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Autore: Sette Lupe    01/09/2015    2 recensioni
"In fondo l'Angelo della Morte non aveva fatto altro che seguire le regole. In fondo era questo il bello del gioco, no?"
La vita di un arciere di Gerusalemme che gioca con gli Assassini come una falena con le fiamme di una torcia.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Malik Al-Sayf, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi presenti in questo racconto non mi appartengono, ma sono di proprietà Ubisoft e dei loro sviluppatori. Questa storia è stata scritta senza nessuno scopo di lucro.
 
INCENSO, MIRRA E OLIO DI CANFORA
 
Capitolo 1 
SOGNI E DISILLUSIONI


 
Se fosse nato appena due chilometri più a nord sarebbe probabilmente diventato un Assassino, ma siccome non era accaduto, le mura di Masyaf le aveva sempre viste solo dall'esterno.

Dal punto più alto dei pascoli poteva vedere i bastioni tetri di Masyaf, rannicchiata sul promontorio come un vecchio corrucciato. Dal punto più alto dei pascoli poteva sentire l'odore di Masyaf: incenso, mirra e olio di canfora. A Sajid non piaceva, ma un profumo non ha bisogno di risultare gradevole se è sacro; e quello di Masyaf lo era a Nakir e Munkar, ma soprattutto a Malak al-mawt, l'arcangelo che da la morte per volere di Allah.

Però li aveva visti spesso, fin da piccolo, gli Assassini; e come tutte le altre persone del piccolo borgo, aveva imparato a convivere con loro nello stesso modo in cui un incantatore di serpenti impara a spostarsi nella propria casa senza essere morso dai suoi pericolosi rettili. Essi camminavano per il mercato, sostavano nella piazza, passavano al galoppo sui loro cavalli dalle lunghe zampe lungo la strada principale... ma facevano tutto questo come spettri, ed era proprio questo il segreto per vivere bene con loro: trattarli come fantasmi.

Gli Assassini non parlavano con la gente comune: non avevano volto nè voce, sotto a quei cappucci bianchi. Non interagivano in nessun modo con le persone, e non amavano che qualcuno cercasse di relazionarsi con loro. La sola eccezione erano quelli che erano stati scelti per svolgere le attività necessarie all'approvvigionamento della fortezza. Perchè spettri, umani o mezzi umani che fossero, avevano esigenze materiali come tutti a quanto pareva.

Sajid sapeva riconoscere il loro rango dalle divise che indossavano, sapeva come ignorarli senza mancar loro di rispetto o come evitarli del tutto in caso di tensioni diplomatiche. Aveva appreso dalla madre e dal padre anche come temerli nella giusta misura, senza sottovalutare la loro pericolosità ma senza nemmeno lasciarsi travolgere dal terrore ... e dai fratelli come stuzzicarli senza subire la loro ira.

Gli Assassini erano abbastanza tolleranti con i bambini, non avevano mai veramente fatto loro del male, ma se disturbati eccessivamente potevano diventare imprevedibili e pericolosi. Per i ragazzini del borgo, sempre a caccia di avventure, era la prova di coraggio preferita quella di avvicinarsi il più possibile ad uno di loro; se poi riuscivano addirittura a dimostrare di avere il fegato di infastidirlo un po' il successo era assicurato.

Sajid era molto abile e, tra i suoi numerosi successi, c'era quello di essere riuscito a far scomporre uno di quelli che la gente chiamava Angeli della Morte ed essere sfuggito alla sua ritorsione.

L'Angelo era comparso come guardia del corpo di uno di quelli che parlano con il mondo esterno; se ne stava nelle sue fulgide vesti immacolate a mezzo metro dal compagno, immobile, silenzioso come una statua di alabastro, riconoscibile dalle cinque placche d'argento lavorato a sbalzo in bella mostra sul suo bracciale sinistro. Gli Angeli escono da Masyaf solo in circostanze eccezionali, quando sono richieste doti speciali per il compimento di una missione, e vi fanno immediatamente ritorno non appena hanno concluso i loro affari. Vederne uno che si aggirava in paese per un motivo così banale come una contrattazione commerciale aveva creato un certo scompiglio.

