Capitolo 3 - Abbraccio
Kalut
si
era alzato in piedi, la strana sensazione che avvertiva dietro al
collo era
scomparsa. Camminava, camminava, cercando di distanziare quel
Venipede che lo
seguiva tanto insistentemente, ma senza lasciarlo intendere. Andava
solo qua e
là, senza una meta, muovendosi in direzione opposta al Pokémon. La
creatura,
invece, con tutta la calma del mondo seguiva i suoi passi ad un
ritmo costante
e trovava il modo di recuperare terreno anche quando il ragazzo
scattava
staccandosi da lui. Gli andava dietro, attratto come il ferro dalla
calamita,
da qualcosa che neanche lui sapeva riconoscere.
Il
Centro
Pokémon di Vulpiapoli pullulava di Allenatori e viaggiatori. La
struttura era
gigantesca, ospitava una decina di nuclei di cura e altrettanti reparti
di
primo soccorso, due o tre Pokémon Market estremamente forniti, delle
camere, un
bar e un ristorante. In un modo o nell’altro, Celia riuscì a trovare una
stanza
in cui alloggiare, vi entrò grazie alla chiave magnetica offerta alla
reception.
Immediatamente
si
gettò sulla branda, e buttò la borsa a terra. Reuniclus, che la seguiva
fluttuando calmo e pacato, restò a fissarla con occhi tristi per un po’.
La
ragazza lo notò quasi immediatamente. – Ehi, Gel, che hai? – chiese.
Il
Pokémon
fece alcuni versi e gesticolò con le sue braccia gommose lasciando
andare nell’aria delle scintille fucsia.
Celia
lo
scrutò per alcuni istanti. Seria. In silenzio. – Volevi combattere? –
domandò
poi.
Il
Pokémon
annuì, sorridendo.
–
Ma dai!
Abbiamo preso la medaglia senza sforzo, meglio così, no? – esclamò la
ragazza
osservando felice la targhetta.
La
ragazza
fece una doccia, uscì dalla stanza per mangiare qualcosa e poi decise
di riposarsi. Prima di chiudere gli occhi, prese in mano il suo diario a
forma
di barretta di cioccolato, con calma vi annotò il resoconto della
giornata, i
pensieri, le idee e le speranze. Poi andò felicemente a dormire.
Il
sole
stava calando. Xavier aveva sonnecchiato lievemente e si stava
preparando ad
uscire di nuovo. Eelektross fremeva all’interno della sua sfera e
Pumpkaboo,
più calmo, sembrava anche lui pronto a combattere.
–
Grazie,
arrivederci! – lo salutò l’infermiera principale.
Xavier
fece
un cenno con la testa e uscì dal centro. Camminò in mezzo per tutta la
sera, lo stridere delle cicale iniziava a diffondersi nell’aria. La luna
già
alta nel cielo si preparava al turno di guardia notturno. Xavier stava
già
pensando ad una strategia da utilizzare contro i Capipalestra gemelli di
Borgo
Asterion in base alle informazioni che aveva ottenuto circa i loro
Pokémon dal
PokéNet.
“Hanno
usato
tre coppie di Pokémon diverse, Accelgor e Escavalier, Ninjask e
Shedinja,
Heracross e Pinsir.” rifletteva il castano. “Mh, un Pokémon di tipo Fuoco mi farebbe comodo...”
Il
suo
piede destro si appoggiò a qualcosa di molle. Xavier, in allerta fece
impulsivamente un passo indietro ritirandolo. Prima scrutò il terreno
poi si
guardò attorno. Aveva calpestato una chiazza di melma, una melma densa e
di
color viola.
Comprese,
capì
di essere circondato. – Venite fuori! – esclamò senza timore.
Passarono
pochi
istanti. La chiazza su cui aveva messo il piede si rivelò essere un
Goomy,
altri esemplari simili e anche alcuni Sliggoo vennero fuori pronti a
colpire,
in ultimo, un enorme Goodra comparve al suo cospetto. Tutti loro erano
usciti
dalle fronde vicine.
