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Autore: _armida    29/08/2015    1 recensioni
“Sono stupito, non credevo che un bel faccino riuscisse anche a maneggiare un’arma con tale bravura”, disse il Conte.
Elettra provò a tirarsi su, ma finì per andare ad urtare contro la lama della spada, ferendosi leggermente uno zigomo.
“Dovete stare attenta, non volete di certo rovinare tutta questa bellezza così”, aggiunse allontanando la spada dalla faccia della ragazza. Doveva dargliene atto, era davvero bella. Non lo aveva notato prima, quando Grunwald l’aveva portata all’accampamento priva di sensi, era troppo preso dal chiedere al garzone di Da Vinci dove si trovasse la chiave.
Fece cenno a due guardie svizzere di tenerla ferma, mentre lui la perquisiva in cerca di altre armi nascoste. Non ne trovò, ma la sua attenzione fu catturata da qualcosa che la ragazza teneva nella tasca sinistra dei pantaloni: si trattava del suo blocco da disegno. Quando fece per sfogliarlo, una moneta, contenuta al suo interno cadde a terra; non si trattava di una moneta comune, era in oro e presentava sulla sua superficie la faccia di un dio pagano. La raccolse e la osservò accuratamente.
“Cosa sapete riguardo ai Figli di Mitra?”
VERSIONE RIVEDUTA E CORRETTA SU WATTPAD
Genere: Avventura, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Leonardo da Vinci, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Elettra'
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Capitolo V: La Chiave
La notte successiva…
 
Si trovava in un luogo che era certa di non aver mai visto prima… era sui gradini di un edificio costruito completamente in una pietra bianca farinosa, probabilmente calcare. Si appoggiò ad una delle grandi colonne in stile dorico, confusa. Intorno a lei, la vita cittadina continuava indisturbata: la gente chiacchierava e rideva, alcuni osservavano la merce esposta sui vari banchi e i venditori urlavano le loro offerte; in certo senso, quel posto, le ricordava il mercato, a Firenze. Ma non era a Firenze. E non si trovava nella sua epoca.
Sia le donne che gli uomini che le passavano davanti indossavano lunghe tuniche dai colori più disparati e parlavano in una lingua che Elettra conosceva bene, ma che di certo era morta da tempo: il greco antico.
Fece qualche passo in mezzo alla folla, allontanandosi da quell’edificio, che le ricordava tanto l’epoca classica, per averne una visione d’insieme; era più imponente di quanto pensasse e sul frontone aveva inciso a grandi lettere la parola Biblioteca.
“Magnifica, vero?”, le disse una voce alle sue spalle. Nonostante Elettra indossasse abiti che di certo non appartenevano a quell’epoca, quella persona era la prima a notarla; cominciava a pensare di essere invisibile…
“Finalmente ci incontriamo, Elettra”, continuò l’uomo nel mentre lei si girava a guardarlo. Aveva i capelli e la barba bianchi e un intricato labirinto di rughe gli solcava il viso.
“Voi sapete il mio nome, ma io non conosco il vostro”, gli rispose lei con tono cauto, poggiando istintivamente la mano sinistra nel punto dove solitamente teneva la spada. Ma essa non c’era.
“Al-Rahim mi aveva avvisato della vostra poca propensione a fidarvi del prossimo ma, dopo quello che avete passato, vi capisco”
Elettra si mise ancora di più sulla difensiva.
L’anziano sospirò, sorridendo alla ragazza con fare paterno.
“Seguitemi e tutto sarà più chiaro”, le disse prendendola sotto braccio e portandola all’interno della biblioteca.
Ovunque Elettra posasse lo sguardo vi erano scaffali ricolmi di papiri, accuratamente arrotolati e tavolette di argilla nelle lingue più disparate: vi erano scritti in greco e arabo, rune celtiche, geroglifici egizi…, riconobbe anche degli alfabeti provenienti dall’oriente e vi erano anche strani segni mai visti prima.
“Immagino avrete molte domande da farmi”, continuò l’uomo, “ma il tempo a nostra disposizione è davvero poco… quindi cercate di ascoltarmi attentamente e non interrompetemi.”, il suo tono s’era fatto molto serio e il sorriso di poco prima era scomparso. “Dunque, io sono Zenodoto da Efeso…”
“Il primo direttore della biblioteca d’Alessandria”, disse la ragazza. Mordendosi subito il labbro per averlo interrotto. Aveva finalmente capito dove si trovava.
“Esatto”, confermò l’altro sospirando nuovamente. “E come i vostri antenati sono un figlio di Mitra.”
Elettra lo guardò stupita. Solo in quel momento si accorse della strana chiave che l’uomo portava al collo.
“Ho costruito questa biblioteca per preservare e divulgare la conoscenza ma ho fallito il mio compito. Tuttavia non tutto è andato perduto: alcuni documenti sono sopravvissuti alla distruzione e tramandati alle generazioni successive. Voi dovete ritrovarli e proteggerli, vi aiuteranno ad assolvere al vostro destino”.
Lentamente tutto cominciò a svanire di fronte agli occhi di Elettra.
“Il tempo è finalmente giunto. Il peggio può essere ancora evitato, se vi sbrigate”, la voce di Zenodoto era ormai lontana e quasi impercettibile.
 
