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Autore: Vedra    28/08/2015    8 recensioni
Partecipa, forse un po' in ritardo, al contest per il compleanno di Andrè
Ricordi quando ci facevamo insieme il bagno? Lo facevamo tutti vestiti, per fretta, non per altri sciocchi e futili motivi. Quando uscivamo avevamo il tessuto incollato alla pelle, i capelli fradici, e ci asciugavamo al sole, e poi al vento, mentre i cavalli, ormai riposati, macinavano la sabbia sotto gli zoccoli. Pensavamo che non se n’accorgesse nessuno, ma l’odore di mare era forte sulla nostra pelle. Ricordo ancora l’ultimo bagno, e tu? Tu lo ricordi? Non è stato poi molti anni fa, forse cinque, non di più. Sei uscita dall’acqua, e io ho sentito un calore sconosciuto irradiarsi per il corpo. La camicia era bagnata, completamente trasparente. Era avviluppata attorno al petto, il tuo seno era improvvisamente cresciuto, era libero, ne vedevo le rotondità bianche in trasparenza. Non riuscivo a staccare gli occhi da te. Avevamo tredici anni, forse io ne avevo già quattordici. Diventasti rossa quando ti accorgesti del mio sguardo indiscreto, oh, com’eri bella così imbarazzata! Ti copristi con le mani, facendo finta di niente. Ma al ritorno non mi rivolgesti la parola. Non andammo più a fare il bagno
Genere: Romantico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sapore di sale




 
Prese una manciata di sabbia, la strinse nel pugno, e poi lasciò che scivolasse, finissima, dalle sue falangi, e che ondeggiasse spostata dal vento che veniva dal mare, formando una collina friabile, fin quando tra le dita non gli rimase più nulla. Posò gli occhi verdi sulla distesa d’acqua salata.

Il mare della Normandia era così bello in quel giorno di fine estate, si riversava sulla sabbia bianca inesorabile, nel suo perpetuo movimento secolare, inarrestabile, gli lambiva le punte degli stivali. Il sole era basso, infuocato, sempre più rosso man mano che s’avvicinava all’orizzonte. Sentiva l’odore salmastro del mare pungergli le narici, esalato da un mucchio di alghe rosse e secche, piene di sale, che stavano a pochi metri da lui, e il calore della sabbia penetrargli nel palmo delle mani.

Qualche gabbiano sparuto volteggiava sulla distesa cristallina in cerca di qualche pesce ignaro, e il loro stridio gli feriva le orecchie. La brezza gli faceva ondeggiare i lembi della giacca, sbattendoli ora sulle sue gambe ora sulla sabbia già umida.


L’estate s’avviava al suo termine, la famiglia Jarjayes avrebbe lasciato dopo pochi giorni la tenuta estiva in Normandia, anzi, sarebbe stato più corretto dire che Oscar l’avrebbe lasciata: il generale e sue moglie si sarebbero trattenuti ancora fino a metà ottobre, mentre il congedo di Oscar finiva con lo scadere del mese.


Oscar, ti ricordi dei nostri giochi di bambini, qui, in riva a questo mare? MI ricordo il sapore di sale che avevamo sulla pelle quando tornavamo a casa, e tu, Oscar, tu te lo ricordi? Quando una volta, fradici, siamo usciti dall’acqua, ti eri tagliata un dito, forse su uno scoglio, non mi ricordo, non mi interessa, ricordo solo i tuoi occhioni azzurri sgranati per la sorpresa quando t’accorgesti che il mare aveva il sapore del sale. Volevi portare l’acqua a Nanny, per dirgli che con quella avrebbe potuto condirci le patate.


TI ricordi, Oscar, quando lanciavamo i cavalli in un galoppo forsennato lungo tutta la spiaggia, e al ritorno giocavamo a fare i soldati, che dovevano rintracciare due briganti seguendo le loro orme? Non ci importava che le orme erano al contrario, non ci importava, ci eccitavamo quando erano mezze cancellate dalle onde che le mangiavano, e facevamo giri assurdi all’andata perché al ritorno fosse tutto più complicato.

