A
soul,
a glass
(Ovviamente non voglio, in alcun modo, urtare la sensibilità di nessuno, con questa fic.)
Il
tempo stillava lento e cadenzato come gocce di pioggia. Impietoso,
corrosivo, sfibrante.
Come l'acqua che mangia la pietra, il tempo
stava mangiando Sam – o quel che restava di lui.
Tocco dopo
tocco, insistente, si insinuava leggero tra un lamento e l'altro,
laggiù, in quell'angolo dimenticato da Dio e dai demoni
stessi. Un
grido, un "Dio, perdonami!" urlato con disperazione in
mezzo ai singhiozzi indirizzato al nulla, uno spezzarsi a
metà e
Adam era stato eliminato. Ancora una volta.
Sam non si mosse
nemmeno, raggomitolato su se stesso, nudo, un sapore ferroso in
bocca, le palpebre cucite tra loro da un filo grezzo.
Poteva
essere lì da un'ora come da cinquanta e più anni;
aveva scoperto
che il concetto di scorrimento del tempo all'Inferno, nella Gabbia di
Lucifero, era molto relativo e lui proprio non riusciva ad afferrarlo
completamente. C'aveva provato, giusto i primi istanti, giusto per
aggrapparsi ad un qualcosa che avrebbe dovuto restare fisso ovunque.
Una legge universale, un'asse su cui tutto il Creato doveva basarsi.
Ma fu relativamente veloce a comprendere che lì no, non
valeva.
Anche perché intorno alla quarantatreesima volta che era
rimasto
ucciso per ricrearsi di nuovo, da capo, per il divertimento immenso
di Lucifer e Michael che perseguivano nel loro improvviso cameratismo
nella tortura, aveva perso il conto.
Qualcosa, comunque, ad un
certo punto era cambiato. Michael aveva smesso di giocare con lui,
per concentrarsi più spesso su Adam. Ed egoisticamente,
vergognosamente, aveva potuto tirare un simil-respiro di sollievo.
L'unico, incompleto da quand'era lì.
Avrebbe chiesto scusa a quel
suo fratello minore sconosciuto, se avesse potuto, pensando a come si
sarebbe comportato Dean al suo posto.
Urlava, tirava un sospiro
sibilante, le costole dolevano, la pelle si lacerava: Sam non sapeva
fare il fratello maggiore. Sapeva proteggere Dean, ma Dean era
fantastico – e sano e salvo, al sicuro, sulla Terra. Se lo
ripeteva
come un mantra, una sorta d'atto di fede – ed era solo per
sé. Si
scusava di tanto in tanto con Adam, Sam, ma non era in grado
– in
quel contesto meno che mai – di proteggerlo.
A
Sam non era chiara la conformazione dell'ambiente di quella Gabbia;
era come divisa in parti, ma non stanze. Dimensioni, semplicemente,
che lui percepiva come celle di pietra, spazi angusti, sporchi, vuoti
e scuri. Ma, quell'orribile e assoluta lucidità che gli
rimaneva,
nonostante tutto, gli permetteva di prendere in considerazione l'idea
che forse era tutta una sua proiezione mentale. O di
Lucifer.
Lucifer, già. Sam era il suo gioco preferito.
Inizialmente, aveva blaterato di quanto fosse noioso passare secoli e
secoli chiuso lì dentro, da solo. Ma ora aveva Sam, Samuel,
Sammy,
il ragazzo Winchester, il drogato di sangue di demone e allora il suo
soggiorno sarebbe stato molto migliore, interessante, divertente.
Come se tutto questo non fosse stato abbastanza terribile di per
sé,
gliel'aveva detto mentre lo scuoiava – letteralmente, fino a
che
l'anima resistette. Dopodiché tutto ripartì da
capo.
