Quella mattina, John Watson venne
impietosamente svegliato da un raggio di sole che, dalle persiane
della finestra, faceva irruzione nella camera da letto per poi andare
a colpire, con la precisione di un esperto cecchino, le sue palpebre.
Con un mugolio, il dottore alzò una
mano per schermare la luce, dopodiché lanciò uno sguardo assonnato
alla sveglia digitale sul comodino, i cui numeri vermigli e
scintillanti segnavano le 6.30.
John fece ricadere la testa sul cuscino
con un sospiro, cercando di richiamare alla mente il dolce ricordo
della notte appena trascorsa e terminata decisamente troppo in
fretta.
Si sentiva ancora addosso l'aroma
fresco e speziato del docciaschiuma di Sherlock. L'odore della sua
pelle d'avorio aveva impregnato le lenzuola, unendosi ad un vago
sentore di sudore, lascito di ciò che era avvenuto quella sera tra
le intime e discrete mura del 221b di Baker Street.
Le labbra di John si distesero in un
lieve sorriso mentre ripercorreva ogni singolo bacio, ogni carezza,
ogni stretta che lui e Sherlock si erano scambiati.
Allungò una mano di lato, tastando
delicatamente le coltri morbide e disfatte, in cerca del corpo del
detective, ma scoprì, con una certa delusione, che l'altra metà del
letto era vuota.
Alzò gli occhi al cielo: era mai
possibile che quell'uomo non si trovasse mai dove avrebbe dovuto
essere?!
Reprimendo la tentazione di godersi
un'ultima mezz'ora di sonno, John si tirò su a sedere sul materasso,
e prese a guardarsi intorno in cerca di qualche indizio che gli
suggerisse dove potesse trovarsi il suo sfuggente coinquilino,
collega e amante.
La sedia sulla quale la sera prima
erano stati gettati i pantaloni del pigiama e la vestaglia era al suo
posto, ma dei vestiti non c'era più traccia, evidentemente reclamati
dal loro mattiniero proprietario.
Dal bagno non proveniva alcun rumore,
quindi Sherlock non era sotto la doccia e lui non avrebbe potuto
approfittarne per raggiungerlo sotto il getto d'acqua.
No, doveva essere sgattaiolato nel
soggiorno, o magari in cucina a trafficare con i suoi bizzarri,
complessi e, a tratti, disgustosi, esperimenti chimici, anche se
l'assenza di odori acri e penetranti costituiva già di per sé un
buon segno.
Rassegnato, John si alzò, s'infilò un
paio di pantaloni e una maglietta, dopodiché aprì la porta della
camera e, in punta di piedi, uscì nel corridoio, sbirciando da
dietro un angolo.
Sherlock se ne stava comodamente seduto
in cucina, accanto ad una finestra spalancata.
Le gambe accavallate con l'innata
eleganza che lo caratterizzava, i piedi nudi, i capelli corvini
particolarmente ribelli a quell'ora del mattino, la posa disinvolta e
lo sguardo assorto fecero sorridere il dottore, che accarezzò l'idea
di restarsene nascosto per un po' a godersi quella vista,
all'insaputa del detective, ma, ad un tratto, dalle labbra del moro
sfuggì una nuvoletta di fumo bianco e compatto e, nel momento in cui
sollevò la mano destra, John vide chiaramente che le dita lunghe e
sottili stringevano una sigaretta, ormai consumata fin quasi alla
metà.
Il medico spalancò gli occhi,
incredulo. Come diavolo aveva fatto a procurarsela?!
Con la complicità della signora
Hudson, lui stesso aveva provveduto a requisire tutti i pacchetti
dell'appartamento e li aveva messi sottochiave in un luogo dove
perfino il grande Sherlock Holmes, con tutte le sue risorse e il suo
genio, non sarebbe mai riuscito a trovarli.
Che avesse corrotto qualcuno perché lo
aiutasse a mantenere quel vizio alle sue spalle? Era probabile, in
fondo John sapeva fin troppo bene quanto il suo convivente potesse
essere persuasivo all'occorrenza.
Ma non l'avrebbe passata liscia
stavolta. Oh, nossignore!
Stando ben attento a mantenersi fuori
dal campo visivo di Sherlock e a non far scricchiolare le assi del
vecchio pavimento, l'uomo raggiunse la soglia della cucina e incrociò
le braccia al petto.