E quando ci nascondevamo dietro a un tronco portato dal mare? Bianco e sbiadito dall’aria salmastra? Quando un gabbiano ignaro era il nemico da cui dovevamo guardarci? Dimmi Oscar, te lo ricordi questo?



Ti ricordi quando, seduti sulla spiaggia umida la sera tardi, mentre in cielo s’accendevano le prime stelle, ci raccontavamo a vicenda storie di pirati e di navigatori? Storie di mari lontanissimi, in cui l’acqua, nei nostri sogni di bambini, non bagnava, e in cui la sabbia era nera come il mare al tramonto. Ti ricordi quanto ci spaventavamo, a volte delle storie inventate da noi stessi?


Dio, Oscar, quanto mi mancano quei momenti, non puoi nemmeno immaginare quanto io ne abbia nostalgia. Eravamo due bambini, non sapevamo nulla del mondo, riuscivamo ad essere felici, eravamo amici, semplici amici. Non esisteva la Regina, non esistevano le miserie degli uomini, non esisteva il mio amore per te, che rende tutto più incomprensibile, per me e per te, non esistevano ombre nel tuo sguardo di bambina, ora, ora sono fortunato se vi scorgo di tanto in tanto un lampo di luce.


È il giorno del mio diciottesimo compleanno, Oscar, Philippe mi ha detto che ormai sono un uomo, che posso andare a godermi i piaceri della vita come un uomo. Stasera ha detto che mi porterà alla locanda del paese qui vicino, che mi offrirà da bere, e che vorrebbe che andassi con la prima donna.


Non sa che non toccherò nessuna con te negli occhi. Siamo giovani, Oscar, eppure già sei per me così importante come per un ragazzo della mia età non dovrebbe esserlo niente.



Non voglio pensare a te, non oggi. Voglio illudermi che sia tutto perfetto nella mia vita. Voglio che questo mare consumi i miei occhi, e che il sale di quest’aria mi secchi la pelle. Voglio dormire sotto le stelle pensando a mia madre. Alla madre di cui non ho nessun ricordo.


È strano, non ho mai trascorso compleanni felici, sai Oscar, forse i primi, quando mi portavi di nascosto il tuo regalo, lo scartavamo insieme, e poi dormivi accanto a me. Il giorno dopo ero felice, sì, ero veramente felice. Forse anche stanotte ti sognerò, nuda accanto a me, spendente nella tua, nella nostra giovinezza, ti sognerò nuda e ardente, gemente con Lucille sotto i tocchi di Armand, ma poi non sarò felice, no, per questo almeno stanotte non voglio dormire.


Ricordi quando ci facevamo insieme il bagno? Lo facevamo tutti vestiti, per fretta, non per altri sciocchi e futili motivi. Quando uscivamo avevamo il tessuto incollato alla pelle, i capelli fradici, e ci asciugavamo al sole, e poi al vento, mentre i cavalli, ormai riposati, macinavano la sabbia sotto gli zoccoli. Pensavamo che non se n’accorgesse nessuno, ma l’odore di mare era forte sulla nostra pelle.

Ricordo ancora l’ultimo bagno, Oscar, e tu? Tu lo ricordi? Non è stato poi molti anni fa, forse cinque, non di più. Sei uscita dall’acqua, e io ho sentito un calore sconosciuto irradiarsi per il corpo. La camicia era bagnata, completamente trasparente. Era avviluppata attorno al petto, il tuo seno era improvvisamente cresciuto, era libero, ne vedevo le rotondità bianche in trasparenza. Non riuscivo a staccare gli occhi da te. Avevamo tredici anni, forse io ne avevo già quattordici. Diventasti rossa quando ti accorgesti del mio sguardo indiscreto, oh, com’eri bella così imbarazzata! Ti copristi con le mani, facendo finta di niente. Ma al ritorno non mi rivolgesti la parola. Non andammo più a fare il bagno assieme. Cavalcavamo sulla battigia, io mi tuffavo tra le onde, lo facevo, ti invogliavo, ti chiamavo, ma non venisti mai più. Ricordo che morivi di caldo pur di non bagnarti. Vedevo il tuo sudore scendere sul volto, sul collo, dietro i capelli, bagnare la sottile camicia, non osasti mai più venire.


