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Autore: LunaMoony92    30/08/2015    3 recensioni
Angela viene invitata dal suo migliore amico ad assistere alle prove del Coriolanus al National Theatre, così da coronare uno dei suoi sogni. E' seduta da sola a godersi le prove, quando le luci calano e uno sconosciuto decide di sedersi accanto a lei. Tra un biscotto e un altro, Angela si ritrova a raccontare al suo vicino la sua storia, di come sia scappata da casa e di come si senta ancora estranea in questa città. All'improvviso la sala viene di nuovo illuminata e finalmente Angela scopre l'identità del ragazzo.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ecco, adesso puoi aprire gli occhi. Siamo arrivati.” mi dice Giovanni, togliendomi finalmente la benda con cui mi ha costretta a camminare per non so quanti isolati e che nessun: “Ti prego, sono già cecata di mio, toglimi quest’affare!” ha scosso minimamente dal fargli cambiare idea.
“Spero tu mi abbia portato a casa della Rowling, solo così riuscirò a perdonarti per tutte le storte che mi hai fatto prendere!” gli dico sbuffando, mentre mi porge gli occhiali. Sta sorridendo.
Metto gli occhiali e il mondo torna ad essere più chiaro: siamo in un teatro,  un bellissimo teatro. Chiudo gli occhi e ne respiro a pieni polmoni il profumo. Siamo in quel teatro, siamo al National Theatre!
Gli salto al collo e inizio a urlare di felicità.
Giovanni da qualche mese ha iniziato a lavorare qui per la messa in scena del Coriolanus e mi aveva promesso che prima o poi mi avrebbe fatta assistere alla prove. Sono un’appassionata di cinema, teatro e regia da sempre e per me è davvero un sogno essere qui. Non smetto di abbracciarlo e di ridere, anche lui è felice. Noi due abbiamo solo noi,  in questa città siamo da soli, ma cerchiamo di bastarci. Lui è il mio migliore amico e io la sua. Non riuscivamo a vederci da un’eternità e questa sorpresa è per entrambi. Un po’ di tempo per condividere le nostre passioni, magari una pizza e il mondo sembra subito meno cattivo.
La voce di Giovanni mi riporta sulla terra.
“Adesso datti una calma e siediti qui. Stanno per arrivare Mark Gatiss, Alfred Enoch e Deborah Findlay per le prove. Ti prego, non farti sentire, sennò mi buttano fuori. So quanto puoi essere molesta.”
Mi sfiora la guancia con un bacio e sento la sua risata mentre scappa via.
Sono seduta  abbastanza in alto rispetto al palco, così da poter avere una visione globale. Non posso ancora credere di essere qui e di avere l’opportunità di vedere alcuni dei miei attori preferiti in scena. Se riesco ad ottenere un autografo da Mark, credo che sverrò.
Sorrido tra me e me, e mi viene in mente il giorno in cui sono arrivata in città. Passata la sferzata di adrenalina per la partenza, la paura aveva iniziato a fare da padrona. Non riuscivo a trovare casa di Giovanni, mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Adesso è diverso, adesso va meglio, adesso sono qui e questo è ciò che conta.
 
 
 
