Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony
Segui la storia  |       
Autore: Jakrat    31/08/2015    1 recensioni
Ponyville è l'epicentro della felicità e dell'armonia. Il gruppo di pony capeggiato da Princess Twilight Sparkle garantisce l'ordine in città e nel regno, così come l'amicizia.
Ma sarà davvero così?
Genere: Avventura, Azione, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Le sei protagoniste, Nuovo personaggio
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1

In Missione


Il lato buio della città era decisamente una bettola infame, e il luogo dove Alastor portò Aria per ristorare non era decisamente migliore degli altri: in mezzo ad una via, gradevole alla vista e all’olfatto come una montagna di rifiuti organici, il piccolo bar aveva tutto l’aspetto di un luogo dove non ci si sarebbe portato un proprio parente, se gli si voleva bene. E, forse, anche se lo si odiava.

Ma con Alastor al proprio fianco era come se Aria fosse entrata in quel luogo armata fino ai denti, al pari un Rambo di un metro e settanta con il fisico di un'atleta e i capelli lunghi. A prova di questo, quando mise malvolentieri piede nel locale precedendo il suo accompagnatore, uno dei clienti seduti vicino all'ingresso fece un commento molto poco lusinghiero non appena la vide: nel giro di pochi secondi Alastor entrò e, senza dire una sola parola, lo afferrò per i vestiti e lo defenestrò senza troppi complimenti. Il tutto nell'omertà generale, come se quel genere di situazioni fosse la norma e regola.

L'interno del locale, il Black Canary, era un antro buio che rispecchiava l'esterno: la puzza di fumo e una leggera nebbia che nascondeva il tetto, debolmente filtrata dalle scarse e lampeggianti luci al neon, davano a quel luogo e a tutti i suoi clienti un'aria ancora più losca e malfidata di quanto non sarebbero potuti apparire normalmente.

I tavoli, sparsi in ordine apparentemente casuale per la stanza, erano occupati da individui intenti a parlare di affari spiacevoli e a lanciare commenti ben poco lusinghieri su chi viveva nella parte “pulita” della città. Che fossero davvero impegnati a spettegolare in quel modo o stessero solo cercando di distrarsi per non badare alla loro presenza, questo Aria non poteva saperlo.

Qualunque fosse la verità, sia lei che Alastor ricambiarono questo silenzio ignorando a loro volta la clientela del locale e si mossero in silenzio verso uno dei pochi posti rimasti liberi nonostante la discreta folla ancora in piedi.

Si trattava di un tavolo piuttosto in disparte, circondato da una coppia di divani che un tempo dovevano essere di un bel rosso fiammante ma che il tempo, l'umidità e una certa incuria dovevano aver fatto diventare più simile al bordeaux.

Si sedettero e, come un fulmine, arrivarono sul loro tavolo una coppia di tazze di caffè fumante. Il servizio fu tanto veloce che Aria fece appena in tempo a vedere una figura nera e bionda che, non appena lasciò le tazze sul loro tavolo, si allontanò rapidamente.

Così, restando seduti uno di fronte all'altra con le tazze fumanti che nessuno aveva il coraggio di bere subito, Aria e Alastor si guardarono negli occhi per un tempo che parve infinito, prima che lui rompesse il silenzio invitandola a parlare.

«Non sei sicuro di quello che vuoi. E poi, non mi crederesti.» rispose in maniera secca Aria, portando gli occhi sulla calda brodaglia nella tazza, come se ci si potesse vedere qualcosa nel riflesso.

Alastor, serafico, prese in mano la sua tazza e la usò per indicare alcuni soggetti nel locale.

«Lo vedi quel tipo, laggiù? Quello che si muove come se tutti avessero gli occhi puntati su di lui?»

Incuriosita, Aria seguì l’indicazione e trovò il soggetto indicato. Si trattava di un uomo con una felpa bordeaux con il cappuccio visibilmente troppo lunga per lui, un paio di jeans stracciati, l’espressione arcigna e la bocca perennemente digrignata che si agitava da un capo all’altro, come se sentisse delle voci.

