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Autore: _valy    30/08/2015    3 recensioni
A Quinn Fabray non è mai piaciuto particolarmente baciare, ma ora non farebbe altro. (Scherza, farebbe altro molto volentieri.)
Santana Lopez ha un ghigno che dà alla testa e un problema con il dizionario – insomma, davvero 'relazione' è il termine più adatto a designare tutto questo?
Rachel Berry ha un divano oscenamente brutto e l’istinto investigativo del Detective Goro.
Genere: Comico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez | Coppie: Quinn/Santana
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dislaimer: Non possiedo Glee, né i suoi personaggi.
 
Avvertenze: Ho deciso di fare le pulizie del pc e di trovare il coraggio di pubblicare alcune storie che avevo scritto e poi archiviato. Questa è una di quelle.
È completamente a sé stante, ergo non ha alcun legame con alcuna altra storia pubblicata (o che pubblicherò).
In sei parti (più una), prende le mosse dal tentato matrimonio Pillsbury-Schuester e richiede un piccolo lavoro di immaginazione nelle sezioni successive: ché l’appartamento Lopez-Hummel-Berry abbia, se non più di un vero muro, almeno dei séparé che offrano un minimo di privacy e di insonorizzazione.
 
 
A Simona, la mia Santana Lopez personale.
 
 
 

 
 
(Sono stata una cheerleader)
 
 
Sabato 14 febbraio, Lima, Ohio
 
Questa non era certo la prima volta che Lucy Quinn Fabray baciava una ragazza: era stata una cheerleader, dopotutto! Anzi, era stata La cheerleader. Il che, in una bigotta e infantile città come Lima, Ohio, aveva comportato partecipare a stupide feste organizzate da stupidi giocatori di football, motivati dal solo intento di approfittare di qualunque giovane e ubriaca ragazza capitasse loro a tiro.
Quinn era stata sempre abbastanza intelligente (o noiosa, a detta di un paio di persone) da evitare la grande quantità di alcool che girava in quei party, ma ovviamente non aveva potuto evitare di prendere parte a quello che, a quanto pareva, era l’elemento imprescindibile di ogni festa liceale: il gioco della bottiglia. (“Seriamente - pensava Quinn ogni volta che qualcuno, a quelle feste, urlava “Gioco della bottiglia!” - quanti anni abbiamo, dodici?”)
Nonostante la sua estrema riluttanza a partecipare, proprio a causa di quelle ridicole bottiglie di vodka alla frutta aveva dato il suo primo, secondo e terzo bacio saffico.
 
 
 
 
Non era nemmeno la prima volta che Lucy Quinn Fabray baciava una ragazza in modo approfondito: tra le cheerleader c’erano Brittany e Santana, dopotutto! E questo significava che durante quelle stupide feste a cui era socialmente costretta a partecipare, non solo era obbligatorio prendere parte al gioco della bottiglia, ma era anche obbligatorio -almeno per lei, perché a quanto pareva Santana non era così solerte nel ricordare le regole alle altre ragazze, nemmeno quando dovevano baciare proprio la latina- beh, era obbligatorio baciare con la lingua. (“E seriamente - pensava Quinn – quanto è stupido e infantile usare l’espressione 'baciare con la lingua'?”)
E non solo i ragazzi – non che questo le piacesse particolarmente, ma l’avrebbe accettato con un’alzata di spalle e avrebbe compiuto l’atto,  quale necessaria conseguenza del suo essere una rappresentante del genere femminile. No, per una ragazza era imperativo baciare con la lingua chiunque venisse designato dal collo della bottiglia.
Se poi si aggiunge il fatto che la bottiglia aveva la discutibile abitudine di fermarsi indicando Brittany S. Pierce, Quinn poteva tranquillamente affermare che sì – aveva baciato una ragazza, alla francese, più di una volta.

 
 
Per la precisione, non era nemmeno la prima volta che Lucy Quinn Fabray baciava in quel modo quella ragazza: perché erano, obiettivamente e indiscutibilmente, le due ragazze più belle della scuola - ed entrambe conoscevano intimamente, troppo intimamente, Noah Puckerman. E la passione morbosa di questo ragazzo per gli atteggiamenti saffici era risaputa in tutta Lima.
Quinn ancora ricordava quando era stata costretta -maledetto “obbligo o verità”!- a baciarla, sotto lo sguardo da pervertito di Puck, le risate di mezza squadra delle cheerleader e il disgustoso “Postino! Postino!” che usciva dalle labbra di Finn. Ricordava anche di aver pensato che quelle labbra potessero essere molto morbide e di aver apprezzato quando le sue braccia.. ma tutto era finito decisamente in fretta e Quinn era troppo imbarazzata per l’umiliazione ricevuta per porsi delle domande. (Il lunedì successivo aveva allungato di mezz’ora  l’allenamento di tutte le Cheerios. Durante il bacio con Santana non era riuscita a prendere nota di tutte le bambinette che avevano riso di lei e della sua reazione – e non voleva assolutamente rischiare di lasciarne impunita anche solo una. Coach Sylvester l’aveva convocata nel suo ufficio e le aveva fatto i suoi complimenti.)
 