E’ quasi tutto pronto, stanno per iniziare le prove. Vedo Giovanni che si arrampica su di una scala per sistemare un faro che ha deciso di non funzionare. Visto da qui sembra così piccolo, riesco a distinguerlo solo grazie alla sua inseparabile camicia a scacchi di flanella.  Non ho una vista da falco, si sa, e forse ho sbagliato a sedermi così in alto. Mi guardo intorno, la sala sembra deserta, se non fosse per la miriade di tecnici del suono e delle luci che corrono  a destra e a manca.
La prima è tra due settimane, la pressione inizia a salire. Ripensare ai tempi delle rappresentazioni al liceo, mi fa rivivere l’agitazione prima di una prova, gli imprevisti continui, le battute dimenticate, ma soprattutto la passione che ci mettevo per dare il meglio di me. E’ un peccato  io abbia rinunciato, ma ormai fa parte del passato e io il passato non lo voglio più rivivere.
Trovo un posto un po’ più in basso, adesso addirittura riesco a vedere Giovanni in faccia, mentre con fatica rimette a posto l’enorme faro e salta giù dalla scala. Le luci si abbassano, il regista urla qualcosa che non riesco a capire bene e inizia la magia. Sono solo prove, continuo a ripetermi per calmarmi, ma non riesco a smettere di sorridere e a fermare le lacrime che stanno iniziando a scendere dai miei occhi, quasi senza che io me ne accorga.
Entra in scena Mark ed il palco è suo. Adoro Mark come sceneggiatore, ma dopo la sua performance posso dire che dal vivo mi ha emozionata tantissimo. Ha prima provato le battute con il regista e poi insieme agli altri attori. Una presenza scenica fantastica. Il regista urla “Cinque minuti di pausa”  e il teatro si riempie di luci. La sala non è così deserta come pensavo. Qui e la ci sono gruppetti di persone che presumo, come me, si stanno godendo le prove di questo fantastico spettacolo. Anche se oggi non è giorno di prova per il protagonista, Tom Hiddleston, siamo tutti molto emozionati.
Giovanni mi fa un cenno da lontano, sembra allarmato, ha gli occhi spalancati, ma allo stesso tempo sembra stia ridendo. In un moto di italianità, muovo le labbra per urlargli: “Che cazzo sta succedendo?” ma fortunatamente mi blocco. Le luci stanno di nuovo calando e qualcuno sta cercando un posto a sedere proprio vicino a me. In sala è quasi tutto buio, solo un faro sul palco illumina Mark e Alfie.
“Scusi, è libero questo posto?” sento dire da una voce maschile accanto a me. Mi prende in contropiede, quindi farfuglio impacciata “No, si, certo. E’ libero.”
Sono felice che le luci siano così basse, sento la temperatura delle mie guance salire. Come direbbe Giovanni, sto pericolosamente diventando il cosplay di Heidi.  Non riesco a vedere quasi nulla, ma sento il mio vicino di posto ridacchiare un po’, poi si siede nel posto accanto al mio. Non passa molto tempo, che inizia a ripetere le battute a memoria. Ha una voce bellissima, un accento impeccabile.
E’ sicuramente inglese e sicuramente un grande estimatore del teatro. Se dovesse farmi qualche domanda specifica, andrei in corto circuito al 100%. Abito qui da circa 6 mesi e certe volte ho ancora paura a parlare con gli inglesi. L’inizio per me è stato terribile. Parlavo pochissimo, se non per le cose di ogni giorno, come fare la spesa o a lavoro. Se mi trovavo incastrata in una conversazione un po’ più lunga, iniziavo ad agitarmi e a mescolare parole a caso. Tutto questo era abbastanza frustrante e stavo quasi decidendo di tornare indietro. Ma ogni volta che questo pensiero mi sfiorava, grazie al cielo, interveniva Giovanni che, che con un gelato e un mega cazziatone, mi riportava sulla retta via.
 
 
 
