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Autore: Walking_Disaster    28/08/2015    1 recensioni
{Samifer - leggero dub-con - contenuti forti. Siete avvertiti, insomma}
Sam è nella Gabbia e si trova a fare i conti con Lucifer - ed è lui che comanda, lì. Ad un certo punto, però, in mezzo a quel nulla in cui è immerso, vede rifiorire la speranza. Che ovviamente viene spazzata via.
Dal testo: «L'hai ucciso.» Fu un sussurro, mentre lacrime che pensava di aver terminato salivano agli occhi, inondandoli.
Lucifer scosse la testa prima da un lato e poi dall'altro, neanche stesse soppesando la risposta.
«Mmmh- sì. L'ho fatto.»
Sam deglutì e poi boccheggiò, mentre le ginocchia cedevano e non riusciva ad impedirsi di fermare di nuovo i suoi occhi sul corpo di Dean. Era svuotato di qualunque cosa. E la speranza – neanche quella c'era più. E quando non si ha più speranza, si muore – ma Sam non poteva neanche morire – non più di così.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Lucifero, Sam Winchester
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Quinta stagione
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A soul,
a glass



(Ovviamente non voglio, in alcun modo, urtare la sensibilità di nessuno, con questa fic.)





Il tempo stillava lento e cadenzato come gocce di pioggia. Impietoso, corrosivo, sfibrante.
Come l'acqua che mangia la pietra, il tempo stava mangiando Sam – o quel che restava di lui.
Tocco dopo tocco, insistente, si insinuava leggero tra un lamento e l'altro, laggiù, in quell'angolo dimenticato da Dio e dai demoni stessi. Un grido, un "Dio, perdonami!" urlato con disperazione in mezzo ai singhiozzi indirizzato al nulla, uno spezzarsi a metà e Adam era stato eliminato. Ancora una volta.
Sam non si mosse nemmeno, raggomitolato su se stesso, nudo, un sapore ferroso in bocca, le palpebre cucite tra loro da un filo grezzo.
Poteva essere lì da un'ora come da cinquanta e più anni; aveva scoperto che il concetto di scorrimento del tempo all'Inferno, nella Gabbia di Lucifero, era molto relativo e lui proprio non riusciva ad afferrarlo completamente. C'aveva provato, giusto i primi istanti, giusto per aggrapparsi ad un qualcosa che avrebbe dovuto restare fisso ovunque. Una legge universale, un'asse su cui tutto il Creato doveva basarsi. Ma fu relativamente veloce a comprendere che lì no, non valeva. Anche perché intorno alla quarantatreesima volta che era rimasto ucciso per ricrearsi di nuovo, da capo, per il divertimento immenso di Lucifer e Michael che perseguivano nel loro improvviso cameratismo nella tortura, aveva perso il conto.
Qualcosa, comunque, ad un certo punto era cambiato. Michael aveva smesso di giocare con lui, per concentrarsi più spesso su Adam. Ed egoisticamente, vergognosamente, aveva potuto tirare un simil-respiro di sollievo. L'unico, incompleto da quand'era lì.
Avrebbe chiesto scusa a quel suo fratello minore sconosciuto, se avesse potuto, pensando a come si sarebbe comportato Dean al suo posto.
Urlava, tirava un sospiro sibilante, le costole dolevano, la pelle si lacerava: Sam non sapeva fare il fratello maggiore. Sapeva proteggere Dean, ma Dean era fantastico – e sano e salvo, al sicuro, sulla Terra. Se lo ripeteva come un mantra, una sorta d'atto di fede – ed era solo per sé. Si scusava di tanto in tanto con Adam, Sam, ma non era in grado – in quel contesto meno che mai – di proteggerlo.