Era di nuovo a Firenze. A pochi passi da lei vi era raggruppata una grande folla. Non le ci volle molto a capire il perché: stava per avvenire un’esecuzione. Per un attimo Elettra pensò di andarsene, non era da lei partecipare a simili eventi, ma la curiosità prese il sopravvento. Si fece spazio attraverso quella marea di gente fino a ritrovarsi in prima fila. Le venne quasi un colpo, nel vedere chi sarebbe stato giustiziato. Legato alla ruota e con il viso pieno di lividi vi era suo zio, Gentile Becchi.
“Cosa fate?!”, urlò in preda alla disperazione mentre osservava il boia vibrare in aria la pesante mazza. Fece per avvicinarsi ancora di più ma fu bloccata da Dragonetti e da un’altra guardia della notte di cui, però, non conosceva il nome.
“No!”, urlò mentre la mazza si abbassava violentemente.
 
***
 
Elettra aprì di colpo gli occhi. Era nel suo letto, sudata e con il respiro corto.
“E’ stato solo un brutto sogno… solo un brutto sogno”, si ripetè, cercando di autoconvincersi. Si alzò per andare ad aprire la finestra; le sembrava che l’aria fosse irrespirabile là dentro.
Dei forti colpi alla porta della sua camera la distolsero dal suo intento. Mentre indossava la vestaglia, Elettra non dormiva mai con dei vestiti addosso, prese il piccolo pugnale che teneva sempre sotto il cuscino e, facendo meno rumore possibile, si avvicinò all’entrata.
“Elettra, alza il tuo magnifico culo e vieni ad aiutarci!”, era la voce di Zoroastro.
Tirò un sospiro di sollievo ed aprì.
Zoroastro, Nico e Vanessa entrarono nella stanza.
“Va tutto bene?” chiese Vanessa notando il pallore dell’amica, “Non hai una bella cera”
“Ho fatto un brutto incubo ma non preoccuparti”, le disse sforzandosi di sorridere.
“Io mi preoccupo invece, ma per i miei soldi. Leonardo mi paga a seconda di quanto è fresco il cadavere”, le disse il moro.
“Dammi un minuto e sono pronta.”, gli rispose Elettra, “Nel frattempo vai pure a prenderti qualcosa da bere, c’è roba buona nel mobile della sala da pranzo.”
“Ci siamo già serviti. Dovevamo ingannare l’attesa in qualche modo”, fece Zoroastro mostrando la bottiglia di liquore che teneva in mano.
“Nell’ingannare l’attesa è compreso anche forzare la serratura della casa di una collaboratrice della Signoria? Penso che Dragonetti non sia molto d’accordo…”, disse Elettra con sarcasmo mentre gli altri uscivano dalla camera. “E’ stata una fortuna che qualche guardia della notte non vi abbia beccati. Sarebbe stato parecchio difficile spiegare la situazione”.
 