«Lo chiamano Bulldog. Quel rozzo bastardo è convinto che Hitler fosse di sinistra.» subito dopo aver presentato un simile individuo con una naturalezza tale da farlo sembrare una persona ordinaria, Alastor spostò la tazza verso un secondo soggetto, il quale al contrario di Bulldog restava seduto ad un tavolo in stato catatonico a guardare il vuoto con la bocca aperta. Un filo di bava gocciolava dalle labbra sulla sua canottiera, ma apparentemente non ci dava peso.

«Lui, invece, è Bobo. Qualsiasi droga abbia preso, gli ha fuso quel poco che aveva sempre avuto di cervello, rendendo qualunque aiuto psichiatrico inutile. Adesso capisce solo il linguaggio della violenza.» non ancora soddisfatto dello “splendore” sociale che lo circondava, puntò la tazza contro un tale che stava allegramente masticando dei datteri, compresi i noccioli, seduto davanti al balcone del bar. Vestiva in maniera stranamente elegante e curata, ma il suo volto aveva una scintilla di sadismo capace di far venire i brividi.

«Lui è El Bastardo. Meglio che non ti dica altro su cosa fa e perché lo chiamano così, avresti gli incubi. Mentre la nostra cara Susy, qui…»

Ritornò, come sentendosi chiamata, la cameriera e Aria ne approfittò per studiarla meglio: era una donnina piccola e dall’aria innocente, i boccoli biondi riempivano la sua testa, gli occhi azzurri, gli zigomi sporgenti, il naso piccolissimo e l’abito pieno di pizzini e merletti la facevano sembrare una bambolina, insolitamente pulita per quella bettola dove lavorava. Giunta nelle vicinanze, versò del liquore nel caffè di Alastor.

«La nostra cara Susy, qui presente, ha nascoste addosso più pistole di quante ne possa contare.»

Aria, sentendo quelle parole, rispose involontariamente sbuffando: per lei quella era una grossolana menzogna, troppo esagerata perché potesse darci credito, così come i disagiati presentati poco fa.

E invece, troppo velocemente perché potesse accorgersene, si trovò un piccolo revolver puntato in mezzo agli occhi. Mentre la prendeva di mira, Susy non la smetteva di tenere le labbra piegate in quel sorriso da bambolina.

«Ma da dove…»

«Ne ho sei, nascoste nell'abito. È un po’ difficile camminare, ma una signorina deve sapersi difendere, dico bene?» risposto questo, Susy ritirò la pistola e si allontanò lasciando la bottiglia sul tavolo.

Insensibile allo spettacolo appena offerto, ultima prova che lui era talmente abituato a quel clima da esserne ormai parte integrante, Alastor sorseggiò il caffè corretto prima di insistere «Allora, qual è la tua storia?»

Aria rifletté per un istante. La sua storia era difficile da credere, ma lo erano anche quei soggetti che le erano appena stati presentati.

Lasciando stare il caffè, Aria afferrò la bottiglia di liquore lasciata sul tavolo e bevve una lunga sorsata. Presa la dose di coraggio liquido necessaria a parlare, iniziò «E va bene, grand'uomo, vuoi la mia storia? Eccoti servito. Io, in realtà, non sono nemmeno del tuo mondo. Vengo da un mondo parallelo a questo!»

«Interessante. Continua.» commentò semplicemente Alastor, bevendo un altro sorso senza staccare gli occhi da lei. Stranamente, non mostrava alcun segno di scetticismo: o era un eccellente attore oppure era davvero interessato.

Aria Blaze svuotò il sacco.

Raccontò di lei e delle sue amiche, Adagio Dazzle e Sonata Dusk: tutte e tre erano creature magiche che, una volta portate a forza in quel mondo, non solo avevano perso la loro forma originale ma anche la maggior parte dei loro poteri.

Pochi mesi prima avevano attuato un piano per recuperarli, ma quando erano arrivate ad un passo dal realizzarlo furono private anche di quella poca magia che possedevano. Prese dal panico, il trio era scappato e aveva tentato di studiare un nuovo modo ancora per recuperare le loro arcane capacità, ma poche settimane dopo il loro fallimento furono aggredite da una banda di tizi simili a quelli da cui lei stava scappando nel vicolo.