Non ricordo invece quando cominciai a cavalcare da solo, su questa spiagge deserte, sul palco spensierato della nostra infanzia. Non ricordo quando, anche in villeggiatura, iniziasti a chiuderti in casa, a leggere, a riposare, a camminare a lungo ma sempre entro i margini della tenuta. Forse successe quando diventammo grandi, forse quattro anni fa, quando diventasti capitano delle guardie. Pensavi che il tempo dei giochi fosse finito. Forse lo è davvero, e sono solo io che mi illudo sperando che in realtà non debba finire mai.




Le onde continuavano a scrosciare, su quella battigia bianca e desolata.
Sulle creste, la schiuma si arricciava.
E sulle increspature, ci stavano mille stelline, luccicanti come i diamanti al collo di una bambina.

Le stelline sul mare.

Il vento gli alzava i capelli color dell’ebano, e Sagitta, la sua cavalla nera, s’aggirava pigra alla ricerca di qualche stelo d’erba, dietro di lui. Non aveva legato la cavalla, perché sapeva che non se ne sarebbe mai andata.

Con gli occhi verdi divorava l’orizzonte, alla ricerca di qualcosa di indefinito, di indefinibile.
Semplicemente, non si stancava di seguire con gli occhi le increspature luminose del mare, il suo movimento incessante.
I raggi del sole si tuffavano nell’acqua, ma invece di schiarirla la rendevano più scura, turbinosa, di un violetto porpora, color del vino. 
Il vento soffiava forte, gli fischiava nelle orecchie, alzava la sabbia e gliela mandava negli occhi, facendoli lacrimare, e nel mare le onde erano alte, si rigiravano su se stesse schiantandosi contro la riva.
Accennavano tempesta, ma non erano arrivate al punto di essere pericolose.


Andrè s’alzò, e con un movimento quasi impaziente si tolse la giacca e le scarpe. Furono sufficienti pochi passi perché l’acqua gli arrivasse alle ginocchia. Già le onde lo avevano bagnato fino a sotto il collo, un altro passo, e sentì la forza dell’onda battere contro la sua schiena. L’acqua turbinava, attorno alle sua gambe. Sentiva la leggera corrente che sapeva sarebbe montata nella notte, ma in quel dolce pomeriggio di fine estate era ancora leggera. Con i piedi e le mani ancorati nella sabbia del fondale, si lasciò travolgere dalle onde, immergendo il capo sotto l’acqua, facendosi investire dalla schiuma bianca, lasciando che passasse violenta sul suo volto. La sentiva filtrare dalla camicia, entrare nei pantaloni, e la sabbia sotto le piante dei piedi era piacevolmente morbida. 

Era solo, in quella immensità, solo.


Ricordi quando la nonna mi fece trovare la torta ricoperta di candeline, quella mattina lontana, Oscar? Eravamo così piccoli… soffiai, e le spensi tutte, ce la mangiammo in un solo giorno, quella torta meravigliosa. Ci stavano le mele, ed era ricoperta di cioccolato, ricordo che mi passasti una mano sulla bocca. Avevo tutto uno sbaffo di cioccolato che mi trasfigurava. Cosa darei per sentire di nuovo le tue mani accarezzarmi il volto come quando eravamo bambini, Oscar! Cosa darei! Tu non puoi nemmeno immaginarlo.


Il vento gli schiaffeggiava la faccia portandogli la schiuma salmastra negli occhi, negli occhi verdi come gli smeraldi.


Chissà se le lacrime hanno esattamente lo stesso sapore dell’acqua salmastra, in qualche leggenda si dirà sicuramente che il mare si è formato per il lungo pianto di un dio. Di una dea, forse, una dea abbandonata.


Si lasciò cullare dal dondolio delle onde, lasciò che lo sommergessero e lo innalzassero a loro piacimento.

Come la vita, indomabile, imprevedibile, non puoi far nulla per impedire che ti sommerga, per impedire che ti innalzi, non decidi tu quando.


Non seppe dire quanto tempo trascorse, ma mentre il sole era vicino all’orizzonte, rosso fuoco come i carboni ardenti del camino che d’inverno attizzava per lei, decise di uscire da quell’acqua ancora calda. Sentì la sabbia molle avvolgergli i piedi come seta, mentre camminava con piglio deciso fendendo l’acqua.