***
 
Il cimitero dei poveri non era decisamente il luogo adatto per una scampagnata notturna, ma aveva anche i suoi lati positivi; per esempio, essendo che vi erano seppelliti  principalmente infedeli, ebrei e condannati a morte, non vi era niente di valore, per dei semplici ladruncoli. Quindi, in quella zona isolata fuori dalle mura di Firenze, vi erano poche guardie della notte; non abbastanza per poter controllare scrupolosamente ogni angolo. Di conseguenza, usando un semplice espediente, si poteva facilmente entrare e trafugare qualche corpo senza destare sospetto alcuno.
‘L’espediente’, che avrebbe permesso a Zoroastro, Elettra e Nico di portare indisturbati il cadavere dell’Ebreo a Leonardo, si chiamava Vanessa.
“Dovrei ingaggiarla per qualche spettacolo a palazzo, è davvero un’ottima attrice”, ridacchiò Elettra a Zoroastro mentre se ne stavano accucciati dietro ad un’alta siepe, nell’attesa che le guardie della notte se ne andassero.
Vanessa, con la camicia sbottonata che le lasciava il seno in parte scoperto, il vestito sporco e sgualcito e l’aria disordinata e leggermente scioccata, stava convincendo quei due idioti ad andare a controllare un punto non ben identificato in lontananza, dove un uomo, a detta sua, aveva ‘attentato al suo onore’. Inutile dire che sembrava così convincente che quelli, una volta averla messa in sicurezza, chiudendola dietro ad uno dei cancelli del cimitero, corsero immediatamente là.
Appena ebbero svoltato l’angolo, il piccolo gruppo uscì dal suo nascondiglio.
“Mi spiace, quegli idioti hanno chiuso il cancello”, disse Vanessa.
“Dovrebbero fare meglio il loro lavoro. Un cancello chiuso non è un problema”, la rincuorò Zoroastro mentre si chinava per forzare la serratura. Elettra però lo aveva preceduto e, utilizzando due forcine per capelli, aveva facilmente aperto il lucchetto.
“Stai migliorando”, le disse stupito l’amico.
“Se a dirmelo è il miglior scassinatore di tutta Firenze allora è la verità”, gli rispose lei sorridendo mentre entravano nel cimitero.
Mentre Elettra e Vanessa facevano da pali, per controllare l’eventuale ritorno delle due guardie della notte, Zoroastro, mentre scavava, istruiva Nico ‘sulla nobile arte del tombarolo’. Le ragazze non avevano alcuna intenzione di sporcarsi di terra, invece.
 
