola, dall'altra aveva ulteriormente aperto le fenditure scoprendo un pezzo di collo bianco latte ed una porzione dell'enorme coda dello stesso colore costellata di sottili quanto affilate
spine dorsali grandi quanto il suo palmo.
Che a causa di un brusco movimento l'aveva colpita in pieno trapassandole la spalla da una aprte all'altra e tenendola inchiodata a terra, esattamente ciò che non le serviva che accadesse: non era il dolore a preoccuparla, le fitte che le salivano fino alla testa poteva anche sopportarle senza problemi, era il terrore che con lei fuori gioco si sarebbe avventato su Jaqueline che, probabilmente accortasi del fatto che la donna non l'avesse seguita come le aveva promesso, era appena tornata indietro barcollante avvicinandosi pericolosamente a lei.
Non stare qui, vattene via una volta per tutte, avrebbe voluto dirle, ma si era ormai resa conto che con lei era inutile insistere perché tanto faceva quello che voleva, così si era limitata ad abbandonarsi alla calma come se non avesse la carne lacerata da quella fottutissima spina:
-Ti avevo detto di andartene, io me la cavo benissimo anche da sola Jaqueline, lo sai anche tu- disse fredda sperando di convincerla, ma l'altra era troppo occupata a guardarle la ferita per ascoltarla così, anche se la cosa le era costata l'ennesimo brivido gelido lungo la schiena, si era alzata quel poco che bastava per afferrarla dalla collana che aveva al collo e tirarla a sé:
-Vattene, non costringermi a ripeterlo ancora o ti assicuro che Ricardo sarà l'ultimo dei tuoi problemi, e non sto scherzando.- concluse mollando la presa e lasciando all'altra il dubbio di aver visto un qualcosa di tremendamente diverso nei suoi occhi, una sorta di riflesso dorato che però, tempo permettendo, aveva concluso essere solo un effetto ottico.
Tuttavia, proprio nel momento in cui Jaqueline aveva finalmente deciso di andarsene, entrambe avevano avvertito come una brezza stranamente calda mista alla sensazione di elettricità statica che fa rizzare i peli durante un temporale, ma quando la ragazza aveva alzato gli occhi per controllare non aveva visto altro che una luce azzurrognola accecante nella quale sembravano danzare vaghe forme serpentiformi di un oro acceso vicino a pilastri d'avorio: non più alberi, fulmini, foglie, no... solo quella specie di luce calda e soffusa a tratti piacevole che si stagliava sopra la loro teste.
Ecco, solo lì, perché quando si era girata dall'altra parte aveva visto nuovamente il paesaggio che ricordava circondarla fino a qualche minuto prima.
Ed era allora che aveva iniziato a distinguere le forme: se si concentrava strizzando gli occhi allora vedeva che i misteriosi esseri danzanti non erano altro che lingue di plasma che si contorcevano dal profondo di un abisso nero e indefinito del quale non vedeva la fine, mentre le forme che pensava fossero state pilastri mitologici erano denti alti quanto il suo braccio che si alternavano per disposizione e dimensioni in paesaggio costituito da gengive rosee insanguinate.
Si trovavano sulla traiettoria delle mascelle una lucertola di trenta metri affamata, ecco dov'erano.
