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Autore: daeran    04/02/2009    5 recensioni
Brevissimo missing moment de "Il Falco e il Leone" incentrato su Guillaume de Ponthieu.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La frase sotto il titolo è una citazione tratta dal film "Il corvo", la fanfiction partecipa al Temporal-Mente indetto da Criticoni ed alla V Minidisfida sempre indetta da Criticoni.net.

Fratelli.
(Vittime: non lo siamo tutti?)

 

Guillaume de Ponthieu fissava l’anziano locandiere con espressione sconvolta.
Prima di recuperare il freddo contegno degno di un conte di Francia, feudatario maggiore, nonché congiunto di sua maestà re Filippo II Augusto Capeto, rimase svariati secondi con gli occhi sgranati, incredulo ed incapace di comprendere appieno il significato delle parole appena comunicategli.
“Prego?” domandò in un soffio.
Monsieur le comte, un gruppo di fiamminghi ha fatto irruzione nel mio locale ed ucciso senza motivo alcuno il mio povero garzone.” borbottò l’uomo in evidente imbarazzo.
Il conte agitò una mano, come a scacciare una mosca fastidiosa.
“No, hai parlato di un altro uomo, intervenuto in difesa del garzone.”
“Sì, mio signore.” annuì l’altro, ancora a disagio. “Un giovane alto, vestito con abiti umili. Si è presentato come Jean Marc de Ponthieu, ha tentato di riportare la pace nel mio locale ma ha ricevuto in cambio solo lame e minacce, mio signore. Maledetti fiamminghi.” aggiunse, recuperando in parte la sicurezza.
“Jean Marc… era lui? Era davvero lui?” chiese, sorprendendo persino se stesso con l’urgenza e l’emozione che non riuscì a trattenere davanti ad un’improvvisa speranza.
L’uomo fissò il suo signore con aria incerta.
“Ecco, io… non so…”
Perse nuovamente il controllo, afferrò l’uomo per la tunica e lo strattonò sgarbatamente
“Era davvero mio fratello?” domandò ancora.
L’uomo balbettò parole incomprensibili, preso alla sprovvista dalla reazione del conte, mentre gli uomini di Ponthieu si mossero a disagio, non sapendo se intervenire o meno.
Nei mesi trascorsi dopo l’aggressione e la scomparsa del conte cadetto, Guillaume non si era dato pace, aveva fatto perlustrare scrupolosamente ogni angolo del feudo di suo fratello e, con il consenso dei feudatari vicini, si era spinto fin oltre i suoi confini ma ogni traccia di Jean sembrava essere scomparsa al monastero di Saint Michael, così come quelle dei suoi amici e protetti. Secondo i racconti di Madame Isabeau e Madame Donna, la giovane promessa di Monsieur Daniel, assieme al suo fratellino, erano stati rapiti dal traditore Carl White che ingenuamente avevano creduto amico e che, dopo essere stato da loro salvato, aveva portato a Saint Michael i sicari inviati per uccidere il cadetto Ponthieu, il cavaliere più giovane era partito al loro inseguimento mentre lo stesso Jean, ferito gravemente, a giudicare se non altro dal sangue che aveva impregnato il selciato del cortile del convento, era stato trascinato via dai suoi stessi aggressori.
Erano passati cinque lunghi mesi da allora, e, nonostante l’enorme schieramento di forze messe in gioco, nessuna notizia era giunta, né da Monsieur Daniel, né dai rapitori, per alcuna richiesta di riscatto.
Il silenzio e la mancanza di tracce avevano portato alla più ovvia conclusione, gli assassini dovevano aver compiuto il loro incarico, gli scomparsi dovevano essere morti ormai ma questa certezza non aveva tuttavia fermato il conte, intendeva accertare l’accaduto e, se necessario, cercare la giusta vendetta.
Dopo tante ricerche erano riusciti al fine ad acciuffare due dei sicari, li avevano a lungo interrogati sull’accaduto.
Il primo, facendosi beffe del dolore dei francesi, aveva affermato fin dal primo momento che il giovane conte era morto accoltellato ed il suo cadavere scomparso nelle fiamme che avevano divorato parte del monastero la stessa notte dell‘agguato ed era stato condannato a morte ed impiccato davanti allo sguardo gelido di Guillaume de Ponthieu; il secondo, forse solo nel tentativo di mantenersi in vita, aveva invece fornito una versione diversa che confermava in parte le parole di Madame Donna.
Stando alla confessione del criminale, Jean Marc era stato trasportato via, ferito ma vivo e rinchiuso in qualche luogo imprecisato ma ancora su suolo francese; di Dama Jodie e del piccolo Martin invece giurava di non sapere nulla.
