Serie TV > Criminal Minds
Segui la storia  |       
Autore: ellizzy    03/02/2009    2 recensioni
June vive in un passato che però non ha presente, Lizzy vive un presente che non ha passato alcuno. Queste due donne così diverse e lontane tra loro incroceranno, nel passato e nel presente, le loro vite con quella dell'agente speciale Spencer Reid, il genietto del BAU,in modo così profondo e indelebile da indurlo ad affrontare uno dei dilemmi più grandi che fin dai tempi antichi ha lacerato l'animo umano: la scelta tra la legge dello Stato e la legge del Cuore. Cosa si nasconde dietro un volto amico? Forse il volto della morte... "Nessun uomo è ricco abbastanza da riscattare il proprio passato" Oscar Wilde
Genere: Drammatico, Thriller, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Spencer Reid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Nuova pagina 1

CAPITOLO 4: Nel tempo dell’inganno

 

“Nel tempo dell’inganno universale la verità è un atto rivoluzionario”

  June e Hotchner arrivarono dopo breve tempo all’ufficio di Gideon, che li osservava da dietro le veneziane leggermente sollevate. Hotch fece accomodare June su una sedia e, ad un cenno di richiamo da parte di Gideon, entrò nella stanza insieme a lui lasciando distrattamente la porta socchiusa. June, occhio di falco, se ne accorse con la coda dell’occhio e drizzò le orecchie per sentire cosa i due agenti supervisori avevano da dirsi. Aveva previsto che Gideon avrebbe parlato con un suo collega di lei e della sua offerta prima di fare il passo decisivo, non c’era che da attendere. Dall’interno dell’ufficio Gideon la stava scrutando, pensoso, cercando di studiarla, di capire i suoi pensieri e prevedere le sue mosse per il futuro, quando si ritrovò accanto Hotch, che gli chiese senza mezze misure: - Posso sapere che cosa sta succedendo?- Aveva il solito tono pacato, ma severo, che non ammetteva la negazione di una risposta immediata. Gideon non rispose, come se non l’avesse sentito, ma fece a sua volta una domanda.

- Hotch, cos’è la giustizia?- Non staccò gli occhi dall’agente Thone, che ricambiava il suo sguardo con ferocia dall’altra parte del vetro. Aaron aggrottò la fronte senza capire il perché di quella domanda. Passò qualche istante di silenzio tra i due in cui Hotch non trovò le parole giuste per esprimere la sua idea a riguardo, ma quando Gideon gli lanciò un’occhiata di incoraggiamento, allora si decise a rispondere.

- E’ la virtù che attua l’uguaglianza sostanziale dei diritti e dei doveri di tutti i membri di una società e per la quale si giudica rettamente e si riconosce e si dà a ciascuno ciò che gli è dovuto. La giustizia è l’equilibrio tra l’assoluto e la possibilità, cioè il tentativo di realizzare un rapporto umano puntando in alto, ma tenendo conto dei limiti dell’uomo.-

Risposta degna di Aaron Hotchner.

- E tu credi che possa esistere?- riprese a domandare Gideon.

Quella era una questione che Hotch si era spesso posto. Era stato avvocato e aveva più volte visto la giustizia calpestata sotto i suoi occhi, mentre si ritrovava con le mani legate perché davanti alla decisione di un giudice la ragione, quella vera, non può nulla. E tuttavia aveva la risposta pronta anche a quella domanda, come se fosse rimasta annidata dentro lui da moltissimo tempo e si fosse di colpo ridestata.

- Io suppongo, anzi sono convinto, che se si crede fermamente in un’ideale e lo si rispetta, quell’ideale esiste. Se tu credi nella giustizia, allora la giustizia esiste, c’è, diventa qualcosa di tangibile, anche se a volte ci è difficile vederla o percepirla perché troppo spesso ignorata.-

- Sapevo che mi avresti risposto così.- Gideon si voltò completamente verso il collega e sorrise soddisfatto.

- Allora perché me l’hai chiesto se già conoscevi la mia risposta?- E poi Hotch comprese: Jason non voleva sapere cosa fosse la giustizia, già lo sapeva, né se esistesse, sapeva anche quello, ma voleva che lui lo capisse. Quella sulla giustizia era stata una questione che aveva tormentato Aaron per anni e ora sembrava che un peso l’avesse abbandonato lasciando il posto a un senso di pace e appagamento. La giustizia esisteva ed era un trionfo per l’umanità.