Sonata fu la prima ad essere catturata e, dopo pochi giorni in cui cercarono di nascondersi, anche Adagio cadde nelle mani del loro aguzzini. Aria, quando aveva incontrato Alastor, stava giusto scappando dall’ennesimo dei loro tentativi di catturarla.

Non aveva idea di chi loro potessero essere, né per chi lavorassero, sapeva solo che cercavano rigorosamente le Sirene per ordine di qualcuno a cui si riferivano come La Regina e che apparentemente non c'era un solo angolo in tutta la città dove loro non potessero arrivare.

Alastor ascoltò fino alla fine senza parlare o mostrare segnali di scetticismo.

«Sai per lo meno da dove vengono, i tuoi aguzzini?» domandò allora agitando la tazza, ormai vuota, come se dal fondo rimasto dovesse uscire qualcosa.

«È proprio questa la parte più strana: vengono da Equestria!» esclamò Aria, con gli occhi fuori dalle orbite.

«Equ-che

«Equestria. Uno dei regni di quel mondo da dove vengo anche io. Quando Sonata venne catturata, io e Adagio tentammo ovviamente di salvarla, ma abbiamo fatto solo in tempo a vederla portare attraverso un portale, prima che ci scoprissero e ci costringessero alla fuga.»

«Un portale, eh?» ripeté Alastor, con tono riflessivo. Curiosamente, non c’era sarcasmo nelle sue parole, quasi fosse propenso a credere a quella strana ragazza «E, per curiosità, come fai a sapere che quel portale dovrebbe portare ad Equestria?»

Aria si lanciò in una spiegazione piuttosto complicata, e che Alastor comprese solo in parte, sulla magia e sui viaggi attraverso altre dimensioni. A quanto sembrava, il loro mondo era completamente sprovvisto di magia, ma alcuni artefatti provenienti proprio da Equestria avevano portato nella zona intorno al portale, per la precisione il liceo della città, una scheggia del loro potere magico, impregnando il luogo e rendendolo, di fatto, l’unico sito magico sulla faccia della Terra. Pertanto, se Sonata era stata fatta sparire attraverso un portale aperto in quel luogo, doveva per forza portarla ad Equestria!

Ascoltato, Alastor sospirò rumorosamente, prima di alzarsi infilando le mani nelle tasche della giacca. Una volta in piedi, tirò fuori un mazzo di chiavi che poggiò sul tavolo spiegando «C’è una camera, sopra questo locale. È mia, vai e restaci fino al mio ritorno. Dì a Susy che è per farmi un favore. Non aprire prima che io torni.»

Confusa, Aria inarcò un sopracciglio «Prego?»

«Qualsiasi cosa sia contro di te, deve essere piuttosto grossa. Devo pur prepararmi!»

«Quindi mi vuoi aiutare? E perché?»

Alastor rise, senza mai rispondere.

«Mi credi? Così, su due piedi?» insistette Aria

Alastor fece spallucce, indicando la bottiglia quasi vuota che ancora stava sul tavolo «Ne hai bevuto più di metà e non sei nemmeno arrossita. Questo vuol dire che o hai una straordinaria resistenza all'alcol, oppure che non ne risenti affatto. E, sapendo cosa Susy spaccia per “liquore” sono molto scettico sulla tua resistenza.»

Aria si alzò in piedi, imitando Alastor e guardando a sua volta la bottiglia. Era vero, il contenuto di quella bottiglia dava l'impressione di bere della benzina, ma nonostante le sue apparenze restava una sirena e per quanto forte potesse essere una bevanda, il suo organismo non poteva in alcun modo risentire dell'alcol al suo interno: avrebbe potuto berne anche una cisterna senza avere nemmeno un mal di testa. Solo un brutto sapore in bocca.

«E ti basta questo per credermi?» domandò ancora, troppo incredula sulla condiscendenza di Alastor per credere che fosse bastata semplicemente la sua immunità per convincerlo.

Lui, evidentemente non volendo più aspettare,cominciò ad allontanarsi mentre rispondeva con assoluta sufficienza «Se quello che mi hai detto risulterà essere falso, vorrà solo dire che sei una brava narratrice.»