Per settimane aveva spedito gli uomini di Ponthieu nei luoghi più remoti del feudo, donando una speranza che veniva puntualmente disattesa, infine il feudatario aveva perso la pazienza, considerato l’uomo un mentitore e l’aveva condannato alla forca per l’omicidio del fratello, dato oramai per certo.
Monsieur…” il barone di Chailly mosse un passo incerto verso il suo signore, come tutti i soldati era rimasto esterrefatto dal comportamento del conte ma poteva comprenderne appieno il motivo; a sua volta aveva sussultato quando l’ufficiale incaricato di indagare sull’omicidio avvenuto nelle terre di Montmayeur aveva riferito le parole dei testimoni per condurre poi, dopo l’ordine del conte, lo stesso locandiere al cospetto del suo signore per ripetere la sua storia, secondo la quale il Falco d’Argento in persona si era fatto riconoscere davanti al comportamento pericoloso di un gruppo di fiamminghi che si erano poi resi colpevoli dell’omicidio di un giovane garzone ed avevano ignorato l’ammonizione del sedicente Jean de Ponthieu.
Guillaume si riscosse dai mille pensieri, si stupì del proprio comportamento e lasciò immediatamente andare il suo suddito per domandare nuovamente con più calma.
“Hai visto quell’uomo in volto? Credi che fosse davvero lui?”
Il locandiere deglutì rabbrividendo e spostò lo sguardo sul barone che annuì rassicurante.
“Mio signore, non ho mai avuto l’onore di vedere da così vicino il Falco d’Argento, io non posso esserne certo. Era un uomo molto alto e coraggioso, non ha battuto ciglio davanti alle armi di quei maledetti, come un vero cavaliere; ha tentato di mettere pace, forte del suo rango ma non gli hanno dato retta.”
“Cosa gli hanno fatto?” lo interruppe subito il conte, ben conscio di potersi trovare di fronte all’ennesimo buco nell’acqua.
“Non lo so, signor conte,  hanno chiuso me e mia moglie nella cucina, ci hanno tramortiti e, quando ci siamo ripresi, nel locale non c’era più nessuno, eccetto quel povero ragazzo in una pozza di sangue.” rispose pronto l’oste.
“C’era qualcun altro nella locanda? Oltre ai fiamminghi ed all’uomo presentatosi come Jean Marc?” chiese ancora Ponthieu, implacabile.
“Sì, mio signore. Un altro viaggiatore. Era seduto al tavolo di quell’uomo ma agiva come se non si conoscessero… fino a che…” si zittì, con le folte sopracciglia accigliate in un’espressione pensierosa.
“Fino a che?” lo incalzò il conte.
“Beh, fino a che non hanno ucciso il ragazzo e attorniato l’uomo. A quel punto anche il vagabondo si è alzato ed ha cercato di aiutarlo ma i fiamminghi lo hanno immobilizzato e gli hanno strappato il cappuccio.” annuì ancora.
“Descrivilo!” ordinò il conte.
Il barone Chailly fissò per un momento il suo signore, conosceva quello sguardo attento: la volpe aveva ripreso il sopravvento sull’emozione.
“Beh, lo ho appena intravisto, Monsieur, quindi…” si zittì un momento, notando l’occhiataccia del nobile e proseguì, non prima di fremere per un brivido che gli corse inesorabile lungo la schiena.
“Sembrava un sassone, Monsieur le Comte, dal colore dei capelli.”
“Un sassone. Era biondo, giovane di circa ventuno o ventidue anni?” domandò ancora. Il cuore del feudatario ebbe un sussulto.
“Sì, può essere, Monsieur.” rispose pronto il locandiere, più per accontentare il suo signore che non per effettiva certezza; nel trambusto non aveva fatto certo in tempo a scrutare con attenzione i due uomini.
Il barone Chailly trattenne il fiato e sgranò gli occhi: “Monsieur Daniel?” mormorò con un fremito nella voce.
Guillaume lo zittì con un gesto della mano e rimase a lungo con gli occhi fissi in quelli del locandiere, senza dire una parola, la mente persa a miglia di distanza.
C’era davvero una speranza?
Si ritrovò a desiderarla con tutto il cuore, stupendo per l’ennesima volta persino se stesso.
Da quando quello strano giovane era comparso sulla sua strada, come piovuto dal cielo nel momento del maggior bisogno, la sua vita aveva avuto un’assurda svolta; tutti gli ordinati fili dei suoi fidati burattini si erano improvvisamente ingarbugliati; lo sconosciuto proveniente dal lontano paese oltre la Scozia aveva travolto e buttato all’aria il complesso ordine dei pezzi sulla sua scacchiera, gli aveva fatto perdere il controllo, lasciandolo in balia degli eventi come un giovanissimo scudiero alle prese con lacci sconosciuti e cotte troppo pesanti per essere sollevate oltre il capo del suo signore.
