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Autore: lapoetastra    28/08/2015    1 recensioni
< Mi… mi sa che il vino ha bruciato l’unico neurone che i tuoi genitori gentilmente ti hanno donato, se mi confondi con Mary >, provò a scherzare l’investigatore, ed anche la sua voce tremava, adesso, ma non per colpa dell'alcool.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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< Sono tornato >, enunciò John, entrando nel piccolo appartamento di Baker Street con passo malfermo.
Sherlock, seduto sulla poltrona poco distante intento a suonare il suo inseparabile violino, si alzò e gli si parò davanti, squadrandolo da capo a piedi con quei suoi occhi chiari che non si lasciavano sfuggire il benché minimo particolare.
Pupille dilatate e lucide.
Naso leggermente arrossato e coperto di venuzze viola.
Difficoltà nel mantenere la posizione eretta.
Non che ci volesse poi un grande acume per capirlo: John Watson era ubriaco fradicio.
< Quanti bicchieri hai buttato giù, eh dottore? >, gli domandò Sherlock, cercando di nascondere un sorrisetto divertito.
Era strano vedere John in quello stato, così allegro, così.. fuori controllo, lui che era sempre riservato e padrone di sé.
< Io non bevo >, bofonchiò Watson, ma il suo alito rivelava ben altro.
< Come vuoi >, rispose Sherlock, accompagnandolo verso la sua camera da letto. < Ora, però, sarà meglio che tu ti faccia una bella dormita e ti rimetta in sesto. Domani… >, si interruppe di colpo.
John, sdraiato sul proprio letto come un sacco di patate, lo fissava, e c’era una luce strana nei suoi occhi.
Una luce diversa da quella causata dalla sbronza.
Le sue labbra si mossero senza produrre alcun suono.
Sherlock scosse la testa.
< Bhe, buonanotte, dottore >, mormorò allora, e si voltò per andarsene.
< Io ti amo. >
Holmes, con la mano sulla maniglia della porta, si voltò di colpo nell’udire quelle tre parole, pronunciate con voce flebile e tremula ma chiaramente udibile nel silenzio irreale calato improvvisamente nella piccola stanza.
< Mi… mi sa che il vino ha bruciato l’unico neurone che i tuoi genitori gentilmente ti hanno donato, se mi confondi con Mary >, provò a scherzare l’investigatore, ed anche la sua voce tremava, adesso, ma non per colpa dell’alcool.
< Non parlo di Mary! >, quasi urlò John, e stavolta non c’era incertezza nel suo tono.
Sherlock non rispose. Non sapeva cosa dire, in realtà.
Era una situazione così strana, quella, strana e bellissima, che lasciava persino lui, il miglior investigatore della città – e probabilmente dell’intero Stato - senza parole.
< Io amo te. Te… io amo te >, mugolò Watson, ripetendo quelle parole fino a quando, ancora vestito, si addormentò.
Holmes lo fissò per un po’, senza fiatare, poi si diresse traballante verso la propria camera.
Una volta arrivato, si distese sul letto e chiuse gli occhi.
La sua mente era ora confusa ed annebbiata, come fosse piena di acqua tonica. Ma lui era astemio.
“Io amo te”
Le parole di John risuonavano ancora nelle sue orecchie, facendolo fremere impercettibilmente.
Perché producevano in lui quella reazione?
Sherlock era etero, dopotutto.
Certo, non aveva mai avuto molte ragazze nel corso della sua vita, e sinceramente non aveva neanche mai sentito la mancanza di una figura femminile al suo fianco, ma aveva sempre attribuito la causa di ciò al suo carattere schivo e solitario, troppo superiore a chiunque per ricercarne la compagnia.
E poi era arrivato John.
E con John la sua esistenza era cambiata, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a se stesso.
Da quando c’era lui, Sherlock rideva più spesso, parlava di più, era più… felice.
Amici. Ecco cos’erano lui ed il dottore.
Non c’era niente di sbagliato in questo, no?
Eppure, adesso Watson se ne era uscito con quella storia dell’amore, disorientandolo e spaventandolo da morire.
Doveva credergli? Lo amava davvero?
No, impossibile.
Watson era fidanzato con Mary Morstan, tra poco si sarebbero sposati ed avrebbero creato una splendida famiglia, come gli ripeteva in continuazione lo stesso dottore con gli occhi che brillavano di pura e semplice gioia.
La domanda che più gli premeva, tuttavia, era un’altra.
Lui amava Watson?
No… non lo sapeva.
Non era questo il genere di domande che si doveva porre un investigatore, dannazione.
Con il cuore in subbuglio e le mani tremanti, Sherlock si addormentò.
Avrebbe chiarito quella faccenda il giorno dopo.
 
 
< Dottore, io… devo parlarti >, esordì Sherlock d’improvviso.
Stavano facendo colazione, e John appena udì quelle parole smise di imburrare la sua fetta biscottata e guardò l’investigatore con aria preoccupata e leggermente intontita a causa della tremenda sbornia della sera prima.
< Dimmi pure, Sherlock. Sono tutto orecchi >, bofonchiò.
Holmes, con lo sguardo sfuggente, prese un profondo respiro.
< Ieri sera, quando sei tornato a casa, hai detto che… >
Un trillo lo interruppe di colpo, facendolo sussultare.
< Oh, deve essere Mary. Dobbiamo andare a scegliere le fedi >, spiegò Watson, felice come un bambino, e ciò che Sherlock vide nei suoi occhi, quella luce d’amore e di gioia che brillava come un faro, fu la risposta più chiara che potesse ricevere.
< Ah, che cos’è che ho detto ieri sera? >, gli chiese il dottore, sinceramente curioso.
L’investigatore sorrise appena, ed il suo era un sorriso rassegnato e triste, ma John non se ne accorse.
< Non che abbia molta più importanza, adesso, ma mi hai detto che vuoi che alle tue nozze io indossi camicia e jeans >, spiegò Sherlock.
 < Andiamo, dottore, sai che mai e poi metterei dei vestiti così… così banali >, aggiunse poi, facendo di tutto pur di non incrociare lo sguardo dell’altro.
Watson rise divertito.
< Oh, non ti preoccupare, Sherlock. Non ti chiederei mai un favore del genere, e poi quando mi ubriaco dico sempre cose che non penso davvero. > Così dicendo, prese il cappotto ed uscì.
Solo allora Sherlock si mise a piangere.
 
   
 
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