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Autore: Shainareth    28/08/2015    3 recensioni
Ero consapevole che Ambra meritasse tutti quegli insulti, e forse anche qualcuno di più, visto il modo poco amabile in cui era solita comportarsi con gli altri – ed io per prima ne sapevo qualcosa. Tuttavia, non potevo non immedesimarmi in lei e non provare la sua sofferenza: anch’io ero innamorata, e se Kentin avesse avuto per me le stesse parole che ora stava pronunciando contro Ambra… beh, probabilmente mi sarei sentita morire.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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RIVALI - CAPITOLO DECIMO




Non starò lì a fare un resoconto di ciò che accadde durante la notte, anche perché dormii quasi per tutto il tempo, fingendo di non udire né il leggero russare di alcuni dei miei compagni di stanza, né alcuni rumori molesti dei quali preferii non indagare la provenienza.
   Ci svegliammo più o meno tutti di buon’ora e soprattutto di buon umore, anche se difficilmente avrei potuto dimenticare nel giro di poco ciò che videro i miei poveri occhi innocenti quando i ragazzi iniziarono ad alzarsi – e per pudore, eviterò di descriverne le condizioni. Anche su questo, visto un comprensibile imbarazzo da parte loro, mi finsi scema per non mettere ulteriormente a disagio tutti; una cosa però ormai mi era chiara: non ero ancora psicologicamente pronta per dividere il letto con un maschio – in qualunque senso.
   Nonostante la baraonda che seguì risveglio e colazione, riuscimmo infine a portare a termine le nostre ricerche con successo, persino prima di quanto avessimo sperato. Fu per questo che, per salvaguardare i nervi del povero Castiel, giunti ormai al limite, togliemmo tutti il disturbo prima dell’ora di pranzo; solo dopo avergli rimesso in ordine l’appartamento da cima a fondo, si intende. Infine, non so gli altri, ma una volta a casa passai il resto della giornata quasi in panciolle, dedicandomi pigramente soltanto ai compiti per il giorno successivo.
   Quel lunedì mattina, comunque, accadde l’ennesimo fatto inaspettato.
   La prima persona in cui mi imbattei fu Castiel. Cosa strana, visto che non sempre era mattiniero. Cosa ancor più strana, mi diede il buongiorno con un mezzo sorriso. Mi inquietò, ma ricambiai il suo saluto cogliendo la palla al balzo: dopo aver passato quasi ventiquattr’ore forzate insieme ai suoi compagni di classe, si era finalmente ammorbidito un po’ nei confronti di noi miseri mortali? O forse mostrava in modo bizzarro il proprio nervosismo per la ricerca di Scienze che avremmo dovuto esporre alla Delanay di lì a poco?
   Non fu questo, però, il fatto inaspettato di cui parlavo poc’anzi. Mi riferivo piuttosto ad Ambra che, spuntando fuori dall’aula in cui avremmo dovuto fare lezione, arrestò il passo vedendomi insieme a Castiel. Dietro di lei, fece capolino Capucine che, ridacchiando maliziosa, scappò di filato in classe. Aveva forse raccontato alla sua amica che avevo dormito a casa di Castiel, per di più nella sua stessa stanza, e magari anche dei suoi boxer nella mia borsa? Conoscendola, era assai probabile che lo avesse fatto. Ambra ci scrutò per qualche attimo con in viso un’espressione che non seppi decifrare, e già mi preparai psicologicamente all’ennesima sfuriata. Quindi, il suo sguardo passò oltre le nostre spalle e lei, prendendo un grosso respiro, tornò a muoversi nella nostra direzione. Non ci salutò, quando ci fu davanti, ma ci sorpassò ignorandoci a bella posta. Istintivamente, sia io che Castiel ci fermammo nello stesso istante e ci voltammo a guardarla per capire a cosa fosse dovuto quell’insolito atteggiamento. Fu solo quando scorsi Kentin poco più indietro che compresi davvero.
   Strinsi i denti e fui sul punto di marciare nella loro direzione prima che Ambra potesse di nuovo avvicinarsi a lui, ma Kentin stesso mi anticipò: quando lei rallentò per rivolgergli la parola, lui la scartò di lato e proseguì verso di noi, come se non l’avesse neanche vista.
   «Aspetta, per favore!»