E
Sam perseguiva la sua lucidità. Si era lacerato gli angoli
delle
labbra e le corde vocali pur di farsi ascoltare da quel Dio che ora
non l'assisteva in niente, implorando l'incoscienza, implorando lo
smettere di sentire tutto quel dolore che partiva dal centro del
petto, implodeva e si irradiava ancora e ancora, spezzandogli le
ossa, masticandogli la carne. Aveva implorato, ma nessuno aveva
risposto. E quindi Sam era arrivato a capire che un'altra prerogativa
dell'essere immateriale, di lasciare l'anima in balia delle bestie,
era l'impossibilità di spegnersi in qualche modo che non
comprendesse la fine. Non la morte, una fine. Un confine valicabile
oltre al quale niente cambiava: si tornava indietro, al punto di
partenza. Lucifer lo salutava e poi si ricominciava.
Era
un gioco crudele fatto di sangue e catene e grida. E frammenti
d'anima, di vita, di ricordi che venivano sfibrati, ma non spezzati
–
mai spezzati. Perché lì il re della Gabbia era
Lucifer ed era
quell'angelo caduto a comandare.
«Sam!?»
Un tempo Sam
avrebbe detto che sentire quella voce, in quel luogo, sarebbe stato
come strapparsi gli organi a mani nude. Tuttavia, ora che il dolore
aveva perso la comprensibilità umana ed aveva toccato nuove
soglie,
il paragone non era più fattibile.
Fu con uno strattone che gli
provocò un dolore lancinante in tutto il corpo che si
tirò a
sedere, strisciando in quell'angolo di pavimento zuppo di sangue,
sporco e chissà cos'altro in cui gli era concesso di
muoversi.
«Dean?» Lo sussurrò, voltandosi
febbrilmente verso la
direzione da cui era provenuta la voce, senza tuttavia poter vedere
niente a causa della cecità in cui era costretto.
«Dio mio –
Dean.» Singhiozzò, incapace di contenersi.
Incapace di tenere
dentro di sé la genuina disperazione e il terrore
più nero in cui
era piombato, mentre il cervello lavorava in modo pauroso, inseguendo
allo stremo un filo da poter afferrare, per capire.
Ma il filo
non c'era, sgusciava via sfuggendo, prendendosi gioco di Sam, e
tuttavia, i passi che gli si avvicinavano erano inconfondibili. Li
avrebbe riconosciuti in mezzo ad una folla.
Per
una volta non si sottrasse al tocco di una mano. Per una volta, da
giorni, mesi o anni, si lasciò sfiorare e ebbe la
scelleratezza di
sperare.
«Sammy...» Il sussurro era inconfondibile e Sam
avvertì il filo che gli cuciva le palpebre incrostate dal
sangue e
dalle lacrime tirare dolorosamente.
Non aveva idea di cosa stesse
succedendo ed in un'altra esistenza avrebbe compreso che lì
Dean non
doveva essere presente. Però il mondo aveva perso
significato e la
vita anche e l'unica cosa che gli era rimasta tra le mani era il viso
di suo fratello, bello com'era sempre stato, gli occhi che
nell'ambiente in cui si trovava sfumavano in un inquietante, orrendo,
terribile rosso.
In
poco tempo pensò a molto: pensò che fosse morto
definitivamente,
che l'anima si fosse spezzata, che avesse smosso la pena di Lucifer e
perfino che Dean fosse riuscito a raggiungerlo e riportarlo alla vita
– quella vita che aveva smesso di conoscere.
E mentre aveva la
testa piena, allo stesso tempo era vuota e un rumore sordo la
dominava.
Perché di Sam erano rimasti i frammenti, piccoli e
taglienti, bloccati lì. Cenere bianca di un ragazzo che fu
che non
riusciva a disperdersi e a trovare il mare.
«Ti porto fuori io da
qui...»
Sentì sussurrare dalla voce di suo fratello e Sam non
poté impedirsi di respirare.