A Sam non era chiara la conformazione dell'ambiente di quella Gabbia; era come divisa in parti, ma non stanze. Dimensioni, semplicemente, che lui percepiva come celle di pietra, spazi angusti, sporchi, vuoti e scuri. Ma, quell'orribile e assoluta lucidità che gli rimaneva, nonostante tutto, gli permetteva di prendere in considerazione l'idea che forse era tutta una sua proiezione mentale. O di Lucifer.
Lucifer, già. Sam era il suo gioco preferito. Inizialmente, aveva blaterato di quanto fosse noioso passare secoli e secoli chiuso lì dentro, da solo. Ma ora aveva Sam, Samuel, Sammy, il ragazzo Winchester, il drogato di sangue di demone e allora il suo soggiorno sarebbe stato molto migliore, interessante, divertente. Come se tutto questo non fosse stato abbastanza terribile di per sé, gliel'aveva detto mentre lo scuoiava – letteralmente, fino a che l'anima resistette. Dopodiché tutto ripartì da capo.
E Sam perseguiva la sua lucidità. Si era lacerato gli angoli delle labbra e le corde vocali pur di farsi ascoltare da quel Dio che ora non l'assisteva in niente, implorando l'incoscienza, implorando lo smettere di sentire tutto quel dolore che partiva dal centro del petto, implodeva e si irradiava ancora e ancora, spezzandogli le ossa, masticandogli la carne. Aveva implorato, ma nessuno aveva risposto. E quindi Sam era arrivato a capire che un'altra prerogativa dell'essere immateriale, di lasciare l'anima in balia delle bestie, era l'impossibilità di spegnersi in qualche modo che non comprendesse la fine. Non la morte, una fine. Un confine valicabile oltre al quale niente cambiava: si tornava indietro, al punto di partenza. Lucifer lo salutava e poi si ricominciava.

Era un gioco crudele fatto di sangue e catene e grida. E frammenti d'anima, di vita, di ricordi che venivano sfibrati, ma non spezzati – mai spezzati. Perché lì il re della Gabbia era Lucifer ed era quell'angelo caduto a comandare.
«Sam!?»
Un tempo Sam avrebbe detto che sentire quella voce, in quel luogo, sarebbe stato come strapparsi gli organi a mani nude. Tuttavia, ora che il dolore aveva perso la comprensibilità umana ed aveva toccato nuove soglie, il paragone non era più fattibile.
Fu con uno strattone che gli provocò un dolore lancinante in tutto il corpo che si tirò a sedere, strisciando in quell'angolo di pavimento zuppo di sangue, sporco e chissà cos'altro in cui gli era concesso di muoversi.
«Dean?» Lo sussurrò, voltandosi febbrilmente verso la direzione da cui era provenuta la voce, senza tuttavia poter vedere niente a causa della cecità in cui era costretto.
«Dio mio – Dean.» Singhiozzò, incapace di contenersi. Incapace di tenere dentro di sé la genuina disperazione e il terrore più nero in cui era piombato, mentre il cervello lavorava in modo pauroso, inseguendo allo stremo un filo da poter afferrare, per capire. Ma il filo non c'era, sgusciava via sfuggendo, prendendosi gioco di Sam, e tuttavia, i passi che gli si avvicinavano erano inconfondibili. Li avrebbe riconosciuti in mezzo ad una folla.
Per una volta non si sottrasse al tocco di una mano. Per una volta, da giorni, mesi o anni, si lasciò sfiorare e ebbe la scelleratezza di sperare.
«Sammy...» Il sussurro era inconfondibile e Sam avvertì il filo che gli cuciva le palpebre incrostate dal sangue e dalle lacrime tirare dolorosamente.
Non aveva idea di cosa stesse succedendo ed in un'altra esistenza avrebbe compreso che lì Dean non doveva essere presente. Però il mondo aveva perso significato e la vita anche e l'unica cosa che gli era rimasta tra le mani era il viso di suo fratello, bello com'era sempre stato, gli occhi che nell'ambiente in cui si trovava sfumavano in un inquietante, orrendo, terribile rosso.

In poco tempo pensò a molto: pensò che fosse morto definitivamente, che l'anima si fosse spezzata, che avesse smosso la pena di Lucifer e perfino che Dean fosse riuscito a raggiungerlo e riportarlo alla vita – quella vita che aveva smesso di conoscere.
E mentre aveva la testa piena, allo stesso tempo era vuota e un rumore sordo la dominava.
Perché di Sam erano rimasti i frammenti, piccoli e taglienti, bloccati lì. Cenere bianca di un ragazzo che fu che non riusciva a disperdersi e a trovare il mare.
«Ti porto fuori io da qui...»
Sentì sussurrare dalla voce di suo fratello e Sam non poté impedirsi di respirare. Avvertì con chiarezza il dolore pungente che lo percosse non appena compì quel gesto, a causa delle costole che era sicuro fossero sbriciolate, ma Sam, nonostante tutto, si concesse l'egoismo che sempre aveva rifuggito in vita, e di una cosa si rese conto: aveva bisogno di essere salvato. E voleva essere salvato. Lo voleva disperatamente.
Il cuore – il cuore tornò a battere. Subito, rapido, come se fosse stato incatenato ad un masso fino a quel momento. Come se fosse stato costretto in una scatola minuscola, dai bordi taglienti – un gioco sadico di un aguzzino folle, che in quel caso Sam stesso, per un bene superiore che appariva improvvisamente insensato, si era cercato.
Deglutì e la gola raschiata frizzò, bile e sangue gli salirono alla bocca mentre puntellava un piede nudo sul terreno e tentava di drizzarsi per lasciarsi andare, lasciarsi prendere da Dean e andare – ovunque, ma non lì.
Non capì cosa stesse succedendo finché non sentì, con una chiarezza agghiacciante, il filo grezzo che gli cuciva le palpebre sfilarsi dai fori insanguinati. Il suo cervello processò distrattamente che doveva essere opera di Dean – perché nessun altro era con loro, in quel momento.

