«Va
bene, allora io vado.» aggiunse quindi, alzandosi e
avviandosi
verso la porta.
«Semir?».
«Sì?».
«Forza.» fece il più giovane con un
sorriso.
La
sera
stessa, dopo aver messo a dormire le bambine, che erano tornate a casa
sua,
Semir si lasciò cadere sul divano, esausto.
Chiuse gli occhi, ma il ricordo di Andrea stesa in una pozza di sangue
sul
pavimento dell’aeroporto gli invase la mente e il poliziotto
fu costretto a
risollevare immediatamente le palpebre per far sì che
quell’immagine si
dissolvesse.
Provò quindi a porre l’attenzione su qualsiasi
cosa non riguardasse sua moglie,
ma non ci riuscì nemmeno impegnandosi:
quell’orologio appeso alla parete gli
ricordava il trascorrere lento del tempo nel corridoio
dell’ospedale di El
Fahim; Mirtillo sdraiato sul tappeto gli ricordava il giorno
dell’ultimo
compleanno di Aida, in cui lui e Andrea erano stati così
felici insieme e
orgogliosi delle proprie figlie; il servizio di bicchieri sistemato
sulla
credenza gli ricordava le nozze per le quali era stato regalato loro da
alcuni
amici della moglie.
Tutto, qualsiasi cosa gli ricordava lei.
La testa cominciò a girargli, chiuse di nuovo gli occhi ma
di nuovo immagini di
sangue e paura si mischiarono a ricordi felici che riguardavano Andrea.
Aprì gli occhi, ancora, scosse il capo, si alzò
facendo il giro della stanza,
si sedette nuovamente e in un moto di rabbia scaraventò un
cuscino a terra,
lontano dal divano.
Poi si prese la testa tra le mani, e rimase immobile.
Ben
raggiunse Clara, che immobile fissava un punto indefinito oltre i vetri
della
finestra nel salotto di casa.
«Ehi...» le sussurrò piano
all’orecchio, cingendole i fianchi.
«Ben, non faccio altro che pensare ad Andrea. E a Semir, se
io sto così male
non oso nemmeno immaginare come possa sentirsi lui.»
mormorò la donna,
spostando lo sguardo sul marito e osservandolo con occhi appena lucidi.
Ben sospirò posando lo sguardo oltre i vetri, nel giardino
«Sta male, sta
davvero male, non l’ho mai visto così. Non so come
fare ad aiutarlo, non vuole
nemmeno parlare...».
«Vai da lui.» fece Clara, semplicemente.
«Cosa?».
«Vai da lui, vacci ora. Vai a vedere come sta, sono solo le
dieci, non starà
certo dormendo. Ben, dobbiamo fargli sentire che non è solo,
che gli stiamo
vicino.».
Il poliziotto la guardò ancora per un attimo, titubante.
«Non ti preoccupare per me, vai e torna quando vuoi, io sto
bene.» aggiunse lei
con un mezzo sorriso.
L’ispettore non se lo fece ripetere due volte.
Le stampò sulle labbra un bacio fugace e uscì
quasi di corsa, con le chiavi
della macchina in mano.
Quando
Semir sentì bussare alla porta, non seppe se dare di matto
definitivamente
oppure no.
Si chiese chi diavolo potesse essere a quell’ora, ma la
risposta possibile era
una soltanto.
Aprì la porta e si trovò davanti un Ben
sorridente che gli chiedeva di entrare.
Gli fece cenno, il più giovane entrò ed entrambi
andarono a sedersi sul divano,
senza parlare.
Semir raccolse il cuscino da terra, come se niente fosse, sperando che
l’amico
nemmeno lo notasse.
«Socio, non ho suonato il campanello per paura di svegliare
le bambine.».
«Sì, sono andate a dormire da poco.»
fece il turco evitando di guardare l’altro
negli occhi.
«Semir...».
«Ben, che cosa ci fai qui? Dovresti essere con Clara, ha
partorito da quindici
giorni, devi stare con lei.».
«Clara sta bene, volevo passare a salutarti un attimo... a
parlare un po’ con
te.».
«Ben...».
«Semir, ti prego.» cominciò il
più giovane protendendosi leggermente col busto
in avanti e appoggiando i gomiti sulle ginocchia «Non dirmi
che non hai bisogno
di parlare perché non ci credo, non è
possibile.».