   Rimanemmo spiazzati in tre: Ambra che chiedeva gentilmente qualcosa a qualcuno non si era mai vista. Tanta fu la sorpresa, che Kentin si fermò per davvero, fissandola come se lei avesse avuto una testa di troppo sul collo. La vedemmo umettarsi le labbra con fare nervoso e, pur esitando, tornò a parlare.
   «Volevo… chiederti scusa.»
   A quel punto, Kentin si sentì legittimato a domandarle: «Hai bevuto?»
   Il volto di lei si fece paonazzo e il suo sguardo si accese per la stizza: ecco la Ambra che conoscevamo tutti. «Sono seria!» sbraitò. Si rese conto di aver alzato la voce e cercò di dominarsi. «Mi… dispiace», tornò a dire, abbassando le ciglia sul viso con un certo pudore. «Non sono stata particolarmente amabile, in passato, me ne rendo conto, ma…»
   «Di’ pure che sei stata odiosa», non si curò di correggerla l’altro.
   Colpita forse al cuore per quell’ennesimo insulto da parte di qualcuno, Ambra tentennò di nuovo. «Non… potremmo ricominciare?» si azzardò a chiedere poi.
   Kentin inarcò un sopracciglio. «Per quale motivo?»
   «Vorrei… solo dare un colpo di spugna al passato.»
   Gli sfuggì dalle labbra un verso sdegnato e divertito a un tempo. «Troppo facile.» Lei lo fissò con aria stupita e Kentin si sentì autorizzato a continuare. «Per te è facile parlare. Credi davvero che certe cose si possano dimenticare?» Ambra fece per ribattere, ma lui l’anticipò. «Hai una vaga idea di quanto faccia male sentirsi una nullità, soprattutto quando sai perfettamente di non riuscire ad esprimere al meglio ciò che sei e ciò che hai dentro?» fu lo sfogo animato che seguì un attimo dopo. «Per anni è stato così, per me, ma finché avevo al mio fianco anche solo una persona amica, potevo fingere di non pensarci, che tutto andasse bene.» Immaginai che quella persona fossi io, forse la sola che sin dalle medie si era curata di essergli amica e di prestargli le dovute attenzioni. Ascoltando ora quelle parole, non mi meravigliò più il fatto che Kentin si fosse invaghito di me sin da allora: ero stata l’unica a dargli l’affetto che sperava di trovare al di fuori della ristretta cerchia familiare. «Poi sei arrivata tu», stava proseguendo, fissando Ambra dritta negli occhi in un modo che non seppi ben definire, «e hai messo sottosopra il mio mondo con la tua arroganza e la tua prepotenza. Da un lato forse dovrei ringraziarti per avermi costretto a reagire, ma non credere che possa comunque dimenticare così in fretta tutto ciò che ho subito a causa tua.»
   Cadde il silenzio e, mentre Ambra rimaneva ammutolita e con gli occhi lucidi per via di quelle parole tutt’altro che amichevoli, Kentin smise di preoccuparsi di lei e tornò a dirigersi verso l’aula. Troppo nervoso per quanto appena accaduto, ci passò accanto senza neanche notarci proprio mentre l’altra scappava in direzione dei bagni.
   Quanto a me e Castiel, invece, rimanemmo fermi e zitti per una manciata di attimi. Poi lo sentii borbottare: «Che stregoneria è mai questa?»
   Nonostante l’intontimento, mi venne spontaneo rispondere: «Non rubare le battute ad Armin.»
   Mi ignorò. «Quei due hanno forse un conto in sospeso? Da quel che ho capito, non è la prima volta che hanno a che fare l’uno con l’altra.»
   Fui percorsa da un brivido interno, che risalì fino alla bocca dello stomaco, annodandomelo in un modo che, temetti, mi avrebbe rovinato l’intera giornata. «Che ti importa?» volli sapere, in tono infastidito.
   «Nulla», fu ciò che ribatté Castiel, incrociando le braccia al petto e dandomi l’impressione di essersi stupito lui stesso per quel genere di curiosità che non gli era propria.
   Occhieggiai nella sua direzione con aria scettica. «Se è così, allora non hai motivo di farmi domande.» Detto ciò, marciai con passo nervoso sulle orme di Kentin.