Avvertì con chiarezza il dolore
pungente che lo percosse non appena compì quel gesto, a
causa delle
costole che era sicuro fossero sbriciolate, ma Sam, nonostante tutto,
si concesse l'egoismo che sempre aveva rifuggito in vita, e di una
cosa si rese conto: aveva bisogno di essere salvato. E voleva
essere salvato. Lo voleva disperatamente.
Il cuore – il cuore
tornò a battere. Subito, rapido, come se fosse stato
incatenato ad
un masso fino a quel momento. Come se fosse stato costretto in una
scatola minuscola, dai bordi taglienti – un gioco sadico di
un
aguzzino folle, che in quel caso Sam stesso, per un bene superiore
che appariva improvvisamente insensato, si era cercato.
Deglutì
e la gola raschiata frizzò, bile e sangue gli salirono alla
bocca
mentre puntellava un piede nudo sul terreno e tentava di drizzarsi
per lasciarsi andare, lasciarsi prendere da Dean e andare –
ovunque, ma non lì.
Non capì cosa stesse succedendo finché non
sentì, con una chiarezza agghiacciante, il filo grezzo che
gli
cuciva le palpebre sfilarsi dai fori insanguinati. Il suo cervello
processò distrattamente che doveva essere opera di Dean
– perché
nessun altro era con loro, in quel momento.
(“Dio– Sam! Sam--- Sam, per favore!” Le grida di Adam, ancora, che giungevano come sentenze, corrodendogli il cranio come acido gettato direttamente sul cervello – non poteva prendersi cura di suo fratello, ma Dean era lì e doveva andarsene)
La
voce di Dean gli giunse rassicurante: gli sussurrò, mentre
Sam,
reprimendo uggiolii di dolore, tentava dolorosamente di aprire gli
occhi incollati tra loro da troppo male, di non ascoltare. Che andava
tutto bene, l'avrebbe tirato fuori da lì, Sammy,
staremo
bene.
E addirittura Sam si
concesse di pensare all'odore di cuoio dell'Impala e lo sguardo
adorante di suo fratello addosso.
Se non avesse già finito le
lacrime, avrebbe pianto. E per una volta dalla gioia.
Prima
uno spiraglio stentoreo di luce rossastra che filtrava – la
riconobbe, perché era divenuta ormai orrendamente
famigliare. Gli ci
volle qualche istante, le gambe che tremavano a causa della
debolezza, ma era in piedi, il calore rassicurante di Dean accanto a
sé (e per un momento si concentrò anche sul calore,
sì; erano secoli che non smetteva di patire
gelo).
Non senza sforzo, alla fine, riuscì ad aprire gli occhi, che
restavano pesti e gonfi e incrostati di sangue e lacrime e pus
– e
di pura e semplice resa, che sulle ciglia si era depositata e ora
mangiava il volto di Sam.
Il ragazzo si voltò verso Dean. Si
prese un tempo che tanto non veniva chiamato,
lì, e rimase a bocca aperta, le labbra talmente screpolate
da
sembrare sabbia e rotte in più punti i quali non smettevano
di
sanguinare.
Per la prima volta, dopo troppo, poté vedere qualcosa
di bello.
Bello sul serio – e non qualcosa
di bello e basta. Poté
vedere la vita, nella
sua forma più pura e più avvicinabile.
Poté vedere l'amore, ciò
che aveva perduto, ciò per cui si era sacrificato.
Ciò da cui
voleva tornare, ciò che voleva toccare e sentire. Voleva
contare
quelle lentiggini, soffermarsi sulle labbra fin troppo perfette
–
disegnate –, trovare
il nome della gradazione di verde di quegli occhi e l'angolazione
precisa del naso dritto. Vide tutto questo e vide di più
– vide il
sole e la luna e le stelle ed un campo ed i fiori, un bambino
giocare, una donna ridere e un cavallo correre libero ed il mare
senza orizzonte, boschi essere i gioielli della Terra – e
vide Dean
e se stesso che si sorridevano complici, seduti nell'abitacolo
dell'Impala. E capì che il mondo era bello, che la vita era
preziosa, che voleva Dean e che lui doveva tornare a far parte di
tutto quello. Perché Sam non voleva
svanire.