 
In conclusione, Quinn Fabray poteva vantarsi di avere una discreta esperienza con i baci saffici - soprattutto considerando il fatto che era una ragazza completamente  eterosessuale - e questa discreta esperienza l’aveva portata a credere che baciare una ragazza non fosse affatto diverso da baciare un ragazzo. E baciare un ragazzo era per lei un’inutile convenzione sociale di cui avrebbe fatto volentieri a meno.
Per questo era rimasta piacev.. – no! Era rimasta fottutamente e brutalmente sorpresa quando aveva baciato la sua oggi-amica-domani-nemica Santana Lopez e aveva scoperto di non riuscire a staccarsi da quelle labbra che, ora poteva dirlo con certezza, erano davvero morbide e da quei capelli corvini così folti e setosi tra le sue dita.
Per sua fortuna (stava seriamente iniziando a mancarle l’ossigeno), ci aveva pensato Santana ad allontanarsi – “un attimo, solo un attimo”, aveva supplicato tra sé e sé Quinn, gioendo in maniera imbarazzante quando aveva sentito le dita calde dell’ispanica sulla sua pelle e aveva capito che la ragazza la stava liberando da quelle stoffe inutili che erano i suoi vestiti.
 
E in quel preciso momento, intrappolata tra il legno scuro della porta e il corpo terribilmente provocante di quella che poteva definire la sua miglior nemica, eccitata e in preda al desiderio più incontrollabile, Lucy Quinn Fabray si ritrovò a pensare che forse non aveva mai davvero baciato nessuno prima di allora.
 
 

 
 

(Doccia)
 
 
Quinn sorrise tra sé e sé, vedendo e sentendo la porta del bagno aprirsi e Santana sgattaiolare dentro. Sorrise ancora di più quando lo sportello della doccia si aprì e la latina mise un piede e mezza gamba dentro, per poi entrare del tutto. Per un mezzo secondo rimasero lì, l’una di fronte all’altra, finché Santana non prese l’iniziativa avvolgendole un braccio ambrato attorno alla vita, per poi immergersi con decisione sotto il getto d’acqua calda della doccia.
 
“Noto  con piacere che non puoi proprio più fare a meno di me, Sannie”, la canzonò Quinn, abbracciandola a sua volta e chinandosi appena per darle un bacio sulla guancia. (Il gesto aveva un non so che di dolce e romantico, il che non era da lei, ma i vapori acquei le stavano dando alla testa.)
“Puoi vederla come vuoi Lucy – le rispose la latina – ma la realtà è che sono qui ora soltanto perché a causa tua sono terribilmente in ritardo.” Ma mentre parlava sorrideva, senza cattiveria né malizia. “Dovevo passare a casa prima di prendere il volo per New York, per salutare i miei e prendere un paio di cose che ho lasciato lì, cose che conosci molto bene, come vibratori e manette e strap-on vari, e se non parto entro un quarto d’ora non avrò tempo. Quindi non potevo aspettare che Sua Grazia la pillow-Quinn uscisse dalla doccia.”
(Certo, questo ragionamento davvero non fa una piega.)
Negli ultimi mesi la bionda aveva perfezionato l’arte del sarcasmo, quindi si limitò a chiudere il discorso con un “È ovvio. Ti credo.”
 
Quinn finì di insaponarsi e passò il bagnoschiuma all’amica (aveva deciso che fino alla comparsa di ulteriori indizi tra sé e sé l’avrebbe chiamata così. Ad alta voce “stronza” avrebbe continuato ad andare benissimo.) dopo di che si voltò e iniziò a cospargersi i capelli di shampoo al cocco.
 