- Sai, quell’agente che ci sta osservando dal corridoio?-

- L’agente Thone?-

- Esatto. Lei non conosce la giustizia perché probabilmente nessuno gliene ha parlato. Mi fanno pena gli esseri umani che mettono da parte l’etica per il denaro: sono come bambini che rubano una caramella solo per avere una soddisfazione fugace. Non c’è gioia senza la giustizia e l’uomo che può definirsi davvero felice, secondo me, è colui che raggiunge un così alto valore. Non sono i soldi o la fama che danno la felicità! L’agente Thone mi ha offerto una generosa somma di denaro per mettere da parte il caso: voleva pagare il mio silenzio, ma quello che lei definiva silenzio sarebbe diventato per me come un grido interiore straziante. Ne sarebbe valsa la pena per denaro?-

- E allora perché la trattieni?-

- Perché voglio portare avanti questo caso e lei ha la chiave per risolverlo. Lei sa alcune cose che ha voluto ingegnosamente  tenere nascoste per sviare e complicare le indagini, finché non si è venuta a scontrare con me. Un profiler ha la capacità di far partorire una confessione indiretta anche ad un sasso se sa fare davvero il suo lavoro. Io ci stavo lavorando prima che lei se ne andasse via e ora voglio completare l’opera. Sono sicuro che interrogandola scoprirò qualcosa di più. E’ una questione di fondamentale importanza-

Hotch capì perfettamente ciò che Gideon aveva intenzione di fare e fu orgoglioso di avere un capo come lui, ma quando si voltò verso June rimase attonito.

- Ma… ma dov’è finita? Era lì un secondo fa!-

La sedia era vuota.

Hotch e Jason si precipitarono fuori dall’ufficio alla ricerca di June, che sembrava essere scomparsa. In verità se la stava solo dando a gambe. Aveva compreso che Gideon non aveva alcuna intenzione di ritrattare, ma voleva semplicemente scoprire come indagare senza l’altra unità tra i piedi. E a questa conclusione June c’era arrivata pur non essendo un profiler; si complimentò con se stessa.

Previde che gli altri due agenti la stessero inseguendo e accelerò il passo il più possibile cercando di non farsi notare. Voleva prendere un’uscita secondaria, ma sembrava più complicato del previsto: c’erano un’infinità di corridoi, di scale, di uffici; ad una persona poco esperta il luogo appariva come una sorta di labirinto. June continuò a cercare l’uscita, invano, finché ad un certo punto non aprì una porta con forza eccessiva, comportamento dovuto al nervosismo che la situazione le procurava, e la porta sbatté contro qualcosa facendolo cadere rumorosamente a terra. La giovane aggrottò perplessa la fronte e immaginò di aver colpito un armadietto o un manichino, ma che ci facevano quegli oggetti dietro una porta? Allora guardò cosa avesse effettivamente colpito e fatto cadere e constatò che la porta non era finita contro qualcosa ma contro qualcuno.

“Oddio, ma quest’idiota è sempre per terra?” pensò mentre osservava Spencer Reid supino sul pavimento con un vistoso bernoccolo sulla fronte. Non dovette fare due più due per capire che aveva spalancato con foga la porta proprio nel momento in cui lui passava lì dietro.

“Certo, se avessi io un tipo così in squadra lo farei svegliare fuori con certi modi che se li ricorderebbe per un bel pezzo. Ma quanto imbranato è? Sicuramente è un raccomandato perché dubito sappia effettivamente fare qualcosa di utile pur essendo dottore.” Stava per girarsi e andarsene via quando Spencer si alzò in piedi e un’idea le fulminò il cervello.

- Oddio, dottor Reid, si sente bene?- Si finse preoccupata e Reid abboccò. Era evidente che non sapeva nulla del fatto che Gideon e Hotch stessero inseguendo June e questo, probabilmente, fu per lui un bene: l’agente Thone era una donna fredda e pratica. Se avesse intuito che Spencer era stato già avvertito dai colleghi della fuga di lei, avrebbe estratto la pistola e l’avrebbe freddato.

- A...Agente Thone!- Reid rimase sconcertato da quell’incontro inaspettato e arrossì scordando immediatamente il dolore alla testa – P...posso…posso fare qualcosa per te? Cioè, volevo dire, per lei?-

Fu il turno di June di rimanere sorpresa: dunque, l’aveva colpito alla testa, quasi abbandonato lì a terra mezzo svenuto, senza contare che l’idea di sparargli subito le aveva attraversato il cervello più di un paio di volte, e lui le domandava con tono gentile se poteva aiutarla? Le fece venire proprio voglia di aprire il fuoco su di lui. Che pezzo di idiota!

- Ehm- cominciò June scacciando dalla testa certe voglie, decisa a sfruttare la situazione  -Veramente io stavo cercando un’uscita. -

- Beh, da qui l’uscita principale non è molto distante. Ecco, devi solo…- spiegò Reid indicando il corridoio di fronte pronto a darle indicazioni e scordandosi, per l’agitazione, di usare la terza persona formale.