(“Dio– Sam! Sam--- Sam, per favore!” Le grida di Adam, ancora, che giungevano come sentenze, corrodendogli il cranio come acido gettato direttamente sul cervello – non poteva prendersi cura di suo fratello, ma Dean era lì e doveva andarsene)

La voce di Dean gli giunse rassicurante: gli sussurrò, mentre Sam, reprimendo uggiolii di dolore, tentava dolorosamente di aprire gli occhi incollati tra loro da troppo male, di non ascoltare. Che andava tutto bene, l'avrebbe tirato fuori da lì, Sammy, staremo bene.
E addirittura Sam si concesse di pensare all'odore di cuoio dell'Impala e lo sguardo adorante di suo fratello addosso.
Se non avesse già finito le lacrime, avrebbe pianto. E per una volta dalla gioia.

Prima uno spiraglio stentoreo di luce rossastra che filtrava – la riconobbe, perché era divenuta ormai orrendamente famigliare. Gli ci volle qualche istante, le gambe che tremavano a causa della debolezza, ma era in piedi, il calore rassicurante di Dean accanto a sé (e per un momento si concentrò anche sul calore, sì; erano secoli che non smetteva di patire gelo).
Non senza sforzo, alla fine, riuscì ad aprire gli occhi, che restavano pesti e gonfi e incrostati di sangue e lacrime e pus – e di pura e semplice resa, che sulle ciglia si era depositata e ora mangiava il volto di Sam.
Il ragazzo si voltò verso Dean. Si prese un tempo che tanto non veniva
chiamato, lì, e rimase a bocca aperta, le labbra talmente screpolate da sembrare sabbia e rotte in più punti i quali non smettevano di sanguinare.
Per la prima volta, dopo troppo, poté vedere
qualcosa di bello. Bello sul serio – e non qualcosa di bello e basta. Poté vedere la vita, nella sua forma più pura e più avvicinabile. Poté vedere l'amore, ciò che aveva perduto, ciò per cui si era sacrificato. Ciò da cui voleva tornare, ciò che voleva toccare e sentire. Voleva contare quelle lentiggini, soffermarsi sulle labbra fin troppo perfette – disegnate –, trovare il nome della gradazione di verde di quegli occhi e l'angolazione precisa del naso dritto. Vide tutto questo e vide di più – vide il sole e la luna e le stelle ed un campo ed i fiori, un bambino giocare, una donna ridere e un cavallo correre libero ed il mare senza orizzonte, boschi essere i gioielli della Terra – e vide Dean e se stesso che si sorridevano complici, seduti nell'abitacolo dell'Impala. E capì che il mondo era bello, che la vita era preziosa, che voleva Dean e che lui doveva tornare a far parte di tutto quello. Perché Sam non voleva svanire.

Capire tutto ciò fu come ricevere un cazzotto dritto sul pomo d'Adamo. Tutto quel bene che gli si imponeva così violentemente lo destabilizzò e barcollò sul posto, ma Dean fu pronto a sorreggerlo e a sorridergli.
E proprio mentre Sam si fermava a perdersi nei denti dritti e bianchissimi del suo personale angelo (senza ali, senz'aureola e con un'enorme mole di peccati sulle spalle – ben lungi dall'essere puro), fu con cruda chiarezza che del sangue sgorgò dal centro del collo di Dean.
Fu lì che si aprì un foro che sembrava voler risucchiare tutto ciò che Sam aveva compreso ed aveva visto, mentre quegli occhi dalla gradazione sconosciuta di verde si stravolgevano e quelle labbra disegnate si socchiudevano inorridite, riflettendo la medesima espressione del tramite di Lucifer.
Una rosa fiorì rapida sulla pelle candida del giovane uomo sceso all'Inferno e tornato indietro. Fiorì bella e terribile – velenosa. E come tutte le rose, aveva le spine.