Non si sentiva in imbarazzo e questo la rassicurava e spaventava al tempo stesso: aveva fatto sesso con una delle sue più care amiche, dopotutto. Due volte. E le era anche piaciuto. E adesso erano lì, insieme, sotto la doccia, senza baciarsi né parlare dell’accaduto – certo! – ma anche senza vergogna.
Istintivamente Quinn portò una mano a coprire una smagliatura che aveva sul fianco – non desiderava particolarmente che Santana la notasse. Durante la notte non ci aveva dato peso, ma adesso.. Ovviamente Santana se ne accorse (perché quando mai Santana non si accorge di una cosa che vuoi tenerle nascosta) perché abbassò lo sguardo e lo puntò sulla cicatrice in questione. Quinn si preparò alla battuta che sapeva essere in arrivo, o alla domanda pungente che l’avrebbe imbarazzata e fatta sentire inferiore, ma poi Santana aprì la bocca e la bionda dovette ricredersi. Doveva decisamente iniziare a dare più credito al tatto della latina.
 
O forse no.
“Sai Quinn, ero sicura che prima o poi sarebbe successo. Insomma, sono stata per anni la ragazza più sexy della scuola – e non provare a negarlo, tu sarai anche stata la principessina bionda tutta casa e chiesa e la modella perfetta per un cartellone di propaganda nazionalista, ma io ero la più sexy. E in base all’occhiata veloce che ho dato ieri sera, ero la più interessante anche in questa occasione. Quindi era ovvio.”
“Che cosa era ovvio, Santana?”
“Che prima o poi sarebbe successo qualcosa tra di noi.”
“Eh?” (Come fa a parlare di cose simili senza un briciolo di imbarazzo per quello che abbiamo fatto?)
“Certo. Ed era anche piuttosto ovvio che sarebbe successo in un’occasione come questa; insomma, è più o meno un fatto universalmente noto che quando devi hai una decisa propensione a buttarti addosso a chi desideri, e a farlo letteralmente.”
“Io non ti desidero Santana. Non ti ho mai desiderata. Ero ubriaca e questo era un esperimento”, Quinn le fece notare ridendo, mentre finiva di sciacquarsi i capelli.
“Oh dai, non prendermi in giro! – Santana le si avvicinò, fino a che il suo seno quasi si scontrò con quello della bionda – non dirmi che non hai mai pensato a quanto fosse bello il mio sedere e morbida la mia pelle, a quanto fossero sode le mie –“
“Santana!”, squittì Quinn (e Oh Dio, posso essere più patetica?), interrompendola e allontanandola per quanto possibile, viste le ridotte dimensioni del box doccia.
Dopo di che uscì frustrata e si gettò addosso l’accappatoio, lasciando la latina sola sotto l’acqua bollente.
 
Soltanto dopo aver preso qualche respiro profondo (come diavolo riusciva a farla arrabbiare in quel modo, qualunque cosa dicesse?) continuò:
“Ho sempre ammesso, con me stessa e con tutti, che sei obiettivamente una bella ragazza. Posso anche ammettere, qui ed ora e che non sia mai più ripetuto ad alta voce, che qualche volta ti ho invidiata per il tuo corpo, per la tua voce e per la tua innata predisposizione a farti rispettare e temere. Forse posso confessarti che in rare occasioni ho avuto paura delle tue unghie e delle lamette che dicevi di nascondere tra i capelli e che in rarissime circostanze ti ho apprezzata e ho pensato di volerti bene – e non ripeterlo ad anima viva. Ma Santana, niente di più. Ti giuro che mai – mai! – ti ho desiderata. Non in quel senso, almeno.”
Santana aprì lo sportello della doccia ed uscì. Beh, bella è bella – si trovò a pensare Quinn (e si maledisse per il pensiero un nanosecondo dopo), mentre la mora continuava a guardarla negli occhi, restando lì in mezzo al bagno nuda e gocciolante, senza dar segno di avere alcuna intenzione di asciugarsi o quanto meno coprirsi. Semplicemente si passò la lingua sul labbro superiore, velocemente, in un modo tutt’altro che casto, prima di indossare il suo ghigno migliore e risponderle, “Peccato”, per poi uscire dal bagno, ancora completamente svestita.
 
Lasciando Quinn sola, con quello stupido accappatoio addosso, ad insultarsi mentalmente per non avere il coraggio di seguirla, prenderla e darle una fottutissima lezione.
 
 

 

 
(Vestiti e sopracciglia)
 
