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Autore: Bolide Everdeen    02/09/2015    1 recensioni
[Storia ispirata alla fan fiction interattiva "500".
Distretto 5, Myrtle Hopkins.]
Davanti allo specchio, Myrtle lisciava con le mani la superficie di velluto nero che le strisciava già per il corpo, delineava una grazia addirittura esagerata sul suo corpo, estranea. Le piaceva, quel vestito nero, e soprattutto le piaceva vederlo dipingere la propria figura come quella di un'altra persona, una straniera che era riuscita a plasmare il suo aspetto come apprezzabile, differente. Era veramente come riusciva a vederlo lei, l'effetto? Chissà. Sperava di sì.
Ma non aveva nessuno a cui domandarlo.
Genere: Generale, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
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Il vestito nero

È veramente così? Chissà. Davanti allo specchio, Myrtle lisciava con le mani la superficie di velluto nero che le strisciava già per il corpo, delineava una grazia addirittura esagerata sul suo corpo, estranea. Le piaceva, quel vestito nero, e soprattutto le piaceva vederlo dipingere la propria figura come quella di un'altra persona, una straniera che era riuscita a plasmare il suo aspetto come apprezzabile, differente. Era veramente come riusciva a vederlo lei, l'effetto? Chissà. Sperava di sì. Ma non aveva nessuno a cui domandarlo.

Nell'orizzonte, nella camera vicina popolata da un'ombra di silenzio, si ergeva la figura elegante e snella di una donna, anche lei in preparazione per un evento nel quale il nero era il colore dominante. Però, sorrideva, al contrario di tutto quello che la tinta pareva esprimere. Sorrideva, o almeno così a Myrtle sembrava, immaginava nel suo fervido terrore da bambina di otto anni. Era a conoscenza del lugubre motivo per il quale quel vestito, seppur splendido, era maledetto per adeguarsi al suo corpo in quel momento, e per il quale dalla casa non si librava nessun rumore, nessuna delle solite frasi provenienti dalla bocca del padre, nessuna proposta di uscire per andare a fare una giratina, mangiare un gelato, giocare al parco. Sebbene fosse domenica, si trovava solamente il silenzio, eretto da un colpo di pistola due sere prima. Quello che aveva privato della vita suo padre. Era stato un incidente, così avevano appurato i Pacificatori. Un tentativo di rapina sventato, in cui però i rapinatori hanno deciso di vendicarsi per l'indisponibilità della loro vittima. Ma le mira di sua madre, la sua smania ed il suo vivido desiderio di ricchezza, non corrispondevano con due innocui, estranei e vacui ladri. No, la sua brama sempre maggiore di soldi era qualcosa di fervido, di possessivo, di assassino. Era stata lei, Beth Hopkins, sua madre, in verità, Myrtle l'aveva visto. Però, non lo poteva rivelare. Lo scettro, ovvero l'arma, erano racchiuse sempre nella mano della donna.

«Myrtle? A che punto sei?» La voce di Beth si frappose alla calma ed ai pensieri della bambina, mentre la raggiungeva, scivolava verso la sua stanza. Allora, lei desistette dall'ammirare l'estranea riflessa nello specchio, e si voltò verso la figura dell'altezzosa signora che ora la osservava. Un minuscolo sorriso sul suo volto appurava che Myrtle aveva ragione e, soprattutto, era compiaciuta di qualcosa. Qualcosa da non condividere. Myrtle non poteva addizionare alle sue sensazioni i peccati di sua madre, no, il male da lei provocato. Sperava non si trattasse di lei. Qualcuno avrebbe dovuto acconsentire alle sue ideologie, al suo apprezzamento verso se stessa, ma quella persona non poteva e non doveva essere Beth

Doveva essere l'uomo a cui il vestito era dedicato, colui che dopo qualche ora ed una concitata funzione sarebbe sfilato in direzione del cimitero, appostato, asfissiato dalla terra, senza alcuna possibilità di ammirare le dediche a lui, la soluzione di lacrime e mascara che le invitate avrebbero esortato a far colare dai propri occhi, le rispettose e rigide deferenze dei colleghi le quali poi, scacciando il pensiero della perdita di Chuck Hopkins dalla mente, sarebbero ritornati alla propria dimora, avrebbero dismesso i loro abiti e ne avrebbero afferrati altri, magari di un altro colore, ma sempre con il medesimo risultato: il maggiore splendore concesso dal proprio fisico. Myrtle aveva solo quel vestito nero, quel magnifico vestito nero, per stare bene, e poi i suoi capi sfumavano in un'estrema banalità. E la soffocavano, dato che erano acquistati secondo il gusto della madre. La sua scelta, i suoi desideri. L'orrore da lei provocato, in ogni azione.