   Non avevo idea di quello che passasse per la testa di Ambra, e sapevo che in realtà avrei dovuto sentirmi sollevata dal fatto che finalmente avesse deciso di darsi una regolata e magari cercare di riparare agli errori commessi fino a circa una settimana prima. Il problema, però, era che nessuno più era disposto a darle credito. Mi domandai seriamente cosa l’avesse spinta a provare a ricominciare da zero partendo proprio da Kentin e non fui capace di darmi una risposta che non fosse maligna; avevo troppi pregiudizi sul suo conto, nessuno dei quali, purtroppo, poteva considerarsi infondato.
   Un’altra cosa che mi aveva lasciata molto perplessa era stata l’indifferenza mostrata nei confronti di Castiel: possibile che non le importasse più di lui, così dall’oggi al domani? Mi domandai se non fosse accaduto qualcosa durante il fine settimana e mi ripromisi di indagare per mezzo di Armin, che era stato costretto a passare del tempo con lei per via della ricerca di Scienze. Speravo, o forse mi illudevo, di riuscire a scoprire qualcosa di più.
   Fui obbligata a mettere da parte ogni riflessione al riguardo quando mi accomodai accanto a Rosalya, in attesa dell’arrivo della professoressa. La mia compagna di banco parve non fare troppo caso al buongiorno stentato che le rivolsi: da quello che potevamo notare, tutti erano tesi per il risultato della ricerca. La Delanay arrivò in perfetto orario, anticipando persino di pochi attimi il suono della campanella che annunciava l’inizio delle lezioni.
   Nonostante la sua severa e autoritaria presenza, capace di renderci inquieti anche senza apparente motivo, la mia attenzione si focalizzò dapprima sulle figure di Kentin e Castiel che, l’uno accanto all’altro, non si disturbarono neanche a scambiarsi uno sguardo; poi, su quella di Ambra, che se ne stava seduta, rigida e immobile, sul bordo del proprio sgabello, le mani in grembo strette a pugno e gli occhi fissi sulla professoressa.
   Quest’ultima snocciolò i nostri nomi uno alla volta, in un appello che mi riportò alla mente la lista di una serie di condannati a morte, e infine cominciò a chiamarci a coppie per verificare che tutti avessimo svolto il nostro dovere. Fu con una certa soddisfazione che constatammo che i gruppi di studio in cui ci eravamo divisi avevano dato i loro frutti: nessuna insufficienza. Ciò che mi stupì in positivo fu che, al termine della loro esposizione, la Delanay non lesinò un voto più che onorevole alla ricerca di Castiel e Kentin; i quali, finalmente, si scambiarono un vago sorriso e si batterono persino il pugno con fare complice. Mi sentii inaspettatamente orgogliosa per quella visione e fu allora che mi resi conto che sfacchinare tanto, nel fine settimana, era servito sul serio a qualcosa.
   Non soltanto a noi, comunque, perché di lì ad alcuni minuti scoprii addirittura che anche Armin e Ambra riuscirono a strappare più della sufficienza con il loro lavoro, stupendo non poco parecchi di noi. Dunque lei si era messa seriamente d'impegno? Aveva davvero deciso di cambiare, di mostrare quanto valeva, senza ostentare una superiorità che non possedeva affatto? In verità mi ero sempre detta che, se solo non fosse stata così maledettamente spocchiosa e non si fosse ostinata a comportarsi in maniera platealmente odiosa, Ambra avrebbe potuto attirare lo stesso numero di sguardi che si era guadagnata in tutto quel tempo; con la differenza, però, che sarebbero stati sguardi pieni di ammirazione, amicizia e, magari, persino d’amore.
   Facendola breve, per la prima volta dal suo arrivo, alla fine della lezione salutammo la Delanay col sorriso stampato in volto. Dopo di che, ormai fuori dal laboratorio di Scienze, tirammo tutti un più che comprensibile sospiro di sollievo e ci lasciammo andare ad allegre esclamazioni di compiacimento, congratulandoci gli uni con gli altri per i risultati ottenuti.
   «Non avrei mai pensato di poterlo dire», cominciò Armin più tardi, quando ci accomodammo insieme in mensa, «ma, quando vuole, Ambra sa essere simpatica.»