Capire
tutto ciò fu come ricevere un cazzotto dritto sul pomo
d'Adamo.
Tutto quel bene che gli si imponeva così violentemente lo
destabilizzò e barcollò sul posto, ma Dean fu
pronto a sorreggerlo
e a sorridergli.
E proprio mentre Sam si fermava a perdersi nei
denti dritti e bianchissimi del suo personale angelo (senza ali,
senz'aureola e con un'enorme mole di peccati sulle spalle –
ben
lungi dall'essere puro), fu con cruda chiarezza che del sangue
sgorgò
dal centro del collo di Dean.
Fu lì che si aprì un foro che
sembrava voler risucchiare tutto ciò che Sam aveva compreso
ed aveva
visto, mentre quegli occhi dalla gradazione sconosciuta di verde si
stravolgevano e quelle labbra disegnate si socchiudevano inorridite,
riflettendo la medesima espressione del tramite di Lucifer.
Una
rosa fiorì rapida sulla pelle candida del giovane uomo sceso
all'Inferno e tornato indietro. Fiorì bella e terribile
–
velenosa. E come tutte le rose, aveva le spine.
Il
corpo di Dean cadde a terra, gli occhi spalancati e terrorizzati
fissi su Sam, prima che quest'ultimo potesse anche solo processare
l'azione di urlare. Urlare finché non avesse sputato
l'esofago, le
corde vocali e i polmoni, giusto per capire se potevano ancora
servirgli dopo aver visto suo fratello morire davanti a sé.
«Aaah–
Sammy, Sammy, Sammy... tsk, tsk, tsk.»
La voce melliflua di
Lucifer entrò nella stanza come un ordigno nucleare. Fu come
se Sam
venisse nuovamente scaraventato in un (a)normale scorrimento del
tempo, nella terribile realtà che ora era la sua (non) vita.
Sam,
le labbra spalancate, un urlo rimasto a imperversare nello stomaco
che saliva come uno tsunami agli occhi, sollevò il volto
distrutto
sull'angelo – la cui bellezza, pur nel corpo di quel povero
bastardo in cui continuava a vederlo, era chiara e più
folgorante
che mai – Sam poteva percepirla.
Il portatore di luce mosse un
paio di passi nello spazio di Sam, piegando il capo di lato e
corrucciando con disappunto le labbra, gli occhi puntati sul corpo
morto di Dean – ancora perfetto ed immutato, anche se la vita
non
scorreva più lì.
«Stavolta neanche c'è stato gusto, sai?
Pensavo che ti saresti messo a urlare contro di me, a dirmi –
buuh-uh!, che sono veramente cattivo a scegliere le allucinazioni
“dell'amore” come
giochetto con cui trastullarmi un po'.»
Lucifer aveva usato un
tono scanzonato e tranquillo – il tono che gli permetteva di
insinuarsi negli anfratti più bui di Sam per poi infilare un
dito
nelle ferite e rigirarlo e metterci del sale e stracciargli l'anima
per l'eternità.
Diede un colpetto alla gamba di Dean col piede,
sotto gli occhi increduli di Sam, incapace di fare alcunché.
Perché
non c'era da fare alcunché.
Nel delirio che in quel momento era la sua mente, però,
poté
capire che se Lucifer era lì ad apostrofarlo, significava
che il
Dean che aveva visto non era altro che una proiezione e che quindi il
Dean reale stava bene, era con Lisa, sarebbe
vissuto.
E quella consapevolezza bastava: ormai lui era un'anima e quando
l'altra metà di questa, la gemella,
stava bene, allora il mondo poteva ancora risultare vivibile.