 
“Grazie al cielo ti stai mettendo qualcosa addosso”, sbuffò Quinn uscendo dal bagno e notando i rapidi movimenti delle braccia di Santana – segno evidente che l’ispanica stava tentando di chiudere la zip del suo vestito. Ovviamente ricevette un ringhio beffardo in risposta e la cosa, paradossalmente, la rincuorò non poco: nonostante tutto, Santana era rimasta Santana, anche dopo.. beh, dopo quello.
“Mmh, stanotte non mi sembrava che la vista del mio corpo nudo ti desse così tanto fastidio, Quinn. Ma ormai non mi stupisco più, so bene che la coerenza non è mai stata il tuo forte.”
“Dio Santana! E io che pensavo che una buona dose di sesso ti rendesse meno acida. Non dico una persona normale, ma almeno sopportabile per cinque minuti.”
“Hai detto bene: una buona dose di sesso..” ghignò, continuando con insistenza ad armeggiare per chiudere il vestito.
“Dammi qua scema”, Quinn le si avvicinò facendole segno di girarsi in modo da darle la schiena e, posata una mano sul fianco, tirò su la zip con facilità. Con troppa facilità.
“L’hai fatto apposta  - concluse alzando il sopracciglio in una mossa ormai ben collaudata – sei davvero..”
Non terminò la frase, interrotta dal brusco movimento della latina e dalle labbra di questa sulle sue. Labbra che la stavano letteralmente divorando, di nuovo, impedendo a Quinn non soltanto di parlare, ma anche di pensare, ragionare, respir– sentì una indesiderata sensazione di vuoto nel suo spazio vitale quando Santana allontanò la bocca dalla sua, solo per confessarle che “Sei fottutamente eccitante quando ti arrabbi, Fabray.”
E Quinn dovette davvero controllarsi per non replicare il movimento che aveva scatenato quella piacevole reazione poco prima.
“Sbaglio o mi avevi detto di essere terribilmente in ritardo? Non era per quello che sei entrata nella doccia con me poco fa?”, sì – rispondere a tono era decisamente l’unico modo per sostenere una conversazione con Santana Lopez.
“Mmh, ammetto che potrebbe esserci stato qualche altro motivo, ma la ragione principale era quella, sì”, le disse controllando l’orologio. “Cavolo! Devo davvero andare! Devo ancora passare da casa prima di prendere il volo e la Berry mi farà guardare musical per un mese intero se le scombussolo quei dannati piani di viaggio che prepara con precisione maniacale.”
Quinn la ammirò per un attimo, mentre finiva di truccarsi e pettinarsi i capelli.
“Non ti preoccupare, devo andare anche io. Ho pensato di seguire il tuo esempio e fare un salto a casa per salutare mia madre prima di tornare a Yale” borbottò prendendo la borsa dal comodino e dirigendosi verso la porta. Santana si sporse per afferrarle un polso e fermarla, facendola voltare per guardarla negli occhi.
“Ti scrivo quando arrivo a New York, ti va?” mormorò, tentando con scarsi risultati di mascherare il filo di imbarazzo nella sua voce. “Oh, e metti questa”, e le diede la sua sciarpa indicandole il collo, sfigurato da un succhiotto che difficilmente sarebbe passato inosservato.
Quinn sorrise e prese la sciarpa tra le mani, “Grazie San”, si voltò e aprì la porta - il cervello in fibrillazione per la fatica di trovare le parole giuste. Prese un respiro, “Comunque, tra due settimane ho il weekend libero. Penso che mi piacerebbe vedere New York in questa stagione.”
E chiusa la porta alle sue spalle, si incamminò a passo spedito lungo il corridoio – ancora troppo sconvolta, dalla sua audacia e dal sorriso che aveva intravisto spuntare sul volto di Santana, per notare quella spiona petulante di Rachel Berry che fissava con occhi sgranati quel succhiotto di dimensioni imbarazzanti, e verde dall’invidia si chiedeva come diavolo avesse fatto Quinn Fabray a trovarsi un ragazzo con cui passare la notte, dato che ogni volta che l’aveva incrociata durante la festa era in compagnia della sola Santana.
 
 

 

 
(Undici minuti di ritardo)
 
 
Sabato 28 febbraio, Grand Central
 
Quinn scese dal treno velocemente, cercando con tutta se stessa di ignorare il fastidioso prurito alla gamba e le urla e gli spintoni degli altri passeggeri. Non era affatto facile, per una ragazza come lei, abituata da mesi al silenzio delle biblioteche e della sua camera singola al campus.
Dopo essersi allontanata di qualche metro dalla porta scorrevole del treno, ormai fermo al binario, iniziò a guardarsi intorno. Erano le 10.27 ed era in perfetto orario, eppure dell’altra ragazza nemmeno l’ombra. Qualche minuto prima dell’arrivo aveva controllato il cellulare, proprio per non farsi cogliere impreparata da un suo eventuale ritardo (era sicura che qualora avesse avuto un imprevisto glielo avrebbe comunicato per messaggio, com’è buona abitudine per le persone normali. Non che la sua amica lo fosse, in ogni caso). Dopo tutto, la conosceva bene. Ed effettivamente aveva scoperto di aver ricevuto un messaggio, che però la informava che sarebbe stata lì ad aspettarla, esattamente come le aveva promesso qualche giorno prima. Ed ora, a distanza di - Quinn controllò - soltanto cinque minuti dalla ricezione di quel messaggio, lei non c’era.
 
