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Autore: ILParide    31/08/2015    0 recensioni
Presente anche sul sito ufficiale, questa è la mia prima fanfic. Penso si presenti in un modo un filino diverso rispetto alle storie che ho avuto modo di leggere qui finora.
La storia ho in programma di dividerla in 4 parti, la cui prima (Prometheus) è già completa, e la seconda (Hercules) già in lavorazione. Aggiungerò in futuro la presentazione delle ultime due.
PROMETHEUS: "Cosa succede quando un normale lavoro smette di essere un normale lavoro? Un normale incarico mette in moto meccanismi molto, molto più grandi dei protagonisti..."
HERCULES: "Tutto porta con sé dei ricordi. Anche quello che non vogliamo. Una semplice competizione sportiva si trasforma in una ricerca di vendetta"
EPIMETHEUS: "Work in progress"
PANDORA: "Work in progress"
Dato che ho parole da spendere:
Siccome onestamente non mi piace descrivere scene romantiche, e un po' perché il romanticismo dilagante nelle fanfic mi stomaca un po',questa storia ne sarà pressoché assente. Spero che questa mia premessa non vi abbia fatto perdere la curiosità, e buona lettura.
Dal prologo:
"Ora, lei provi a pensare a questo posto come alla pattumiera di Dio. Ci si potrebbero trovare un bel po’ di cose interessanti, non crede anche lei?"
Genere: Avventura, Commedia, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Prologue 0.1: Tell the Truth

Un uomo entrò nella stanza appoggiandosi a un bastone. Benché fosse abbastanza giovane, il viso scarno, gli occhi spenti, la carnagione pallida, pallida perfino per il grigiore caratteristico di un demone, e i capelli e la barba lunghi e non curati lo facevano sembrare quasi vecchio. Inoltre, a fare da contorno alla sua misera figura, gli mancava la gamba destra, da metà polpaccio in giù, sostituita da una protesi, che non gli impediva però di zoppicare. Portava un maglione blu scuro di una misura più grande, pantaloni e una scarpa neri. Ad una seconda occhiata, il bastone a cui si reggeva si rivelava essere una spada, quasi sicuramente una katana, nel suo fodero. Il suo interlocutore, giornalista, un uomo distinto, sulla quarantina, in giacca e cravatta, aveva già preso posto al tavolo. L’uomo senza una gamba si sedette di fronte al giornalista.

Giornalista: “Spero che lei sappia perché è venuto qui, signor Rock …”
Rock: “Perché altrimenti mi avreste drogato, portato qui con la forza e mi avreste fatto dire cose che ho già ripetuto un sacco di volte ad altrettanti giornalisti diversi. Ah, già, anche ad un paio di poliziotti, e a quelli dell’istituto psichiatrico. Se è questo che le serve, si faccia dare una copia di un verbale, ce ne usciamo da qui e ce ne andiamo a prendere un caffè da amici, le va?”
Giornalista: “Faccia poco lo spiritoso, ok? Ho letto quei verbali. Farneticazioni sull’avere ucciso Dio. Sulla fine del mondo, anzi, dell’universo. E poi, sugli OOPArts.”

L’uomo con una gamba sola trattenne a stento una risatina, ma il giornalista continuò a parlare, imperterrito.

Giornalista: “È per questo che la faccio venire qui. Lei ha detto di sapere cosa sono, e inoltre è riuscito a indovinare da quanto tempo non ne cadessero più, oltre ad aver fatto questa fantomatica predizione sul fatto che quel cubo sarebbe stato l’ultimo. La gene vuole saperne di più, signor Rock, e pare che lei sia l’unica fonte passabile … ammesso e non concesso che quello che dice sia vero.”

L’uomo senza una gamba sbuffò rumorosamente, guardando il giornalista con l’aria di qualcuno che ripeteva per l’ennesima volta qualcosa a qualcuno che non gli desse ascolto.

Rock: “Come tutto il resto, è tutto vero. Riassumendo: io ho ucciso il Dio di quest’universo. Dopodiché, ho passato tre mesi dentro quel cubo blu. Ai primi di giugno, l’universo verrà distrutto, dopo l’apparizione di un ultimo OOPArt. Spero sia l’ultima volta che mi tocca ripeterlo.”

Il giornalista era visibilmente a disagio. Il suo interlocutore, Ciel Rock, non era assolutamente come si aspettava. Un pazzo farneticante, gli era stato descritto da altri che, prima di lui, avevano avuto a che fare con quest’uomo. Eppure lui vedeva, negli occhi di quell’enigma vivente di fronte a lui, una determinazione, un’ostinazione, quando sosteneva i propri argomenti, tale da rendere anche solo possibile la veridicità di quelle affermazioni. D’altro canto, che motivo avrebbe avuto Ciel per mentire? Quella era la più pura e semplice verità, la verità incontrovertibile che da nove mesi lo perseguitava tanto quanto la frustrazione di non essere creduto.

Ciel: “Senta, lei: se le dico cosa sono gli OOPArts, lei mi crederà anche sul resto?”
Giornalista: “Se lo riterrò opportuno, sì.”
Ciel: “Dunque lei crede nell’effetto negando l’esistenza della causa? È un bel soggetto, sa?”
Giornalista: “Non ho neanche detto che le crederò a prescindere sugli OOPArts. Dunque, vuole cominciare, sì o no?”
Ciel: “È mai stato ad East City? Nei quartieri poveri? Lo sa che lì, la gente, vive con la spazzatura dei ricchi?”
Giornalista: “Beh, no, ma … E questo cosa c’entra?”
Ciel: “Lo sa che una volta ci trovarono centomila Del in banconote da cinquecento, in quella spazzatura lì? Ora, lei provi a pensare a questo posto come alla pattumiera di Dio. Ci si potrebbero trovare un bel po’ di cose interessanti, non crede anche lei?”

Ciel era visibilmente compiaciuto. Sentiva di avere l’interlocutore tra le sue mani, lo sentiva pendere dalle proprie labbra, come un cagnolino ubbidiente. Si lasciò sfuggire una risata soffocata.
   
 
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