Allora, e solo allora, fu Jaqueline a reagire per prima strappando con una forza che non credeva di avere quella spina dalla spalla della donna e spostando sé stessa e l'altra quel tanto che bastava da tirarle fuori dal muso che si era appena scagliato a terra ottenendo solo qualche zolla d'erba e sassi fra le zanne che non volevano altro che carne fresca per inaugurare il nuovo stomaco; nel tempo durante il quale quella bestia aveva iniziato ad orientarsi dopo il magro bottino loro si erano trascinate a fatica dietro un grosso albero ancora in piedi ed avevano approfittato del tempo a disposizione per riprendersi quel tanto che bastava per mantenere la mente lucida:
-Che diavolo era quello che ho visto? L'interno di un collisore di particelle forse?- chiese all'altra che nel frattempo si stava massaggiando la ferita ma che si lasciò scappare una risata:
-Plasma, era puro e semplice plasma: geneticamente modificato forse, ma era plasma incandescente, lo stesso con il quale produce i fulmini che abbiamo visto fino ad ora- spiegò mentre si strappava un lembo del vestito per improvvisare una fasciatura:
-Se ti stai chiedendo come faccia a controllare quel temporale beh, sappi che non lo fa, non fino a quando avrà ancora addosso i residui del corpo dal quale è uscito: produce plasma, tutto qui... ok, in verità potrebbe anche scatenare una tempesta di fulmini che raderebbe al suolo il paese, e magari con tutto lo zolfo presente nell'aria misto all'acido solforico che i raptor hanno nello stomaco potrebbe anche scapparci una qualche fiammella blu stile Kawah Ijen, ma le mie sono solo supposizioni.- spiegò lasciandola leggermente, ma proprio leggermente, senza parole:
-Oook, preferivo non saperl...- cercò di rispondere, tuttavia venne interrotta da un colpo di coda che aveva polverizzato l'albero dietro al quale si erano rifugiate e le aveva lasciate senza un luogo dove proteggersi da qualsiasi cosa che sarebbe accaduta.
Ma che non accadde.
Jaqueline, forse spinta dal fatto che Cassandra l'avesse salvata già abbastanza per quel giorno, si era messa davanti alla donna per ricambiare il favore ma appena si era decisa a fronteggiare tutto da sola aveva sentito le gambe immobilizzarsi senza il suo controllo e si rese conto che no, quello non era Ricardo, non più almeno: il suo corpo non aveva più le sfumatura d'azzurro che ricordava ma era di un bianco immacolato che si mischiava ad un giallo-oro sui filamenti mossi dal vento che andavano dal collo alla coda fino a comparire nuovamente sulle frange delle ali e delle zampe, senza contare che era ben più snello e sinuoso di quanto ricordasse, le squame sembravano una fitta distesa di neve che questa volta non lasciava nessuno spazio dove conficcare coltelli random, il capo coronato da una moltitudine di corna di dimensioni e forma variegate che le rendevano del tutto simili ad una corona, le quattro ali decisamente più grandi e spesse di prima sostenute da due grandi strutture ossee acuminate sulle spalle,le stesse che ospitavano in delle cavità quattro sfere azzurre, due da un lato e due dall'altro, grandi quanto la testa di un uomo del tutto uguali a quella più piccola che adornava la fronte del raptor.
Era la visione più regale che avesse avuto di un raptor fino ad ora, ed era anche una di quelle più grandi dato che mancava giusto una manciata di metri a raggiungere le stesse dimensioni di Diantha.
Solo che tanta regalità aveva appena avuto l'idea di posare i propri regali occhi su loro due, troppo occupate a deliziarsi con tanta magnificenza per pensare alle proprie vite.
Anche se in realtà c'era ben poco da fare dato che erano praticamente disarmate, così fu Jaqueline la prima a crollare in ginocchio senza più speranze:
-Stiamo per morire, ci ucciderà, moriremo in ogni caso... non voglio morire, non ora... non voglio.- si lamentò con cassandra con le lacrime che le scorrevano sulle guance pallide, così l'altra la strinse a sé accarezzandole i capelli con fare materno cercando di reprimere i sensi di colpa:
-Tesoro...o non... cioè, sarai solo tu a... a morire, ma non posso... non posso permetterlo: no, non lo permetterò piccola... troveremo una soluzion...- non fece in tempo a finire che venne interrotta dalle pesanti falcate del raptor che si stava avvicinando con le ali aperte ed il collo alla stessa altezza del corpo sulla cui sommità si intravedevano le scariche azzurre che si diramavano tra un dente e l'altro con la stessa vaga danza di quelle che si agitavano dentro le sfere sulle spalle, segno che da un momento all'altro avrebbe attaccato.