Il mio vicino adesso ha preso a ripetere anche le battute che sta leggendo il registra al posto dell’attore principale, Tom Hiddleston. E’ parecchio bravo, il mio vicino.
Mi viene quasi voglia di complimentarmi con lui. Potrebbe quasi salire sul palco e sostituire Tom, che, a quanto mi ha detto Giovanni, si trova oltre oceano. Ovviamente gli avevo chiesto di poter assistere alle sue, di prove. Ma, a quanto pare, sono prove blindate e a nessuno, oltre che agli addetti ai lavori, è permesso l’ingresso. Per me, comunque, l’importante è  essere qui. Sicuramente tornerò a vedere la rappresentazione nei mesi in cui sarà in programma. Probabilmente anche più di una volta, se le mie finanze saranno un po’ più in sesto di adesso.
Do un occhiata all’orologio. Sono già passate quasi due ore da quando sono arrivata. Odio l’idea di dover uscire fuori da questo angolo di Londra così perfetto e di dover tornare a lavoro.
Adesso stanno provando degli attori con parti minori, a me è venuta fame. Avevo portato dei biscotti da dividere con Giovanni prima di andare via, ma lui è ancora molto  impegnato.
Sto addentando il mio primo biscotto, ed ho come la sensazione di essere osservata, ma le luci sono sempre molto basse, così mi rilasso. Forse il mio vicino mi stava guardando perché ha sentito il rumore del sacchetto. Magari dovrei offrirgli un biscotto.
Sospiro e con un po’ di coraggio gli chiedo: “Le andrebbe un biscotto?” Il mio vicino ride, la mia pronuncia deve fare proprio schifo oppure lo fa ridere il fatto che una sconosciuta spacci biscotti agli sconosciuti in un teatro. Peccato non che non riesco a vederlo in viso, mi sarei potuta fare un’idea di con chi ho a che fare, ma ormai è fatta. Immagino stia ancora sorridendo quando mi dice: “Con piacere, la ringrazio.” e la sua mano sfiora la mia mentre si avvicina al sacchetto per prendere un biscotto. Ho un brivido.
Non passa molto tempo, complici le mie buonissime Gocciole italiane, che iniziamo a parlare. A bassa voce, cercando di non disturbare gli attori che stanno provando.
“Sono davvero buonissimi” mi dice, “Non li ho mai mangiati qui”.
“Sono italiani” gli rispondo io, con orgoglio.
“Interessante, quindi anche lei  è italiana?”
“Si, sono italiana.” dico un po’ incerta. “Si sente l’accento?”
Il mio vicino fa una pausa, poi lo sento ridere e dire: “No.. Non molto. Sembri quasi inglese.”
Io sbuffo un po’ contrariata, ma poi mi metto a ridere anche io. So di avere un accento pessimo, inutile nasconderlo.
“No, davvero. Ho sentito di peggio. Va bene così il tuo accento.”
Poi, resosi conto che io non ho intenzione di rispondere, continua: “Da quanto tempo abiti qui?”
Non amo molto parlare di me, soprattutto quando sono sola, senza Giovanni che mi fa da spalla. Sarà il buio in cui siamo immersi, sarà che sono stanca di non parlare con nessuno, che decido di rispondere.
“Ormai sono 6 mesi. E non ho fatto tanti progressi. Sarà perché non amo molto parlare con la gente.”  butto lì, forse  leggermente caustica.
Il mio interlocutore non si fa scoraggiare, perché mi chiede subito: “Dunque, qual è la tua storia?”
Io resto perplessa. Siamo in teatro, quasi al buio, e uno sconosciuto, con cui parlo soltanto da dieci minuti e con cui ho condiviso dei biscotti, mi sta chiedendo di raccontargli la mia storia. Non ha alcun senso, perché mai dovrei? La mia storia la conosce solo Giovanni, il mio migliore amico. E anche raccontare tutto a lui all’inizio non è stato mica semplice. Avevo paura di cosa avrebbe pensato….
Ma ormai ho deciso che posso lasciarmi andare, per una volta, che parlare con qualcuno che non conosco del casino che ho dentro, forse è qualcosa che devo fare, così inizio a raccontargli tutto. Ogni cosa.
 
 
 