***
 
“Il cadavere richiesto fresco, fresco”, disse Zoroastro entrando nella camera da letto/bottega di Leonardo. Aiutato da Nico, portava sulle spalle un grosso telo, in cui era stato arrotolato il corpo dell’ebreo.
Lo adagiarono su un tavolo disposto al centro della stanza.
“Avete avuto un incubo, maestro?”, chiese preoccupato Nico. A quanto pare, quella era la serata dei brutti sogni. La faccia di Leonardo non differiva molto da quella di Elettra di poche ore prima.
“No, qualcosa di diverso”, gli rispose.
Nel frattempo Zoroastro, aiutato da Elettra, aveva disposto sul tavolo gli strumenti necessari alla seduta di anatomia e messo il cadavere in una posizione più comoda.
“Annota ciò che dico, d’accordo?”, disse Leonardo a Nico, che incominciò subito a trascrivere ogni parola sul taccuino.
“Sono visibili i segni della corda usata per l’impiccagione”, nel frattempo Da Vinci indicava il collo dell’ebreo, “La laringe è spezzata… Nico!” urlò, quando questo toccò il corpo con il la matita per capirne meglio la consistenza. “Muscolatura ridotta, probabilmente per denutrizione. Membro circonciso”, continuò.
“Non ne avevo mai visto uno prima”, disse Vanessa, avvicinandosi per osservarlo meglio.
Zoroastro non riuscì a non farsi sfuggire una risatina.
“E quello che cos’è?”, Leonardo si spostò velocemente dall’altro lato del tavolo. “Manca un’unghia sul digitus primus”, ragionò ad alta voce.
“Potrebbero essere stati i suoi carcerieri”, azzardò Nico.
“Dragonetti non arriverebbe mai a torturare qualcuno così, al massimo lo farebbe riempire di botte”, gli rispose Elettra che, nel frattempo, si era messa comoda, seduta a gambe incrociate su di un tavolo lì vicino. Era intenta a giocherellare con gli strumenti di Leonardo, in particolare, sembrava molto presa dal bisturi.
“E se si fosse strappato l’unghia da solo?”, ribattè l’artista.
“Ahi!”. La ragazza non riusciva a capire come una persona potesse decidere di farsi del male così, di propria iniziativa.
 “Mi serve quel bisturi”, le disse Da Vinci avvicinandosi e tendendole la mano.
Elettra lo guardò con occhi imploranti: solitamente Leonardo le lasciava fare almeno il taglio a Y.
“Il Turco ha detto a me, e non a te, di studiare il corpo dell’Ebreo”, le fece notare. Seppur molto riluttante, Elettra glielo passò. Dopodiché scese con un piccolo balzo dal tavolo e si diresse verso il cadavere per osservare meglio ogni movimento dell’amico.
“Leonardo, che stai facendo?”, gli chiese Vanessa preoccupata mentre lo osservava incidere la carne pallida dell’Ebreo.
“Il Turco ha detto di iniziare la mia ricerca dall’uomo impiccato, nello specifico nella sede dell’anima…”, ormai il taglio a Y era stato fatto e Da Vinci stava scostando lo spesso strato di pelle dalla cassa torica, in modo da poter studiarne meglio l’interno. “…un eufemismo per lo stomaco”.
Un tanfo orribile di morte e decomposizione invase la stanza, facendo quasi vomitare Nico e Zoroastro; Leonardo ed Elettra invece sembravano immuni a quella puzza, troppo concentrati su eventuali indizi per rendersene conto.
Leonardo staccò a fatica lo sterno, appoggiandolo poi di lato. Anche Vanessa, che era alla sua prima seduta di anatomia, sembrava molto interessata a cogliere ogni singolo movimento del Maestro.
Con una pinzetta, Da Vinci cominciò ad esplorare la cavità addominale, ma non sapeva neanche lui cosa cercare esattamente. Dopo poco però, estrasse qualcosa: l’oggetto, di qualunque cosa si trattasse, era completamente coperto di sangue misto ad altri liquami e, al gruppo, ci volle un po’ per capire che si trattava dell’unghia mancante.
“A quanto pare l’unghia è qua. Strano che possa averla ingerita”, proferì Leonardo.
“Se, come dici tu, se l’è strappata da solo, allora doveva essere parecchio motivato”, gli disse Elettra. “Perché una persona dovrebbe strapparsi un unghia e poi ingoiarla?”, pensò.
L’artista però non la stava più ascoltando, aveva notato qualcosa di decisamente più strano, di quell’unghia, nell’intestino dell’Ebreo. Quando ritrasse le mani, tutte insanguinate, dalle interiora, teneva nel palmo un altro oggetto che, questa volta, Elettra mise subito a fuoco. Le venne un colpo, nel vederlo. Era la stessa identica chiave che il bibliotecario d’Alessandria portava al collo nel suo sogno! Che non fosse stato solo un incubo ma qualcosa di più? Che fosse davvero possibile, per i Figli di Mitra, percorrere il fiume della vita controcorrente, ignorando le leggi che regolano la vita e la morte? Probabilmente quello che aveva visto fare a suo zio era un qualcosa che doveva ancora succedere… Le si gelò il sangue nelle vene e divenne pallida; il colore della sua carnagione non differiva molto da quella del cadavere steso sul tavolo.


Nda
Inizialmente pensavo di unire questo capitolo al prossimo, ma mi sono resa conto che sarebbe diventato davvero troppo lungo. Diciamo che sto sforando con l'intera storia... pensavo che sarebbe venuta molto più corta (per intenderci credvo di riuscire a fare stare tutti i capitoli precedenti in uno). Scusate se per ora come ritmo è un po' lenta, si movimenterà tra poco. 
 
   
 
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