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Autore: Kirame amvs    02/09/2015    2 recensioni
Kaneki è da un anno in prigione per sua volontà dopo aver ucciso e sbranato una ragazza.
Ha paura di essere libero, per timore di ciò che potrebbe fare se riottenesse la libertà. Un giorno decide che si farà uccidere da una persona a cui tiene per avere la libertà e, perciò, una punizione adeguata.
(Contesto inizio Tokyo Ghoul)
partecipante al "L'arte di morire - pretendendo una lunatica possibilità" indetto da -Fear sul forum di EFP
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Kaneki Ken, Kirishima Tōka, Nagachika Hideyoshi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Aka

 

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Titolo storia: Aka
Nickname sul forum e EFP: Kirame amvs
Fobia utilizzata: Eleuterofobia (paura della libertà)
Fandom: Tokyo Ghoul
Personaggi + eventuali coppie: Kaneki, Hideyoshi, Tōka
Genere: Angst, Introspettivo
Rating: Arancione
Avvertimenti + note: What if? 
Introduzione: 
Kaneki è da un anno in prigione per sua volontà dopo aver ucciso e sbranato una ragazza. 
Ha paura di essere libero, per timore di ciò che potrebbe fare se riottenesse la libertà. Un 
giorno decide che si farà uccidere da una persona a cui tiene per avere la libertà e, perciò, 
una punizione adeguata.
(Contesto inizio Tokyo Ghoul)
Note dell'autore:
 Il titolo significa Rosso. Non sono convinta di questa storia, sia per il fatto che trovo OOC i 
miei personaggi, sia per la piega che prende la storia.
Parliamo di Kaneki: la sua fobia e l'incidente avvenuto un anno prima lo hanno segnato, 
trasformandolo in una persona tormentata e spaventata da sé stessa.
Stiamo parlando dell'inizio di Tokyo Ghoul, quando ancora non si accettava per ciò che era.
Hide: Anche lui è diverso, per il fatto di far parte della Polizia Speciale. È costretto a 
uccidere Kaneki perché c'è l'altro agente, ma non l'avrebbe mai fatto.
*L'ultima frase è una cosa che Kaneki ha detto a Tōka, ma è inventata da me.
"Quando si è Ghoul, il mondo diventa rosso. Forse per ritornare a vedere i colori bisogna 
semplicemente morire."
Ho usato il font Times New Roman perché sono all'estero dal telefono e la app che uso non 
ha i font che hai richiesto.
Partecipa al contest "L'arte di morire - Pretendendo una lunatica possibilità" indetto 
da -Fear sul forum di EFP
Kaneki osservò la luce del sole filtrare tra le sbarre, illuminando fiocamente il 
pavimento della sua cella polverosa.
Il ragazzo si perse ad osservare il pulviscolo che volteggiava, visibile alla luce. 
Sdraiato a pancia in su, con le mani intrecciate sotto la nuca dai capelli corvini, 
guardava con sempre più calma e allo stesso tempo curiosità ora il soffitto addobbato 
di ragnatele come fossero decorazioni contorte, ora la finestra sbarrata della sua 
prigione. E ogni volta che il suo sguardo si posava sulla finestra illuminata, pensava 
con amarezza a quanto sarebbe stato semplice torcere quella grata, o spezzare in due 
la barra ed evadere. Ma lui non voleva. Cosa avrebbe fatto dopo aver riottenuto la sua 
libertà?
Avrebbe ucciso un'altra persona, spinto dal bisogno di sfamarsi? 
Consegnarsi alla polizia era stata una sua idea per non essere più libero. In libertà, i 
Ghoul come Kaneki non potevano vivere: aveva recentemente sperimentato in orribili 
modi come il caffè, da solo, non bastasse affatto. 
Ci aveva provato, certo. Per qualche minuto aveva resistito, aveva detto a quella 
ragazza, con un ringhio desolato e disumano, di scappare e non voltarsi, ma lei aveva 
esitato, cercando di capire come aiutare quel ragazzo così spaventato da sé stesso, 