Come tutte le altre volte, non c’era. Come quando era rimasta incinta e cacciata dai suoi genitori non sapeva dove andare, lei non c’era. Come quando passava da un ragazzo all’altro, lei non c’era. Come quando era impazzita e, credendo di non valere niente, aveva fatto di tutto – veramente di tutto – per avere indietro sua figlia, lei non c’era. E pensare che all’epoca non le era importato granché.
Ma ora sentiva la rabbia scorrerle nelle vene al solo pensiero di un’altra promessa non mantenuta. Era una reazione stupida - e Quinn lo sapeva: in fin dei conti le aveva semplicemente scritto - ormai sette minuti addietro - che sarebbe stata lì, al binario 19, ad aspettarla per accompagnarla a casa. Quinn aveva semplicemente dato per scontato, leggendo l’sms, che l’altra fosse già lì, seduta su una di quelle scomodissime panchine di plastica, mentre le inviava quel messaggio; per questo il fatto di non vederla la innervosiva così tanto.
 
“Dio! – sono arrivata da nemmeno dieci minuti e già mi pento di essere qua” borbottò a voce un po’ troppo alta controllando per l’ennesima volta l’orologio che teneva al polso.
“ Bionda, lesbica e pure bugiarda: ma che razza di persona sei, Fabray?” sentì ridacchiare alle sue spalle, mentre le sue narici incontravano un profumo ormai inconfondibile. Si girò di scatto, cercando di fulminare con lo sguardo la ragazza che, appena arrivata, ignorando le minacce e le maledizioni visive, continuava imperterrita a parlare.
“Perché lo sappiamo tutte e due che sei qui perché vuoi essere qui e sai che ti dico? Non posso certo biasimarti! Quando si assaggia un piatto così prelibato, è difficile rifiutare il bis.”
Quinn scoppiò a ridere, stupendo se stessa e soprattutto Santana.
“Vorrei solo farti notare che né essere bionda, né essere lesbica è un insulto. E in ogni caso sai bene che non sono nessuna delle due. In più, sei tu che non puoi fare a meno di me per più di due settimane, Sannie. Non tentare di nascondere l’evidenza..”, disse, modulando la voce per enfatizzare il nomignolo che le aveva affibbiato. Ma ne avevano discusso così tante volte in quelle ultime settimane, insultandosi e accusandosi a vicenda di aver flirtato volontariamente, che Quinn non aveva più le forze di continuare.
Non ascoltò nemmeno la risposta dell’ispanica, semplicemente la prese per mano e le sussurrò all’orecchio: “ Ma hai ragione – ho voglia del bis. Noi due e la doccia abbiamo un conto in sospeso”.
E tutte le volte in cui una non c’era stata per l’altra vennero momentaneamente dimenticate, ora che erano insieme.
 
 


 
 
(Per due notti a New York)
 
 
Sabato 28 febbraio, appartamento Lopez-Hummel-Berry
 
Quinn sorrise nel bacio, perché Santana sapeva essere terribilmente dolce quando voleva. Ovviamente si stupì all’istante di quel suo pensiero, perché mai prima di allora aveva pensato che avrebbe potuto associare l’aggettivo  'dolce' alla persona 'Santana Lopez' senza intenti sarcastici.
Eppure, mentre rideva sommessamente per la minaccia che la latina aveva indirizzato a Rachel Berry (in qualche modo dovevano pur assicurarsi che la ragazza in questione non disturbasse il loro sonno) e sentiva la presa, quasi esitante, della ragazza sul suo fianco e le labbra addosso alle sue, non poté fare a meno di pensare ciò che fino a due settimane prima sarebbe stato blasfemo pensare.
 
Che Santana fosse gentile.
Che Santana fosse gentile con lei.
 