Effettivamente,
notò
Xavier solo dopo essere finito in quella specie di agguato, si trovava
molto vicino alle anse del fiume Eridano, la zona era umida e paludosa e
proprio in quel punto, limitrofo alla tana di quei Pokémon, vi era una
grande
presenza di acqua, persino il sentiero era costellato di pozze e la
terra era
umida e irregolare. Avrebbe dovuto capirlo, lui, di trovarsi nei
quartieri di
quel Goodra e del suo clan, ma era stato troppo occupato a leggere
informazioni
su Borgo Asterion e sui suoi Capipalestra dal PokéNet. e adesso si
trovava
circondato da un gruppo abbastanza numeroso di draghi.
–
Bene,
mi stavo giusto annoiando. – Ed era vero.
In
un
attimo Eelektross e Pumpkaboo erano fuori dalle Ball.
–
Dragartigli – ordinò al suo
Pokémon Elettropesce. – Tu,
Pumpkaboo, usa Halloween su
Goodra.
La
rissa
scoppiò. Eelektross, in totale sintonia con il suo Allenatore, non aveva
avuto
bisogno di indicazioni precise circa il bersaglio designato e aveva
iniziato a
fare strage di Goomy e Sliggoo utilizzando i suoi artigli irradiati da
una
potente energia violacea. Xavier aveva fatto il possibile per evitare
colpi di
Pokémon selvatici che dirigevano i loro attacchi verso di lui e non
verso i
suoi compagni adibiti alla lotta. Il Pokémon Zucca, invece aveva utilizzato con successo la tecnica sul Goodra
boss del gruppo. Ora il corpo molliccio della creatura esalava ogni
tanto dei
sottili fumi sul viola scuro, come a dimostrazione del fittizio tipo Spettro impostogli dal
Pumpkaboo. Reagì
immediatamente scagliando un Dragopulsar
verso di lui.
–
Eelektross! – esclamò Xavier.
Il
Pokémon
di tipo Elettro intuì
immediatamente e difese il compagno di squadra con un Lanciafiamme che deviò il raggio di energia scagliato dal Goodra.
Pumpkaboo era fuori pericolo.
Xavier
diede
uno sguardo al PokéNet, si accorse che, tenendo in mano la Ball di un
Pokémon della sua squadra con il Glowe, tutte le info a lui relative
comparivano sul display. Attualmente poteva leggere quelle di Pumpkaboo,
rimase
un pelo stupito, ma in testa gli si accese una lampadina. – Ok, ho
un’idea! –
esclamò il castano correndo verso i suoi Pokémon. – Qui con me, tutti e
due. –
ordinò loro.
I
tre si
reclusero in un solo punto al centro della mischia. Proprio il punto più
pericoloso.
–
Ora,
Pumpkaboo, usa Bruciatutto e
Eelektross, tu vai con Lanciafiamme,
non
li colpite, riscaldate solo l’ambiente – ordinò.
I
due
colpi incandescenti si limitarono a colpire il terreno e l’aria, creando
una
sorta di barriera infuocata tra i Pokémon selvatici e Xavier e la sua
squadra.
Ciò impediva agli avversari di colpirli.
Dopo
un
paio di minuti, il ragazzo tastò il corpo di Eelektross. Lo trovò
asciutto. –
Rientra! – disse richiamando il Pokémon Elettropesce
nella sfera bianca e rossa. – Pumpkaboo, tieni vivo il fuoco, manca
ancora
poco... – fece.
Purtroppo,
il
secondo membro della sua squadra era affaticato, si rese conto che aveva
sprecato molte energie per sputare quella schiera di fiammate così
contrastanti
il suo elemento madre, l’erba.
Con
uno
strenuo ultimo sforzo, Pumpkaboo alimentò ancora un po’ il fuoco, prima
di
accasciarsi a terra, stanchissimo. Xavier lo accolse nella sfera e poco
dopo si
accorse che la sua tattica aveva funzionato, i Goomy, gli Sliggoo e
persino il
Goodra si stavano dileguando.
Aveva
inteso
che quelle creature erano uscite per cacciare di notte proprio perché,
durante il giorno, il sole era stato talmente intenso da rendergli
pericolosa
la permanenza fuori dall’acqua, stessa storia di Eelektross, insomma.