Alzò lo sguardo.

Era immobile, davanti a lui, in groppa al suo cavallo bianco, imperturbabile, imperscrutabile, con i capelli biondi che ondeggiavano come nastri dorati nel vento salmastro, con gli occhi cerulei assottigliati, per vincere il bagliore del sole morente.  Caesar aveva la testa abbassata, e la coda bianca frustava l’aria, agitata dal vento, così come la criniera, la bianca criniera.

Bianca come la camicia di Oscar, che, spinta dal vento, si modellava attorno alla sua figura. Andrè l’osservò, sorpreso di trovarla lì, temendo che fosse un sogno. Erano anni che Caesar non metteva piede su quelle sabbie. L’acqua del mare gli gocciava dai capelli, gli imbeveva la camicia, completamente incollata al suo corpo, trasparente, mostrava i muscoli da giovane ragazzo, era una figura scura contro la luce accecante del sole che tramontava.


«Sapevo di trovarti qui.» Quando la donna parlò, Andrè sussultò, e il suo cuore perse un battito. Non le chiese perché, sapeva che anche lei ricordava i momenti spensierati della loro ingenua fanciullezza.

«Erano anni che non venivi più.» La donna scese da cavallo, lo lasciò libero.

«Ho fatto una sciocchezza.»

«Perché sei tornata proprio oggi? »

«È il mio regalo, Andrè, il mio regalo per te.»

«Perché questo?» La donna s’allontanò da lui, arrivò in riva al mare, con le punte degli stivali dentro l’acqua, lo sguardo rivolto all’orizzonte, perduto, lontano, forse ricordava un altro orizzonte, un orizzonte che bisognava sorvegliare perché non arrivassero i pirati.

«Siamo cresciuti, siamo adulti ormai, abbiamo dimenticato cos’è la spensieratezza, e insieme cos’è la felicità. Mi ricordo che amavi venire qui, quando eravamo piccoli. Qui eravamo spensierati, qui eravamo felici. Ti ricordi, Andrè?»

«Sì, sì… lo ricordo» Rispose l’uomo con voce spezzata, mentre il vento agitava i loro capelli.

«Non voglio pensare a nulla, adesso, non voglio che tu pensi più a niente, voglio riportare indietro quegli attimi di felicità che hanno costellato la nostra infanzia. L’hanno costellata… adesso non ci sono più.»

«Oscar…»

«Sono scomparsi.»

«Perché sei così malinconica, oggi?»

«Il tempo passa, è facile dimenticare che scorre, quando le giornate si susseguono tutte uguali, ma quando arrivano giorni come questi, improvvisamente ce ne se ricorda. Ed è triste, non so perché lo è. Ogni Natale, ogni Pasqua, ogni volta che arriva il mio o il tuo compleanno è triste.» La ragazza si volse, con gli occhi turbinosi come quel mare in cui stava montando tempesta. E Andrè le si avvicinò, le accarezzò il volto leggero, con la punta delle dita, come se non osasse infiltrarsi nella coltre di malinconia che sorgeva, come nebbia su un fiume al mattino, attorno a lei. Oscar si divincolò dalle sue dita, ma non si volse, cercò i suoi occhi, e poi strinse la camicia bagnata di lui in un pugno. E si rannicchiò nel suo petto, con il volto incastrato nell’incavo del collo.

Il tuo respiro sulla mia pelle. Oscar! Sento la nostra giovinezza scorrere dentro le vene, sento il petto gonfiarmisi di speranza quando guardo all’orizzonte.

«Solo oggi, soltanto adesso, verrai a fare il bagno con me? »

«Oscar…» La donna sollevò lo sguardo ad incrociare quello dell’amico di sempre. Poi si sciolse dal suo abbraccio, e ridendo, iniziò a correre verso l’acqua, dopo aver gettato lontano gli stivali

«Vieni!»

Sono felice, Oscar, era tanto tempo che non lo ero.
 
***

 
Ormai il sole era tagliato a metà dall’orizzonte marino.
Lo spicchio di un’arancia infuocata.