«Te l’ho già detto, preferisco essere
lasciato perdere.».
«Non puoi chiuderti in te stesso in questo modo, Semir! Con
le bambine non puoi
sfogarti perché sono piccole, con i tuoi suoceri non puoi
perché stanno male
tanto quanto te... fallo con me, sono qui apposta! Riempimi di insulti
se
necessario, prendimi a pugni, ma fa qualcosa! Oppure prima o poi
scoppierai e
farai del male a te stesso e a tutti quelli che ti stanno intorno,
bambine
comprese.».
Semir cominciò a scuotere il capo mentre gli occhi gli
tornavano lucidi
«Vattene, Ben, ti prego...».
«Dovrai buttarmi fuori di peso, socio.» fece il
ragazzo mettendosi a braccia
conserte.
Il turco sorrise tra le lacrime «Ben, davvero, non ce la
faccio a parlare,
guardami!».
«Piangere non è una debolezza Semir, né
una cosa di cui vergognarsi.» affermò
Ben con aria tranquilla «È solo un modo per
sfogarsi e tu ne hai bisogno.».
«È che... io non ce la faccio senza di lei.
Mi sembra di impazzire, non
riesco a dormire perché la sogno in fin di vita in
quell’aeroporto, ma non
posso stare sveglio perché qualsiasi cosa mi ricorda lei.
Non so come
comportarmi con le bambine, non so come aiutare i genitori di Andrea,
non sono
in grado di fare niente!» cominciò
l’ispettore come un fiume in piena «E poi
non lascio in pace te, che hai una moglie e una figlia appena nata a
cui
pensare. Beth non ha ancora realizzato mentre Aida sì e mi
odia... dovevo
morire io, Ben, quel proiettile era per me... per me!».
«Devi smetterla di sentirti in colpa, tu non potevi sapere
che Andrea sarebbe
stata alle tue spalle.» provò a dire Ben prima di
essere bruscamente interrotto
dal collega.
«Ma era per me, quel porco voleva uccidere me! Io non dovrei
essere qui ora,
dovrebbe esserci Andrea!» gridò ancora Semir.
«Non è colpa tua, quello che è successo
non è colpa tua. Devi convincertene,
Semir.».
«Non so come fare... non sono in grado di fare tutto da
solo.».
«Tu non sei solo, socio... questo devi ricordarlo,
sempre.».
Il rumore di una porta al piano di sopra che si chiudeva interruppe
improvvisamente entrambi.
I due uomini rimasero in silenzio ascoltando il rumore dei passi che
titubanti
si avvicinavano alle scale.
«Ecco, ora arriva Aida e mi vede
così...» sussurrò Semir asciugandosi
gli occhi
con il dorso delle mani.
Ben gli sorrise porgendogli un fazzoletto e poi rivolse lo sguardo alla
bambina
che nel frattempo aveva raggiunto le scale e le stava scendendo con
calma. Non
appena vide il giovane poliziotto, gli occhi le si illuminarono e
raggiunse in
fretta il ragazzo saltandogli in braccio.
«Zio Ben!».
«Ciao principessa! Ma come siamo belle con questo
pigiamino!».
«Ti piace? Me lo ha regalato la mamma.».
«Cucciolo, cosa ci fai in piedi a
quest’ora?» intervenne Semir per evitare che
la conversazione cadesse su quell’argomento.
«Non riesco a dormire.» fu la secca risposta della
ragazzina, che tornò
immediatamente a rivolgersi a Ben «E tu come mai sei qui, zio
Ben?».
«Perché dovevo parlare un po’ con
papà. Però ora è tardi principessa,
dovresti
dormire, sai?».
«Non ci riesco!».
«E se vengo su io a cantarti una ninna nanna?».
Aida sorrise e gli occhi le si illuminarono ancora.
Il poliziotto allora si alzò sempre tenendola in braccio e
si avviò verso la
camera delle bambine.
A Semir non restò che rimanere fermo a guardarli mentre si
allontanavano su per
le scale.
E sorrise.
Giuro che
un po’ di azione arriva, prima o poi. Intanto abbiamo Ben che
cerca di fare del
suo meglio e di dividersi tra Semir e Clara...
Un
bacione e grazie a tutti coloro che stanno recensendo, a presto!
Sophie
:D