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Autore: funny1723    31/08/2015    2 recensioni
JavertxValjean high school!AU in cui Javert vuole sapere perchè Valjean si assenta così spesso.
Dal testo:
"Javert guardava quasi distrattamente il posto vuoto poco più avanti del suo, quello spostato un po’ sulla destra rispetto a dov’era lui. Valjean era assente. Scosse la testa e sbuffò. “Che sciocco quel ragazzo”, pensò con un sorrisetto strafottente sulle labbra. Avrebbero avuto un test di lì a poco, quindi non era proprio il caso perdere lezioni, specie non con un insegnante severo come il professor Gillenormand."
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Javert, Jean Valjean
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Empty chairs to empty tables

Lunedì, quarta ora, fisica

Javert guardava quasi distrattamente il posto vuoto poco più avanti del suo, quello spostato un po’ sulla destra rispetto a dov’era lui. Valjean era assente. Scosse la testa e sbuffò.
“Che sciocco quel ragazzo”, pensò con un sorrisetto strafottente sulle labbra.
Avrebbero avuto un test di lì a poco, quindi non era proprio il caso perdere lezioni, specie non con un insegnante severo come il professor Gillenormand. Il professor Gillenormand infatti era divenuto famoso in tutta la scuola per il suo rigido metodo disciplinare e per il suo cipiglio severo e freddo. Neanche a dirlo, era odiato da tutti. Tutti tranne Javert, ovviamente, che nell’austerità dell’uomo rivedeva se stesso. 
Drizzò le spalle contro lo schienale duro della sedia. Aveva notato che Valjean si assentava spesso ultimamente. Non che la cosa gli interessasse, solo che il vedere quella sedia vuota lo irritava. E soprattutto lo irritava il fatto che nonostante le sue innumerevoli assenze Valjean riuscisse ancora ad essere l’allievo migliore dell’ultimo anno, battendo Javert di pochi decimi di media.
Quando Gillenormand entrò in aula, Javert stava ancora fissando la sedia vuota con odio malcelato. 

Martedì, seconda ora, religione

Javert in Dio non ci credeva, la sua fede era riservata solo alle stelle. Forse era per questo che odiava tanto Monseigneur Myriel. Oppure la sua avversione era dovuta al fatto che l’uomo fosse il più amato della scuola (si era guadagnato così tanto l’amore del suo “popolo” che gli studenti erano soliti chiamarlo Monseigneur Bienveneu) e soprattutto il più amato da Valjean. Alle sue lezioni infatti Jean si animava di una passione ed una vivacità tali da far sospirare tutte le ragazze della classe ed anche qualche ragazzo. Il suo amore per la religione, la sua devozione, trasudava da ogni sillaba che pronunciava, incantando praticamente chiunque.
I sorrisi che Myriel gli rivolgeva a Javert avevano sempre ricordato quelli di un padre per un figlio. Era il suo studente preferito. Per questo quando il ragazzo si assentava per le sue lezioni, l’insegnante ne era sempre molto addolorato. Quel martedì, ad esempio, ne era la prova.
Javert fissò la sedia di Valjean, chiedendosi cosa mia lo trattenesse di così urgente da impedirgli di partecipare ad una delle sue lezioni preferite.
Se lo chiese per tutta l’ora. 

Mercoledì, quinta ora, ginnastica

Era la prima volta che saltava una lezione, di solito –febbre o neve – Javert c’era. Eppure questa volta no. Alla vocina fastidiosa nella sua testa che gli domandava il perché di una tale infrazione alle regole, si limitò a rispondere che la curiosità aveva in fine vinto.
Il punto era che quando, alla fine della quarta ora, Valjean era uscito di corsa dall’aula diretto chissà dove, Javert si era ritrovato a seguirlo di soppiatto, quasi senza rendersene conto.
Jean camminava con passo svelto, sicuro di sé. Evidentemente aveva già percorso quelle strade milioni di volte.
Attraversarono quasi mezza Parigi. O comunque così parve a Javert. Il posto in cui si fermarono lo sorprese: erano davanti d una sorta di tombino, solo che anziché essere per terra era nella parete. Attorno a loro la via era stretta fra villette a schiera ed un caffè in cui erano soliti riunirsi alcuni ragazzi del primo anno. Javert si appiattì nell’ombra contro la parete del bar. 
“Fantine” sentì chiamare Valjean in un sussurro così flebile che temette di esserselo immaginato. Ma quando poi richiamò lo stesso nome, fu solo arrabbiato con se stesso e con Jean. Era per una donna che saltava le lezioni? La delusione gli lasciò l’amaro in bocca. Sapeva che Valjean era un poco di buono, eppure la cosa lo colpì lo stesso come una stilettata al cuore.
Stava per andarsene, lui che aveva addirittura saltato una lezione per seguirlo, quando vide Jean inginocchiarsi davanti ad un…pulcino? No, non era un pulcino, era un anatroccolo. Valjean saltava la scuola per occuparsi di un anatroccolo!
Si trovò involontariamente a sorridere. Era davvero uno sciocco quel ragazzo. 

Giovedì, sesta ora, storia dell’arte

Javert sedeva composto sulla sedia, mentre con pigrizia girava le pagine del libro di storia dell’arte. Valjean era assente. Di nuovo. Con la mente ritornò al giorno prima, alle due ore che aveva passato a guardarlo accudire Fantine. All’inizio non aveva capito il perché si preoccupasse tanto per un anatroccolo, in fondo era abbastanza grande da poter essere autonomo. Poi aveva visto come una delle zambe fosse fasciata. Anche se non voleva ammetterlo, l’aveva colpito.
L’immagine di una statua greca gli si parò davanti agli occhi. Il Fauno Barberini. Fece passare le dita sulle linee dell’immagine, mentre nella sua testa l’immagine veniva sostituita da quella del corpo di Valjean. Mentre tracciava le curve dei muscoli del Fauno Ubriaco immaginò come sarebbe potuto essere avere sotto le dita la pelle di calda di Jean. Quando guardò la sedia vuota poco più avanti della sua, quella un po’ spostata verso destra rispetto a lui, Javert non potè impedirsi di arrossire. 

Venerdì, ore undici, intervallo

“Non guarirà mai se lo tieni sempre in quella fogna ombrosa.” Dove avesse trovato il coraggio di andargli a parlare, Javert se lo chiedeva ancora. Valjean aveva sollevato la testa dal libro sull’ornitologia che stava leggendo, sorpreso. Emozione che era durata appena un attimo, presto sostituita da un sorriso complice. 
“Hai qualche consiglio sul dove la potrei portare per tenerla lontana dalle grinfie dei predatori?”
“Sì.” Lo sapeva eccome. Aveva passato tutta la notte a studiare le cartine della città per trovare il posto adatto. 
“Potresti mostrarmelo allora oggi. Dopo la fine delle lezioni ovviamente.” Javert si limitò a fare un cenno d’assenso. 
“Prima però suggerisco di fermarci a mangiare qualcosa.” Valjean allargò se possibile ancora di più il suo sorriso. “Se ti va ovviamente.” 
Javert sbattè le ciglia sorpreso. “Va bene.” Rispose in tono forse troppo brusco, tono che però non irritò minimamente Valjean. 
“Va bene.” Ripetè anche lui. 
“Abbiamo un appuntamento dunque.” Appuntamento. Non era quella la parole che avrebbe usato Javert. Ma non riuscì proprio a ribattere, poiché, per un istante qualcosa brillò negli occhi di Valjean. Qualcosa che fece fremere il cuore di Javert. Qualcosa di molto simile a milioni di piccole e splendenti stelle. 

 
   
 
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