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Autore: Ermal    03/02/2009    1 recensioni
"Sena ebbe quest'impressione solo per un momento, prima di sentirsi definitivamente schiacciato dalla mole di quella scuola incredibile, e non solo dalla mole delle sue guglie altissime, ma anche e soprattutto dalla sua fama di istituto di altissimo livello, ed estremamente, mortalmente selettivo nelle sue ammissioni.
Ojou Private Senior Hight School. E già il nome non era incoraggiante."
Non l'ha fatto di propria volontà, ma Sena si è veramente iscritto al liceo Ojou, e lì dovrà vedersela proprio con quelli che altrimenti sarebbero stati i suoi più acerrimi nemici.
Cosa sarebbe successo se Sena non si fosse mai iscritto alla Deimon?
[ShinSena][TakamiSakuraba]
Genere: Romantico, Drammatico, Erotico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lemon, What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Dunque dunque bella gente!

So di essere sommersa dagli impegni e dalle fanfic, ma questa veramente mi ha ossessionato per un mese intero, e alla fine non ho potuto non scriverla. *w*

La domanda è molto semplice: cosa sarebbe accaduto se Sena non si fosse iscritto alla Deimon, ma all'Ojou? *-*

Pairings: ShinxSena, TakamixSakuraba.

WARNING: YAOI, e annuncio fin da subito che ben presto il raiting si alzerà bruscamente per presenza di esplicite scene lemon. Quindi chi si sente offeso dalle coppie o dalle tematiche omoerotiche, clicchi sulla X rossa in alto a destra e si levi dalle scatole. ^w^

A chi resta, buona lettura! ^3^





A few yards from the love


Prologo







Era mattina e i ciliegi, meraviglioso spettacolo di grazia e bellezza, davano con le loro chiome fiorite uno strano aspetto esotico a quella prestigiosa scuola simile ad una cattedrale gotica. La pietra grigia come ammorbidita dai soffici petali dei fiori degli alberi, l'aspetto austero, eppure di un'impressionante magnificenza, reso quasi accogliente.

Kobayakawa Sena ebbe quest'impressione solo per un momento, prima di sentirsi definitivamente schiacciato dalla mole di quella scuola incredibile, e non solo dalla mole delle sue guglie altissime, ma anche e soprattutto dalla sua fama di istituto di altissimo livello, ed estremamente, mortalmente selettivo nelle sue ammissioni.

Ojou Private Senior Hight School. E già il nome non era incoraggiante.

E Sena entrò dai cancelli altissimi in ferro battuto con il cuore pesante, l'angoscia della certezza che gli pesava sul capo e rendeva amara la saliva. L'aspettativa era quasi nulla, anche perché, effettivamente quante possibilità c'erano che uno come lui fosse passato e fosse stato ammesso in quella scuola il cui solo nome bastava per far cadere le mandibole degli adulti in delle “O” impressionate?

Nessuna, di certo.

Anche perché Kobayakawa Sena non si sarebbe mai iscritto di propria volontà all'Ojou: era stata sua madre a costringerlo, affermando senza possibilità di replica che non avrebbe accettato nulla di meno da parte del proprio figlio. Eppure sapeva che Sena non era una cima in nessuna materia, e che faceva veramente schifo tanto in inglese (l'arabo sarebbe stato più comprensibile), quanto in matematica.

Ma a casa Kobayakawa la parola di sua madre era incontestabile, e chiedere aiuto a suo padre sarebbe stato tempo perso. In definitiva, a Sena non era rimasto altro che andare al macello da bravo agnellino.

E pur avendo l'assoluta certezza che nemmeno dopo mille anni di studio sarebbe riuscito a superare i test d'ingresso, Sena aveva studiato. Molto, davvero molto, come non aveva mai fatto, come un disperato. Aveva chiesto spudoratamente aiuto a Mamori-nee-san, si era ammazzato sui libri, aveva passato notti in bianco per finire di studiare il programma, prendendosi la testa fra le mani e colpendo il libro con la fronte quando, dopo nove ore di studio, si accorgeva di non essere arrivato a nulla, assolutamente a nulla. Solo occhi rossi per la fatica e per quelle crisi di pianto nervoso che a volte lo coglievano di sera quando la stanchezza era troppa e lui si sentiva sempre più inetto e sempre più incapace.

Non era mai stato bello per Sena sentirsi un buono a niente. Ma quando glielo dicevano gli altri nella vita di tutti i giorni in qualche maniera faceva meno male, perché nonostante l'umiliazione e l'amarezza, Sena concordava con loro e accettava i propri limiti. Ma ritrovarsi faccia a faccia con tutto ciò e capire che quelle persone malevole avevano sempre avuto davvero ragione, e che lui era realmente un incapace buono a niente e che proprio per questo motivo avrebbe finito per deludere tutti, era davvero un'altra cosa. Nessuno aveva mai avuto delle aspettative nei suoi confronti, e se per questo di certo nemmeno fiducia; ecco perché il ritrovarsi a fare i conti con le inaspettate e pesantissime aspettative di sua madre era stato per Sena un vero e proprio shock.