Era la fine, Cassandra lo sapeva bene, era la fine e basta: lei poteva salvarsi, ma Jaqueline... non sarebbe sopravvissuta, come avrebbe potuto farlo?
Ma se fosse morta... se fosse morta non se lo sarebbe mai perdonato, mai: le aveva proemsso che l'avrebbe protetta sì, ma come?
Come?

La risposta arrivò qualche istante dopo, e lo fece accompagnata da una cascata di fiamme cremisi che si scontrò con un muro di plasma di dimensioni mastodontiche creando una danza mortale di fiamme che si contorcevano freneticamente cercando invano di prevalere l'una sull'altra, una moltitudine di filamenti che parevano avere vita propria che si fronteggiavano come leoni rabbiosi per il dominio del loro territorio.
Un ruggito e un tonfo sordo, poi finalmente Cassandra ebbe il coraggio di alzare lo sguardo: dinanzi a lei, a proteggerla con le ali d'ossidiana spiegate al cielo, se ne stava Oregon ritto sulle zampe posteriori che teneva testa al proprio figlio mostrando il magma incandescente che ribolliva dal profondo della propria gola fino a risalire gocciolando ai lati del muso, un liquido viscoso che appena cadeva a terra bruciava la poca erba rimasta e riduceva in cenere ogni forma di vita rimasta in quella landa desolata, ammesso che ce ne fossero.
E proprio come i loro elementi che si erano incrociati in un vortice funesto, ora anche i due raptor erano uno di fronte all'altro, esattamente come avrebbe dovuto essere: forse Ricardo era potente, ma era anche appena nato un'altra volta e per lui sarebbe stato difficile tenere testa a qualcuno che di esperienza ne aveva ben di più, motivo per cui indietreggiava ogni volta che l'altro faceva schioccare le zanne lanciando frammenti di roccia incandescente a destra e a manca, il che era proprio ciò che Oregon voleva ottenere.
Bastò un ruggito per farlo indietreggiare ulteriormente ed iniziare ad insinuare la voglia di andarsene da quel confronto, ma quando diede segno di volerci provare ulteriormente l'altro raptor non esitò prima di lasciare che il magma colasse dalle spaccature presenti sul suo petto ed iniziasse a prendere piede sul terreno, e fu solo quando venne completamente circondato dallo stesso che Ricardo, dopo aver spalancato le immense ali ed aver lanciato un ringhio di disprezzo, prese finalmente la saggia decisione di alzarsi in volo sparendo tra le nuvole nere.
Avevano appena evitato l'Apocalisse, ma era questione di tempo perché ciò che era stato predetto dalla profezia si avverasse.
Perchè la profezia aveva ragione, sempre e comunque.


La figura del palazzo reale si stagliava imponente all'orizzonte, una sagoma scura consumata dal tempo e dalle battaglie che sembrava vegliare il paesaggio con la sua presenza secolare, una sorta di monito del presunto potere della famiglia Muscle che ora faceva riaffiorare antichi ricordi ormai sepolti e dimenticati nella polvere; il Sole era tramontato ormai da un pezzo lasciando spazio alla presenza ingombrante di una luna troppo vicina nel cielo, la stessa che con i suoi raggi biancastri illuminava le finestre dell'ultimo piano.

Lo stesso dove si trovava Ataru Muscle.
Fonti certe dicevano che il re aveva trascurato la sicurezza del fratello per concentrare le sue guardie al capezzale della moglie, a quanto pare prossima alla dipartita, e in effetti qualche uccellino le aveva anche assicurato che i corridoi del piano più alto erano praticamente deserti, fatta eccezione per i medici che andavano e venivano dalla stanza del sergente due volte al giorno, e forse era per quello che una figura incappucciata girava ormai da ore nei dintorni del castello con fare losco avvicinandosi sempre più ai confini di palazzo con un silenzio inumano.