Sajid non si era lasciato sfuggire l'occasione: tallonato dai suoi coetanei, il monello aveva fatto un paio di scongiuri per tutelarsi da eventuali maledizioni, poi aveva cominciato ad avvicinarsi all'Angelo. Prima toccò il terreno dove si proiettava la sua ombra e, gratificato dai versi di ammirazione e paura degli altri, strisciò alle spalle dell'Assassino. Quando toccò l'orlo posteriore della tunica alcuni bambini gridarono e si strinsero tra loro, ma l'uomo in bianco non reagì. Afferrò il lembo di raffinato cotone egiziano e tirò leggermente, causando altri versi di sgomento nei suoi compagni ma ancora nessuna reazione da parte dell'Angelo. Venne il turno del fodero della spada, prima lo sfiorò, poi lo spinse leggermente, poi lo fece dondolare.

L'Assassino sospirò e spostò il peso da una gamba all'altra. 

Sajid ridacchiò spavaldo, su ogni stivale c'era un fodero che portava tre sottili coltelli da lancio con l'elsa luccicante; i suoi occhi brillarono. Allungò la mano e sfiorò il manico di uno di essi.

L'Assassino entrò in azione con una rapidità disumana. Saltò in aria contorcendosi come un gatto e fece uno scatto verso di lui ringhiando ferocemente. In realtà non lo inseguì che per due passi, ma Sajid e i suoi compagni corsero gridando come ossessi fino ai margini del borgo senza guardarsi mai alle spalle, quindi non si accorsero di non avere proprio nessuno alle calcagna: l'Assassino era rimasto nella piazzetta del mercato ridacchiando tra sè mentre pensava a suo figlio, che aveva ad occhio e croce la stessa età di quel bambino e giocava quasi allo stesso modo con lui.

La madre lo rimproverò aspramente quella sera, ma Sajid era ormai un eroe per i bambini del paesello. 

Poi aveva raggiunto la maggiore età e aveva dovuto decidere della sua vita. Aveva scelto di recarsi a Gerusalemme, con le sue alte mura bianche a contenere a stento un'edilizia urbana che si sviluppava con lo stesso ordine di un mare in tempesta e le sue genti dalle mille culture che si mescolavano tra le viuzze e le piazze. Gerusalemme, che si rotolava voluttuosa tra l'Altopiano della Giudea e la Valle del Giordano offrendo le sue grazie a chiunque, come una cortigiana esperta. Tante volte presa, tante volte persa, ma mai abbandonata: tutti continuavano a volerla, tutti continuavano ad averla. Ora anche Sajid poteva prendersela.

Lavorò duro per riuscirci: si arruolò nella guardia cittadina, si trasferì nel campo di addestramento a qualche ora di viaggio dalla sua bella. Mai una volta rifiutò un compito, mai trasgredì un'ordine. Brillò per dedizione, fece del suo meglio per apprendere dai suoi superiori e finalmente, dopo tante fatiche e sacrifici, eccola: Gerusalemme. Tutta agghindata e pronta a schiudergli le sue braccia, a soggiacere agli ordini della sua mano che sarebbe stata ferma e potente ora che era investita dell'onore della sua difesa.

Belle fantasie, quelle di un ragazzo inesperto che non ha mai viaggiato nè conosciuto altro che la sua piccola valle isolata e le storie dei mercanti di passaggio...

La sua bella si era rivelata fin dal primo giorno un'amante scostante e feroce, con unghie affilate quanto quelle di una gatta selvatica ed il carattere irascibile di un serpente velenoso. Dapprima ne era stato atterrito, poi l'aveva odiata. Infine aveva imparato a districarsi assieme alle altre guardie cittadine tra i vicoli angusti, soffocati dai balconi abusivi e dalle bancarelle dei mercanti, dove troppe persone troppo diverse tra loro si contendevano uno spazio vitale che non sarebbe stato sufficiente nemmeno ad un ratto. Aveva imparato a tollerare i suoi odori di umanità decadente attorno ai tuguri dei quartieri poveri, quelli dei profumi troppo costosi lungo le vie larghe e abbaglianti di marmo dei quartieri ricchi. Aveva imparato a convivere con le sue disillusioni, insomma, e a sopravvivere al suo mestiere.