che sembrava così... triste. Poi Kaneki non aveva più potuto controllarsi, e, come il 
muro di una diga che si infrange, aveva sentito e abbracciato sensazioni che non 
aveva mai sperimentato prima. Ma una troneggiava su tutte: la fame. Una fame che 
gli attanagliava le viscere, gli faceva sentire un groppo in gola, che gli toglieva il 
respiro.
Senza più rispondere delle sue azioni era scattato a rincorrere la ragazza che fuggiva 
inutilmente.
“È una preda semplice, lenta.” Aveva pensato il ghoul, con un ghigno famelico che 
metteva in mostra i denti.
Aveva acchiappato la preda per un braccio, mettendovi talmente tanta foga da 
strapparlo dal tronco della ragazza, che urlando di dolore aveva iniziato a perdere una 
sostanza rosso scuro che a Kaneki pareva il paradiso.
Sangue. Carne. Cibo. C'era voluto così poco tempo dal disgusto umano del suo 
attuale "cibo" a quella fame, che lo coglieva quando abbassava lo sguardo vitreo sulla 
pozza che si andava a formare sull'asfalto, creando un contrasto metallico, che ben si 
adattava al sapore del cibo preferito, amato, ma profondamente odiato da 
Kaneki?C'era voluto così poco tempo per dimenticare di essere stato umano? Di 
essere stato... normale? Comune e noioso, ma così... così come? Felice? Per quanto 
potesse essere stato contento pochi mesi prima, solo ora, solo adesso che era troppo 
tardi, capiva di aver perso qualcosa, qualcosa che non poteva più riottenere.
Con la mano tremante dalla smania di assaggiare un po' del liquido che ormai 
formava una pozza ai suoi piedi, avvicinò il dito e lo immerse, portandoselo poi alla 
bocca.
Lo colsero le vertigini e un senso di potere e crudeltà lo attanagliò, spegnendo la 
fastidiosa voce dentro di sé che gli chiedeva disperatamente di fermarsi. La ragazza 
semi svenuta non aveva neanche più la forza di urlare dal dolore, guardava Kaneki in 
una muta richiesta di essere liberata da quella sofferenza immensa. Lui la osservò 
così come un leone osserva la gazzella, con uno sguardo folle e gli occhi iniettati di 
sangue. Con un movimento veloce del braccio le staccò una gamba, ponendo fine alla 
sua sofferenza.
Divorò sino all'ultimo pezzo di carne, con un ingordigia superiore a qualsiasi altro 
ghoul. Poi era arrivata la polizia, in quel vicolo buio e sudicio in cui Kaneki aveva 
determinato la morte di un innocente. Aveva ripreso dopo poco il controllo di sé 
stesso, rimanendo inorridito dalla scena che gli si parava davanti e dal senso di pace.
Aveva gridato e sbattuto i pugni per terra, attanagliato dal senso di colpa, e aveva 
capito che la libertà non era una cosa che poteva avere. Non più, almeno.
I poliziotti erano rimasti inorriditi dallo spettacolo che si parava loro davanti.
Ossa e residui di carne si riversavano sull'asfalto, e i muri erano imbrattati di sangue a 
chiazze irregolari.
Non c'era voluto molto perché i due agenti capissero che l'omicidio era stato 
commesso da Kaneki.
Dopotutto quel sangue sul suo mento e sulle sue mani la dicevano lunga.
Fu allora che Ken Kaneki imparò nel modo più crudele ad avere paura della libertà.
Trecentosessantotto.
Dodici mesi e tre giorni.
Il ragazzo era rimasto tutto quel tempo a riflettere, e riflettere, e riflettere.
Quella mattina del 31 ottobre aveva deciso che si sarebbe fatto uccidere.
Ogni giorno continuava a pensare a quell'omicidio, e ogni notte sognava -no, 
ricordava- le ossa e le viscere della ragazza.
Tu tum.
Il cuore venne stretto da una mano scarlatta.
Tum.
Il battito rallentò, mentre una leggera patina opaca ricopriva la sclera e le iridi prima 
cerulee, adesso grigiastre.
Tum.
Il battito si fece attendere una ventina di secondi prima di farsi sentire, fievole.