Dopo l'ennesimo giro di ricognizione si era fermata nel punto sottostante alla finestra aperta ed aveva iniziato ad osservare ogni singolo mattone del muro cercando di coglierne almeno una manciata che potessero permetterle di arrampicasi per poi, con la stessa scaltrezza felina con la quale si era avvicinata, aveva infilato una mano in una cavità ed aveva fatto affidamento alle proprie capacità di free-climbing con la complicità della penombra.
Solo ora il bagliore lunare illuminava la sagoma femminile che stava entrando di soppiatto nel castello ad insaputa di residenti e guardie: a giudicare dalle forme doveva essere ormai una donna e non certo una ragazzina sprovveduta alle prime armi, il busto ed il seno stretti da una maglia di pelle a maniche lunghe con il collo alto, sovrastata da una sorta di gilet senza maniche dello stesso tessuto coperto da una serie infinita di lacci e cerniere che nella parte sottostante terminava similmente ad un costume intero che lasciava scoperti i fianchi e parte della coscia, i pantaloni anch'essi stretti alla pelle a vita bassa tenuti infilati negli anfibi e completati da un paio di spesse ginocchiere, il tutto accompagnato da un pesante zaino portato sulla schiena ed una tracolla alla quale era agganciato un intero arsenale di armi e proiettili.
Non era dato a sapere in quale arcano modo riuscisse a risalire così velocemente tutta la parete, stava di fatto che una manciata di minuti dopo la stessa figura se ne stava ferma ed impettita sul cornicione della finestra lasciata aperta con un pugnale stretto fra i denti: la scena era del tutto simile a quella di un quadro che un artista con non pochi problemi mentali aveva dipinto in un momento di follia, uno di quelli che ritraggono l'assassino poco prima di uccidere la vittima.
Che ora se ne stava costretta a letto in seguito al regalo ricevuto da Bone Cold e la sua banda di mercenari: avrebbe dovuto durare pochi giorni in seguito a quell'attacco, o almeno così si sperava, tuttavia Ataru non era il tipo di persona da arrendersi facilmente, motivo per cui, anche se senza un intero braccio e metà della gamba destra, era ancora vivo; non poteva parlare, certo, ma era dannatamente vivo e già quello era un problema, motivo per cuiqualcuno aveva ordinato che fosse messo a tacere.
Per sempre, questa volta.
Quando la figura femminile era entrata nell'ampia stanza chiudendosi la finestra dietro di sé l'uomo era già sveglio ed aveva iniziato a farfugliare qualcosa di non meglio definito, il massimo che l'iniezione di U.B.D. potesse concedergli, soprattutto quando vide che la donna aveva afferrato il pugnale e se lo girava e rigirava nella mano, poi con nonchalance si era fatta strada fino ad arrivare ad una poltrona al lato destro del letto poco lontano dal comodino sul quale erano poggiate le varie medicine e, esattamente con la naturalezza di qualche istante prima, si era seduta e si era accesa un sigaro preso dalla tasca posteriore dei pantaloni iniziando ad inspirare il fumo come se nulla fosse:
-Sono passati molti anni dall'ultima volta che ci siamo visti Ataru, mi riconosci ancora?- chiese senza aspettarsi una risposta, anche perché l'altro non poteva parlare, così si limitò a guardare annoiata le dense nuvole di fumo grigiastro che uscivano dalle sue labbra:
-Oh sì, stavo quasi dimenticando il tuo piccolo incidente, ti prego di scusarmi per questo attimo di distrazione ma sai, ho ben altro a cui pensare che le sorti di un lurido bastardo come te vecchio mio: la vita è dura per tutti, chi più chi meno.- asserì per poi abbandonarsi sul soffice cuscino della seduta quasi sdraiandosi.
I momenti successivi li aveva passati a guardare l'uomo senza nascondere un certo sorrisetto malefico, lo stesso che ricordava era stato lui a riservarle più di un decennio prima, e forse era stato proprio per quello che il kinniku aveva allungato una mano verso il pulsante delle emergenze posto di fronte al comodino sperando bene di non essere notato, cosa che però non accadde:
-Cosa stai facendo? Non hai voglia di parlare un po' con le conoscenze di vecchia data?- domandò spostando lo sguardo da un punto indefinito al pugnale stretto nella mano sinistra: era bastato un istante, uno solo, ed un gridolino soffocato di dolore aveva riempito la stanza, per sua fortuna da tempo immemore insonorizzata.
