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Autore: ValentinaRenji    01/09/2015    1 recensioni
Un'analisi dello yakuza Akabayashi Mizuki dopo la morte di Sayaka Sonohara, l'unica donna che probabilmente abbia mai amato, la stessa per la quale ha perso l'occhio destro.
Perché a volte anche gli adulti piangono, nonostante per una vita intera abbiano creduto di non esserne capaci.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: Spoiler!
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Chimera
 

 

“I only just met ya, and you just chopped out my eyeball, so I realize you think it’s stupid for me to be saying this stuff, but that doesn’t matter now. Please, marry me!”
 

Quando qualcuno se ne va è come se il mondo smettesse di ruotare.
Non riesci a capire se cammini dritto, storto, se strisci, gattoni, se boccheggi mentre in realtà barcolli quei pochi passi che ti separano dal letto alla scrivania, dalla scrivania al tavolo, dal tavolo a qualche altro posto che in fondo non importa a nessuno ricordare.
Ti ritrovi a parlare con i muri come se fossero i tuoi amici più stretti perché ehi, un adulto si suppone abbia un harem che gli vortichi attorno, chiassoso di parole riecheggianti solamente fra le pareti della testa dolorante, martellata da un gracchiare di corvi che si graffiano la gola, mentre nella stanza non c’è altro se non silenzio.
Perfino quella giacca nera, la stessa che un’indefinita manciata di ore prima hai gettato rabbiosamente sul pavimento scuro, sembra fissarti sornione , facendo delle sue pieghe morbide un sorriso sghembo dipinto solamente per sbeffeggiarti, per ricordarti che non è pioggia ciò ti bagna le guance, non è saliva di una donna, non è polvere da sparo, non è Acqua di Colonia.
Te ne bagni le dita come fossero gocce rubate ad un’acquasantiera, assaggiandone l’umida tristezza sulla punta salata dei polpastrelli.
Per un attimo hai creduto di essere morto anche tu,  che ti sei sempre lasciato scorrere la vita alla spalle, quella stessa esistenza che ti ha sempre disgustato nel profondo, corrotta, avida, sporca, quell’istinto di far male arrugginito nelle vene di chi ha riposto ogni scheletro dietro le ante dell’armadio.
È stato sorprendente, pensi. Scoprire come, dopo ben oltre trent’anni di vita, sei stato gelato dalla capacità di piangere e di innamorarti.
Incredibilmente ti accorgi che queste due cose sono collegate così strettamente da darti la nausea, o forse è solamente il contenuto della bottiglia di qualcosa che hai tracannato come fosse aranciata, sbattendo la nuca contro il muro.
In quel momento hai sentito i capelli solleticarti il collo madido di sudore, scuotendoti in un brivido cattivo che ti ha bastonato la schiena e forse, per la prima volta, ti sei accorto di essere talmente vivo da provare paura: perché lo stomaco fa male, sembra morderti al contrario, divorandoti da dentro per saziarsi del cibo di cui è forzatamente privato, così come i polmoni atrofizzati incapaci di decidere se respirare o no.
Se manca lei , manca tutto.
Manca l’aria, manca il sangue, manca la fame, manca la forza di coprirsi quando il freddo graffia la pelle ed il lenzuolo è abbandonato in un angolo del letto vuoto, la stanza così buia da spaventare la notte stessa; solamente il barlume ironicamente rosso, come i suoi occhi sanguigni, pungola il nero fra le pareti impregnate di fumo, allo stesso modo in cui una lucciola si disperde fra gli steli d’erba di un prato immenso.
Improvvisamente, nella liquida lucidità che ancora sciacqua e rimescola da qualche parte in quel marasma che chiami anima, provi il desiderio di vedere la città tinta di vermiglio. Per un istante ti senti quasi in grado di strappare un grattacielo ed intingerlo nella porpora, usandolo come pennello per la tua apocalisse di dolore.
Invece rimani sdraiato sul materasso avvallato dalla pressione del tuo peso, fissando il soffitto come se stesse per crollarti addosso e forse, rifletti, non sarebbe poi così sbagliato se servisse a rivedere lei ancora una volta; quasi scoppi a ridere quando pensi che , invece,  sei confinato a parlare ad una pietra levigata per il resto dei tuoi giorni. Gliel’hai pagata tu, quella lapide bianca.
Hai raccolto due delle grosse banconote che nascondevi nella tasca dei pantaloni, porgendole all’impresario sbigottito prima d’ordinargli di non fare domande; non gli hai nemmeno chiesto il resto, tutto ciò che aveva un senso ora è solamente un solco scavato nel terreno. Volevi che i Kanji con cui fosse scritto il suo nome fossero i più belli di tutti, ma nulla ti lacera le viscere quanto sapere che mai nulla, nulla al mondo ti riporterà indietro quanto hai perso.
Non i fiori, non la terra, non le lacrime.
Perfino gli uccelli, probabilmente gli stessi corvi che hai nella testa, smettono di frullare le loro ali quando ti siedi di fronte quella sagoma bianca, rammaricandoti di come presto verrà scrostata dalla pioggia e si scioglierà nello stesso grigio che già divora il quartiere di Shinjuku.
Anche adesso, mentre strofini i palmi umidi contro le palpebre socchiuse, percepisci una fitta di dolore lungo la cicatrice che ti fa agonizzare ogni notte, uno stigma sul volto a ricordarti che mai riuscirai ad amare una donna diversa da Sonohara Sayaka.
E ti rimproveri, continui a farlo, gridando che sei stato un idiota a ridacchiarle davanti come un bimbo imbarazzato, accettando di vederla fra le braccia di un altro, premendo maggiormente la mano su quel taglio verticale nel desiderio sadico di deturparsi il volto fino a non riconoscersi più.
Non avevi mai amato così tanto da accontentarti della felicità altrui, privandoti della tua, piccolo gruzzolo per pochi giorni custodito nel petto, accanto ad un nocciolo bollente che pare battere ancora.
Come uno sciocco ti sei illuso di poter sfuggire dalla vita di ordinaria violenza, scandita da ossa spezzate e dall’eco di armi da fuoco dietro la schiena, da ordini impartiti dall’alto e di serate solitarie trascorse ad imprimere nella memoria di chiunque che il Demone Rosso non scherza mai.
Ti piacerebbe essere crudele sul serio, spolverare lo spettro carbonizzato che nascondi dentro per indossare la tua maschera di lottatore da strada e fare finta ancora una volta di esserti adeguato a questa vita rozza e soffocante.
Davanti a lei , piuttosto, ti sei liberato di ogni velo. Le hai sorriso, come un neonato in fasce farebbe verso la propria madre, guardandola con tanto affetto da colmarle il cuore prima di camminare verso il patibolo.
Redenzione.
Nel suo odore di sangue e di morte, ti è apparsa così pura da allontanare ogni mera carnalità, simile ad un angelo dalle ali le cui piume sono sostituite da lame bramose di carezze umane.
Ed ancora, ti ripeti che mai, mai in vita tua hai visto donna più bella di lei.