“Mmh, e questo per cos’è?”, si sentì chiedere quando chiuse le braccia attorno al corpo della latina, stringendola in un abbraccio un po’ impacciato.
“Questo cosa?”, fece finta di niente, non accennando però minimamente ad allontanarsi da lei, né con le braccia, né con le labbra.
Anzi, “Oh..” – un’esclamazione di piacere sfuggì dalle labbra di Santana quando Quinn intrufolò una mano sotto la sua maglietta e prese ad accarezzarle dolcemente i fianchi.
“Mi piace”, un bacio, “quando sei”, un altro bacio, “intraprendente”,  un leggero morso. Le mani della mora finirono nei capelli di Quinn, scompigliandoli e tirandola verso di lei. “Mi fa tornare indietro ai bei tempi in cui eri la capo-cheerleader stronza a cui guardavo il cul.. -un morso- il sedere.”
“Sei un’idiota!”, se ne uscì ridendo la bionda, abbandonando le carezze che si era concessa e allontanandosi -  ma non di molto, perché la pelle di Santana era terribilmente profumata e Quinn Fabray non era certo quel tipo di persona in grado di rinunciare spontaneamente a ciò che procura piacere; e Santana, si era scoperto, gliene procurava parecchio.
“Vieni qui”, le disse l’ispanica prendendole la mano e trascinandola verso l’armadio aperto e stranamente ordinato. “Ieri ti ho preso una maglietta da usare per queste due notti che passerai qui nel loft. Ecco, spero che ti vada. E che ti piaccia. A me piace”, borbottò, quasi sulla difensiva, tentando di nascondere quanto si sentisse stupida in quel momento per il gesto compiuto il giorno prima.
Ma Quinn le sorrise con il suo sorriso sghembo, strappandole la maglietta dalle mani e guadandola negli occhi, che saettavano da un angolo all’altro della stanza. “E’ bellissima San”, le sussurrò per bloccare il frenetico guizzare di quegli occhi scurissimi, “sei stata dolce a prendermela.”
E in un lampo si liberò dei vestiti che aveva addosso e indossò la t-shirt, imitata immediatamente dalla mora.
“Vedi? Si intona addirittura alle mie mutande”, disse Quinn indicando l’intimo rosa salmone che aveva addosso, e facendo sghignazzare Santana.
“Mmh, allora credo di meritare un premio per essere stata così efficiente nella scelta del pigiama..”, e con uno scatto improvviso si gettò sul letto trascinando la bionda con sé. “Che ne dici di recuperare le notti perdute in queste due settimane? Ché alla doccia ci pensiamo domani durante il sonnellino pomeridiano della nana.”
Quinn non ebbe né il tempo né la voglia di rispondere a parole.
 
 



 
 
(Pensare in termini di relazione causale)
 
 
Sabato 7 marzo, New York
 
Santana non si era certo fermata a pensare prima di scriverle quel messaggio.
Beh, non che si fosse fermata a pensare prima di andarci a letto insieme la prima volta, né la seconda, né la terza, né la.. – ok, decisamente “pensare prima di agire” non era mai stata una massima del suo codice morale. (Non che le cose andassero diversamente con “pensare dopo aver agito”.)
Proprio per questo non si era posta alcuna domanda sulla strana relazione (sì, era disposta ad ammettere che fosse strana – e sì, dopo infiniti dibattiti interiori aveva deciso di utilizzare l’espressione 'relazione' per carenza di termini più adatti) che stava vivendo con Quinn Fabray.
E proprio per questo non si era fatta alcun problema a scriverle quel messaggio.
Un piuttosto diretto “Casa COMPLETAMENTE libera fino a lunedì a mezzogiorno. Sali sul PRIMO treno. Ti aspetto in stazione.”, perché non voleva darle l’impressione che le interessasse troppo, ecco. Aveva tipo una reputazione da mantenere – e aveva perso fin troppi punti-stronzaggine con quella genialata della colazione a letto.
 
Dopo la risposta di Quinn aveva sprecato quasi tutta la mattina per pulire e riordinare l’appartamento e la stanza, si era cambiata e ricambiata due - ok, cinque volte (perché era estremamente difficile trovare un look che la rendesse sexy ma al tempo stesso non gridasse “Ho passato tutta la settimana a pensare a cosa indossare per fare bella figura con te e farti cadere ai miei piedi”, perché di nuovo, cavolo!, aveva una reputazione da difendere lei!) e si era letteralmente precipitata fuori dall’appartamento quando la bionda l’aveva avvertita di essere sul treno, e che suddetto treno era prossimo alla partenza. Non voleva rischiare di essere in ritardo come la settimana precedente. (Come fosse arrivata al punto in cui preferiva aspettare per un’ora seduta su una disgustosa e probabilmente infetta sedia di plastica piuttosto che tardare di un paio di minuti era al di là di ogni sua capacità di comprensione.)
Quindi aveva evitato di rispondere a tono al portinaio, che la insultava per aver fatto troppo rumore scendendo le scale, limitandosi a urlargli un “Lo terrò a mente per la prossima volta”, ed era salita sul primo taxi disponibile, lasciando addirittura nove dollari di mancia a quella sottospecie di scimmia urlatrice che si era ritrovata come taxista.
Una volta in stazione aveva atteso pazientemente l’arrivo di Quinn di fronte al binario numero 19 e aveva sorriso un po’ (ok, aveva sorriso come una bambina di sei anni di fronte ad una coppa maxi di gelato) nel notare l’ansia e la tensione svanire dal volto della bionda quando questa, seppur lontana qualche metro, l’aveva scorta seduta lì.
 