- Che stai facendo? -
Colto in flagrante, il coinquilino
sobbalzò e fu colto da un accesso di tosse, mentre intorno alla sua
testa si formava una spessa cortina di fumo.
Quando questa si diradò, gli occhi
cerulei e penetranti dell'uomo si posarono sul medico, grandi di
sorpresa.
- John! Che ci fai qui? Credevo stessi
dormendo! Non ti svegli mai prima delle 7.00. -
- Ah, quindi adesso è colpa mia perché
mi sono alzato troppo presto? -
- Be', date le circostanze, è
abbastanza ovvio che sia colpa tua. Se non ti fossi svegliato
prima del solito non mi avresti mai scoperto, così io avrei fumato
la mia sigaretta in pace e ciascuno di noi due avrebbe continuato la
sua giornata felicemente e senza intoppi. Ora invece, a giudicare
dalla tua mascella contratta e dalla ruga marcata tra le
sopracciglia, direi che sei arrabbiato e stai per farmi la predica.
Elementare. -
- Non rigirare la frittata, Sherlock.
Come ti sei procurato quella sigaretta? -
Il detective assunse un'espressione
distratta e fece un gesto di noncuranza con una mano. - Oh, una
persona... -
John sospirò. - Chi? -
- Una persona che aveva delle
sigarette. -
L'altro sbuffò. La cosa sarebbe andata
per le lunghe. - Sai cosa intendo. -
A quel punto, un bagliore attraversò
le iridi color ghiaccio dell'uomo. Un bagliore che, John lo sapeva,
non prometteva nulla di buono.
A conferma di quel pensiero, le labbra
scolpite dell'altro si inarcarono in un sorrisetto. - Conosci i miei
metodi, John. Applicali e vedi se riesci a dedurre l'identità del
mio fornitore. -
Watson conosceva Sherlock Holmes
abbastanza da sapere che ogni tentativo di opporsi sarebbe stato
vano. Pensandoci bene, quella poteva essere l'occasione per
dimostrare a quel presuntuoso del suo compagno che anche lui
possedeva delle potenzialità come investigatore.
- Molto bene, Sherlock. Accetto la
sfida. -
L'altro sorrise entusiasta e batté
allegramente le mani. - Il gioco è cominciato! -
- Prima di tutto, diamo un'occhiata
all'arma del delitto. - disse il dottore, prendendo dalle dita del
detective quel che restava della sigaretta e portandoselo vicino agli
occhi per esaminarlo attentamente.
- Be', non è la tua solita marca,
quindi ti sei dovuto accontentare. Probabilmente avevi poco tempo e
temevi di essere scoperto da un secondo all'altro. Da ciò deduco
che, in quel momento, dovevi essere insieme a me. Come me la sto
cavando? -
Sherlock fece una smorfia. - Non c'è
male. Continua pure. -
- Ho proibito a tutti i tabaccai di
Baker Street e dintorni di venderti anche solo una singola sigaretta,
quindi, a meno che tu non abbia corrotto qualcuno, non puoi esserti
procurato questa nelle vicinanze. -
Il moro emise un fischio acuto. - Sono
davvero impressionato, John. -
Il medico sogghignò. - Oh, ma il bello
viene adesso. Sai, l'altro giorno ho notato che ti eri fermato a
parlare con quella ragazza che si è trasferita qui da poco e che ho
sorpreso più di una volta a farti gli occhi dolci. -
Sherlock inarcò un sopracciglio. - E
allora? -
- So per certo che fuma proprio questa
marca di sigarette. Le ho visto estrarre il pacchetto dalla borsetta
e accendersene una la settimana scorsa, mentre aspettava il taxi. E
ora dimmi: cosa ne deduci, tu, flagello del crimine? -
L'espressione innocente che si dipinse
sul viso di Sherlock era quanto di più falso e buffo John avesse mai
visto.
- Direi nulla di rilevante. Le stavo
solo dando il benvenuto a Baker Street come farebbe un buon vicino.
Si fa così, dico bene? -
- Oh, per l'amor del cielo, Sherlock!
Tu stavi facendo il carino con lei per convincerla a darti una
sigaretta mentre io parlavo con la signora Hudson. -
Un sorrisetto impertinente illuminò il
volto del detective. - Geloso? -
- Non ci provare, consulente
investigativo dei miei stivali. Ti ho messo con le spalle al muro.