Aveva finito per innamorarsi di nuovo della sua tanto sospirata Gerusalemme, anche così com'era in realtà: non tanto incantevole cortigiana, quanto più vecchia baldracca troppo truccata, ma ricca in gioielli e abbondante di storie ed aneddoti.

E poi c'erano gli Assassini, che avevano addirittura una sede fissa in città si diceva, anche se nessuno sapeva dire dove si trovasse. Erano molto più temuti e meno rispettati che nel suo paese natale, ma fondamentalmente, le storie che sentiva assomigliavano molto a quelle che conosceva fin da bambino.

Sajid partiva avvantaggiato in quel campo: a differenza di molti altri era cresciuto accanto a loro e sapeva come muoversi. Aveva capito subito l'importanza di rispettare certe regole non scritte se voleva portare a casa la pelle: non fissarli, non provocarli, non inseguirli tanto da metterli con le spalle al muro e non cercare con troppa solerzia nei covoni di fieno e negli anfratti bui (per non correre il rischio di trovarceli per davvero). E la pelle, sua e dei suoi sottoposti, era una cosa a cui Amir, il suo capitano di pattuglia, teneva moltissimo.

"Le medaglie al valore le lascio a quelli che si sdraiano in fretta sotto una lastra di pietra" aveva commentato più di una volta: "Che me ne faccio di prendere un Assassino se poi quello mi trascina all'inferno con lui?"

Sajid aveva scoperto che erano molti nella caserma a pensarla così: le guardie cittadine e gli Assassini di Gerusalemme avevano col tempo sviluppato una sorta di codice, anche se nessuna delle due parti aveva mai stipulato un accordo specifico. Ci si tollerava l'un l'altro anche perchè la gente aveva capito in fretta che gli Assassini, nonostante quello che dicevano i banditori, non colpivano propriamente a caso: andavano provocati in qualche modo. Se non ci si intrometteva nei loro affari non si correva alcun rischio, quindi molte guardie cercavano di lasciarli fare abbastanza liberamente... salvo casi estremi ovviamente. A Sajid piaceva quella sfida: amava quel genere di giochi fin da bambino.

Dopo soli pochi mesi, Amir lo ritenne degno di fiducia a tal punto da renderlo partecipe di un'altro tipo di interazione con la pericolosa setta. Ma a Sajid non piacque quello che ascoltò: una cosa era evitare di avere scontri potenzialmente letali con loro, un'altra era complottare a discapito dell'ordine cittadino. Amir aveva contatti con un tramite della setta, col quale scambiava informazioni riservate in cambio di soffiate da usare per tenersi alla larga dai guai.

Era cominciata bene come mattinata: avevano scelto un giro leggermente diverso, per la loro ronda, facendo a cambio con un'altra pattuglia. Sarebbero passati sulla larga strada che separa il quartiere benestante da quelli meno ricchi, dove si trovavano molti mercanti con le loro bancarelle, lì c'era sempre anche qualche Assassino.

Verso metà giornata i quattro si presero una pausa per rilassarsi un poco, fu allora che Amir venne avvicinato da uno studioso che lo chiamò in disparte.

Sajid li osservò per un po', ma a quanto pareva era solo stato chiamato a fare da giudice in una piccola disputa tra il saggio e quello che aveva tutta l'aria di un mercante di pergamene. Annoiato, prese a guardarsi attorno: la piazzetta era affollata, ma non tanto da risultare sgradevole, le piante erano ben curate e i fiori erano deliziosi in quel periodo dell'anno. Dal muro poco distante sgorgava una fontanella che gracidava sommessamente e, vicino ad essa, sedevano in terra alcuni eruditi intenti a discorrere e ridacchiare. A quanto pareva si stavano divertendo a prendere in giro uno di loro.