Avevano
cercato prede per sfamarsi, “Ma
ci
avevano provato con quelle sbagliate.” rideva tra sé e sé,
inconscio del
fatto di essere stato attaccato, in realtà, solo perché le creature lo
avevano
visto calpestare uno dei cuccioli del gruppo.
Aveva
quindi
scelto una semplice tecnica, far alzare di nuovo la temperatura e
levarsi di torno quegli avversari indesiderati in modo da non doverli
mettere
KO uno dopo l’altro. E aveva fatto tornare nella sfera anche Eelektross
in modo
che quella barriera di calore non si rivelasse un’arma a doppio taglio.
Soltanto
una
cosa non gli quadrava. Prese di nuovo con la mano sinistra la sfera di
Pumpkaboo e diede un occhio allo schermo del PokéNet. “Perché conosci la
mossa Bruciatutto? Soltanto
tramite MT puoi
impararla e io ti ho catturato nel Bosco Lira poco fa.” pensò come se
stesse
domandando ciò direttamente al Pokémon.
Il
primo
dubbio era fondato, ma l’orgoglio generato dall’aver notato
un’imperfezione
così nascosta superò per grandezza la vera curiosità, così, lì per lì
non se ne
preoccupò davvero, non era il tipo. Proseguì la sua marcia e non
ricevette più
alcun fastidio fino a quando, attorno alla mezzanotte, varcò le porte di
Borgo
Asterion.
Era
Ferragosto.
La suoneria del PokéNet destò Celia dal suo profondo sonno. “Otto
meno dieci, baby.” diceva
ironicamente il display. La ragazza staccò il volto dal cuscino,
trascinò le
gambe fuori dal letto e su di esse si sollevò. Avvertì immediatamente la
fastidiosa sensazione di impedimento che l’acido lattico le dava e con
rabbia
sbuffò. Con gran flemma si portò in bagno, si fece una doccia e si
asciugò come
meglio poté.
Non
aveva
voglia di camminare, non con l’acido lattico. Le venne un’idea. Guardò
il
PokéNet, le previsioni segnavano addirittura dei picchi di quaranta
gradi nella
sua zona. Aveva tutti i requisiti necessari, uscì immediatamente dal
centro e
corse verso la palestra di Arturo, lo trovò intento a riaggiustare un
macchinario da leg curl.
All’inizio
un
po’ intimidita, si schiarì la voce e salutò l’uomo dalla porta
d’ingresso.
Il Capopalestra alzò lo sguardo e mormorò un “ehi” tornando subito a concentrarsi sul suo lavoro. – Come mai
qui? – domandò poi dopo aver bloccato la molla del macchinario.
–
Sai per
caso dove si trova Antares? – chiese la bionda.
–
Si è
fermato da me a dormire, è sceso da poco, se sei fortunata lo trovi
ancora al
bar qui a fianco a fare colazione... – rispose Arturo.
Celia
annuì
e ringraziò: – Ok, grazie mille e buon lavoro! – lo salutò. Si accinse
ad
uscire, ma si fermò un istante con i piedi già sullo zerbino esterno e
guardò
di nuovo Arturo. – Grazie ancora per la medaglia di ieri! – esclamò
sparendo
dietro la porta.
Si
sentì
una forte botta metallica, il Capopalestra, sentendo quella frase, aveva
mollato uno dei cilindri dell’apparecchio lasciando la barra in balia
della
molla che la aveva spinta addosso al suo pollice e provocandogli un
dolore
atroce. Arturo si soffocò le imprecazioni nella trachea.
Il
bar
vicino alla palestra era pieno di persone, molte di queste si dirigevano
verso
il bancone, altre al loro tavolo, ma la maggior parte sostava vicino ad
un
certo soggetto dai capelli blu. Fan, chi in cerca di un autografo su una
loro
Ball, chi solo di una stretta di mano, chi di una foto.
Celia
cercò
di introdurvisi per raggiungerlo. Quando Antares la vide, in mezzo alla
folla che piccola come era cercava una fessura nella quale infiltrarsi,
subito
fece allargare il gruppo di ammiratori per farla passare. La invitò a
sedersi
di fronte a lui.