Così, mentre ti lasci scivolare in un sonno spento, percepisci ancora quel fastidioso formicolio all’altezza del ventre, rimbrottandoti di smozzicare qualcosa la mattina seguente, o forse la sera, dato che non esiste più spazio né tempo, ma ci sei solamente tu e la metà di volto livida.
Non ti slacci nemmeno i pantaloni, limitandoti ad infilare la mano nella tasca fastidiosamente scricchiolante per il piccolo sacchettino che contiene. Lo riconosci, ne tasti la polvere bianca all’interno, biascicando l’equivalente in yen che avrebbe portato nel tuo portafoglio.
Abbozzi un sorriso sbilenco, appuntandoti nella mente di svegliarti presto e liberartene il prima possibile, guardando sciogliere quel mix di andrenalina e piacere nello scarico del lavandino.
In fondo, Akabayashi Mizuki, tu odi le droghe.
Eppure sai,  nonostante la stanchezza, che di una non te ne potrai mai liberare.
L’amore è una Chimera, nella dolcezza del dolore ti lascerai divorare ogni giorno.

 

 

 


Note dell’autrice:
Grazie a chiunque abbia letto questa breve one shot, e grazie a chiunque ne lascerà un pensiero.
Mi manca una persona, con Akabayashi ne condivido la consapevolezza che non tornerà mai più da me.
E ci siamo accorti entrambi, forse troppo tardi, che per un adulto grande e forte piangere fa più paura che cadere e farsi male. Andiamo avanti, sempre. Devo appuntarmi di ricordarmelo più spesso.
Per sicurezza fra gli avvisi ho messo OOC , anche se questa è una mia interpretazione personale di come lo yakuza abbia vissuto la perdita della donna che ama, pertanto non troveremo mai una risposta né nelle novel né altrove.
Un caro saluto,

Valentina

   
 
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