Storie originali > Introspettivo
Ricorda la storia  |      
Autore: Bianca_brunori    29/08/2015    0 recensioni
Affidavano la loro vita ad un filo; per un attimo si dimenticavano di respirare e si abbandonavano al battito assordante del loro cuore.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

~~E, così, eccoti di nuovo qui, sempre pronta a tormentare le mie notti. Non ti ho scelta io; ti ho trovata per caso, i capelli tirati indietro, lo sguardo altezzoso, le labbra serrate in una linea perfetta, pronte a soffocare qualunque segno di umana empatia. Ho capito subito che questa non poteva essere la tua essenza. Come potevi essere così fredda, così eccessivamente rigida? Eri simile a quei bambini che, di fronte ad un vaso rotto, gridano subito che non sono stati loro, dichiarando inconsapevolmente la loro colpa. Dovevo solo cercare di togliere quella maschera dal tuo volto. Ti ho osservata ogni giorno, alla ricerca di un soffio di vento che potesse far crollare quel tuo castello di carte. Poi un giorno ti ho vista, forse per la prima volta chiaramente. Avevi la testa china sulla scrivania, rigida come una statua. Stavi spostando le dita lungo la tastiera descrivendo nervosamente delle linee intrecciate. Ad un tratto dalla finestra entrò il suono di un violoncello: Ezra aveva aperto anche quella mattina la custodia dello strumento e si era rifugiato nel mondo che amava, in quel mondo dove non aveva fame, dove il suo letto era bianco e profumato. Ogni giorno in quell’attimo Ezra dimenticava la morsa che stringeva il suo stomaco, dimenticava che il suo letto, in realtà, era grigio, profumava di asfalto e sogni infranti e si chiamava strada. Affidava la sua malinconia a quel suono cupo e per un solo istante si liberava del peso della sua esistenza. Ezra volava via trasportato dal vento e tu quel giorno avevi scelto di seguirlo. Ricordo ancora i tuoi occhi chiusi mentre sceglievi di lasciarti alle spalle lo spettro che era rimasto di te. Eri bellissima, June. Dopo una vita intera avevo potuto osservare la meccanica dei tuoi pensieri, avevo potuto vedere quella serie infinita di ingranaggi che si nascondeva dietro le tue palpebre chiuse. I fili dei tuoi pensieri si erano attaccati come zavorre alla mongolfiera della musica di Ezra e venivano trasportati via, lontano, sempre più in alto. Eri sempre più bella, June, bella quasi quanto la lacrima che ti bagnava le guance in quel viaggio ad occhi chiusi. Poi Ezra aveva smesso di suonare e per te, piccola Cenerentola smarrita, era scoccata la mezzanotte. Quel magico sogno era finito e tu eri tornata prigioniera di quell’angolo freddo della tua mente che ti faceva credere che provare dei sentimenti non valesse il dolore che avresti potuto incontrare. In un solo attimo eri tornata pallida, triste, fredda come una mattina d’inverno. Io non potevo fare altro che aspettare un debole raggio di sole che potesse squarciare il tuo cielo carico di nuvole. Speravo che in te potesse tornare la speranza. Tu, però, avevi preferito cancellare quel nome: per te la speranza era sempre stata solo un’illusione. Ezra stava richiudendo la sua custodia, pronto a continuare il suo viaggio all’angolo di un’altra strada; per te, però, il viaggio si era concluso; eri stata costretta a scendere da quella straordinaria mongolfiera.  L’unica traccia rimasta di quel viaggio era un leggero tremore delle mani. Poi, piano, piano, era scomparso anche quello.

Mia cara June , se solo potessi capire come sia bello abbandonarsi. La tua metodica precisione ti imporrà di chiedermi:  “Abbandonarsi a cosa?”. A tutto, June. Abbandonarsi al tempo che passa, alla vita che intorno a te continua a scorrere, all’amore, alla gioia, alla paura, al dolore. Ti ricordi i funamboli che da bambina guardavi con il fiato sospeso al circo? Affidavano la loro vita ad un filo; per un attimo si dimenticavano di respirare e si abbandonavano al battito assordante del loro cuore. Sentivano il sangue invadere le loro vene e dimenticavano il vuoto che li minacciava. Non avevano paura di abbandonarsi. Mentre li osservavo mi lasciavo incantare dai loro movimenti delicati e in quei movimenti rivedevo le acrobazie che ogni giorno tu sperimentavi per tenere ogni frammento della tua vita sotto controllo.   


Hai sempre cercato di controllare tutto alla ricerca di una vita perfetta e ora guardati: sei sola, fragile e spaesata. All’aeroporto non è venuto a salutarti nessuno. Si sono limitati a stringerti la mano in ufficio, educati ma freddi, come sei sempre stata tu. Non avrebbero mai creduto ai loro occhi vedendoti la sera successiva piangere amaramente appoggiata alla parete del tuo appartamento. Credevi di poter trovare perfezione non facendomi più tremare, esultare. Mia cara June, mia amica fedele, i sentimenti sono stati più potenti della tua forza di volontà: alla fine ti hanno ritrovata, come sempre. Per quanto tempo ancora dovrai vagare di casa in casa, di città in città, prima di capire che dovunque tu vada non potrai sfuggire a lungo a te stessa. Hai sempre attribuito a coloro che ti circondavano la colpa della tua solitudine e non hai mai capito, in fondo, che il tuo unico ostacolo era la fune dell’equilibrista: la capacità di vivere senza sentire la costante paura di essere trascinati dalla corrente della gioia, della rabbia, dell’amore, della vita. Ed ora non posso fare altro che guardarti mentre sali sull’aereo spaesata, con i capelli travolti dal vento e gli occhi ancora carichi di parole non dette, di lacrime non piante. Vorrei che tu potessi vedere quanto tu sia bella quando sei viva, quanto tu sia bella in questo momento. So bene che, appena arrivata al prossimo aeroporto, cercherai di ridipingere quel ritratto freddo e distaccato di te stessa che hai sempre voluto mostrare. So bene che non potrò impedirti di farlo, mi hai messo a tacere molto tempo fa. Forse è per questo che ho sempre amato le partenze: sono stati gli unici momenti che mi hanno permesso di ricordarti come eri da bambina, prima di convincerti che si potesse vivere anche senza provare niente. Vorrei  poterti gridare di tornare indietro, ma temo che ormai sia troppo tardi. Ed ora, mentre ti guardo dietro al vetro dell’aeroporto, posso farti un ultimo prezioso augurio: posso augurarti di trovare un giorno una piccola spiaggia, piena di scogli neri e bagnata dall’oceano; posso augurarti di superare quegli scogli e di entrare in quell’acqua dal freddo pungente, che toglie il respiro; posso augurarti di lasciarti cullare dal mare con lo sguardo diretto contro la luce del sole. In quella luce accecante, nell’infinito silenzio assordante del mare posso augurarti di trovare il tuo filo del funambolo. Mia cara June, possa tu un giorno ritrovare l’immensa gioia di lasciarsi trasportare. Con infinito e incondizionato amore,

La tua piccola fragile anima (stanca di tacere).

 

   
 
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Introspettivo / Vai alla pagina dell'autore: Bianca_brunori