–
Ora
lasciatemi un secondo, dopo... – Dette un morso al suo cornetto ripieno
di miele.
– ...vi fifmo gli autogfafi – proseguì a bocca piena.
Le
persone,
tra la delusione generale e l’ostilità nei confronti della biondina,
si diradarono, rimanendo comunque nei paraggi, in agguato, come dei
Noctowl,
intenti a scrutare il Campione con i loro occhi lunghi.
–
Allora,
come mai sei venuta a cercarmi? – Antares bevve un sorso di latte, della
schiuma gli rimase sospesa sul labbro superiore.
–
Ecco...
– Celia cercò le parole. – Oggi fa caldo e io devo fare ancora tanta
strada per
arrivare a Costa Mirach... – spiegò con una vocina da bimba annoiata.
–
Ferma,
vuoi che ti accompagni per un altro pezzo di strada? – chiese l’uomo per
arrivare
al punto.
Celia
mugolò
un “mh” inclinando la testa e
evitando il suo sguardo fisso.
Antares
sorrise.
– Non c’è problema, ragazza, dopo ti porto io! – sorrise il Campione.
Lei
imitò
la sua espressione gioviale.
–
Hai
fatto colazione? – domandò poi lui.
La
ragazza
scosse la testa accompagnando il movimento a un “neh”. Antares le offrì una brioche e un cappuccino, lei non pensò
neanche un momento di rifiutare. I due si alzarono poco dopo al termine
del
pasto, l’uomo pagò al bancone e proprio nell’esatto istante in cui
rimise il
portafoglio nella sacca, venne assalito di nuovo dagli ammiratori. Celia
stessa
impiegò una decina di minuti prima di uscire da quella matassa di
braccia e un
tondo quarto d’ora dopo si trovava sul dorso del Charizard di Antares,
fuori
dal bar e pronta a volare via sotto la supersonica, ma esperta guida di
quel
soggetto eccentrico e stravagante.
Venti
minuti
e si trovavano a Costa Mirach, città, appunto, costiera, pullulante più
di Vulpiapoli e Delfisia messe assieme di turisti e visitatori. Era il
più
famoso sito adibito alla balneazione di Sidera e le persone, attratte
nella
regione dallo straordinario evento del Pianto Delle Stelle, avevano ben
pensato
di fermarsi una settimana intera ed approfittarne per andare in
spiaggia. Le
coste sabbiose di Sidera erano famose per la loro amenità e il mare
stesso per
la sua trasparenza.
Quando
i
due Allenatori giunsero a destinazione atterrando, come di convenzione,
davanti
al Centro Pokémon della città, si resero conto di essere arrivati
proprio
“nell’ora di punta”, momento in cui tutti i vacanti si riversavano nelle
strade
armati di borsa, ombrellone e sdraio portatili, diretti verso la
spiaggia. I
due guardavano divertiti quel grande torrente di bikini, costumi a
pantaloncino
e pareo.
–
Va
bene, le nostre strade si separano quindi? – chiese il Campione.
–
Penso
di sì, ma scusami, non ti ho chiesto se ti do fastidio facendomi
accompagnare,
tu dove sei diretto? – fece la ragazza.
–
Io... –
rifletté l’uomo. – ...sto vagando senza meta per la regione, quindi no,
non mi
infastidisci – sorrise lui.
Celia
annuì
felice, i due si salutarono informalmente e presero due strade
differenti, lei verso la palestra e lui verso... un altro posto.
Xavier,
nel
frattempo, varcava la soglia della palestra dei gemelli di Borgo
Asterion,
cittadina ferma nel tempo in un periodo imprecisato della storia,
caratteristica e molto attaccata alle tradizioni. L’ironia stava nel
fatto che
essa fosse rappresentata da due giovani ragazzi, maestri del tipo Coleottero.
L’edificio
della
palestra si mostrava da fuori come una struttura completamente a tema
col
resto della città, in pietra, sfumature tra il marrone scuro e il rosso,
di
semplice fattura. Quando il ragazzo vi entrò dentro, invece, si trovò
davanti
una specie di ecosistema miscelato.