Lucifer non si lasciò sfuggire le ampie spalle di Sam che si
rilassarono appena a quel pensiero.
«E invece ci sei cascato con
tutte le scarpe.» Sospirò con fare affranto,
mentre il ragazzo si
sforzava di non soffermarsi sul corpo di suo fratello e di pensare
che era vivo, Dean esisteva.
«Probabilmente
è perché si trattava del vero
Dean, sai... in carne e ossa.»
L'angelo si mordicchiò
distrattamente il labbro inferiore e poi si piegò sulle
ginocchia al
fianco del corpo del maggiore dei Winchester, suoi personali
giochini.
Osservò con aria corrucciata il viso ancora
pietrificato nel momento della morte, il velo lucido di sangue che
andava già solidificandosi, creando una stola intorno al
collo e
alle spalle, a proteggerlo da ciò che niente lo poteva
più
tangere.
«Povero diavolo...» Buttò lì
Lucifer, prima di
ridacchiare tra sé, apprezzando una macabra ironia tutta
sua.
Sam,
al contrario, aveva appena sentito un dolore concreto – lo
stesso
di quando il caduto prendeva il suo rasoio e gli portava via con
precisione maniacale e infinita pazienza lembi di pelle.
Si sentì
morire – e ciò, nel delirio del momento, lo
sorprese, perché lui,
in effetti, era già
morto.
«Stai mentendo.»
Sentenziò, la voce arrochita e
profonda, la salivazione che improvvisamente accelerava e lui
prendeva a deglutire furiosamente, un giramento di testa che lo fece
muovere due passi indietro in modo malfermo.
Lucifer drizzò il
viso verso di lui e sembrò quasi indignato, per un momento:
«No che
non lo sto facendo, Sammy. Sono un angelo, non ti mentirei
mai.»
Si
drizzò in piedi e avanzò di un passo scavalcando
Dean come se fosse
spazzatura, avvicinandosi a Sam come se fosse un predatore pronto a
colpire a morte la sua preda – in quel momento scossa dai
singhiozzi e tremante, la mole del ragazzo che improvvisamente si
vanificava, facendolo apparire un povero disperato qualunque.
Adorabile.
«Okay,
questo te lo confesso: ha avuto un piccolo aiuto da me e mio
fratello, di là con il tuo fratellino Adam.
Perché non sarebbe mai
potuto entrare nella mia
Gabbia senza di me – figuriamoci. Perciò gli ho
fatto credere che
un... alakazam di
qualche genere l'avrebbe condotto fin qui. Io gli ho solamente dato
il benvenuto e ovviamente lui si è precipitato a salvarti.
Un po'
stupido, in effetti.»
Mormorò tra sé, accigliandosi.
Sam...
restò lì. Era diventato impossibile continuare a
esprimere il
dolore e il senso di perdita e la disperazione – era
diventato
impossibile dosare quel tutto per
poi poter rinchiuderlo in lettere e parole e prendersi poi la briga
di articolarle. Era come se il vocabolario che lui conosceva fosse
diventato troppo povero. Non esistevano parole che potessero anche
solo lontanamente avvicinarsi al terrore sordo, gelido, distruttivo,
delirante, orrendo e spietato che gli urlava selvaggio nella
testa.
Il vocabolario era troppo povero, o era il dolore ad essere
troppo ricco.
«L'hai ucciso.» Fu un sussurro, mentre lacrime che
pensava di aver terminato salivano agli occhi, inondandoli.
Lucifer
scosse la testa prima da un lato e poi dall'altro, neanche stesse
soppesando la risposta.
«Mmmh- sì. L'ho fatto.»
Sam deglutì
e poi boccheggiò, mentre le ginocchia cedevano e non
riusciva ad
impedirsi di fermare di nuovo i suoi occhi sul corpo di Dean. Era
svuotato di qualunque cosa. E la speranza – neanche quella
c'era
più. E quando non si ha più speranza, si muore
– ma Sam
non poteva neanche morire – non più di
così.