Aspettative, siamo sinceri, solo e soltanto aspettative. La fiducia era per qualcun altro.

Forse era per questo che Sena si era ammazzato di studio senza avere nessuna speranza, ed ora sembrava avanzare verso il patibolo, senza alcuna speranza di vedere il proprio nome fra quello degli ammessi. Conosceva le aspettative, e sapeva di averle deluse, come al solito. Anche perché nessuno aveva mai avuto fiducia in lui, né sua madre, che nonostante tutto gli aveva imposto quel peso, né Mamori-nee-san, che lo aveva aiutato come poteva, ma con la sconfitta già dipinta in faccia, né tanto meno lui stesso.

Cosa ci stava a fare lì fra quei ciliegi in fiore e all'ombra di quelle guglie imponenti, troppo alte per i tappetti incapaci come lui?

Sena non sapeva darsi una risposta, ma sapeva che questo era ciò che gli spettava per aver osato bussare alla porta dei re. Quindi si lasciò trascinare dalla folla di studenti eccitati, fino alla bacheca.

Lì c'era davvero troppa gente, tutti più alti e più grossi di lui, e il fastidioso odore di sudore gli torturava le narici. Un breve ma acuto dolore alle scapole gli annunciò di essersi preso una gomitata. Incapace di fare altro, lasciò che la gente davanti a lui avanzasse e la seguì come un sonnambulo, finché non trovò un varco fra quei corpi accaldati e oltre ad esso una grande bacheca bianca. Sopra di essa c'erano dei numeri neri.

Sena aveva in mano un cartellino e si premurò di guardarlo per sicurezza.

021

Sospirò una volta, poi un'altra per essere sicuro di essere pronto, e poi una terza per accertarsi di non essersi sbagliato. Non era comunque convinto, ma la folla dietro di lui incalzava e non c'era tempo per un quarto respiro. Si alzò sulle punte dei piedi per vedere meglio e scrutò la parte della bacheca per trovare il proprio numero nel posto che meritava: fra i bocciati.

Quando arrivò a metà e ancora non aveva trovato il proprio numero pensò che il destino era veramente crudele a volergli prolungare le sofferenze in quel modo. Quando superò la metà senza aver trovato nulla il dubbio diede una timida bussata alla porta del suo cervello. Quando raggiunse la fine senza aver visto neanche l'ombra di uno 021, non sapeva cosa pensare. Se non di essersi sbagliato. Ripercorse tutta la tabella, una, due, tre volte, ma dello 021 non c'era traccia.

Sena sapeva che ad un passo dalla sua mente la speranza si stava già preparando ad entrare per fare baldoria, scombussolargli tutte le sue aspettative e illuderlo irrimediabilmente, ubriacandolo di sogni, quindi si impose di rimanere lucido, di non concedersi il lusso di nessuna, dolorosa illusione.

Appurato di non essere fra i bocciati, Sena si voltò con gli occhi vitrei verso la parte del tabellone che contava i promossi. Nella prima metà superiore non vide il proprio numero, eppure, stranamente, questo non sembrò scoraggiare la scintilla di fede che ancora si agitata in un angolo della sua testa. All'inizio della seconda metà non trovò nulla, e per un attimo Sena temette di non trovare affatto il proprio numero in quella bacheca, e che forse i suoi risultati erano stati così pessimi da non essere degni neppure di essere esposti alla vista di tutti.

Poi lo vide. Piccolo e scuro, proprio nell'angolino.

021

Promosso.

Controllò non sapeva nemmeno quante volte di aver visto bene, di non aver sbagliato tabellone o numero, o di essere diventato pazzo o di stare sognando.

Ma lo 021 era lì, piccolo ma sicuro, e non c'erano illusioni a tendergli un agguato o disillusioni a prenderlo a schiaffi.

Era passato.

Era passato veramente.

La consapevolezza lo afferrò come una mano guantata d'acciaio e mentre la folla impaziente lo spintonava via, Sena sentì che in qualche modo quella marea di gente stava trascinando via assieme a sé anche una parte di lui. E Sena non ne era triste. Perché quella parte pesava più del piombo ed ora, finalmente dopo molte settimane, il ragazzino si sentiva finalmente libero di respirare.

Si ritrovò le guance bagnate. Ne fu felice.

Una piccola bolla di felicità gli si gonfiò nel petto, e Sena sorrise assieme ad essa: per una volta, per una piccola e stupida volta, finalmente poteva essere orgoglioso di sé stesso.

E non gli importava se i tre anni seguenti sarebbero stati durissimi per lui, perché in quel momento ce l'aveva fatta e anche un piccoletto inutile come lui poteva concedersi un minimo di speranza per il futuro.







   
 
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