Il ragazzo stava osservando una vita perire. Stava sentendo una vita perire.
Tum.
Quarantacinque secondi. Le labbra sottili, da color corallo, si tinsero di una tonalità 
bluastra-violacea. La pelle si ingrigì e si raffreddò.
Kaneki seppe che il battito successivo sarebbe stato l'ultimo.
E provò gioia.
Tu-
Il rumore si interruppe bruscamente a metà, lasciando una vita incompleta e una 
morte non vissuta.
Kaneki si alzò dal tavolo sudicio della mensa e tornò nella sua cella.
Fissò scosso le sbarre della prigione.
Chi avrebbe dovuto ammazzarlo?
Tōka, forse.
Magari Nishiki, o Gourmet.
Hide, pensò.
Hideyoshi avrebbe posto fine alla sua miserabile "non vita".
Si alzò e con due mani forzò le sbarre, staccandole dal muro.
Lo spazio non era molto grande, ma nutrendosi di solo caffè era diventato 
scheletrico.
Si vedevano spuntare le ossa sotto pelle dalla clavicola, dai gomiti e dal bacino.
Aveva gli occhi infossati, gli zigomi troppo pronunciati e il mento sporgente e 
squadrato.
Riuscì dunque a passare e a nascondersi dietro un arbusto.
Aveva visto che c'era solo una guardia davanti al portone.
Ogni tre ore ci si dava il cambio e la guardia andava a chiamare dall'altra parte 
dell'edificio il prossimo di turno.
Kaneki aveva calcolato di essere a disposizione di massimo sei minuti e trenta 
secondi.
Abbastanza per poter andare avanti correndo per almeno un chilometro.
Rimase un ora e mezza nascosto dietro il cespuglio e poi vide la guardia sbuffare di 
sollievo e dirigersi verso l'entrata.
Calcolò anche di avere un quarto d'ora-venti minuti prima che si accorgessero della 
sua mancanza.  
Il ragazzo aveva approssimativamente venticinque anni, i capelli color del grano, gli 
occhi talmente chiari da sembrare di ghiaccio, la pelle diafana e il corpo esile e 
slanciato.
A Kaneki non sembrava la tipica guardia con il fisico da buttafuori.
Non indugiò oltre e corse verso il portone, scavalcandolo senza difficoltà.
Aveva notato che Tokyo non era distante dalla prigione, massimo tra i cinque e gli 
otto chilometri.
***
Odiai correre. Correre per chilometri e chilometri, per ore e ore, minuti passati e 
minuti futuri, cercando di afferrare o solamente sfiorare la libertà, sentirla inondare le 
vene e nutrire il cuore, sentire l'aria più leggera, e la terra più distante.
Odiai essere terrorizzato. Odiai esserlo per aver conquistato la libertà. Odiai esserlo 
per essermi concesso il lusso di farmela assaporare. Odiai il fatto di non sopportare la 
mia punizione, di non poter più pensare, o ricordare, o pentirmi dei crimini da me 
commessi. Ero debole, un vigliacco. E avevo anche timore di non potermi togliere la 
vita da solo. Volevo che fosse qualcuno a me caro a uccidermi. Volevo vedere come 
quella persona non mi amasse, come comprendesse il bisogno di ammazzarmi. 
Avevo bisogno che il mondo si liberasse di me.
Esatto, avevo bisogno di essere liberato.
La morte avrebbe significato la libertà.
Una punizione più che adatta a uno come me.
Iniziarono a comparire i primi palazzi di oltre dieci piani e mi preparai  a 
confondermi in mezzo alla gente. La tuta da carcerato si notava, ma era Halloween, è 
la gente non si fece tanti problemi.
Quando le persone mi passavano accanto dovevo esercitare tutto il controllo di cui 
ero capace per non sbranarle.
Decisi di passare per le vie laterali, anche se ci avrei messo molto più tempo.
Mezz'ora dopo mi ero perso.
Vidi Hide camminare nella via principale e mi avvicinai.
Ero nel suo quartiere, probabilmente.
Cercai di ritrovare la voce che avevo perduto un anno prima in un vicolo anonimo.
La mia gola era secca e non usciva nessun suono, ma mi sforzai di parlare.
«Hide» sussurrai, non potevo rischiare di sentire l'odore di un altro umano, sarei 