Il corpo di Dean cadde a terra, gli occhi spalancati e terrorizzati fissi su Sam, prima che quest'ultimo potesse anche solo processare l'azione di urlare. Urlare finché non avesse sputato l'esofago, le corde vocali e i polmoni, giusto per capire se potevano ancora servirgli dopo aver visto suo fratello morire davanti a sé.


«Aaah– Sammy, Sammy, Sammy... tsk, tsk, tsk.»
La voce melliflua di Lucifer entrò nella stanza come un ordigno nucleare. Fu come se Sam venisse nuovamente scaraventato in un (a)normale scorrimento del tempo, nella terribile realtà che ora era la sua (non) vita.
Sam, le labbra spalancate, un urlo rimasto a imperversare nello stomaco che saliva come uno tsunami agli occhi, sollevò il volto distrutto sull'angelo – la cui bellezza, pur nel corpo di quel povero bastardo in cui continuava a vederlo, era chiara e più folgorante che mai – Sam poteva percepirla.
Il portatore di luce mosse un paio di passi nello spazio di Sam, piegando il capo di lato e corrucciando con disappunto le labbra, gli occhi puntati sul corpo morto di Dean – ancora perfetto ed immutato, anche se la vita non scorreva più lì.
«Stavolta neanche c'è stato gusto, sai? Pensavo che ti saresti messo a urlare contro di me, a dirmi – buuh-uh!, che sono veramente cattivo a scegliere le allucinazioni “
dell'amore” come giochetto con cui trastullarmi un po'.»
Lucifer aveva usato un tono scanzonato e tranquillo – il tono che gli permetteva di insinuarsi negli anfratti più bui di Sam per poi infilare un dito nelle ferite e rigirarlo e metterci del sale e stracciargli l'anima per l'eternità.
Diede un colpetto alla gamba di Dean col piede, sotto gli occhi increduli di Sam, incapace di fare alcunché. Perché
non c'era da fare alcunché.
Nel delirio che in quel momento era la sua mente, però, poté capire che se Lucifer era lì ad apostrofarlo, significava che il Dean che aveva visto non era altro che una proiezione e che quindi il Dean reale stava bene, era con Lisa,
sarebbe vissuto. E quella consapevolezza bastava: ormai lui era un'anima e quando l'altra metà di questa, la gemella, stava bene, allora il mondo poteva ancora risultare vivibile.
Lucifer non si lasciò sfuggire le ampie spalle di Sam che si rilassarono appena a quel pensiero.
«E invece ci sei cascato con tutte le scarpe.» Sospirò con fare affranto, mentre il ragazzo si sforzava di non soffermarsi sul corpo di suo fratello e di pensare che
era vivo, Dean esisteva.
«Probabilmente è perché si trattava del vero Dean, sai... in carne e ossa.»
L'angelo si mordicchiò distrattamente il labbro inferiore e poi si piegò sulle ginocchia al fianco del corpo del maggiore dei Winchester, suoi personali giochini.
Osservò con aria corrucciata il viso ancora pietrificato nel momento della morte, il velo lucido di sangue che andava già solidificandosi, creando una stola intorno al collo e alle spalle, a proteggerlo da ciò che niente lo poteva più tangere.
«Povero diavolo...» Buttò lì Lucifer, prima di ridacchiare tra sé, apprezzando una macabra ironia tutta sua.
Sam, al contrario, aveva appena sentito un dolore concreto – lo stesso di quando il caduto prendeva il suo rasoio e gli portava via con precisione maniacale e infinita pazienza lembi di pelle.
Si sentì morire – e ciò, nel delirio del momento, lo sorprese, perché lui, in effetti, era
già morto.
«Stai mentendo.»
Sentenziò, la voce arrochita e profonda, la salivazione che improvvisamente accelerava e lui prendeva a deglutire furiosamente, un giramento di testa che lo fece muovere due passi indietro in modo malfermo.
Lucifer drizzò il viso verso di lui e sembrò quasi indignato, per un momento: «No che non lo sto facendo, Sammy. Sono un angelo, non ti mentirei mai.»
Si drizzò in piedi e avanzò di un passo scavalcando Dean come se fosse spazzatura, avvicinandosi a Sam come se fosse un predatore pronto a colpire a morte la sua preda – in quel momento scossa dai singhiozzi e tremante, la mole del ragazzo che improvvisamente si vanificava, facendolo apparire un povero disperato qualunque.
Adorabile.
«Okay, questo te lo confesso: ha avuto un piccolo aiuto da me e mio fratello, di là con il tuo fratellino Adam. Perché non sarebbe mai potuto entrare nella
mia Gabbia senza di me – figuriamoci. Perciò gli ho fatto credere che un... alakazam di qualche genere l'avrebbe condotto fin qui. Io gli ho solamente dato il benvenuto e ovviamente lui si è precipitato a salvarti. Un po' stupido, in effetti.»
Mormorò tra sé, accigliandosi.
Sam... restò lì. Era diventato impossibile continuare a esprimere il dolore e il senso di perdita e la disperazione – era diventato impossibile dosare quel