Aria, sempre più confusa dall’atteggiamento superficiale di quell’uomo, avrebbe voluto fare altre domande, ma lui invece uscì. Venne così affiancata dalla cameriera, la quale le chiese con voce squillante e cristallina «Ti ha lasciato detto qualcosa?»

Dopo un sospiro, Aria si massaggiò le tempie sforzandosi di capire cosa potesse passare nella mente di quell'energumeno, mentre rispondeva alla cameriera «Devo aspettarlo in camera… mi ha detto che è per fargli un favore.»

«Ah, okay.» annuì Susy, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, prima di prendere le chiavi lasciate sul tavolo ed invitarla ad andare con lei.

Aria seguì Susy, seppur goffamente per via del tacco allo stivale ancora mancante, e ne approfittò per fare due domande su Alastor «Mi vuole aiutare, anche se ci siamo visti per la prima volta poco fa!»

La cameriera rise sommessamente, portandosi una mano avanti alla piccola bocca come se avesse appena udito un succulento pettegolezzo «Oh, davvero?»

«Sembri conoscerlo da tanto. Perché fa così?»

«Sono sua cugina.» rispose Susy, facendo spallucce

Aria inarcò un sopracciglio «Non si direbbe!»

Susy ridacchiò ancora «Oh, non credo che Alastor capisca bene cosa voglia dire essere cugini. È grande e grosso, ma credimi se ti dico che dentro resta sempre un ragazzo. Qual è il tuo problema?»

Aria alzò gli occhi al cielo. Una parte di lei cominciava a credere di essersi salvata da degli ignoti rapitori per venire trascinata in un covo di pazzi. Tuttavia, accettando la situazione, spiegò anche a Susy, seppur senza entrare troppo nel dettaglio in questo caso, quale fosse il suo problema.

La cameriera ridacchiò ancora in quel suo modo simile a monete che cadono in un piatto «Non mi sorprende che voglia aiutarti.»

Aria sobbalzò a quella rilevazione così spontanea, come se avesse preso uno spavento «Lo conosco da mezz'ora!» esclamò, allargando le braccia.

Susy rise per l'ennesima volta, fermandosi finalmente davanti ad una porta dove infilò una chiave «Te l'ho già detto. Per quanto grande e grosso sia, per quanto in basso possa dirti di essersi spinto, Alastor resta sempre un ragazzo. E, come tale, è pieno di quei principi, emozioni e convinzioni che accompagnano la crescita, prima che arrivi l'insensibilità di un adulto vero.»

«Che fa nella vita?» domandò Aria, mentre il secco clangore della chiave che girava nella serratura le accarezzava le orecchie.

«Oh, un po' di tutto. Rigorosamente fuori dalla legalità, questo è vero, ma questo per stare vicino alla sua famiglia. È clinicamente incapace di mentire, te lo posso giurare: lo sforzo di immaginare una scusa credibile è troppo per lui.»

La porta si aprì, ma Aria puntò gli occhi su Susy, squadrandola. Era di una testa più alta della cameriera e il fisico molto più sviluppato, di fatto, la metteva in ombra. Eppure, forse per le pistole che teneva nascoste con se, lei non sembrava provare paura nei riguardi della sirena.

«Stai cercando di presentarmelo?» domandò Aria, seccata «Vuole aiutarmi a ritrovare le mie amiche, non dobbiamo uscire insieme!»

La cameriera ricambiò lo sguardo con un largo sorriso «Oh, se volessi combinare qualcosa tra voi due, te ne saresti accorta già da un pezzo. Alastor dice che sono “invadente” e forse ha ragione.» confessò Susy, prima di farsi da parte per lasciare ad Aria lo spazio per entrare dalla porta dell'appartamento sopra il bar.

Invece di entrare subito, la sirena guardò la sua accompagnatrice ancora per qualche secondo, con le braccia abbandonate lungo i fianchi e le mani strette a pugno, indecisa se la stava prendendo per il naso o era davvero così rimbambita.

«Ha ucciso un uomo. Con le mani. Le sue mani grandi come badili.» confessò improvvisamente Susy, in un soffio come se quel fatto le avesse riportato alla luce dolorosi ricordi «Ma solo una volta!» si affrettò ad aggiungere, spostando lo sguardo.