Rimase
basito
di fronte al prato non curato e pieno di erbacce che costituiva il
pavimento, al soffitto bucato che permetteva ad un po’ di luce di
entrare e
inverdire i fili d’erba, alle rovine di una vecchia casa, infilata nella
palestra in stile matrioska, che spuntavano dal terreno come fossero
nate da
esso. Le mura di pietra abbattute, diroccate e colonizzate completamente
da
ragnatele e insetti creavano un atmosfera particolare, soprattutto se
uniti al
fresco clima che vi era all’interno della palestra, al cantare delle
cicale
pure in pieno giorno e all’ombra fitta che ricopriva ogni spigolo
interno,
eccetto quel cerchio centrale che veniva irradiato dal sole.
Il
ragazzo
ammirò in silenzio lo scenario.
Per
ovvie
ragioni, i suoi occhi scorsero fino all’altro estremo della stanza, dove
due
ragazzi erano intenti a far combattere un Heracross e un Pinsir. Xavier,
sempre
sulla guardia, si annotò mentalmente che una delle coppie di Pokémon che
aveva
letto appartenere ai due Capipalestra era esclusa, poiché nessuno
avrebbe mai
fatto lottare due Pokémon già affaticati per l’allenamento.
Quando
i
gemelli lo notarono, lui stava seguendo la loro lotta da una decina di
minuti
circa. I due sorrisero, Castore e Polluce erano i loro nomi.
Kalut
stava
camminando da tutto il giorno. I piedi gli dolevano, ma finalmente
aveva
trovato il suo perfetto equilibrio. Si rese conto di non avere più
quel passo
stentato e un po’ barcollante di prima. Ma restava sempre il problema
del
Venipede, che sembrava essersi talmente attaccato a lui da ricomparire
ogni
volta che il ragazzo prendeva un’altra strada.
Kalut
perse
la pazienza, si voltò verso il Pokémon e iniziò a gridargli contro le
uniche tre parole che pensava di conoscere: “Kalut”, “Ledyba” e
“Venipede” ogni
tanto smetteva, rendendosi conto di essere rimasto senza fiato, quindi
tornava
a farlo, ricominciava a gridare. Alcuni Pokémon uccello, infastiditi
dal caos,
lasciavano i rami su cui stavano appoggiati e svolazzavano via. Anche
alcuni
esseri terrestri, come Weedle, Spinarak e Wurmple se ne andavano
seccati,
turbati nella loro quiete.
Venipede
no.
Lui restava fermo al suo posto, davanti a Kalut, fronteggiava la sua
ira
teorica con coraggio e fermezza. Fin quando il ragazzo stesso smise di
strillare, non ricordando il motivo per cui aveva iniziato.
In
quello
stesso istante, la fatica per i chilometri percorsi, lo stress per gli
avvenimenti traumatici avvenuti dalla notte in cui aveva aperto gli
occhi, si
riversarono tutti in una volta sul giovane e poco temprato corpo del
ragazzo.
Kalut crollò a terra, stanchissimo e senza preoccuparsi della luce,
socchiuse
gli occhi con naturalezza, istintivamente.
Pensò
negli
ultimi momenti della sua lucidità a che cosa gli stesse accadendo e,
preoccupato, non volle più chiudere le palpebre. Gli ricordava... il
prima,
quello che c’era prima, una fitta nebbia, scura, tetra, soffocante.
Gli sembrava
di aver avuto a disposizione un solo giorno, un lasso di tempo
limitato per
rinascere, per ricominciare tutto da capo e di averlo sprecato. Di
aver gettato
quell’opportunità.
Sentiva
di
star tornando indietro, di star tornando al prima, al sonno.
Lottò,
lottò
con tutte le sue forze per sconfiggere il suo orologio biologico. Ma
nulla, l’uomo non vince sulla natura. L’ultima cosa che avvertì fu il
corpo del
Venipede stringersi al suo, abbracciarlo, stargli vicino.
E
stavolta, il suo contatto non lo intimorì.