Lì ad aspettare lei.
 
Si erano sorrise - un sorriso appena accennato e come sempre un po’ impacciato, ma sincero - e poi Santana lo aveva fatto. Come sempre senza pensare. Si era sporta e aveva posato un leggero-ma-non-troppo bacio sulle labbra della ragazza di  fronte a lei.
(E Quinn doveva aver apprezzato, perché l’aveva presa per mano e l’aveva trascinata fuori dalla stazione.)
 
Il viaggio in taxi verso l’appartamento era stato stranamente silenzioso, seppure estremamente piacevole e in qualche modo rassicurante. Forse perché le dita della mano di Quinn erano rimaste intrecciate alle sue per tutto il tempo. O forse perché il taxista non aveva starnazzato durante il tragitto, come quello a cui aveva lasciato quella stramaledettamente alta mancia. Santana non aveva alcune intenzione di rispondere a quel quesito, né di porselo in modo troppo cosciente.
 
“Dove sono andati Rachel e Kurt?”, la voce di Quinn la distrasse dall’onere di rispondersi e la latina tornò a concentrarsi sul suo obiettivo più immediato: salire le scale facendo più rumore possibile.
“La nuova fiamma di Lady Hummel ha invitato le due dive a trascorrere il weekend con lui fuori città. A quanto pare ha uno chalet da qualche parte.”
“Oh..- Quinn si fermò sul pianerottolo – e non ha invitato te?”, si informò.
Santana fece spallucce – non aveva intenzione di dirle la verità. Assolutamente no.
“Non devo avergli fatto una buona impressione la prima volta che l’ho incontrato. Faticherai a crederci ma a quanto pare a certe persone non piace essere chiamate ‘Frodo’ per tutta la sera da una ragazza che hanno appena conosciuto.”
“Ah ah.. sai, arriverà il giorno in cui la tua passione per Tolkien ti metterà seriamente nei guai!”, Quinn sembrò non aver notato la piccola bugia della mora.
 
Non che avesse davvero  detto una bugia. Era stata più l’omissione di una parte rilevante della verità, ecco. Perché lo aveva veramente chiamato ‘Frodo’ per l’intera serata, ma questo incredibilmente non le aveva impedito di vedersi esteso l’invito a trascorrere il weekend con loro (e ancora si chiedeva come avesse potuto anche solo pensare di invitarla).
Ma Santana aveva rifiutato, ovviamente. Senza nemmeno pensarci troppo, per giunta.
 
Perché, una volta capito che avrebbe avuto casa libera, nella sua mente si era formata la nitida e particolareggiata immagine di due bellissimi corpi nudi - intenti a profanare quell’orrendo divano di finta pelle che Rachel Hobbit Berry aveva osato comprare tre giorni prima senza degnarsi di consultarla.
Dio! – le avrebbe raccontato tutto di lei e Quinn anche soltanto per godersi lo spettacolo di una Rachel inorridita, occhi spalancati e pronti al pianto, fissare incredula quel disgustoso divano, per poi decidere di buttarlo.
 
 

 
 

 
(Cinque volte in cui Rachel Barbra Berry ha dei sospetti. O, Rachel deve iniziare a guardare repliche di “La Signora in Giallo” perché come detective fa pena.)
 
 
 
La prima volta in cui Rachel Barbra Berry ha qualcosa di simile ad un sospetto è durante una lezione di letteratura, quando sente Brittany spiegare a Sugar Motta che lo yin e lo yang sono come Quinn e Santana, che “dicono di odiarsi e di essere diverse e di voler stare lontane ma poi non sai bene perché sono sempre appiccicate a litigare”.
Rachel immagina che con una spiegazione del genere Sugar non prenderà un bel voto durante il compito in classe, ma la ragazza sembra soddisfatta della spiegazione della cheerleader e così, per una volta, non interviene. (O forse non interviene perché è troppo impegnata a chiedersi che cosa c’entrino lo yin e lo yang con il racconto di Poe che stanno leggendo. La risposta arriva cinque minuti dopo, ed è assolutamente nulla.)
Ha terminato la lettura del racconto, così inizia a pensare che Quinn e Santana più che dire di odiarsi, si odino davvero – e se ne chiede il perché.
Ma le nazionali sono alle porte e ha problemi più urgenti a cui dedicarsi, quindi decide che per il momento può smettere di cercare risposte ad una domanda che sembra non averne.
 