«Perché?» domandò Aria, entrando finalmente nella stanza e senza più guardare la piccola cameriera, chiedendosi da dove uscisse quella rivelazione.

«Per lo stesso motivo per cui vuole aiutarti.» rispose lei, in maniera enigmatica, prima di allontanarsi lungo i corridoi con la stessa velocità con cui serviva ai tavoli.

Sola e senza molto da fare, Aria chiuse la porta e si guardò intorno nella piccola stanza dove Alastor l'aveva lasciata.

Si trattava di un locale molto spartano, un letto, un comodino, un tavolo con dei pezzi di carta su cui erano scarabocchiati nomi e indirizzi, un armadio con pochi cambi sbrindellati, un piccolo bagno e un cassetto di medicinali.

Lasciando gli stivali di cui uno con il tacco rotto vicino al letto, Aria cercò di scoprire qualcosa di più sul suo nuovo aiutante vagando a piedi nudi, modo decisamente più comodo invece che cercare di restare in equilibrio come aveva fatto fino ad allora. Le parole di Susy sul perché Alastor voleva tanto aiutarla continuavano a rimbalzarle in testa: se il motivo era così chiaro, non sarebbe dovuto essere difficile scoprirlo!

Quando dopo qualche minuto guardò una delle cornici sul comodino vicino al letto, finalmente capì.

Nella cornice c'era una foto in cui era ritratto un Alastor più giovane e con alcune cicatrici in meno sul volto, con un braccio attorno alle spalle... di Aria. O almeno, di una ragazza maledettamente simile a lei, se non fosse stato per il fisico più asciutto e i capelli lasciati sciolti dietro la testa.

Aria imprecò, sedendosi sul letto e chiudendo gli occhi mentre finalmente capiva. Si era trovata tra le mani un energumeno che ancora piangeva il passato.

Istintivamente ricordò quando, alcuni anni prima, lei e le sue compagne avevano incontrato una persona molto simile a Sonata, tranne per il fatto che era da sola e vestita in maniera sorprendentemente elegante. Le tre sirene compresero allora che in quel mondo parallelo esistevano persone molto simili a quelle che c'erano già su Equestria, ma benché i caratteri fossero molto simili, a volte le storie divergevano.

Scoprirono che la controparte di Sonata gestiva un paio di ristoranti e che quella di Adagio era una cantante affermata, ma non ebbero mai alcuna traccia della controparte di Aria.

O almeno, non la ebbero fino a quel giorno. Chissà chi era: forse una parente? Una lontana fidanzata?

Decidendo di ammazzare il tempo cercando di trovare una soluzione a quel mistero, Aria sfilò la foto dalla cornice, cercando di studiare meglio i suoi dettagli.

In rilievo era stampata una data: se era la stessa della foto, doveva risalire a più di due anni prima. E sul retro, in una calligrafia elegante, c'era una firma con il suo nome e una data, di alcuni mesi postuma a quella incisa in rilievo. La foto mostrava lei e Alastor in un parco, alle loro spalle una ruota panoramica, sorridenti mentre guardavano l'obiettivo.

Un improvviso boato la fece sobbalzare: qualcuno stava bussando alla porta.

Guardando la porta come si guardano gli autori di uno scherzo poco gradito, domandò «Chi è?»

«Sono io.» rispose, seraficamente, la voce di Alastor.

Aria andò ad aprirgli, trovandolo con una sacca a tracolla da cui sporgevano un paio di mazze da baseball.

«Ma che cosa...»

Alastor entrò senza tanti complimenti, lasciando Aria chiudere la porta e spiegando «Armi, un kit per accamparsi fuori, qualche provvista... te l'ho detto che mi sarei preparato!»

Aria rimase spiazzata, ma la sorpresa fu ancora più grande quando Alastor tirò fuori dalla sacca una borsa che le passò «Tieni. Sono per te.»

«Cos'è?» domandò lei, prendendo la borsa e guardando dentro. C'erano un paio di stivali, in tutto e per tutto simili ai suoi.