- No, guarda- lo interruppe subito lei  - Io intendevo un’uscita secondaria. -

Si era sbilanciata troppo dicendo così? Un profiler, quale si riteneva fosse Spencer Reid, avrebbe capito che era un modo per fuggire? No, era troppo stupido per arrivarci, infatti le sorrise educatamente e si voltò verso il corridoio che aveva alle spalle.

- Allora, dunque per arrivare all’uscita secondaria più vicina devi… Aspetta, da qui per l’uscita ti conviene… Allora, vai avanti per questo corridoio fino alla porta laggiù, la vedi? Ecco, dunque, apri la porta, beh ovvio che apri la porta (risatina nervosa). Allora, da lì giri a sinistra, cioè a destra volevo dire, e lì ti ritrovi davanti agli uffici informatici che sono stati costruiti un paio di anni fa per permettere ai nostri tecnici di seguire le nostre operazioni da qui, cioè da Quantico, il che rende il lavoro più semplice perché non devono spostarsi con noi e hanno tutto il materiale a portata di mano. Sai, è difficile lavorare fuori dall’ufficio per il nostro nuovo tecnico, Penelope Garcia: è arrivata da poco, ma si è portata dietro tanti di quei gingilli elettronici che… (occhiataccia di June) oh, scusa, dimenticavo! Allora, dov’eravamo rimasti? Ah, già gli uffici informatici. Da lì si dipartono due vie, cioè trovi una specie di bivio che io c’ho messo anni per capire quale strada prendere (altra risatina nervosa), ma tu prendi quella a sinistra che ti conduce a una rampa di scale. Scendi e fai il corridoio fino in fondo, cioè, ci siamo, hai capito? Poi dal corridoio giri a destra, poi a sinistra, cioè, aspetta non mi ricordo se è a destra o a sinistra. A sinistra credo, sì, sì, a sinistra, sono sicuro. Allora, da lì… eh, però, cavolo, da lì è un problema! Va beh, vai avanti e ci sono altre scale sulla destra e ti ritrovi in un corridoio dove ci sono dei bagni con le mattonelle azzurre e allora ti conviene, ecco… oddio che casino! No, no, aspetta… ah, ecco, allora devi…-

June era sbigottita e fissava con gli occhi spalancati e la bocca semi aperta Reid che gesticolava. Si era persa al secondo cioè e non era tanto sicura che sarebbe riuscita a recuperare il discorso.

- Okay, okay!- lo interruppe mentre Reid minacciava di continuare ad oltranza – Senti, facciamo una bella cosa: accompagnami!- Suonava più come un ordine che come una richiesta. Alla giovane sembrò un’ottima idea: da una parte Spencer le avrebbe indicato un’uscita sicura conducendola per la via più breve, dall’altra, in caso di pericolo, cioè che gli altri agenti la beccassero mentre tentava la fuga, poteva prendere il genietto in ostaggio. Non era un granché come corporatura e lei, invece, insegnava a sparare ed era abbastanza brava nel combattimento corpo a corpo, dunque le sarebbe bastata qualche mossa ed estrarre la sua piccolina per uscire indenne dalla situazione. Era un piano fantastico, se lo sentiva.

In presenza di June Reid era talmente in soggezione che, nonostante fosse vicina l’ora della conferenza, non osò rifiutarsi di accompagnarla fino all’uscita più vicina.

Presero a camminare fianco a fianco, ma June accelerava il passo ogni istante di più, con grande stupore di Reid, per arrivare il prima possibile alla libertà.

Cercò di distrarsi chiacchierando anche per non far intuire al profiler il suo piano: - E’ da molto che lavora qui, dottor Reid?-

- Mi chiami Spencer-

- Prego?-

Anche Reid si stupì delle sue stesse parole: ma che gli prendeva, era forse andato fuori di testa? Sapeva che era June, con quei suoi profondi occhi di ghiaccio e l’atteggiamento che teneva nei suoi confronti, a suggestionarlo e si sentiva terribilmente a disagio.

- Ehm, mi perdoni. Qual era la domanda?- Aveva la gola secca e le parole gli uscivano intervallate a piccoli colpi di tosse nervosa. June si accorse degli effetti che produceva sul giovane, ma non provò pietà, solo un senso di potenza.

- Volevo sapere, Spencer, da quanti anni lavori per l’FBI- sorrise maliziosamente.

- Ecco, io lavoro come profiler da… da…- la scena si fece tenera: Reid si era completamente dimenticato da quanto tempo lavorava nel BAU ed era la prima volta che gli succedeva.

“Ma che mi sta succedendo? E’ come se tutto quello che so in sua presenza scomparisse. Eppure mi sento la testa scoppiare! Ma perché? Cosa mi sta facendo?” Non aveva nemmeno il coraggio di guardarla negli occhi mentre parlava: sostenere quegli occhi gli era impossibile. Aveva la lingua impastata, si sentiva un fuoco scorrergli sotto la pelle, sudava freddo e le sue mani tremavano ogni volta che le allungava per aprire una porta, la vista gli si annebbiava continuamente e i rumori intorno a lui si attenuavano. June prese a giocarci e cominciò a parlare e a fare domande con voce vellutata e grave intontendo Reid sempre più. Non si era mai sentito così e più il tempo passava peggio era.