«Hai
me e hai Adam. Perché anche Dean?»
Scandì, non riuscendo a
reprimere un sussulto, mentre lacrime (che si accorse: erano rosse
–
sangue) prendevano a tracciargli tranquilli e precisi sentieri sulle
guance, come a volerlo consolare col loro tocco leggero.
«La
domanda è “perché
no”.»
Fu la risposta lapidaria,
inzuppata di ovvietà che sottolineò ancora con
una scrollata di
spalle e un risolino stridente.
«Insomma, è entrato in casa mia
per portarmi via ciò che mi appartiene. Mi sembra abbastanza
logico.»
Bofonchiò tra sé l'angelo, passandosi
distrattamente
una mano sulla guancia e grattandosela con noncuranza.
Le parole
di Sam calarono su loro due, così connessi, come una
ghigliottina:
«Riportalo indietro. Riportalo sulla Terra, fallo vivere di
nuovo.»
Lucifer si prese qualche istante per concedergli uno
sguardo sorpreso con una deliziosa teatralità, prima di
piegarsi
nuovamente sulle ginocchia per portarsi all'altezza del suo topo
–
e lui era il gatto, che lo cacciava sornione.
«Possibile che
anche durante una convivenza con Satana in persona voi Winchester
abbiate voglia di pensare l'uno all'altro? Permettimi di dirti,
Sammy, che sta diventando un po' monotona, la solfa.»
Aveva
simulato un tono incredulo, mentre piegava il viso – e per un
momento perse la patina di crudeltà che solo un occhio
attento
poteva vedere – e osservava Sam con espressione accigliata.
Il
ragazzo sollevò il viso, gli occhi inondati di quelle
lacrime rosse,
il corpo nudo ed emaciato, spellato, spezzato e spigoloso non
l'avevano mai fatto sembrare più misero e disperato di
così. E
nonostante questo ancora si poteva vedere il valore malato dei
Winchester.
«Riportalo. Ti prego.»
Lucifer restò a
guardarlo per qualche momento, dagli occhi infossati e azzurri non
faceva trasparire niente. Ad un certo punto, con Sam che ancora lo
fissava, con Sam che non ce la faceva
più, sollevò
una mano e finse di volerlo accarezzare – gesto da cui il
minore
dei Winchester si scostò bruscamente, prima di notare
l'espressione
dell'angelo che improvvisamente si indurì. E allora
incavò il capo
nelle spalle e si lasciò raggiungere, mentre i polpastrelli
di
indice e medio di Lucifer sfarfallavano distratti sullo zigomo
spaccato – senza toccarlo e senza neanche non farlo.
Il ghigno
divertito del diavolo crebbe ancora di più dopo un
manrovescio che
fece cadere Sam a terra, di lato, completamente prostrato ai suoi
piedi.
«Ah, ora mi preghi? Siete un caso perso...» disse,
scuotendo con divertimento il viso e notando che gli occhi di Sam,
che non si era lasciato sfuggire un singolo lamento, si erano
spostati sul volto senza vita di Dean.
Il ragazzo restò in
silenzio e Lucifer si alzò in piedi, assumendo un'andatura
ciondolante.
«Cosa mi offri in cambio?»
La domanda
dell'angelo arrivò a bruciapelo, stroncando sul nascere un
respiro
sibilante di Sam, del tutto abbandonato a terra. Non valeva la pena
neanche di muoversi. Aveva finito i modi per esprimere il male
–
era
solo un uomo,
dopo tutto.
Tuttavia, il viso pesto del giovane Winchester si drizzò,
improvvisamente attento, l'ombra di una vecchia prontezza di spirito
che si intravvedeva tra i tratti distrutti.