crollato. Magari con Hide sarei riuscito a resistere.
Mi nascosi nelle ombre tornando indietro e quando sentii dei passi mi avvicinai.
«Chi va là? Come conosci il mio nome?» chiese un ragazzo che non conoscevo.
Che si chiamasse Hide anche lui?
Non mi importava, doveva andare via in fretta se non voleva essere sbranato.
«Vattene» esclamai.
La fame si stava già accumulando.
Era tutto come allora. Non pensavo che un ricordo potesse essere così vivido, così 
reale.
«Amico, non so cosa tu abbia, ma da come parli hai bisogno di un medico. Ti ci 
accompagno, se vuoi» disse indietreggiando il falso Hide.
«Kaneki» sussurrò la voce del vero Hideyoshi dietro di me. Come avevo fatto a non 
avvertire la sua presenza?
«Devi andartene. Siamo in pattuglia, io e Fujiyama. Parleremo dopo» mormorò al 
mio orecchio.
Cercai di distogliere lo sguardo dal corpo del falso Hide, ma non ci riuscii.
La fame era troppa.
«Hideyoshi! Non hai visto quel ghoul? Si sta avventando su un innocente! Che 
aspetti ad ucciderlo?» urlò un agente, presumibilmente Fujiyama, comparso davanti 
al mio migliore amico.
***
Fujiyama mi guardò confuso.
«Uccidilo, o mangerà il ragazzo!» strillò.
Guardai Kaneki e mi dissi che avrebbe resistito alla fame. Ne ero sicuro.
Invece continuava ad avanzare.
La vita di un innocente o quella di Kaneki?
Avrei dovuto ammazzare il mio migliore amico ghoul, o lasciare che se andasse, 
tradendo la Polizia Speciale?
Kaneki avrebbe potuto perdere il controllo molte altre volte, e non sempre ci sarei 
stato per salvare la situazione.
Guardai Kaneki, già partito all'attacco.
E presi una decisione.
Anche lui, ormai, era un ghoul.
E come ghoul avrebbe iniziato a divorare gli innocenti. 
Fujiyama mi guardò rabbioso.
Estrassi la mia quinque con riluttanza e mi misi davanti al ragazzo.
«Togliti» ringhiò Kaneki.
Adesso ero ancora più riluttante. Mi aveva riconosciuto nonostante avesse perso il 
controllo.
«Mi dispiace» sussurrai con la voce strozzata.
E lo attaccai.
Il pugnale della quinque lo colpì e Kaneki cadde a terra, rialzandosi subito dopo, 
stordito.
Stava riprendendo il controllo, ma non avrei potuto lasciarlo andare via: c'era l'altro 
agente.
Lo colpii all'altra gamba.
Non volevo ammettere che non avrei mai potuto mirare al cuore, alla testa o ad altri 
organi vitali e ucciderlo.
«Fallo» mormorò Kaneki, bloccandosi.
«Non ci riesco» dissi scuotendo la testa.
«Uccidilo adesso, non riesce più a muoversi» esclamò Fujiyama.
«Forza, Hide. È quello che desidero anche io. Non posso continuare a vivere in 
libertà» sussurrò lui.
Mi avvicinai e lo guardai un ultima volta, pieno di rimpianto. Come avrei fatto a dirlo 
a Tōka?
«Grazie, Hide»
La quinque gli trapassò il petto e Kaneki si accasciò a terra.
Il suo sangue macchiò l'asfalto di rosso.
«Addio, amico mio» trattenni a stento le lacrime per non dover spiegare all'agente, 
abbastanza lontano da non aver sentito la conversazione fra me e Kaneki.
«Non... a... Tōka» Lo sentii spirare, ma non compresi appieno che cosa disse.
***
Aprii la porta del bar, sicuro di trovare Tōka.
Infatti la vidi servire ai tavoli e riportare tazzine sporche dietro il bancone.
«Che ci fai qui? Questo non è posto per te» mi disse senza guardarmi.
«Kaneki» la vidi bloccarsi e alzare lo sguardo, incerta.
«Cosa? È evaso? Fallo tornare qui, allora» mi disse, con una nota di speranza nella 
voce.
«È... morto» 
Non seppi se crederci o meno, quando udii la ragazza singhiozzare.
«Alla fine, ha avuto ciò che voleva, vero?» chiese stringendo i pugni.
«Forse ha avuto ciò che non voleva, ma doveva avere. La libertà» mormorai.
«Forse davvero il mondo è rosso, quando si è Ghoul*. Forse è morto per poter 
rivedere i colori»