   Quell’affermazione, buttata lì con nonchalance, fu capace di: far cadere la forchetta di mano a Kentin, far rovesciare l’acqua ad Alexy, farmi mancare clamorosamente la sedia su cui mi stavo accomodando, finendo col fondoschiena a terra e attirando su di me una marea di sguardi per via del frastuono prodotto. Mi tirarono su in due e il terzo si assicurò che questa volta mi sedessi senza creare ulteriore imbarazzo per nessuno. Quindi, quando riuscimmo a tornare ad una parziale calma, i nostri occhi si puntarono insistentemente su Armin che, stringendosi nelle spalle, spiegò: «Durante il fine settimana è stata tranquilla e ha studiato seriamente, lasciandosi andare di tanto in tanto a qualche battuta divertente, per spezzare la monotonia della ricerca e cercare di far respirare l’intero gruppo, visto che Nathaniel e Charlotte sembrano essere degli instancabili studiofili
   Alexy scostò subito la sedia per farsi più lontano da lui. «Ti disconosco come fratello.»
   «L’hai detto pure ieri, quando ti ho raccontato cos’è successo a casa di Nathaniel», ribatté l’altro, infastidito. «In realtà il vostro intento è farmi credere che vi siete divertiti più di noi!»
   «Beh, io ho visto le tette di Aishilinn.»
   «Alexy, ti ammazzo!» esclamammo in coro io e Kentin, mentre Armin sgranava gli occhi azzurri e spalancava la bocca in segno di sbigottimento.
   Suo fratello rise. «Si è trattato di un incidente», gli spiegò allora, tanto per preservare la nostra reputazione. «Però non capisco come tu possa trovare Ambra... simpatica. Questo, se permetti, è molto più assurdo di me che guardo una donna nuda.»
   «Non ero completamente nuda...» borbottai infastidita e imbarazzata a un tempo, senza che però quei due mi degnassero di attenzione. Il solo Kentin mi lanciò lo stesso sguardo strano di quella sera e questo mi fece arrossire più di prima.
   «Beh, ti assicuro che, quando non si dà le arie che si dà di solito, la sua compagnia risulta persino piacevole», ribadì Armin, con un’espressione perplessa, quasi come stentasse a crederci lui stesso. «Non so se fosse dovuto all’influenza di Nathaniel o... che so, semplicemente alla sua presenza. Però siamo stati bene, ecco.»
   «Non voglio ritrovarmela come cognata!» protestò Alexy, che evidentemente era già giunto a conclusioni tutte proprie, che ebbero il potere di far scoppiare a ridere me e Kentin e di indignare non poco il suo gemello.
   «Non ho alcuna intenzione di mettermi a farle la corte!»
   «Lo spero! Se tu lo facessi, sì che ti disconoscerei come fratello!»
   Quel battibecco continuò a fare da sottofondo alle nostre chiacchiere per quasi tutta la durata del pranzo, alternandosi sporadicamente ad altre battute di vario genere e al racconto dei boxer vagabondi di Castiel. Alla fine Rosalya non era stata in grado di torcere di bocca una sola parola a Capucine, ma tutti eravamo comunque convinti che fosse stata lei l’artefice di quello stupido scherzo infantile.
   Finito il pranzo, mentre uscivamo dalla sala mensa, Kentin mi prese gentilmente per un polso, inducendomi a voltarmi nella sua direzione e a rallentare il passo. «Che c’è?» domandai, notando la sua espressione quasi intimidita.
   «Posso... parlarti un momento?»
   Acconsentii senza farmelo ripetere e, dando appuntamento ai nostri amici a più tardi, mi condusse verso le scale, continuando a tenermi per il polso come se volesse assicurarsi che lo seguissi. Per tutto il tragitto mi domandai cosa volesse dirmi, e per un tremendo attimo temetti si trattasse di Ambra: anche lui aveva intenzione di rivalutarla come aveva iniziato a fare Armin? Il solo pensiero mi contorse le budella. Ci fermammo solo quando fummo in cima all’ultima rampa, proprio davanti alla porta che sapevamo portare al terrazzo dell’edificio scolastico, inaccessibile a noi studenti. Fu allora che la mano di Kentin scivolò dal mio polso fino alle mie dita, che lui strinse con calore.
   «Tutto bene?» chiesi con una certa insicurezza. Dovevo davvero aspettarmi il peggio?
   Gli occhi verdi di lui si soffermarono sui miei, dissolvendo in un istante ogni mia inquietudine. «Volevo chiederti scusa per stamattina», mi sorprese poi. E davanti alla mia aria confusa, aggiunse: «Prima dell’ora di Scienze, ti sono passato accanto senza neanche salutarti. Scusami.»