 
La seconda volta in cui Rachel Barbra Berry ha dei sospetti è quando, al matrimonio fallito di Schuester, vede Quinn Fabray uscire dalla camera 321, con un vistoso succhiotto sul collo. Si nasconde dietro una pianta ornamentale molto ingombrante (ha visto un paio di episodi di “La Signora in Giallo”, dopotutto), per spiarla armeggiare con le chiavi, il telefono in mano e il vestito stropicciato.
I suoi sospetti aumentano quando incontra Santana nella caffetteria dell’hotel e questa non le racconta assolutamente nulla della serata appena trascorsa (e Santana vive per vantarsi delle sue conquiste, quasi quanto lei vive per Broadway), né ricorda il numero della stanza in cui ha dormito.
Ma la sua coinquilina inizia ad interrogarla sulla sua nottata e ad insultarla senza ritegno – e Rachel è davvero troppo stanca per andare a caccia di altri indizi o di conferme.
 
 
La terza volta in cui Rachel Barbra Berry ha dei sospetti è quando, due settimane dopo quella deprimente giornata che è stata il non-matrimonio Pillsbury-Schuester, Quinn Fabray viene a far loro visita a New York.
Mangiano e scherzano e guardano film insieme per tutto il weekend – e Santana insiste per far dormire la bionda nel suo letto a una piazza e mezza (“tu a destra e io a sinistra, non ci provare a sconfinare nel mio territorio, Lucy. Ho un paio di coltelli sotto al cuscino.”) e per accompagnarla alla stazione il lunedì mattina. Le due ragazze si comportano in modo insolitamente pacifico e pacato, riuscendo addirittura a non venire alle mani e insultarsi per due interi giorni.
Rachel sente degli strani rumori la notte, ma incolpa le tubature dell’acqua. Il giorno dopo, nel cesto del bucato, trova delle graziose  mutande rosa salmone, che è certa non essere né sue né della sua coinquilina. (Per un nanosecondo si chiede se Kurt non le abbia tenuto nascosto  di aver intrapreso  una qualche forma di sperimentazione con il genere femminile.)
Ma ha paura di essere accoltellata nel sonno qualora osasse fare domande (non è così sicura che Santana scherzi a proposito dei coltelli sotto al cuscino), quindi decide deliberatamente di chiudere gli occhi di fronte a quel per ora unico indizio.
 
 
La quarta volta in cui Rachel Barbra Berry ha dei sospetti è domenica 8 marzo, alle ore 16. 47. Lei e Kurt sono stati invitati a trascorrere il weekend in un cottage in montagna e hanno lasciato detto a Santana, che sarebbe stata raggiunta poco dopo la loro partenza dalla sua ritrovata amica Quinn, che sarebbero tornati il lunedì nella tarda mattinata. Rachel ha deciso di anticipare il rientro a domenica pomeriggio, per regalare a Kurt un po’ di intimità con la sua nuova fiamma (preferisce fare a meno di vedere e/o sentire  il suo coinquilino nonché migliore amico impegnato nell’atto finale di un rituale d’amore? Sì).
I suoi sospetti si trasformano in qualcosa di molto vicino all’evidenza quando esce dall’ascensore e sente dei rumori terribilmente simili a gemiti nel suo appartamento.
Ma ha paura di affrontare quelle due insieme, così fa dietro-front, concedendo a Santana almeno il tempo di sbarazzarsi del corpo del reato. (E delle mutande di questo corpo, se possibile.)
 
 
La quinta volta in cui Rachel Barbra Berry ha dei sospetti è domenica 8 marzo alle ore 21.43 – e questa volta non fa nemmeno in tempo a sospettare. Entra in casa con le cuffiette alle orecchie, convinta che non ci sia più nessun ospite inatteso nel soggiorno di casa loro (perché, seriamente, esistono i letti per quelle cose!), alza gli occhi da terra dopo aver posato la valigia e vede Quinn Fabray e la sua coinquilina Santana Lopez amoreggiare sul suo nuovissimo divano. O meglio, nota un groviglio di membra che sembrano fuse insieme e una massa di capelli corvini che ondeggia selvaggiamente in su e in giù, il tutto sul suo nuovissimo e bellissimo divano.
Rachel alza le mani a coprire gli occhi e corre verso camera sua urlando: “Non ho visto niente ma smettete immediatamente e scendete dal div—”.
Sbatte la testa contro l’unico muro del loro appartamento e si risveglia all’ospedale, con Quinn e Santana -rosse come due pomodori- al suo capezzale.
 
Da quel giorno Rachel Barbra Berry sa.
(E ha bisogno di un nuovo divano.)


 
   
 
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