Ammettilo. -
- Sì, in effetti devo dire che le tue
deduzioni si sono rivelate quasi tutte esatte, John. -
- Quasi? -
Il detective si alzò con nonchalance,
lasciò la cucina e si acciambellò nella sua poltrona preferita, nel
soggiorno lambito dalla luce dorata dell'alba che filtrava dalle alte
finestre.
John rimase in piedi di fronte a lui,
con le mani sui fianchi, irritato da quell'atteggiamento di
indifferenza che, sapeva bene, nascondeva in realtà puro e sadico
divertimento a sue spese.
- Dunque, avrei sbagliato qualcosa? -
Sherlock congiunse le dita delle mani,
assumendo quella posa professionale ed enigmatica che utilizzava con
i clienti. - Temo proprio di sì, perché, vedi, la signorina Violet
Smith* non si è limitata a darmi una sigaretta. Mi ha regalato tutto
il pacchetto... che ora si trova in un posto sicuro, lontano dalle
tue grinfie e da quelle della signora Hudson. - aggiunse in fretta.
A quel punto, John scosse la testa e
allargò le braccia in segno di resa. - Ci rinuncio. -
Poi il suo sguardo cadde su una mezza
dozzina di bottiglie vuote che giacevano in un angolo, alle quali
entrambi avevano fatto degnamente onore la sera prima per celebrare
la risoluzione di un caso particolarmente ostico e importante. - Ma
niente più alcolici, almeno per un po'. -
Sherlock scrollò le spalle. - Tu e le
tue manie da medico. -
- Be', sai come si dice, no? Bacco,
tabacco e Venere... -
John lasciò intenzionalmente la frase
in sospeso, convinto che Sherlock ne avesse afferrato il senso, ma
una rapida occhiata alla sua espressione perplessa, alla sua fronte
aggrottata e alla testa inclinata leggermente di lato, palese segno
di incomprensione, gli disse che così non era stato.
Watson batté le palpebre, sconcertato.
- Dai, il proverbio! Bacco, tabacco e Venere riducono l'uomo in
cenere. Non è possibile che tu non lo conosca! -
Sherlock fece un gesto secco, come per
scacciare una mosca. - Oh, allora è di questo che si tratta. Un
proverbio. -
- Ma certo! - esclamò il dottore,
sempre più allibito.
- Be', John, ricordi quando ti parlai
delle conoscenze che vale la pena o meno immagazzinare nel mio
palazzo mentale? -
- Certo che lo ricordo. Non consideravi
importante il fatto che la Terra giri intorno al sole! -
Sherlock annuì tranquillamente. - E
penso esattamente la stessa cosa dei proverbi e dei detti popolari.
Si tratta solo di giudizi parziali e superficiali che si basano
sull'esperienza comune e non hanno alcuna base scientifica. -
- Ma, Sherlock, sono cose che conoscono
anche i bambini! -
Il detective fece spallucce. Era
evidente che non gli importasse nulla di apprendere nozioni che
riteneva del tutto superflue e inapplicabili al suo lavoro di
consulente investigativo.
John sospirò. - Ad ogni modo, dovresti
cercare di stare alla larga da Bacco e tabacco. -
A quelle parole, Sherlock inclinò gli
angoli della bocca in un ghigno e i suoi occhi scintillarono di
malizia. - E che mi dici... di Venere? -
Prima che l'altro potesse rispondere,
il moro lo attirò a sé per la maglia e lo baciò appassionatamente.
* Violet Smith è il nome di una cliente di Sherlock Holmes e Watson che compare nel racconto L'avventura della ciclista solitaria, a sua volta compreso nel libro Il ritorno di Sherlock Holmes di Sir Arthur Conan Doyle.
Da Stria93: Bentrovati
Sherlockians! :)
Sono di nuovo qui nel fandom a
presentarvi la mia seconda fanfic a tema JohnLock.
Stavolta mi sono abbandonata al fluff e
mi è piaciuto molto immaginare questa breve scenetta, ma spero di
non aver snaturato le personalità dei protagonisti. Questo dubbio mi
perseguita ogni volta che scrivo, ma ancora di più quando si tratta
di Sherlock.
Lascio ogni giudizio (positivo o
negativo che sia) a voi e spero che questo mio nuovo lavoretto possa
piacervi. ^^
Grazie a tutti quanti!
Baci! <3