tutto per poi poter rinchiuderlo in lettere e parole e prendersi poi la briga di articolarle. Era come se il vocabolario che lui conosceva fosse diventato troppo povero. Non esistevano parole che potessero anche solo lontanamente avvicinarsi al terrore sordo, gelido, distruttivo, delirante, orrendo e spietato che gli urlava selvaggio nella testa.
Il vocabolario era troppo povero, o era il dolore ad essere troppo ricco.
«L'hai ucciso.» Fu un sussurro, mentre lacrime che pensava di aver terminato salivano agli occhi, inondandoli.
Lucifer scosse la testa prima da un lato e poi dall'altro, neanche stesse soppesando la risposta.
«Mmmh- sì. L'ho fatto.»
Sam deglutì e poi boccheggiò, mentre le ginocchia cedevano e non riusciva ad impedirsi di fermare di nuovo i suoi occhi sul corpo di Dean. Era svuotato di qualunque cosa. E la speranza – neanche quella c'era più. E quando non si ha più speranza, si muore –
ma Sam non poteva neanche morire – non più di così.
«Hai me e hai Adam. Perché anche Dean?»
Scandì, non riuscendo a reprimere un sussulto, mentre lacrime (che si accorse: erano rosse – sangue) prendevano a tracciargli tranquilli e precisi sentieri sulle guance, come a volerlo consolare col loro tocco leggero.
«La domanda è “perché no”.»
Fu la risposta lapidaria, inzuppata di ovvietà che sottolineò ancora con una scrollata di spalle e un risolino stridente.
«Insomma, è entrato in casa mia per portarmi via ciò che mi appartiene. Mi sembra abbastanza logico.»
Bofonchiò tra sé l'angelo, passandosi distrattamente una mano sulla guancia e grattandosela con noncuranza.
Le parole di Sam calarono su loro due, così connessi, come una ghigliottina: «Riportalo indietro. Riportalo sulla Terra, fallo vivere di nuovo.»
Lucifer si prese qualche istante per concedergli uno sguardo sorpreso con una deliziosa teatralità, prima di piegarsi nuovamente sulle ginocchia per portarsi all'altezza del suo topo – e lui era il gatto, che lo cacciava sornione.
«Possibile che anche durante una convivenza con Satana in persona voi Winchester abbiate voglia di pensare l'uno all'altro? Permettimi di dirti, Sammy, che sta diventando un po' monotona, la solfa.»
Aveva simulato un tono incredulo, mentre piegava il viso – e per un momento perse la patina di crudeltà che solo un occhio attento poteva vedere – e osservava Sam con espressione accigliata.
Il ragazzo sollevò il viso, gli occhi inondati di quelle lacrime rosse, il corpo nudo ed emaciato, spellato, spezzato e spigoloso non l'avevano mai fatto sembrare più misero e disperato di così. E nonostante questo ancora si poteva vedere il valore malato dei Winchester.
«Riportalo. Ti prego.»
Lucifer restò a guardarlo per qualche momento, dagli occhi infossati e azzurri non faceva trasparire niente. Ad un certo punto, con Sam che ancora lo fissava, con Sam che
non ce la faceva più, sollevò una mano e finse di volerlo accarezzare – gesto da cui il minore dei Winchester si scostò bruscamente, prima di notare l'espressione dell'angelo che improvvisamente si indurì. E allora incavò il capo nelle spalle e si lasciò raggiungere, mentre i polpastrelli di indice e medio di Lucifer sfarfallavano distratti sullo zigomo spaccato – senza toccarlo e senza neanche non farlo.
Il ghigno divertito del diavolo crebbe ancora di più dopo un manrovescio che fece cadere Sam a terra, di lato, completamente prostrato ai suoi piedi.
«Ah, ora mi preghi? Siete un caso perso...» disse, scuotendo con divertimento il viso e notando che gli occhi di Sam, che non si era lasciato sfuggire un singolo lamento, si erano spostati sul volto senza vita di Dean.
Il ragazzo restò in silenzio e Lucifer si alzò in piedi, assumendo un'andatura ciondolante.
«Cosa mi offri in cambio?»
La domanda dell'angelo arrivò a bruciapelo, stroncando sul nascere un respiro sibilante di Sam, del tutto abbandonato a terra. Non valeva la pena neanche di muoversi. Aveva finito i modi per esprimere il male –
era solo un uomo, dopo tutto.
Tuttavia, il viso pesto del giovane Winchester si drizzò, improvvisamente attento, l'ombra di una vecchia prontezza di spirito che si intravvedeva tra i tratti distrutti.
Per un momento assunse un'espressione confusa, ma poi deglutì e gonfiò dolorosamente il petto. Non aveva più niente da dargli – aveva
letteralmente la sua anima. Per cui si sentì sicuro quando pronunciò quelle tre parole che avrebbero potuto significare il mondo, in un altro tempo: «Quello che vuoi.»
Gli occhi verdi di suo fratello continuavano a fissarlo, appiccicati addosso come se fossero cuciti. Appiccicati addosso come se fossero fatti di fuoco. Gli chiese scusa per non averlo saputo proteggere, per aver sperato davvero che arrivasse e che lo salvasse, per essere così
schifosamente debole. E forse, però, poteva donargli la vita anche dalla Gabbia. Poteva donargli la vita così come Dean, da sempre, la donava a lui.
«Ottimo.»
Sorrise il diavolo, sornione. Poi schioccò le dita.