   Quasi mi venne da ridere. «Sul serio mi hai portato fin qui per questa sciocchezza?» gli domandai con fare retorico, non riuscendo a nascondere il sollievo. Gli carezzai il dorso della mano con il polpastrello del pollice. «Eri nervoso, è comprensibile.»
   Schiuse la bocca per dire qualcosa, ma alla fine ci ripensò e, vincendo ogni remora, seguì l’istinto che lo indusse a chinarsi su di me e a baciarmi. Fu un gesto tenero e spontaneo, al quale non mi sottrassi neanche quando avvertii l’altro suo braccio circondarmi la vita per stringermi con fare protettivo. Non durò che una manciata di secondi e non fu altro che un semplice contatto di labbra umidicce, ma fu anche la cosa più bella che mi fosse mai capitata fino a quel momento.
   Quando allentò la presa, lasciandomi parzialmente andare, ci guardammo intontiti per qualche istante. Poi, continuando a fissarmi negli occhi, la fronte contro la mia, spiegò: «Stamattina mi sono reso conto una volta di più di quanto tu sia importante per me, di quanto tu lo sia stata anche in passato. Non mi hai mai lasciato solo e...»
   Il cigolio della porta del terrazzo troncò a metà il suo discorso, costringendoci ad allontanarci di scatto l’uno dall’altra e a voltarci giusto in tempo per vedere comparire sulla soglia la sagoma di qualcuno che si stagliava contro la luce proveniente dall’esterno. L’odore intenso e fastidioso del fumo ci penetrò nelle narici e fu allora che compresi di chi doveva trattarsi: avendone rubate le chiavi tempo addietro, Castiel era il solo a poter accedere indisturbato al terrazzo della scuola.
   «Interrompo qualcosa?» domandò, fra il serio ed il faceto. Nessuno di noi due lo degnò di una risposta, tanto che lui corrucciò lievemente la fronte prima di afferrare la situazione. «Cazzo…» Alzò subito una mano in segno di scuse. «Mi tolgo dai piedi», disse soltanto, richiudendo la porta alle proprie spalle e facendo per muoversi verso le scale.
   In quel mentre, tuttavia, la campanella suonò per la ripresa delle lezioni. Castiel s’affrettò ulteriormente ai piani inferiori, mentre io e Kentin fingemmo di non averla udita. Sbirciai nella sua direzione e lui stirò le labbra in un’espressione tesa, indeciso forse se correre il rischio di arrivare in ritardo all’ora di Matematica o se rimandare a dopo il discorso che aveva iniziato poco prima. Decisi di venirgli incontro, anche e soprattutto perché non era una cosa da risolvere in breve. Inoltre, l’atmosfera che si era venuta a creare ormai era già stata ampiamente rovinata.
   «Ne riparliamo mentre torniamo a casa?» gli proposi, avvertendo una strana, inaspettata serenità nel tono della mia stessa voce. Erano gli effetti del suo bacio? Effetto placebo istantaneo. Una meraviglia. Dovevo tenerlo a mente per il futuro.
   Lo vidi passarsi pigramente una mano sul volto e infine sbuffò con un mezzo sorriso isterico. «Ma sì... Tanto, ormai...»
   Mi concessi un risolino divertito e fui io, stavolta, ad aggrapparmi a lui per condurlo giù per le scale. Non facemmo che pochi passi, però, che Kentin mi tirò indietro per baciarmi di nuovo. Al diavolo la lezione, pensai, sciogliendomi come burro sotto al suo tocco. E, dopotutto, che diamine avremmo dovuto dirci, ancora? Bastava quello per chiarire ogni cosa lasciata in sospeso fra noi.
