La coscienza artistica
dell’Akatsuki
- L’arte è
eterna- Akasuna no Sasori, burattinaio di eternità lignee, eterno e immutabile
egli stesso, proclamò con tono tranquillo, senza alterazioni del volto
visibili, il suo concetto prediletto. Sapeva che, come al solito, avrebbe
suscitato un vespaio, ma non se ne preoccupava.
Era anzi
compiaciuto dell’osservazione delle reazioni altrui, in special modo di quelle
di Deidara, l’esplosivo ninja della Roccia.
E fu proprio
lui il primo a replicare: - Stupidaggini, Sasori. L’arte è effimera, fuggevole.
La vera bellezza non può essere immutabile!.
- Non è per
nulla vero- intervenne Kakuzu con voce baritonale – Mille pezzi d’oro sono
belli oggi come cento anni fa…-
Sasori si
produsse in una smorfia interiore all’udire lo scipito commento di
quell’insulso pecuniomane immortale, ma stette zitto.
Fu Deidara a
continuare una conversazione che si profilava uguale a migliaia di altre:
- I soldi non
sono belli!- esclamò con un certo disgusto. – Io sto parlando di arte,
capisci? Di luce, di fuoco, di rumore! Non di fastidiosi tintinnii sempre
uguali di monete!- concluse la frase con una nota più marcata di disprezzo
nella voce.
– Musica per
le mie orecchie!- ribattè Kakuzu, cinico. Deidara gli fece una poco prudente
linguaccia con tutte le sue bocche, mentre Sasori prendeva la parola:
- L’arte deve
essere eterna, non c’è altra possibilità. Se non la fosse, non ci sarebbero
artisti, perché sarebbero turbati al pensiero della corruttibilità delle loro
opere, e non ne produrrebbero più se non fossero convinti della durevolezza
delle creazioni del loro genio.-
Un’alta
figura blu entrò in quel momento. Kisame aveva come al solito la sua Samehada
con sé, e appena sedutosi la estrasse e si mise ad ammirarne la squamosa
perfezione.
– Che si dice
qui?- domandò lo squalo della nebbia senza alzare gli occhi dal metallo
lucente.
- Una
discussione sull’arte, Kisame…- a parlare era stato il cortese lato bianco di
Zetsu, subito interrotto da quello nero:
- Già, una
stupida discussione sull’arte, razza di cernia demente!-
- Tieni a
freno la lingua, Zetsu, o questa cernia potrebbe creare sul tuo grazioso
visetto luce/ombra un elaborato quadro astratto… colore dominante rosso
sangue!-
Kisame rise
malvagiamente, e Zetsu bianco, terrorizzato, ammonì dolcemente il lato nero
affinché moderasse i toni, ma ottenne solamente una valanga di insulti, tra cui
spiccavano per l’originalità: “Mezza geisha rammollita”, “clown melenso” e “sei
simpatico come dello zucchero per un diabetico”.
Mentre Zetsu
litigava con questa deliziosa proprietà di linguaggio, la conversazione si era
spostata sull’arte moderna, in quanto Hidan, jashinista masochista, era rimasto
colpito dall’idea di un quadro astratto sanguinolento e pertanto si era
sfregiato con una mannaia da sacrificio. Il risultato, a detta di Kisame, si avvicinava
molto a quanto egli stesso aveva immaginato sul volto della pianta carnivora
schizofrenica, e pertanto si complimentò con l’immortale Hidan.
Deidara aveva
idee molto precise sull’astrattismo, in quanto riteneva che fosse inutile se
posto su un qualunque materiale che ne permettesse la conservazione per più di
due minuti, e ciò lo portò a ricevere un altro dei commenti filosofici di
Sasori, che trattava principalmente:
- dell’influsso dei poeti maledetti
sulla corrente dell’astrattismo geometrico;
- dell’esemplificazione lineare del
pensiero su materiale duraturo;
- dell’importanza della scelta dei
pennelli nel tratteggio delle persiane nell’opera di Kobi no Dakame;
- della necessaria ricerca
dell’immortalità da parte dell’uomo artista.
Al punto 4 si
collegò Kakuzu, sostenendo di essere un artista dei soldi. Nessuno poté
contraddirlo, ma tutti si convinsero maggiormente della sua limitatezza
artistico-culturale.
La
discussione si protrasse ancora a lungo, con il significativo apporto di:
·
Kisame,
che elogiò la lucentezza quasi perlacea di Samehada esposta alla luce;
·
Zetsu,
che sostenne la bellezza della complementarietà oppositiva dei colori bianco e
nero in cornice verde, commento questo che, inserito in una pausa del suo
litigio interiore, gli valse un’aspra critica per narcisismo, e per una visione
eccessivamente egocentrica dell’arte;
·
Itachi,
che, essendo stato in ascolto per quasi tutta l’accesa discussione, si produsse
verso la fine di quest’ultima in un lungo monologo sulle illusioni, un
soliloquio che gli consentì di dilungarsi nella descrizione delle proprie
immagini mentali, piuttosto particolareggiate, che riscossero la
semi-approvazione di Deidara, in quanto di breve durata.
Il commento
di maggior rilevanza giunse però dalla paffuta cameriera di mezza età che servì
il tè con i pasticcini, che sostenne che l’arte, per come la intendeva lei, era
costituita dal cibo, e che sarebbe stato meglio che mangiassero qualcosa,
perché Lui, il Capo, li voleva nel suo ufficio.
I terribili
membri dell’Akatsuki, ammansiti dalla dolce signora e dai suoi altrettanto
dolci pasticcini, sospesero dunque l’inconcludente discussione.