Il conte di Ponthieu aveva sempre odiato sentirsi trasportato dal flusso del tempo, incapace di controllare i movimenti o le reazioni di chi lo circondava, soprattutto per questo si era infuriato nello scoprire il tradimento portato avanti dal fratello minore dodici anni prima; era infuriato con se stesso per non aver compreso in anticipo le intenzioni di Dammartin e l’ascendente che questi aveva sul giovane Jean che per anni era stato suo scudiero.
Andando contro ogni logica aveva poi chiesto clemenza al suo re ed offerto il beneficio del dubbio al fratello minore che, pur meritando il cappio al collo per aver tramato di tradire il suo sire feudatario, era stato graziato e relegato in un convento, nella speranza che la preghiera e la rinuncia potessero riportare il senno dove regnava solo l’arroganza giovanile.
Quando finalmente aveva avuto la possibilità di liberarlo ed offrirgli una vita degna del suo rango, Jean lo aveva nuovamente deluso, aveva ancora tradito la sua fiducia e gli era sfuggito dalle mani, senza controllo alcuno, aveva quasi gettato fango sull’intero casato, trascinando lui stesso nell’onta di un disonore che nulla avrebbe mai più potuto ripagare, neppure la benevolenza di Filippo Augusto.
Ma in quei giorni terribili, quando tutte le pedine della sua scacchiera sembravano esserglisi rivoltate contro, pronte a portare un arrocco micidiale, ecco giungere dal mare un uomo senza passato, un Falco fedele che per ben due volte aveva salvato il suo tesoro e, con esso, il suo stesso onore. La terza volta aveva impedito la completa distruzione del casato Ponthieu, mandando a tutti gli effetti in frantumi il terribile piano ordito da Jean e dal feudatario delle Fiandre ed era stato suo malgrado costretto ad accettare il complesso gioco di maschere costruito per puro caso ed appoggiato infine dal sovrano stesso.
Guillaume ricordò il senso di impotenza che aveva provato nel momento in cui Re Filippo gli aveva “consigliato” di lasciare proseguire gli eventi lungo la strada che avevano preso ed attendere il risultato, fidandosi della fedeltà del suo Falco d’Argento.
In quei giorni non poteva credere di aver davvero accettato una situazione simile, quell’uomo non era Jean, per quanto tentasse di indossarne la maschera, era uno sconosciuto, poteva avere tutte le peggiori intenzioni del mondo, non era neppure un cavaliere ma un semplice letterato, il cui onore non poteva essere valutato con certezza, non avrebbe mai parlato del suo passato per via di un voto, diceva, un voto che non poteva in alcun modo essere infranto.
Che assurdità.
Ricordava perfettamente l’odio irrazionale che aveva provato per quel plebeo, nascosto sotto gli abiti da nobile di suo fratello minore, il fratello che non era riuscito a controllare, che lo aveva deluso e che lui stesso aveva deluso.
A lungo aveva rimuginato nel tentativo di trovare un metodo efficace per liberarsene, mentre le maglie dell’inganno si facevano sempre più strette, di giorno in giorno, rendendo impenetrabile la menzogna ed impossibile sfuggirle.
Ne era diventato poco per volta vittima, protetto e contemporaneamente prigioniero dei suoi stessi intrighi, avrebbe dovuto guardare in volto l’assassino di suo fratello e chiamarlo a sua volta fratello ma allo stesso modo il giovane Ian Maayrkas era stato costretto ad indossare gli scomodi panni di un traditore, ad obbedire e proseguire la menzogna, rischiando la forca assieme a lui, nel caso in cui il pericolosissimo gioco di inganni fosse stato scoperto.
Vittime: non lo siamo tutti?
Si era  ricordato, prima di compiere il passo più difficile e liberatorio di tutta la sua vita ed officiare all’investitura a cavaliere del Falco del Re, divenuto da quel momento suo fratello in armi.
Vittime di Jean, vittime dell’odio e vittime dell’arroganza ma quella notte passata in preghiera aveva segnato l’inizio di una nuova vita ed una nuova speranza: Jean Marc de Ponthieu, il Falco d’Argento.
Ed ora, dopo cinque mesi passati  nella convinzione di averlo perso per la seconda volta, riecco presentarsi la speranza, Jean Marc era comparso dal nulla, come un fantasma in una locanda, all’interno dei confini del suo stesso feudo.
Che diavolo stava accadendo?
Ogni cosa stava di nuovo sfuggendogli di mano.
“Mandate i  miei uomini a cercarli.” disse quindi, rivolgendosi al barone. “Voglio che ogni angolo della zona venga setacciato, trovateli e scoprite chi sono. Se mentono verranno giustiziati.” ordinò d’impeto.
Non avrebbe accettato mai più di essere preso in giro. 

  
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