   Arrivammo in aula con circa cinque minuti di ritardo, scusandoci con l’insegnante che, sospirando con pazienza, decise di chiudere un occhio. Quando mi sedetti di nuovo accanto a Rosalya, mi resi conto di essere accaldata e che il cuore mi batteva a mille, che le gambe mi tremavano e che qualcosa di meravigliosamente piacevole si agitava in me. Non credevo granché alla faccenda delle farfalle nello stomaco – anche perché la trovavo alquanto disgustosa, come immagine – ma avevo come l’impressione che gli occhi mi brillassero per la gioia. Di più, mi riscoprii incapace di stare ferma e di seguire la lezione come avrei dovuto perché avvertivo ancora la bruciante sensazione delle labbra di Kentin sulle mie; forse, non aspettandomelo, non ero stata in grado di godermi appieno il nostro primo bacio, ma il secondo aveva superato ogni mia più rosea immaginazione, facendomi perdere ogni contatto con la realtà. Mi domandai se lui se ne fosse accorto e realizzai che non me ne importava nulla, anzi; a ben guardare, speravo che lo avesse fatto, che si fosse reso conto dell’effetto che aveva su di me.
   L’unica ragione che ci aveva costretti a scollarci l’uno dall’altra, in realtà, non era stata la lezione, quanto l’assenza che avremmo dovuto giustificare poi a Nathaniel, il quale, in qualità di delegato degli studenti, avrebbe ovviamente preteso di sapere che fine avessimo fatto e perché mai, pur trovandoci a scuola, non ci fossimo fatti vivi durante l’ora di Matematica. Visti i precedenti, oltretutto, temevo che il suo interrogatorio non sarebbe stato senza un ulteriore secondo fine... Mi azzardai a sbirciare nella sua direzione e lo vidi fare la stessa cosa con me, benché in viso avesse un’espressione mortalmente seria. Distolsi lo sguardo, sentendomi vagamente in colpa, benché sapessi che fosse stupido. Non era la prima volta, quella, che io e Kentin finivamo per fare tardi ad una lezione – era già successo con la Delanay non molto tempo prima, ma per colpa di uno stupido scherzo di Ambra – perciò mi venne spontaneo chiedermi se Nathaniel non avesse iniziato a sospettare qualcosa. Alla mente mi tornò il modo in cui mi aveva guardata pochi giorni prima, quando sua sorella aveva provato ad approcciarsi a Kentin davanti a tutta la classe per farmi dispetto, e mi convinsi di sì: come tutti gli altri, anche Nathaniel doveva aver intuito che il mio interesse amoroso si era irrimediabilmente allontanato da lui qualche tempo dopo che il mio migliore amico – ragazzo? – era inaspettatamente tornato al liceo. Non poteva farmene di certo una colpa, poiché aveva sempre saputo che ero legata a Kentin da un affetto molto profondo, che col passare del tempo mi aveva spiazzata, fino a trasformarsi in qualcos’altro, ugualmente forte, ma comunque diverso.
   La campanella suonò di nuovo, riportandomi infine al presente. Abbassai lo sguardo sul mio quaderno e mi accorsi che non avevo scritto una sola parola o un solo numero. Mi volsi in direzione di Rosalya e domandai: «Mi presteresti i tuoi appunti? Te li riporterò domani.»
   Lei mi sorrise con aria sorniona. «La tua distrazione ha a che fare con il ritardo con cui tu e Kentin vi siete presentati a lezione?» Arrossii, ma non risposi, incapace come sempre di mentire a dovere. Rosalya sghignazzò e mi passò il proprio quaderno. «Lo sai che ti costringerò a farmi un resoconto dettagliato?»
   «Lo sai che non ti racconterò un bel niente?» ribattei stizzita, scippandole gli appunti di mano prima che potesse riprenderseli per ripicca, magari usandoli come forma di ricatto.
   «Lo sai che hai appena confermato i miei sospetti?» ritorse lei, con fare canzonatorio, facendomi sentire ancora più stupida. Imprecai fra i denti e lei rise. «Sei così tenera che a volte mi verrebbe voglia di mangiarti. Credo che lo pensi anche Kentin.»
   Infilai ogni cosa nella borsa dei libri e, ignorandola, mi diressi verso la porta dell’aula. Fui intercettata da Nathaniel, purtroppo, che subito mi domandò: «Ci sono problemi? È raro vederti fare tardi a lezione.» Non ci parlavamo da alcuni giorni, da prima ancora che sua sorella facesse quella magra figura davanti a tutta la classe con l’unico scopo di farmi dispetto – che aveva invece fatto a se stessa. Mi chiesi se Nathaniel avesse chiarito le cose con lei, in proposito, e se Ambra avesse avuto il coraggio di parlargli di quella che, in qualche modo, poteva definirsi una sorta di infatuazione che lei, sotto sotto, aveva per Kentin.