La porta dell’uscita secondaria fu per lui come un’ancora di salvezza a cui tentò di aggrapparsi disperatamente. Lo fu anche per June che vide profilarsi davanti la via per fuggire da quel posto.

- Beh, allora grazie, dottor Reid. Ci vediamo!- June si slanciò verso la maniglia per aprire la porta, ma fu richiamata da Spencer.

Si voltò lentamente e lo trafisse con lo sguardo: che poteva mai volere adesso?

Spencer abbassò gli occhi, che era riuscito ad alzare per tentare di guardarla in faccia un’ultima volta prima che lei se ne andasse.

- Agente Thone!- rialzò, con grande sforzo, gli occhi di scatto - June… spero di avere ancora il piacere di poterti aiutare… in futuro-

June lo fissò con un’espressione indecifrabile e poi gli si avvicinò inaspettatamente, lo sbatté con forza contro il muro e lo baciò. Cioè non fu un bacio, perché definire quello un bacio sarebbe assurdo, ma premette ugualmente le sue labbra su quelle di Spencer, senza amore, ma lo fece e poi lo fissò con sguardo stuzzicante e gli ripassò il labbro superiore con la lingua.

- Augurati per il tuo bene di non incontrarmi più, dottor Reid!- E se ne andò lasciando il povero Spencer a terra tramortito e con una mano davanti alla bocca, scioccato e vagamente nauseato, mentre la risata della ragazza gli rimbombava nelle orecchie.

Ora, se Reid avesse avuto un minimo di buon senso se ne sarebbe rimasto dov’era, ma il bacio l’aveva traumatizzato così tanto che si precipitò fuori all’inseguimento di June. Il motivo di tutta quella foga non lo capì nemmeno lui, ma sapeva di doverle parlare, di dover sentire ancora la sua voce penetrante e  vedere quegli occhi di ghiaccio. Doveva. Punto.

Appena uscito la cercò disperatamente con lo sguardo, cercando di reggersi sulle gambe che non smettevano di tremare. Fu in un istante che la vide mentre un uomo la trascinava nel retro di un furgone, che partì sgommando immediatamente dopo, diretto verso una destinazione ignota. Un attimo dopo Reid si ritrovava su un suv nero con a fianco Morgan, che, attaccata la sirena, avviò il motore e partì all’inseguimento del furgone.

Derek, come faceva ogni mattina verso le nove e mezza, era andato a prendersi un caffè al bar dall’altra parte della strada e all’uscita aveva visto Reid precipitarsi fuori dalla porta dell’uscita secondaria con un’espressione sconvolta impressa sul volto e una ragazza, che Morgan non aveva riconosciuto essere June, venir caricata a forza nel retro di un furgone che era fuggito a gran velocità. In un secondo aveva tratto le sue conclusioni, aveva mollato il caffè e con una corsa pazzesca era arrivato al suv più vicino. Reid se ne stava imbambolato sul ciglio della strada, ma ad un richiamo da parte di Derek si era precipitato nella sua direzione ed era salito a sua volta in macchina. Ora la macchina sfrecciava velocissima sulle strade di Quantico.

Il cuore di Reid batteva fortissimo contro il petto facendogli quasi male. Morgan non si accorse di nulla: era troppo impegnato a guidare e a schivare le altre macchine. Quando vide in lontananza il furgone che stava inseguendo lanciò un’esclamazione soddisfatta e accelerò ancora di più. Gli fu addosso in un momento e incitò Spencer a estrarre la pistola in caso ci fosse stato bisogno di sparare alle gomme dell’altra vettura. Il suo ordine fu ignorato, infatti Reid non capiva più niente di quello che gli stava accadendo intorno.

Il furgone voltò sulla sinistra e li condusse in una strada secondaria poco trafficata dove, finalmente, si fermò.

Derek saltò giù dal suv e tirò fuori la pistola esortando il conducente a scendere. La portiera si aprì e ne uscì un uomo sulla trentina con un ghigno che gli increspava le labbra e le mani alzate in segno di resa.

- Dammi le chiavi del furgone!- gli urlò Morgan puntandogli addosso l’arma. L’uomo obbedì senza smettere di sorridere e gettò le chiavi a Derek. L’agente si precipitò, senza comunque abbassare la guardia, verso lo sportello del furgone e lo aprì con violenza. Un attimo dopo fu investito dall’odore pungente del sangue.   

 

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Criminal Minds / Vai alla pagina dell'autore: ellizzy