Per un momento
assunse un'espressione confusa, ma poi deglutì e
gonfiò
dolorosamente il petto. Non aveva più niente da dargli
– aveva
letteralmente
la sua anima. Per cui si sentì sicuro quando
pronunciò quelle tre
parole che avrebbero potuto significare il mondo, in un altro tempo:
«Quello che vuoi.»
Gli occhi verdi di suo fratello continuavano
a fissarlo, appiccicati addosso come se fossero cuciti. Appiccicati
addosso come se fossero fatti di fuoco. Gli chiese scusa per non
averlo saputo proteggere, per aver sperato davvero che arrivasse e
che lo salvasse, per essere così schifosamente
debole.
E forse, però, poteva donargli la vita anche dalla Gabbia.
Poteva
donargli la vita così come Dean, da sempre, la donava a
lui.
«Ottimo.»
Sorrise il diavolo, sornione. Poi schioccò
le dita.
Sam
si ritrovò curato di ogni ferita, di ogni contusione, di
ogni
dolore. La consapevolezza di Dean morto era come una falce puntata al
collo, pronta a fargli saltare via la testa in ogni istante.
Il
ragazzo era ancora nudo come un verme, polsi e caviglie legati a due
assi di legno incrociate a formare una X – gli mancavano solo
i
chiodi per emulare Sant'Andrea. Con i piedi non toccava terra e
davanti a sé ancora Dean non si era mosso di un centimetro.
Gli
occhi ancora spalancati, ancora a fissarlo, ancora a spezzargli il
fiato in gola, ancora a chiedergli “scusa” o
“per favore” -
nella mente di Sam.
«Ti sei offerto, Sammy. Il mio agnellino
sacrificale...» Sghignazzò Lucifer, genuinamente
divertito. Spuntò
da dietro la sua croce, mentre Sam si voltava di scatto, ora il viso
rigenerato e le sopracciglia che si accigliavano all'istante.
Tentò
un paio di strattoni alle spesse catene rugginose che lo tenevano
fermo, più per riflesso che per reale convinzione di
potersene
liberare.
«E sai cosa voglio?» Proseguì l'angelo,
senza neanche
curarsi realmente dei gesti di Sam.
Lucifer si piazzò davanti al
ragazzo poco più alto di lui che teneva le labbra fini
strette in
una linea, deciso a non proferire neanche una parola. Non avrebbe
detto altro, se non il necessario per far tornare Dean in
vita.
«Voglio tutto.» Concluse Lucifer e calò
rapido il viso su
quello di Sam. Le labbra combaciarono e il gesto non fu per niente
gentile.
Il caduto forzò senza remore quella bocca ed il suo
proprietario non oppose resistenza – era per Dean. La lingua
che
entrò e guizzò voluttuosa e violenta contro
quella del ragazzo era
biforcuta e viscida e Sam rabbrividì, serrando le palpebre,
tentando
disperatamente di isolarsi – era
per Dean.
Non
fu un bacio. Fu un vero e proprio sopruso permesso dalla disperazione
– ma, d'altro canto, come si faceva a non farsi sopraffare e
a non
disperarsi, nella Gabbia di Lucifer? Fu bagnato e la saliva di
entrambi, ora mischiata, colò lenta e densa lungo il mento
del
giovane Winchester, mentre il diavolo continuava a esplorare la sua
bocca e poi si spostava alle labbra, per concludere alla fine con una
leccata sfuggente che bagnò tutta la guancia di Sam, dalla
mascella
fino allo zigomo.
Per
Dean.
«Il
tuo corpo...» Mormorò lascivo Satana mentre
carezzava con volgarità
il corpo nudo di Sam, dal collo fino al ventre, ed oltre, a sfiorare
la sottile striscia villosa che si tuffava poi nell'area del pube. Un
ghigno malizioso e gli occhi accesi di follia di Lucifer erano
lì, a
penetrare Sam, che fu costretto dal suo aguzzino ad abbassare tutte
le sue difese – violato anche se a malapena sfiorato.