Sam si ritrovò curato di ogni ferita, di ogni contusione, di ogni dolore. La consapevolezza di Dean morto era come una falce puntata al collo, pronta a fargli saltare via la testa in ogni istante.
Il ragazzo era ancora nudo come un verme, polsi e caviglie legati a due assi di legno incrociate a formare una X – gli mancavano solo i chiodi per emulare Sant'Andrea. Con i piedi non toccava terra e davanti a sé ancora Dean non si era mosso di un centimetro. Gli occhi ancora spalancati, ancora a fissarlo, ancora a spezzargli il fiato in gola, ancora a chiedergli “scusa” o “per favore” - nella mente di Sam.
«Ti sei offerto, Sammy. Il mio agnellino sacrificale...» Sghignazzò Lucifer, genuinamente divertito. Spuntò da dietro la sua croce, mentre Sam si voltava di scatto, ora il viso rigenerato e le sopracciglia che si accigliavano all'istante. Tentò un paio di strattoni alle spesse catene rugginose che lo tenevano fermo, più per riflesso che per reale convinzione di potersene liberare.
«E sai cosa voglio?» Proseguì l'angelo, senza neanche curarsi realmente dei gesti di Sam.
Lucifer si piazzò davanti al ragazzo poco più alto di lui che teneva le labbra fini strette in una linea, deciso a non proferire neanche una parola. Non avrebbe detto altro, se non il necessario per far tornare Dean in vita.
«Voglio tutto.» Concluse Lucifer e calò rapido il viso su quello di Sam. Le labbra combaciarono e il gesto non fu per niente gentile.
Il caduto forzò senza remore quella bocca ed il suo proprietario non oppose resistenza – era per Dean. La lingua che entrò e guizzò voluttuosa e violenta contro quella del ragazzo era biforcuta e viscida e Sam rabbrividì, serrando le palpebre, tentando disperatamente di isolarsi –
era per Dean.
Non fu un bacio. Fu un vero e proprio sopruso permesso dalla disperazione – ma, d'altro canto, come si faceva a non farsi sopraffare e a non disperarsi, nella Gabbia di Lucifer? Fu bagnato e la saliva di entrambi, ora mischiata, colò lenta e densa lungo il mento del giovane Winchester, mentre il diavolo continuava a esplorare la sua bocca e poi si spostava alle labbra, per concludere alla fine con una leccata sfuggente che bagnò tutta la guancia di Sam, dalla mascella fino allo zigomo.
Per Dean.
«Il tuo corpo...» Mormorò lascivo Satana mentre carezzava con volgarità il corpo nudo di Sam, dal collo fino al ventre, ed oltre, a sfiorare la sottile striscia villosa che si tuffava poi nell'area del pube. Un ghigno malizioso e gli occhi accesi di follia di Lucifer erano lì, a penetrare Sam, che fu costretto dal suo aguzzino ad abbassare tutte le sue difese – violato anche se a malapena sfiorato.
«...la tua anima ce l'ho già...» Proseguì nello stesso tono, mentre la mano continuava a vagare e Sam deglutiva ed il terrore sordo lo stordiva – perché mai a tanto erano arrivati.
Ma era per Dean.