La mia storia? Ho 25 anni e vengo da un paesino della Sicilia. Un bel giorno, ho detto a mia madre che stavo andando all’Università e sono uscita da casa. Avevo soltanto uno zaino con me. Ho preso l’ autobus e sono andata all’aeroporto. Avevo già prenotato il volo da mesi. Sono salita sull’aereo e sono arrivata qui. Appena arrivata ho cercato una cabina telefonica e ho chiamato casa. Ha risposto mia mamma.
“Ma che fine hai fatto?” mi ha chiesto.
“Sono a Londra, mamma. Non tornerò indietro.”
Questa è stata la nostra conversazione.
Ricordare quei momenti, a distanza di tempo, mi da sensazioni strane. Mi sento bene perché sono riuscita a farlo, ad andare via, a ricominciare, eppure, allo stesso tempo, fa ancora male.
“Ho un amico che vive qui da prima che io arrivassi, così ho iniziato a cercare casa sua. Mi sono persa più e più volte, ma avevo paura a chiedere informazioni. Così alla fine l’ho chiamato ed è  venuto a prendermi.”
Faccio una pausa, ma il mio vicino non dice una parola, così continuo la mia storia. Dopotutto, me l’ha chiesta lui.
“Perché non ho detto nulla al mio amico? Avevo paura che non capisse.”
“Quando mi ha chiesto perché l’ho fatto, cosa ho risposto? Sono scappata perché non riuscivo più a respirare.”
“Questa è la mia storia. Vivo qui da 6 mesi e, tra alti e bassi, posso dire che sono stati i 6 mesi migliori della mia vita. Perché le scelte che ho fatto sono mie, quello che ho ottenuto l’ho ottenuto grazie a me e poi ho trovato il lavoro dei miei sogni che mi ha portata sempre più vicina a…”
E’ solo a questo punto che il mio vicino mi prende una mano tra le sue e mi interrompe per farmi una domanda. Al  tocco, sussulto. Non sono abituata a fare invadere i miei spazi personali. Attorno a me ho costruito un muro, ma il mio vicino sembra riesca ad attraversarne le pareti.
“Qual è il lavoro dei tuoi sogni?”
Sono un po’ frastornata e anche sorpresa. Inevitabilmente un sorriso fa capolino sul mio viso.
“Lavorare in una libreria.”
Il mio vicino fa una pausa, sembra abbia qualche dubbio in merito.
“Davvero? Solo questo? Ho l’impressone che ci sia dell’altro…” mi dice. Un lieve barlume di luce investe i suoi occhi, così si incontrano con i miei per la prima volta. Sono bellissimi.
Non so cosa l’abbia portato a capirlo, ma devo dire che ha fatto centro.
“Beh, si. Il mio sogno è diventare una scrittrice.” rispondo, mentre ancora lo sto guardando negli occhi, nonostante la luce sia andata via.
“Wow, questo si che è un sogno!”  immagino stia sorridendo. “Hai già scritto qualcosa?”
Se ho scritto qualcosa? Oddio. Giovanni ogni volta che mi chiede a che punto sono con la mia “opera prima” si pente subito di averlo chiesto. Ne parlerei per ore ed ore, ma non posso fare spaventare questo povero vicino, si vede che è gentile e vuole solo fare un po’ di conversazione per ingannare il tempo.
Diciamo che ho qualcosa per le mani” decido di rispondere, un po’ vaga.
“Davvero? Mi piacerebbe tanto leggerlo, questo libro.”
“Ehm… Mi dispiace, ma è un libro scritto in italiano.”  gli dico, mentre mi accorgo che la sala si sta illuminando, piano piano.
“Peccato, mi sarebbe piaciuto leggerlo.” Il mio vicino si sta alzando, adesso è di spalle, la sala adesso è completamente illuminata. Strizzo un po’ gli occhi per abituarmi la luce, poi mi gito verso di lui, suppongo sia arrivato il momento di salutarci.
Lui si volta verso di me e io rimango a bocca aperta.
“Potrei aiutarti a tradurlo, magari. Mi piacerebbe imparare un po’ di italiano.” mi dice porgendomi la mano per salutarmi.
Io non riesco a muovere un muscolo. Piego la testa in segno di assenso e meccanicamente allungo la mia mano per stringere la sua.
“Perfetto allora, solo.. Conosco la tua storia ma non so ancora il tuo nome.” Sta sorridendo e ha un sorriso bellissimo. Io lo conosco quel sorriso, l’ho visto tante volte sui giornali, in tv, al cinema e adesso lui sta sorridendo a me, proprio a me.
Deglutisco e cerco di schiarirmi la voce. Non so se riuscirò a parlare, mi sento svenire.
“Mi chiamo Angela” riesco a dire.
“Piacere Angela, alla prossima allora. Ci vediamo qui domani se vuoi. Aspettami fuori, così entriamo insieme.” Prende la mia mano tra le sue, mi guarda negli occhi e fa il baciamano. Poi va via.
La mia mano è ancora sospesa nel vuoto. La fisso incredula, come se non appartenesse a me. E’ successo davvero? Mi sono addormentata e la suggestione di essere al teatro ha fatto tutto il resto? Io non riesco a capire. Sto ancora cercando di capire se sono sveglia quando sento Giovanni che mi chiama.
“Angie, ma ti rendi conto di chi c’era seduto vicino a te??!”
“Chi c’era?” mi volto verso di lui, ancora con la mano a mezz’aria.
Giovanni vedendomi in quello stato scoppia a ridere.
“Mi sa che ti rendi conto. Cazzo, che fortuna! Con tutti i posti liberi, Tom viene a sedersi accanto a te!”
Si avvicina a me, mi prende la mano e la abbassa delicatamente. Devo sembrare davvero un’idiota in questo momento.
“Allora è successo davvero” quasi sussurro. “E’ successo davvero!!” “E’ successo davvero!!”  
Ci ritroviamo a gridare mentre ci abbracciamo e tutti iniziano a guardarci, ma a noi non importa. E’ successo davvero, e io sono terribilmente felice.
 
 
 
 
 
 
 
  
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