«Ah, ecco. Stai bene, vestita così. Adesso andiamo dal parrucchiere, così magari aggiustiamo quella massa deforme di capelli» puntualizzò lei, mutando la sua direzione ed adottando le scale, per raggiungere il piano terra, ed i successivi obiettivi. Il parrucchiere? Persino il parrucchiere? Suo marito era morto, e Beth pensava al parrucchiere? D'altronde, anche Myrtle incentrava le sue sensazioni, le sue emozioni relative alla perdita in un incastro di velluto nero, anche lei pareva disperdere tutto quanto con un'estrema semplicità, quasi un abbandono. Non te ne andare anche tu, Myrtle. Non divenire un'ipocrita. Però, si precipitò comunque al piano terra. Aveva altre alternative?

Le sue uniche mosse concesse erano quelle di seguire quella donna, imitare quella donna, sopportare quella donna. Non era sua madre, non poteva esserlo; non aveva alcun istinto che sarebbe dovuto essere generato con un figlio. Forse, aveva partorito per errore anche quello, era fluito nell'aria, e precipitato chissà dove. Probabilmente, stava ancora vagando verso la proprietaria, adesso ancora più furiosamente per manifestare la propria contrarietà verso il suo crimine. Verso la più vasta macchia sui suoi arti, invisibile, lustrata da chissà quale cura. Myrtle scese.

Senza una parola, uscirono fuori dall'abitazione, e percorsero la strada che conduceva dall'acconciatore di capelli. Peccato. Myrtle quasi desiderava di annegarsi, nei suoi capelli, di nascondersi in essi per non ricevere attenzione, sguardi, non il disprezzo delle altre persone. Lo meritava, nell'accodarsi a sua madre, nel non compiere nessuna azione, nel reprimere per il terrore ogni denuncia. E a lasciarsi corrompere per un vestito nero. Quasi avrebbe voluto stracciarlo, e stracciare il corpo della forestiera che lo abitava, sfogarsi su di essa, proferire le sue grida, le spiegazioni per il gesto. Era possibile, morire in questo modo per il padre, e lasciarsi morire per lei? Un accenno di pianto si affacciò sui suoi occhi, però soffocò persino questo. Non ne era degna. Lei aveva ancora il tempo per risollevare le colpe della madre, elevarle fino al cielo, ed incatenarle alla più profonda terra; non doveva manifestare quella debolezza. Non sapeva come esporre i veri reati. Però, un giorno, avrebbe dovuto.

Entrarono nel salone del parrucchiere. Si era recata in rare occasioni lì; spesso era sua madre a spuntarle i capelli, le conclusioni ribelli e scoordinate, a inquadrare ciò di lei che evacuava dalle ordinarie concezioni di eleganza. Lei, invece, era abituale frequentatrice di quel posto, e si gettò subito nelle braccia del coiffeur, un suo amico.«Beth» sussurrò lui, e di rimando lei sibilò con una simulata desolazione il nome dell'uomo. Che voleva da sua madre, e per quale ragione entrambi dovevano apprestarsi a quella vana recitazione?«Mi dispiace tanto, tanto, tanto, ma davvero tanto per tuo marito. Era un brav'uomo, veramente, non se lo meritava. Che fine triste» esplicò lui, valutò i suoi gesti corretti. Ma tutti stavano fingendo. Quello pareva un clima estraneo a Myrtle, appartenente al corpo al di sotto del vestito. E quel corpo si sarebbe impossessato di tutto quanto, annegato nella prostrazione verso la madre, con i desideri di lei, la brama di bellezza e perfezione.

No. Quelli che l'avrebbero incarnata non sarebbero stati i gusti della sua genitrice, non avrebbe adottato gli stessi abiti di lei. Si sarebbe dedicata ad uno stile personale, in cui il nero non sarebbe stato l'unico permesso, ma uno sfavillio di colori avrebbe generato differenti forme di se stessa, visioni, luci. Avrebbe deciso lei, sulla sua vita, almeno quello. E tutto sarebbe dovuto ricadere nell'ordinaria eccellenza, quella che le persone riescono ad dipingere su se stessi, qualcosa che avrebbe gridato scissione, disaccordo, lacerato il cielo. Contro sua madre. Sempre contro sua madre.