L'apice venne raggiunto quando un dito sfiorò con voluttà l'entrata del ragazzo, che si irrigidì tutto, le lacrime che salivano di nuovo agli occhi e la lingua serpentina dell'angelo che guizzava fuori, a leccargli un angolo delle labbra tese.
«...ed il tuo cuore.» E così dicendo, il diavolo si ritirò di un passo e poi affondò letteralmente la mano dentro al petto di Sam, che si ritrovò a boccheggiare, mentre stavolta non riusciva a trattenere un urlo iroso, disperato, un singhiozzare che gli sbriciolava la cassa toracica.
Lucifer poté avvertire le palpitazione della sua vittima, il cui cuore accelerava selvaggiamente, incontrollato.
Il diavolo rise –
rise – e, con lentezza, estrasse l'organo ancora battente fuori dal petto, le costole che si spezzavano ad una ad una come bastoncini di sughero.
Sam, gli occhi strabuzzati, terrorizzati, abbassò il viso sul suo stesso cuore che gli veniva trafugato.
E per Dean – diamine, per Dean andava bene. Per Dean questo ed altro.
«Sai cosa ti aspetta d'ora in avanti, Sammy. Te lo sei scelto tu per quell'idiota del tuo adorato fratellino – te lo sei scelto e d'ora in avanti sarà così per l'eternità. Sarai mio in ogni modo possibile, più di quanto tu lo sia mai stato, più di quando ho visto cosa ronzava in quel tuo cervellino. Sarai mio più di quanto tu sia mai stato di Dean, sai?» Insinuò, maligno, mentre Sam boccheggiava, incapace di deglutire e muoversi, incapace di fare altro che non fosse urlare – col cuore fuori dal petto.
«Riporta- Dean...» Sussurrò e la voce non gli veniva fuori.
Il diavolo, il suo cuore ancora in mano, il sangue che prendeva a gocciolare dalle dita di Lucifer, piegò il capo di lato, divertito.
«Me lo chiedi di nuovo? Ti do la notizia flash del momento, Sammy: il Dean che è morto era una mia allucinazione.» Soffiò, una risatina che andava perdendosi in un'eco lontana mentre Sam stringeva le palpebre e desiderò, una volta di più, incapace di fare altro, di morire.
L'urlo di Adam gli giunse nuovamente e Lucifer strinse la presa sul cuore.


Il tempo stillava lento e cadenzato come gocce di pioggia. Impietoso, corrosivo, sfibrante.
Come l'acqua che mangia la pietra, il tempo stava mangiando Sam – o quel che restava di lui.
«Bentornato, Sammy.»
Il ghigno demoniaco di Lucifer, evidentemente e genuinamente divertito, rientrò nel suo campo visivo.






Walking_Disaster's corner:
Ohohohoh. *Sniff sniff.* Home sweet home.

Ecco il mio fandom e – my Goddy se mi era mancato. Mh, sì, lo so: da me vi aspettate Wincest. Ma sapete da quanto ho in cantiere questa fic? Troppo. Non esagero quando dico da mesi. Quindi beccatevi questa – che dire che la amo è dire poco :'3
Spero di aver fatto un buon lavoro – a me piace tanto, sinceramente – insomma, sognavo da sempre di pubblicare una Samifer qui. E anche se mi è venuta meno... “Samifer” di quel che pensavo, sono soddisfattissima. Quindi, people, lasciatemi un commentino per farmi sapere cosa ne pensate, mi raccomando! Vi si ama.


Enjoy and ship Wincest!

WD

   
 
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