Esterrefatta per il regalo, tornò a guardare Alastor domandando «Ma come... perché?»

Per tutta risposta, Alastor rise divertito «Sarà dura, vuoi affrontare quello che ci aspetta ad Equestria a piedi nudi?»

Ci fu un momento di pausa, nel quale Aria indossò gli stivali nuovi e Alastor terminò di sistemare altra roba nella sacca. Quando finirono, la ragazza si parò davanti ad Alastor, tenendo in alto la fotografia «La mia gemella, qui, chi è?»

Alastor si ammutolì per un istante, come chi viene scoperto con le mani nel sacco. Poi sospirò profondamente, oscurandosi in volto, prima di rispondere in un soffio «Hai detto bene. La tua gemella. Si chiamava anche come te, Aria Blaze. Si chiamano tutti in modo strano, in questa città.»

«E dove si trova adesso?» incalzò Aria, insensibile al cambiamento di umore del ragazzo.

A quella domanda, Alastor strappò dalle mani di Aria la fotografia e la ripose nel comodino, spiegando in maniera lapidaria «È morta. L'hanno impallinata un paio di mesi dopo questa foto. Aveva visto cose che non doveva vedere.»

Alastor si stava ora rivolgendo ad Aria con un tono mai usato prima: le parole gli uscivano a fatica, come se ognuna di loro fosse un pezzo di vetro che, uscendo, gli feriva la gola. Quando lui diede le spalle a lei, calò il silenzio.

Aria agitò lentamente le mani, sforzandosi di cercare qualche parola di circostanza da pronunciare in quelle occasioni, ma presto dovette affrontare il fatto che, semplicemente, non le aveva.

«Ti sarai chiesta perché voglio aiutarti. Perché non mi faccio problemi, anche con la strana storia che mi hai raccontato.» continuò allora lui, voltandosi a guardarla «Vedi, non ho mai fatto qualcosa di cui essere orgoglioso, in vita mia. Ma immagina di potere, forse per la prima volta in tanti anni, avere finalmente la possibilità di rimediare ad uno sbaglio. E non parlo di vendetta, parlo di rimediare davvero a quella volta che hai toppato alla grande. Sapere di aver salvato anche solo una vita. Sarebbe già... qualcosa, no?»

Aria non rispose, ma si ricordò di tutti quelli che Alastor le aveva presentato e collegò rapidamente tutto quello che aveva capito su di lui. Non ci voleva un genio, giudicando le sue parole, a immaginare che la dipartita della gemella di Aria fosse collegata con quell'unico omicidio commesso.

Con le mani. Solo il cielo poteva sapere cosa gli avesse fatto, con la forza che aveva.

Chissà, magari alla fine il suo aiuto sarebbe potuto venirle utile.


Aria e Alastor si stavano incamminando verso il portale che collegava i due mondi in religioso silenzio. Per sicurezza, Alastor teneva stretta in una mano una delle mazze nella sacca: se gli sgherri di questa Regina tenevano il controllo del portale, non era ingenuo prepararsi a suonarle fin dai primi momenti.

Tuttavia l'ora era tarda, dall'Isitituto Superiore di Canterlot non veniva alcuna luce e tutt'intorno alla grande statua del cavallo rampante non si poteva vedere anima viva. Anche così, Alastor preferì rimanere vigile mentre Aria cercava quale delle quattro facciate della base fosse l'ingresso.

Cominciò con il tastare la prima facciata, la toccò prima con titubanza sfiorandola con la punta delle dita, ma vedendo come stesse succedendo niente aumentò la pressione. Ancora niente.

Passò alla facciata a fianco. Ancora vano. E così la terza.

Frustrata, sapendo che le sue compagne erano state portate attraverso quel portale, la pressione che Aria applicava ai pannelli della statua era sempre maggiore: non solo non voleva assolutamente perdere le speranze di riunirsi con Adagio e Sonata, ma il fatto che Alastor fosse proprio dietro di lei rischiava di farle fare davvero una brutta figura, situazione che il suo orgoglio le imponeva di evitare.

Al limite della disperazione dopo il terzo buco nell'acqua, Aria letteralmente caricò il quarto pannello: se avesse fallito anche lì, per lo meno la botta che avrebbe preso le avrebbe fatto dimenticare la situazione.