«...la
tua anima ce l'ho già...» Proseguì
nello stesso tono, mentre la
mano continuava a vagare e Sam deglutiva ed il terrore sordo lo
stordiva – perché mai a tanto erano arrivati. Ma
era per Dean.
L'apice
venne raggiunto quando un dito sfiorò con voluttà
l'entrata del
ragazzo, che si irrigidì tutto, le lacrime che salivano di
nuovo
agli occhi e la lingua serpentina dell'angelo che guizzava fuori, a
leccargli un angolo delle labbra tese.
«...ed il tuo cuore.» E
così dicendo, il diavolo si ritirò di un passo e
poi affondò
letteralmente la mano dentro al petto di Sam, che si ritrovò
a
boccheggiare, mentre stavolta non riusciva a trattenere un urlo
iroso, disperato, un singhiozzare che gli sbriciolava la cassa
toracica.
Lucifer poté avvertire le palpitazione della sua
vittima, il cui cuore accelerava selvaggiamente, incontrollato.
Il
diavolo rise – rise
– e, con lentezza, estrasse l'organo ancora battente fuori
dal
petto, le costole che si spezzavano ad una ad una come bastoncini di
sughero.
Sam, gli occhi strabuzzati, terrorizzati, abbassò il
viso sul suo stesso cuore che gli veniva trafugato.
E
per Dean – diamine, per Dean andava bene. Per Dean questo ed
altro.
«Sai
cosa ti aspetta d'ora in avanti, Sammy. Te lo sei scelto tu per
quell'idiota del tuo adorato fratellino – te lo sei scelto e
d'ora
in avanti sarà così per l'eternità.
Sarai mio
in ogni modo possibile, più di quanto tu lo sia mai stato,
più di
quando ho visto cosa ronzava in quel tuo cervellino. Sarai
mio più di quanto tu sia mai stato di Dean, sai?»
Insinuò, maligno, mentre Sam boccheggiava, incapace di
deglutire e
muoversi, incapace di fare altro che non fosse urlare – col
cuore fuori dal petto.
«Riporta-
Dean...» Sussurrò e la voce non gli veniva fuori.
Il diavolo,
il suo cuore ancora in mano, il sangue che prendeva a gocciolare
dalle dita di Lucifer, piegò il capo di lato, divertito.
«Me lo
chiedi di nuovo? Ti do la notizia flash del momento, Sammy: il Dean
che è morto era una mia allucinazione.»
Soffiò, una risatina che
andava perdendosi in un'eco lontana mentre Sam stringeva le palpebre
e desiderò, una volta di più, incapace di fare
altro, di morire.
L'urlo di Adam gli giunse nuovamente e Lucifer strinse la presa
sul cuore.
Il
tempo stillava lento e cadenzato come gocce di pioggia. Impietoso,
corrosivo, sfibrante.
Come l'acqua che mangia la pietra, il tempo
stava mangiando Sam – o quel che restava di lui.
«Bentornato,
Sammy.»
Il ghigno demoniaco di Lucifer, evidentemente e
genuinamente divertito, rientrò nel suo campo visivo.
Walking_Disaster's
corner:
Ohohohoh.
*Sniff sniff.* Home sweet home. ♥
Ecco
il mio fandom e – my Goddy se mi era mancato. Mh,
sì, lo so: da me
vi aspettate Wincest. Ma sapete da quanto ho in cantiere questa fic?
Troppo. Non esagero quando dico da mesi. Quindi beccatevi questa
–
che dire che la amo è dire poco :'3
Spero di aver fatto un buon
lavoro – a me piace tanto, sinceramente – insomma,
sognavo da
sempre di pubblicare una Samifer qui. E anche se mi è venuta
meno...
“Samifer” di quel che pensavo, sono
soddisfattissima. Quindi,
people, lasciatemi un commentino per farmi sapere cosa ne pensate, mi
raccomando! Vi si ama. ♥
Enjoy
and ship Wincest!
WD