Δ Aka Δ




Titolo storia: Aka
Nickname sul forum e EFP: Kirame amvs
Fobia utilizzata: Eleuterofobia (paura della libertà)
Fandom: Tokyo Ghoul
Personaggi + eventuali coppie: Kaneki, Hideyoshi, Tōka
Genere: Angst, Introspettivo
Rating: Arancione
Avvertimenti + note: What if? 
Introduzione: 
Kaneki è da un anno in prigione per sua volontà dopo aver ucciso e sbranato una ragazza. Ha paura di essere libero, per timore di ciò che potrebbe fare se riottenesse la libertà. Un giorno decide che si farà uccidere da una persona a cui tiene per avere la libertà e, perciò, una punizione adeguata.
(Contesto inizio Tokyo Ghoul)
Note dell'autore:
 Il titolo significa Rosso. Non sono convinta di questa storia, sia per il fatto che trovo OOC i miei personaggi, sia per la piega che prende la storia.
Parliamo di Kaneki: la sua fobia e l'incidente avvenuto un anno prima lo hanno segnato, trasformandolo in una persona tormentata e spaventata da sé stessa.
Stiamo parlando dell'inizio di Tokyo Ghoul, quando ancora non si accettava per ciò che era.
Hide: Anche lui è diverso, per il fatto di far parte della Polizia Speciale. È costretto a uccidere Kaneki perché c'è l'altro agente, ma non l'avrebbe mai fatto.
*L'ultima frase è una cosa che Kaneki ha detto a Tōka, ma è inventata da me.
"Quando si è Ghoul, il mondo diventa rosso. Forse per ritornare a vedere i colori bisogna semplicemente morire."
Ho usato il font Times New Roman perché sono all'estero dal telefono e la app che uso non ha i font che hai richiesto.
Partecipa al contest "L'arte di morire - Pretendendo una lunatica possibilità" indetto 
da -Fear sul forum di EFP

Δ Δ Δ

Kaneki osservò la luce del sole filtrare tra le sbarre, illuminando fiocamente il pavimento della sua cella polverosa. Il ragazzo si perse ad osservare il pulviscolo che volteggiava, visibile alla luce. 
Sdraiato a pancia in su, con le mani intrecciate sotto la nuca dai capelli corvini, guardava con sempre più calma e allo stesso tempo curiosità ora il soffitto addobbato di ragnatele come fossero decorazioni contorte, ora la finestra sbarrata della sua prigione. E ogni volta che il suo sguardo si posava sulla finestra illuminata, pensava con amarezza a quanto sarebbe stato semplice torcere quella grata, o spezzare in due la barra ed evadere. Ma lui non voleva. Cosa avrebbe fatto dopo aver riottenuto la sua libertà?
Avrebbe ucciso un'altra persona, spinto dal bisogno di sfamarsi? 
Consegnarsi alla polizia era stata una sua idea per non essere più libero. In libertà, i Ghoul come Kaneki non potevano vivere: aveva recentemente sperimentato in orribili modi come il caffè, da solo, non bastasse affatto. 
Ci aveva provato, certo. Per qualche minuto aveva resistito, aveva detto a quella ragazza, con un ringhio desolato e disumano, di scappare e non voltarsi, ma lei aveva esitato, cercando di capire come aiutare quel ragazzo così spaventato da sé stesso, che sembrava così... triste. Poi Kaneki non aveva più potuto controllarsi, e, come il muro di una diga che si infrange, aveva sentito e abbracciato sensazioni che non aveva mai sperimentato prima. Ma una troneggiava su tutte: la fame. Una fame che gli attanagliava le viscere, gli faceva sentire un groppo in gola, che gli toglieva il respiro.
Senza più rispondere delle sue azioni era scattato a rincorrere la ragazza che fuggiva inutilmente.
“È una preda semplice, lenta.” Aveva pensato il ghoul, con un ghigno famelico che metteva in mostra i denti.
Aveva acchiappato la preda per un braccio, mettendovi talmente tanta foga da strapparlo dal tronco della ragazza, che urlando di dolore aveva iniziato a perdere una sostanza rosso scuro che a Kaneki pareva il paradiso. 

Sangue. Carne. Cibo. C'era voluto così poco tempo dal disgusto umano del suo attuale "cibo" a quella fame, che lo coglieva quando abbassava lo sguardo vitreo sulla pozza che si andava a formare sull'asfalto, creando un contrasto metallico, che ben si adattava al sapore del cibo preferito, amato, ma profondamente odiato da Kaneki?C'era voluto così poco tempo per dimenticare di essere stato umano? Di essere stato... normale? Comune e noioso, ma così... così come? Felice? Per quanto potesse essere stato contento pochi mesi prima, solo ora, solo adesso che era troppo tardi, capiva di aver perso qualcosa, qualcosa che non poteva più riottenere. 