Dietro di loro, il cielo iniziava a farsi scuro e qualche stella caduta nel pare pomeridiano ritornava al suo posto di sempre, sfavillando lucida, sopra le loro teste, la volta era di un profondo viola, spolverato di rosa, e attorno al sole s’accendeva di quell’arancio pesca che stringe i cuori innamorati. Il rumore del mare stava diventando fragore e la marea montante allungava le dita a rubare un altro centimetro di sabbia. La sabbia faceva ombra a se stessa per quanto il sole era basso, e la brezza serale si era quasi trasformata in vento.


Oscar e Andrè erano seduti sulla sabbia, i vestiti fradici addosso, che gli si gelavano sulla pelle sotto le raffiche fredde che venivano dal mare. Abbracciati a scambiarsi un po’ di calore, osservavano il sole che lentamente si tuffava nell’acqua. Oscar aveva le braccia attorno alla vita di Andrè, che a sua volta le cingeva le spalle con un braccio, sostenendosi con l’altro.

La pelle sfregava quella dell’altro, appena velata da un impalpabile strato di tessuto trasparente. I muscoli di Andrè, le dolcissime rotondità di Oscar, ormai quelle di una donna fatta, e non più di una bambina innocente.


Le sento premere su di me, sul mio torace, Oscar.
Sono piene, i tuoi capezzoli s’inturgidiscono al freddo.


Sono pazzo di desiderio per te, Oscar.

Folle come un uomo innamorato.
Sei nuda accanto a me, nuda eppure vestita.

Ti stringo le spalle.

Sento i tuoi boccoli grondare gocce d’acqua sul mio braccio.

Non m’importa.
Sento il calore dei tuoi fianchi morbidi che aderiscono ai miei.

Ti immagino gemente e nuda su questa sabbia, mentre invochi il mio nome con gli occhi liquidi di desiderio. Sento la sabbia sfregarti la schiena mentre assecondi le mie spinte. Sento i tuoi gemiti mischiarsi con il rumore del mare, i tuoi gemiti di piacere, sotto i miei tocchi.

Vorrei averti, Oscar, su questa sabbia, sotto quest’unico occhio infuocato solo per noi questa sera.

Ma non voglio che tutto si rovini.

Voglio godermi questi attimi di infinita felicità.
Sei al mio fianco, arrendevole, mi abbracci come non facevi da tanti anni, ti lasci abbracciare da queste braccia, ti appoggi su questo torace.
Voglio vedere i riverberi del tramonto nei tuoi occhi color del mare.
Alla luce di questo sole, diventano color porpora.
I capelli s’accendono di mille riflessi d’oro rosso.
Vorrei che questo sole non scomparisse mai.

Vorrei che queste onde non smettessero mai d’infrangersi dentro questa luce che ti rende il volto d’ambra pura.

Sei bellissima, adesso.

Non voglio rovinare questo giorno. Non voglio turbare questa estatica tranquillità. Non voglio che ci siano pensieri in questo momento di meraviglia. Voglio soltanto sensazioni. Il freddo delle nostre camicie che aderiscono alle pelle, l’acqua che gocciola dai tuoi capelli. I tuoi occhi color porpora, le tue labbra rosse, il calore della tua pelle contro la mia. I tuoi seni tesi sul mio torace, le tue spalle sotto il mio braccio.


MI accontento di ascoltare il mare, e guardare il tramonto insieme a te, mi accontento di aspettare le stelle su queste sabbie già umide, di indovinare le parole nelle raffiche di vento, e negli stridii dei gabbiani in volo, mi accontento di questo momento che vorrei infinito.



Oscar, persa con gli occhi nel tramonto, gli appoggiò il capo sopra la spalla, lasciando che i suoi capelli biondi si mescolassero ai suoi, neri corvini, e annusò il suo profumo di sale.


MI accontento della tua testa sulla mia spalla, Oscar, dei tuoi capelli in mezzo ai miei, amore mio dolcissimo.







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Con un ritardo infinito anche io riesco ad augurare buon compleanno al nostro Andrè. E' estate no? E d'estate si va al mare, anche se ci vorranno almeno un paio di secoli prima che apra il primo stabilimento >.< Spero che questa cosina vi si a piaciuta, aspetto i vostri pareri,
a presto
Vedra

 
   
 
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