Queste erano le idee che si alternavano, mentre il parrucchiere squadrava con attenzione la sua chioma, quel flusso bruno fino allora scoordinato, selvaggio. No, no, qualcuno si sarebbe dovuto impossessare di esso, catalogare la sua appartenenza. E quel qualcuno sarebbe dovuto essere il vero spirito di Myrtle. La madre iniziava a considerare:«Allora, io credo che si potrebbe fare qualcosa anche di sobrio, non troppo esaltante, una treccia, una coda decorata in qualche modo, non so, Bert... sei tu lo specialista, qui. Comunque, qualcosa di non troppo complicato.»

Non troppo complicato? Myrtle perquisì nella sua mente la risposta a quella provocazione, e la ritrovò in una foto di una ragazza che adornava le pareti di un edificio, di una moda appartenente ad almeno seicento o settecento anni prima, in un'imitazione dei soggetti di un'era strabiliante, in cui le donne si atteggiavano ed abbigliavano con sfarzi incredibili, con eruzioni di capelli, con superfici statuarie e severamente incrociate. Perciò, domando, con una frizzante innocenza, nonostante il marciume accatastato dietro alla scenografia:«Si potrebbe fare un'acconciatura come quella di quella ragazza là, nella fotografia? Per favore. Sarebbe tanto, tanto bello.»

Ottimo. Anche lei aveva speziato la sua voce con la maledizione della superficialità, nella condivisione del nulla, nel dedicarsi all'esteriore quando nell'interiore qualcuno stava languendo, piangendo per qualcosa che mai più si sarebbe affacciato dinnanzi al suo sguardo. Suo padre. Suo padre era morto. E Myrtle doveva trascinare la sua vendetta.

«Un beehive, dici? Ne sei sicura?» chiese l'uomo, con una nota di stupore adeguatamente manifestata nella sua voce, acuta come l'incantesimo che racchiudeva quelle persone, racchiudeva i loro cervelli, li privava di ogni sensazione e le rimpiazzava con la fame. La brama. Come sua madre, che in quel momento intervenne bruscamente:«No, no, ovviamente stava scherzando. Non credo che a lei i beehive piacciano, insomma, sono un po' retrogradi...»

Eccolo. È questo il mio potere, mamma, e tu non lo puoi ritrarre. E così sussurrò, discorde a tutti gli attacchi, a ogni contraddizione:«Io dicevo seriamente. Un beehive, sarebbe magnifico. Trovo che possa stare bene, con questi vestiti. Si può avere?» Aggiunse questa frase in fondo per accentuare un'insistenza, per accentuare la sua insurrezione, la sorpresa nelle subdole fessure oculari nella madre.«Ma certo» replicò placidamente l'uomo, ed iniziò ad adoperare i suoi capelli come strumento d'arte, come inconsapevole arte.

Myrtle lo osservò, studiò attentamente i suoi gesti, adeguò quei movimenti ai suoi arti, nei giorni successivi, quando le campane smisero con il loro tintinnio, e la gente ritenne quello un dolore archiviato, qualcosa da sfoderare al prossimo funerale. Myrtle no. Myrtle aveva otto anni, ma cominciò comunque a manifestare i suoi gusti, ad assaporare il loro dolce propendere verso il polo opposto rispetto a sua madre.

E così, tutto doveva essere perfetto. Impeccabile. Impeccabilmente diverso. A partire dal vestito nero, la prima concessione, lo sfogo della rabbia, lo spunto dell'odio.

 

Spazio autrice

Allora. Lo avevo accennato, in una risposta alla recensione: meno one shot, meno idee, meno risultati. E, purtroppo, con questa scarsa ispirazione la fan fiction su un personaggio che in fondo mi piace non è stata un granché, e me ne dolgo. Credo sua superfluo specificare che Myrtle Hopkins è il dodicesimo personaggio a cui è stata dedicata una one shot come personaggio della fan fiction interattiva “500”, nella serie che ripercorre scorci della propria vita. Potrei anche smettere, ma è una questione di rispetto verso gli autori e i personaggi rimasti. Ecco, questo.

Ho cercato di dare un'origine alla nevrosi principale di Myrtle, ovvero quella del suo aspetto fisico. E l'ho trovata in questo evento. Spero sia plausibile, e che nel complesso sia accettabile. Ringrazio chi si ostina a seguirmi, perché almeno un poco mi rincuora. E vi do appuntamento alla prossima one shot.

Ciao,

Bolide

P.S.= è probabile che mi rechi una settimana al mare, e durante questa è probabile che non riesca a concludere nulla, e quindi prima dell'11/09 potrei non pubblicare niente. O rispondere. Vedrò. Ciao.

 
  
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