Con la mano tremante dalla smania di assaggiare un po' del liquido che ormai formava una pozza ai suoi piedi, avvicinò il dito e lo immerse, portandoselo poi alla bocca.
Lo colsero le vertigini e un senso di potere e crudeltà lo attanagliò, spegnendo la fastidiosa voce dentro di sé che gli chiedeva disperatamente di fermarsi. La ragazza semi svenuta non aveva neanche più la forza di urlare dal dolore, guardava Kaneki in una muta richiesta di essere liberata da quella sofferenza immensa. Lui la osservò così come un leone osserva la gazzella, con uno sguardo folle e gli occhi iniettati di sangue. Con un movimento veloce del braccio le staccò una gamba, ponendo fine alla sua sofferenza.
Divorò sino all'ultimo pezzo di carne, con un ingordigia superiore a qualsiasi altro ghoul. Poi era arrivata la polizia, in quel vicolo buio e sudicio in cui Kaneki aveva determinato la morte di un innocente. Aveva ripreso dopo poco il controllo di sé stesso, rimanendo inorridito dalla scena che gli si parava davanti e dal senso di pace.
Aveva gridato e sbattuto i pugni per terra, attanagliato dal senso di colpa, e aveva capito che la libertà non era una cosa che poteva avere. Non più, almeno. I poliziotti erano rimasti inorriditi dallo spettacolo che si parava loro davanti.
Ossa e residui di carne si riversavano sull'asfalto, e i muri erano imbrattati di sangue a chiazze irregolari.
Non c'era voluto molto perché i due agenti capissero che l'omicidio era stato commesso da Kaneki. Dopotutto quel sangue sul suo mento e sulle sue mani la dicevano lunga.
Fu allora che Ken Kaneki imparò nel modo più crudele ad avere paura della libertà.


Trecentosessantotto.
Dodici mesi e tre giorni.

Il ragazzo era rimasto tutto quel tempo a riflettere, e riflettere, e riflettere.
Quella mattina del 31 ottobre aveva deciso che si sarebbe fatto uccidere.
Ogni giorno continuava a pensare a quell'omicidio, e ogni notte sognava -no, ricordava- le ossa e le viscere della ragazza.
 

Tu tum.
Il cuore venne stretto da una mano scarlatta.
Tum.
Il battito rallentò, mentre una leggera patina opaca ricopriva la sclera e le iridi prima cerulee, adesso grigiastre.
Tum.
Il battito si fece attendere una ventina di secondi prima di farsi sentire, fievole.
Il ragazzo stava osservando una vita perire. Stava sentendo una vita perire.
Tum.
Quarantacinque secondi. Le labbra sottili, da color corallo, si tinsero di una tonalità bluastra-violacea. La pelle si ingrigì e si raffreddò.
Kaneki seppe che il battito successivo sarebbe stato l'ultimo.
E provò gioia.
Tu-
Il rumore si interruppe bruscamente a metà, lasciando una vita incompleta e una morte non vissuta.

Kaneki si alzò dal tavolo sudicio della mensa e tornò nella sua cella. Fissò scosso le sbarre della prigione.
Chi avrebbe dovuto ammazzarlo?
Tōka, forse.
Magari Nishiki, o Gourmet.
Hide, pensò.
Hideyoshi avrebbe posto fine alla sua miserabile "non vita".
Si alzò e con due mani forzò le sbarre, staccandole dal muro.
Lo spazio non era molto grande, ma nutrendosi di solo caffè era diventato scheletrico.
Si vedevano spuntare le ossa sotto pelle dalla clavicola, dai gomiti e dal bacino. Aveva gli occhi infossati, gli zigomi troppo pronunciati e il mento sporgente e squadrato.
Riuscì dunque a passare e a nascondersi dietro un arbusto. Aveva visto che c'era solo una guardia davanti al portone.
Ogni tre ore ci si dava il cambio e la guardia andava a chiamare dall'altra parte dell'edificio il prossimo di turno. Kaneki aveva calcolato di essere a disposizione di massimo sei minuti e trenta secondi.
Abbastanza per poter andare avanti correndo per almeno un chilometro.
Rimase un ora e mezza nascosto dietro il cespuglio e poi vide la guardia sbuffare di sollievo e dirigersi verso l'entrata.
Calcolò anche di avere un quarto d'ora-venti minuti prima che si accorgessero della sua mancanza.  Il ragazzo aveva approssimativamente venticinque anni, i capelli color del grano, gli occhi talmente chiari da sembrare di ghiaccio, la pelle diafana e il corpo esile e slanciato.
A Kaneki non sembrava la tipica guardia con il fisico da buttafuori. Non indugiò oltre e corse verso il portone, scavalcandolo senza difficoltà. Aveva notato che Tokyo non era distante dalla prigione, massimo tra i cinque e gli otto chilometri.