E invece, come se si fosse tuffata in uno specchio d'acqua, Aria venne completamente inglobata dalla parete e sparì al suo interno in un fascio di luce.

Scoprendo la sparizione della sua compagna, Alastor imprecò prima di chiamarla «Aria!» e gettarsi con lei attraverso la statua.


Così, Alastor Sullivan e Aria Blaze attraversarono il portale tra i due mondi.

Per loro fu come fare delle montagne russe dentro un tunnel tempestato di luci e colori alle pareti. L’aria abbandonò i loro polmoni già nei primi istanti, rendendo impossibile anche solo urlare.

Alla fine del tunnel, entrambi finirono con il tuffarsi in una immensa luce bianca che li accecò per qualche istante.


Mentre il mondo intorno a loro riprendeva lentamente i colori, Alastor si alzò da terra barcollando e guardandosi intorno. Si sentiva provato, le gambe gli tremavano e anche solo il parlare gli veniva difficile.

Fortunatamente era solo, tranne per Aria che mostrava di sentirsi esattamente come lui dopo il viaggio, altrimenti avrebbe avuto delle grandi difficoltà.

Si trovavano in un'ampia sala circolare, dove le pareti erano piene di scaffali colmi di libri, tutti dalle copertine cartonate e vivacemente colorate. Le pareti che non erano nascoste dalle librerie erano di un materiale simile al cristallo, con ampie finestre finemente decorate e gingilli e vasi e stendardi appesi un po' ovunque nelle pareti.

Con lo sguardo incrociò quello che doveva essere un pupazzo simile ad una lucertola viola con le scaglie verdi che guardava entrambi con le zampe artigliate poggiate sulla bocca.

«Tsk... peluche di rettili?» mormorò Alastor, seppur emettendo in questo modo solo un gorgoglio confuso.

Aria si girò verso il mostriciattolo notato dal protettore e subito lo riconobbe «Quello è un drago!»

«Ma se mi arriva al ginocchio, contando la cresta!»

Incurante del loro battibecco, il draghetto sembrò uscire improvvisamente dallo stato catatonico in cui si trovava e corse a perdifiato fuori dalla stanza, gridando un nome che Alastor non capì, al contrario di Aria.

Imprecando, la ragazza ordinò di allontanarsi il prima possibile da dove si trovavano.

«Perché?» domandò Alastor, quasi involontariamente, mentre la seguiva fuori dalla stanza

«Se il drago è chi penso che sia ed è andato a chiamare la stessa Twiliek che conosco io, allora dobbiamo andarcene. E in fretta!»

«Twiliek?» ripeté lui.

Si trovarono entrambi in un largo corridoio e proseguirono con passo spedito in una direzione scelta casualmente dalla ragazza, la quale rispose «Twiglit, Lituith o comunque si chiami. Fatto sta che meno io e lei ci incontriamo, meglio è!»

A quelle parole svoltarono, trovando a tagliare loro la strada un cavallo, con il draghetto che puntava un artiglio contro di loro.

Era un cavallo fatto e finito, con una lunghissima criniera bionda raccolta, ironicamente, in una coda di cavallo. Sorte simile per la sua coda. Innaturalmente grandi occhi verdi lo guardavano con stupore e un cappello da cowboy sul capo la risaltava, oltre al manto arancione e uno strano tris di mele rosse tatuato sul fianco.

«Ma dove diavolo siamo finiti?» biascicò Alastor, incredulo a quello che vedeva.

«Ti trovi a Ponyville, zuccherino!» rispose il cavallo con il cappello.

Aria aprì la bocca per imprecare, quando qualcosa li colpì alle spalle. Nessuno, né Aria né Alastor lo aveva sentito arrivare o avrebbe saputo dire di cosa si trattava, ma per loro fu come se qualcuno li fosse saltato sulla schiena all'improvviso.

Provati dal viaggio, l'orario e dal colpo subito a tradimento, i due ragazzi caddero, privi di sensi, sul pavimento.

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fumetti/Cartoni americani > My Little Pony / Vai alla pagina dell'autore: Jakrat