Ciò che era rimasto dopo quel gemito straziante era soltanto la mano rimasta di Ataru bloccata al muro a pochi millimetri dal pulsante da un coltello militare, arrivato talmente in profondità da aver scavato un solco nel muro, tenuto saldamente dalla donna i cui capelli bianco cenere ora le ricadevano sul volto segnato da una profonda cicatrice sull'occhio sinistro:
-Lo vedi questo? E' stato un tuo regalo, te lo ricordi?- chiese ancora una volta indicando all'uomo il braccio sinistro che solo adesso, per via della luce della luna che si rifletteva nel metallo lucido, rendeva visibile l'arto metallico che ricalcava perfettamente quello di carne ed ossa che doveva aver perso in passato donandole un aspetto tutt'altro che femminile:
-A quei tempi ero abbastanza disperata da accettare di fare un lavoro per voi schifosi Muscle, avevo un fratello da mantenere ed una vita da vivere, e cosa ne ho ricavato?
Un bastardo che mi ha lasciato agonizzare sotto una trave d'acciaio aspettando la morte, ecco cosa ne o ricavato piccolo lurido puttaniere che non sei altro... ma sai una cosa?
Alla fine ho vinto io, abbiamo vinto tutti: tutti tranne te.- continuò girando non senza una certa soddisfazione la lama per farlo soffrire più di quanto stesse già facendo smettendo solo quando videle lacrime sgorgare dagli occhi vitrei dell'uomo.

A quel punto allora prese nuovamente il sigaro fra le dita e ne tirò un profondo respiro sentendo il fumo riempirle i polmoni per poi rimetterselo fra le labbra, poi indossò un paio di guanti di pelle nera ed afferrò la pistola che teneva appesa alla tracolla:
-Oregon ti vuole morto, questo devono già avertelo detto, ma quel simpatico lucertolone ha avuto il buon cuore di lasciare che fossi io a finirti permettendomi di gustarmi appieno quel meraviglioso piatto che è la vendetta.- spiegò mentre saggiava la lama coperta di sangue con l'indice facendo stridere il metallo contro altro metallo notando l'espressione sorpresa del kinniku:
-Oh è vero, non lo sapevi? Lavoro per i raptor da anni ormai, qualche volta sono un po' istintivi ma almeno non abbandonano i propri compagni come se nulla fosse, hanno un innato quanto inquietante senso del lavoro di squadra e per quello che devo fare mi va più che bene: burocrazia, ingegneria, roba così, qualche volta ci scappa un omicidio ma ehi, siamo tutti un po' animali nel profondo, anche io ho i miei bisogni naturali di sterminio come tutti.- disse tranquillamente per poi gironzolare qua e là per la stanza senza un reale interesse.
Poi, del tutto pacificamente come se ne era andata dal letto, si era nuovamente avvicinata all'uomo sbottonandogli la camicia senza che lui potesse fermarla:
-Penserai che lo stia facendo per me e la mia voglia di vendicarmi, ma non è così, no che non lo è- gli sussurrò all'orecchio sfiorando la pelle con la lama fredda:
-Lo faccio per lui Ataru, per il mio fratellino e nessun altro: non puoi immaginare quante volte abbia dovuto vederlo mentre si piegava a chi non meritava nemmeno di stargli vicino, ho dovuto assistere impotente a tutti i soprusi con i quali pensavi di distruggerlo psicologicamente e fisicamente... ma no, lui non è così debole come credi, ha sempre avuto una forza che nemmeno io riuscivo a trovare, e da quello che vedo qui te lo ha dimostrato.- ridacchiò malignamente sollevando il coltello e rimettendoselo fra i denti per poi afferrare la pistola che teneva a tracolla e piantarla sulla spalla:
-Te lo ricordi quel proiettile, quello che ti ha permesso di catturarlo nemmeno fosse un animale?