Passarono i minuti ma Amir era ancora bloccato con il venditore di pergamene: un tipetto coriaceo si sarebbe potuto dire. Non particolarmente alto, abbastanza scuro di carnagione, con occhi e capelli neri come l'ala di un corvo e una barbetta corta e che ornava il bordo della mascella; vestiva una djellaba scura piuttosto elegante e sembrava ben poco intimorito dalla divisa di Amir: stava tenendo banco lui in quel momento, gesticolando energicamente con una pergamena arrotolata che teneva nella mano destra e che puntava alternativamente verso il saggio e verso Amir, gli occhi brillanti di intelligenza e determinazione. Sajid ridacchiò tra sè nel guardare il suo superiore che sembrava piuttosto in difficoltà nel tenere testa al saraceno e gli dispiacque non poter sentire quello che si dicevano. 

Poi qualcos'altro attirò la sua attenzione: gli studiosi avevano tuniche semplici, di tessuto grezzo, le quali più che bianche apparivano di un grigio slavato, ma uno di loro indossava un'abito di un fulgido candore: anche da lontano si capiva che era tessuto di ottima qualità. Sajid lo guardò meglio: non aveva un turbante ma un cappuccio dalla forma familiare... 

"Masoun" sibilò preoccupato al compagno stravaccato sulla panca accanto a lui : "Credo che ci sia un Assassino in mezzo ai sapienti, credo che stia tenendo d'occhio Amir"

Masoun non si mosse: "Ti ha visto mentre lo guardavi?"

Sajid si voltò di nuovo verso il crocchio di studiosi: l'atmosfera sembrava non essere mutata, ma un uomo con una kefiah che nascondeva metà del volto ora stava confabulando con lo strano monaco. Vide un leggero movimento del cappuccio e si affrettò a voltarsi.

"Non lo so, potrebbe essere" Sajid cominciava ad avere paura: non c'erano altre guardie in giro, Faaris non si vedeva da nessuna parte e lui aveva una mezza idea di cosa potesse aver spinto l'Assassino in quella piazzetta: eruditi e studiosi erano notoriamente sotto la loro protezione.

"Allora smetti di fissarlo e mantieni la calma. Vedrai che è qui per il geografo. Amir non corre rischi, e nemmeno noi se non lo stuzzichiamo"

"Come?"

"Il venditore di pergamene: è un geografo " rispose l'altro come se fosse stata la cosa più scontata del mondo: "ed è anche uno dei contatti degli Assassini, ha la sua bottega proprio qui dietro. Se ci passi vicino ne puoi vedere quasi sempre qualcuno che gironzola sul tetto o nei dintorni, sembra che abbia contatti diretti con il capo degli Assassini di Gerusalemme. Amir scambia informazioni con lui per sapere dove è meglio non trovarsi se non si cercano guai" aggiunse con un ghigno sgradevole.

"Stai scherzando" Sajid non poteva credere alle sue orecchie.

"Affatto: quel dannato avvoltoio tiene in riga tanto gli Assassini quanto le autorità cittadine facendo da mediatore tra di loro. Per questo nessuno si azzarda a torcergli un capello. Pare tenga più la parte degli Assassini però, infatti ha spesso uno di loro come guardia del corpo... Amir comunque è riuscito a conquistarsi la sua fiducia e così possiamo scampare i pericoli più grossi facendoci dire da quali posti stare alla larga e quando"

Sajid voleva vomitare. A tal punto era arrivata la corruzione in quella città?

Quando Amir ritornò da loro, il ragazzo non riuscì a guardarlo in faccia e seguì i tre commilitoni strascicando i piedi. 

"Guai in vista" disse loro appena si furono allontanati a sufficienza: " Il geografo era nervoso come mai lo avevo visto prima. Non mi ha detto di preciso cosa sta accadendo, sapete com'è fatto quel maledetto storpio: è furbo come una volpe e subdolo come una serpe! Non riesci mai a scucirgli nemmeno una sillaba più del minimo indispensabile....comunque preparano qualcosa di grosso. Nei prossimi giorni, la zona nord di Gerusalemme è a rischio."