   «Oh, non preoccuparti», cominciai, cauta. «Va tutto bene.»
   «Sicura?»
   «Kentin aveva bisogno di parlarmi. Tutto qui.» Non era propriamente una bugia, dal momento che la cosa era partita in questo modo.
   Nathaniel parve rabbuiarsi. «Capisco», commentò, laconico.
   «Piuttosto, i nostri gruppi di studio hanno dato i loro frutti», ripresi, cercando di distrarlo. «È stata una soddisfazione non da poco.»
   Mi rivolse un sorriso a mezza bocca, mentre insieme iniziavamo infine a dirigerci verso l’aula della lezione successiva. «Armin mi ha detto che vi siete riuniti tutti a casa di Castiel.» Non fu abbastanza bravo da contenere la lieve irritazione che incrinava il tono della sua voce. Ecco un altro a cui avrei dovuto imprimere a fuoco sulla fronte la mia totale indifferenza nei riguardi del nostro compagno di classe dai capelli rossi. O forse a dargli fastidio era il pensiero che avessi passato la notte sotto lo stesso tetto di Kentin?
   «Spero che la cosa non sia arrivata a tua sorella…» fu l’unica preoccupazione che mi permisi di esprimere ad alta voce.
   «Tranquilla, non le abbiamo detto nulla», mi garantì Nathaniel, lo sguardo fisso davanti a sé. Era infastidito e non riusciva a nasconderlo, pertanto, se lo conoscevo bene, la cosa doveva renderlo ancora più contrariato.
   «Non è di voi che non mi fido…» mormorai, mentre il mio pensiero andava a Capucine e alla sua lingua lunga e tagliente. Che il malumore di Nathaniel fosse dovuto anche ai suoi pettegolezzi?
   «Se anche fosse», continuò lui quasi all’improvviso, «pensi davvero che Ambra possa ritorcersi ancora contro di te? So bene che ne ha fatte tante, di sciocchezze, in passato; ma credo che ormai abbia imparato la lezione.»
   Avrei voluto concedergli il beneficio del dubbio, eppure non mi riusciva di non sospettare ancora una volta delle azioni di sua sorella. «Stamattina ha fermato Kentin per il corridoio per chiedergli scusa per tutto ciò che gli ha fatto subito dopo il nostro arrivo qui al liceo», sparai d’un fiato, sperando che, parlandone con lui, forse mi sarebbe stato più semplice comprendere la situazione. Ambra si stava davvero ravvedendo, come sembravano testimoniare le lacrime che erano salite a bagnarle le ciglia dopo la rispostaccia che le aveva dato Kentin, oppure era l’ennesimo raggiro finalizzato a chissà quale machiavellica vendetta ai miei danni?
   A riprova del fatto che non ne sapesse nulla, Nathaniel corrucciò le sopracciglia bionde con aria confusa e rallentò il passo, inducendomi a fare lo stesso. «Davvero? Non mi risulta che fosse accaduto niente, all’epoca…»
   Strinsi le labbra con stizza. «Io invece ricordo perfettamente di averti detto che tua sorella lo vessava con insulti, prepotenze e umiliazioni», rimbeccai, in preda all’ira. Perché doveva diventare così orbo, quando si trattava di lei?! «Gli ha anche rubato i soldi in più di un’occasione.»
   Nathaniel si fermò in mezzo al corridoio, fissandomi stranito e rimanendo in silenzio per qualche istante. «Non che non voglia crederti», iniziò poi, «ma… continuo a chiedermi perché lui non abbia mai detto nulla al riguardo.»
   «Te lo dissi già all’epoca», insistetti io, visto che lui sembrava avere la memoria corta. «Kentin non è tipo da lamentarsi dei propri problemi. Tutt’altro.»
   Forse per reazione alla mia irritazione o forse innervosito dal modo in cui difendevo a spada tratta quello che sapeva essere il mio migliore amico, per di più a discapito della già discutibile reputazione di sua sorella, il tono della voce di Nathaniel s’indurì nuovamente. «In tal caso, avrebbe dovuto tirare fuori un po’ di spina dorsale.»