Io credo di sì, ma voglio esserne sicura.- lo avvisò poco prima di esplodere un colpo che macchiò il lenzuolo sottostante di carne e sangue miste a frammenti di ossa.
Nonostante fosse concentrata nella sua missione la donna non tralasciò il rumore di passi che sentiva provenire da lontano, così con una mano iniziò a frugare nello zaino che aveva poggiato a terra e ne tirò fuori una piccola fiamma ossidrica portatile che pose sul comodino per poi metterci sopra la lama del pugnale poi, quando aveva giudicato il metallo abbastanza caldo, lo aveva utilizzato per scavare la pelle del kinniku: un lavoro tremendamente doloroso a giudicare dalle grida mute di Ataru, ormai impossibilitato a chiedere aiuto, che era durato un'eternità ma che alla fine, proprio quando lei lo aveva terminato e si era alzata a guardarlo, sembrava essere stato ritenuto più che ottimo.
Era stato allora che la donna aveva approfittato dell'apertura della bocca dell'altro per infilarglici dentro la canna del kalashnikov e spingerla leggermente verso l'orecchio sinistro come aveva visto fare in decine e decine di suicidi, il tutto non prima di averlo umiliato ancora una volta: non si fece troppi quesiti morali o etici prima di sfilarsi il gilet e la maglia di pelle appoggiandoli sulle sponde del letto scoprendo il seno con tutta la naturalezza che il mondo avrebbe potuto offrirle e quasi sdraiandosi sopra di lui mentre con la mano libera constatava l'erezione che aveva già intravisto:
-Morirai con il cazzo duro e il corpo freddo, proprio come il vecchio porco che ricordavo: come si dice “Il lupo perde il pelo ma non il vizio”... - disse annoiata scostandosi sensualmente i capelli dal volto per legarli in una coda di cavallo sulla nuca:
-Ma questo lupacchiotto ha appena trovato il cacciatore pronto a scuoiarlo.- concluse con un ultimo ghigno beffardo sul viso, poi il nulla.
Un colpo, solo uno.
Non ne sarebbero serviti altri.

Come previsto dalla donna i passi erano quelli di King Muscle, Robin Mask ed alcune guardie di palazzo attirate nella stanza sia dal presunto avvistamento di un contadino che stava rientrando a casa quando aveva visto qualcuno entrare dalla finestra sia dal colpo del fucile, e quando erano entrati c'era mancato poco che persino il grande kinniku svenisse per l'orrore: il corpo del fratello se ne stava steso praticamente nudo sul letto con la testa ormai ridotta a poltiglia sparsa per tutta la stanza e con il petto solcato da una frase che ai presenti suonò terribilmente famigliare:
Justice Plague send her regards.




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Angolino dell'autrice

Bentornati in un nuovo quanto esagerato capitolo, uno di quelli dove il disagio più assoluto dilaga fra i pantaloni di Ataru (?)
Ok, dopo questa disdicevole introduzione non posso che darvi il bentornato in questa ff che non aggiornavo da un po' causa mancanza di voglia e/o tempo, ma ammetto che il ritorno in questo capitolo è stato in grande (?) stile.
E lo stile non è l'unica cosa grand... ok la smetto.
Cooooomunque... non dico nulla altrimenti finisce che anticipo eventuali recensioni, e mi scusos e lo faccio spesso ahahah, ma come avete visto ho finalmente messo fine all'agonia di Ataru, anche perchè mi sono ricordata solo qualche giorno fa che non era ancora morto, introducendo un nuovo personaggio che qualcuno conoscerà già causa discussioni su Facebook :'D
Detto questo se volete lasciare un commento siete i benvenuti, quello fa smerpe piacere :3
Ah sì: Lannister send their regards :D
Intanto vi lascio le immagini che descrivono benissimo l'aspetto di Oregon (quello nero) ed il nuovo Ricardo (quello bianco, anche se mancano due ali ahahah)

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