Sajid ascoltava solo per metà, disgustato dall'intera faccenda, ma drizzò le orecchie quando Amir nominò Masyaf.

"Sembra che il vecchio sciacallo abbia sguinzagliato un Angelo della Morte per dar dietro a questo Talal" stava dicendo con espressione tetra: "e che Dio abbia pietà della sua anima, perchè il geografo dice che con un soggetto simile a Gerusalemme c'è da stare attenti: pare sia una testa calda, questo qui. Sembra che persino il capo degli Assassini della città non voglia averlo attorno troppo a lungo"

"Perchè?" chiese Masoun: "Non sanno gestire i loro adepti?"

"Questo no a quanto pare, purtroppo non so altro, ma cerchiamo di stare in guardia finchè le acque non si saranno calmate, va bene?"

Detto questo, impartì l'ordine di proseguire con il giro di pattuglia. Sajid li seguì senza aprire bocca fino alla fine del turno, quando si allontanò alla svelta con un saluto rapido.

Si sentiva sporco, si sentiva tradito ma anche complice di un subdolo raggiro. Aveva creduto di aver trovato un buon maestro in Amir... non era così, a quanto pareva. 

E si sentì un traditore ancora peggiore, un essere ancora più immondo, quando la sera stessa si recò proprio al Barbacane. Avere udienza col mercante di schiavi fu facile grazie alla sua divisa, ma mentre raccontava quello che aveva udito, non sentì alleggerirsi la sua coscienza come aveva pensato sarebbe successo. Cercò di razionalizzare, di pensare che Amir stava sbagliando e lui non aveva fatto altro che rettificare il suo errore, che stava salvando la vita di una persona con la sua soffiata, ma questo pensiero non gli portò nessun sollievo.

Poche ore dopo, al tradimento dato e ricevuto si aggiunse la frustrazione per non essere comunque riuscito a salvare lo schiavista: Talal era stato ucciso davanti a decine di testimoni il mattino dopo aver parlato con lui, assieme a molte delle sue guardie personali e a molte di quelle della città. L'Angelo era fuggito.

Il mondo crollava, e Sajid con esso.

Disse che non si sentiva bene e chiese un paio di giorni di permesso. Si tolse la divisa che puzzava di codardia e infamia e indossò semplici abiti civili, quindi vagò per le strade in cerca di qualcosa che potesse fornire un appiglio alla sua coscienza lacerata. Vagò finchè il sole non scomparve dietro l'orizzonte. Cosa non avrebbe dato per poter tornare a casa!

Pregò intensamente qualunque divinità fosse in ascolto di aiutarlo ma non era certo che sarebbe servito a molto.

Era così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi di nulla, nemmeno della donna che trasportava una pesante giara in bilico sulla testa. L'urto lo riportò alla realtà e solo i suoi rapidi riflessi gli permisero di afferrare la poveretta prima che cadesse rovinosamente a terra. Si aspettava di sentire il rumore del vaso che si rompeva, ma non accadde; sollevando lo sguardo si accorse che qualcuno l'aveva afferrato in tempo.

Ancora scosso e confuso dal brusco ritorno alla realtà, Sajid abbozzò un sorriso imbarazzato.

"Bella presa amico" ridacchiò per sdrammatizzare.

"Anche la tua non è stata male" rispose l'altro divertito.

La donna ancora si contorceva con la tunica che si era arrotolata attorno alle sue caviglie e le impediva di rimettersi in piedi; mentre la aiutava, lo sguardo di Sajid ricadde sulla giara, e sulla mano che la teneva, come era sua abitudine.

Quattro dita nella mano sinistra: un Assassino... Il suo cuore mancò un battito.

Cinque placche d'argento fissate al bracciale: un Angelo della Morte....Quasi lasciò cadere la donna in terra.

  
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