   «Non è il solo che avrebbe dovuto farlo», mi scappò detto, prima che potessi rendermi conto della gravità della mia affermazione. Rimase comprensibilmente spiazzato e anch’io mi ridussi al silenzio, conscia di aver esagerato. Tuttavia, che diritto aveva di sputare sentenze su Kentin, quando lui per primo non era stato in grado di fronteggiare da solo le proprie debolezze e di chiarire il burrascoso rapporto che aveva con suo padre? Kentin lo aveva fatto per colpa di Ambra; Nathaniel lo aveva fatto per via della mia chiamata ai servizi sociali – suggeritami peraltro proprio da Kentin.
   Troppi pensieri iniziarono ad affastellarsi nella mia mente, troppe sorprese per quella mattina: dovevo darci un taglio o sarei ammattita. Di più, non avevo alcuna intenzione di litigare con Nathaniel. Per cosa, poi? Una vaga, malcelata scenata di gelosia che non aveva neanche ragione di esistere? Non gli dovevo alcuna spiegazione.
   Sospirai, cercando di recuperare parzialmente la calma. «Scusa», balbettai, in parte mortificata per aver stuzzicato una vecchia ferita. «Avevi bisogno di dirmi qualcos’altro?» Lui non parlò, ma riprese a camminare, chiudendosi in se stesso. Lo seguii, pentita solo a metà di avergli risposto male. «Nath?» lo chiamai, tirandogli la manica all’altezza del gomito.
   Sospirando anche lui, quasi con uno sbuffo, mi lanciò uno sguardo non proprio allegro. «In realtà volevo solo chiederti se più tardi ti andava di venire in libreria con me.»
   «Oh…» farfugliai, lasciandolo andare e sentendomi sempre più in balia degli eventi. «Ho già preso un impegno, mi spiace.» Non potevo dar buca a Kentin, non quel giorno. Avevamo bisogno di chiarire anche noi qualcosa, ed era altrettanto delicato, seppur assai diverso.
   Nathaniel tornò a fissare gli occhi avanti a sé, mentre varcava l’ingresso dell’aula. «Non fatico a immaginare con chi…» borbottò a mezza voce.
   Ero sinceramente dispiaciuta per la piega che aveva preso la nostra conversazione. Gli volevo bene e non sopportavo l’idea che ce l’avesse con me. «Potremmo andarci domani, se ti va.»
   Mi lanciò un nuovo sguardo e, dopo un attimo, accennò finalmente un sorriso che poteva dirsi tale, sia pure un po’ sbiadito dal recente malumore. «D’accordo.»
   Conscia di essermi appena data la zappa sui piedi, mi diressi al mio posto e mi guardai attorno alla ricerca di Kentin. Lo vidi intento a scherzare con Armin, mentre fra le mani reggeva una confezione di biscotti al cioccolato. Mi venne spontaneo inarcare le labbra verso l’alto, benché fossi consapevole che di lì a poco si sarebbe arrabbiato con me.












Aggiorno oggi perché nel fine settimana non ne avrò assolutamente il tempo e non mi andava di aspettare fino a lunedì.
Come avevo già anticipato, le cose tornano a farsi serie. Metto le mani avanti riguardo alla relazione appena nata fra Kentin e la Dolcetta perché mi servano che stiano insieme. Abbiate pazienza, capirete tutto a suo tempo. :3
Quanto al resto, scrivendo questo capitolo (circa un mese fa, ormai) mi si sono aperte altre parentesi, quali Nathaniel con i suoi vari rapporti interpersonali (ha seri problemi anche lui, tocca dirlo) e... beh, la tempra forte di Armin: sopportare Ambra come compagna di banco e di studio non dev'essere facile.
Nel corso dei prossimi capitoli ho intenzione di approfondire parecchi aspetti anche sugli altri personaggi, ma penso che sì, venti capitoli dovrebbero bastarmi (le ultime parole famose).
Il prossimo capitolo, insieme al primo che avete già letto e al dodicesimo che leggerete fra un paio di settimane, è senza dubbio uno dei miei preferiti. Almeno fra quelli scritti fino ad ora. Ed è anche forse la chiave di volta dell'intera storia. ♥
E mi fermo qui, se no faccio tardi al lavoro, lol. :'D
Ringrazio come sempre tutti i lettori e i recensori, ai quali, giurin giurella, risponderò domani pomeriggio (o alla peggio domenica pomeriggio).
Augurandovi un buon weekend, vi do appuntamento al più presto! ♥
Shainareth





  
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