 

Δ Δ Δ


Odiai correre. Correre per chilometri e chilometri, per ore e ore, minuti passati e minuti futuri, cercando di afferrare o solamente sfiorare la libertà, sentirla inondare le vene e nutrire il cuore, sentire l'aria più leggera, e la terra più distante.
Odiai essere terrorizzato. Odiai esserlo per aver conquistato la libertà. Odiai esserlo per essermi concesso il lusso di farmela assaporare. Odiai il fatto di non sopportare la mia punizione, di non poter più pensare, o ricordare, o pentirmi dei crimini da me commessi. Ero debole, un vigliacco. E avevo anche timore di non potermi togliere la vita da solo. Volevo che fosse qualcuno a me caro a uccidermi. Volevo vedere come quella persona non mi amasse, come comprendesse il bisogno di ammazzarmi. 
Avevo bisogno che il mondo si liberasse di me. Esatto, avevo bisogno di essere liberato.
La morte avrebbe significato la libertà. Una punizione più che adatta a uno come me.

Iniziarono a comparire i primi palazzi di oltre dieci piani e mi preparai a confondermi in mezzo alla gente. La tuta da carcerato si notava, ma era Halloween, e la gente non si fece tanti problemi. Quando le persone mi passavano accanto dovevo esercitare tutto il controllo di cui ero capace per non sbranarle. Decisi di passare per le vie laterali, anche se ci avrei messo molto più tempo.
Mezz'ora dopo mi ero perso.
Vidi Hide camminare nella via principale e mi avvicinai. Ero nel suo quartiere, probabilmente.
Cercai di ritrovare la voce che avevo perduto un anno prima in un vicolo anonimo. La mia gola era secca e non usciva nessun suono, ma mi sforzai di parlare.
«Hide» sussurrai, non potevo rischiare di sentire l'odore di un altro umano, sarei crollato. Magari con Hide sarei riuscito a resistere. Mi nascosi nelle ombre tornando indietro e quando sentii dei passi mi avvicinai.
«Chi va là? Come conosci il mio nome?» chiese un ragazzo che non conoscevo. Che si chiamasse Hide anche lui? Non mi importava, doveva andare via in fretta se non voleva essere sbranato.
«Vattene» esclamai.
La fame si stava già accumulando. Era tutto come allora. Non pensavo che un ricordo potesse essere così vivido, così reale.
«Amico, non so cosa tu abbia, ma da come parli hai bisogno di un medico. Ti ci accompagno, se vuoi» disse indietreggiando il falso Hide.
«Kaneki» sussurrò la voce del vero Hideyoshi dietro di me. Come avevo fatto a non avvertire la sua presenza?
«Devi andartene. Siamo in pattuglia, io e Fujiyama. Parleremo dopo» mormorò al mio orecchio. Cercai di distogliere lo sguardo dal corpo del falso Hide, ma non ci riuscii.
La fame era troppa.
«Hideyoshi! Non hai visto quel ghoul? Si sta avventando su un innocente! Che aspetti ad ucciderlo?» urlò un agente, presumibilmente Fujiyama, comparso davanti al mio migliore amico.

Δ Δ Δ

Fujiyama mi guardò confuso.
«Uccidilo, o mangerà il ragazzo!» strillò.
Guardai Kaneki e mi dissi che avrebbe resistito alla fame. Ne ero sicuro. Invece continuava ad avanzare. La vita di un innocente o quella di Kaneki?
Avrei dovuto ammazzare il mio migliore amico ghoul, o lasciare che se andasse, tradendo la Polizia Speciale?
Kaneki avrebbe potuto perdere il controllo molte altre volte, e non sempre ci sarei stato per salvare la situazione.
Guardai Kaneki, già partito all'attacco.
E presi una decisione.
Anche lui, ormai, era un ghoul.
E come ghoul avrebbe iniziato a divorare gli innocenti. Fujiyama mi guardò rabbioso. Estrassi la mia quinque con riluttanza e mi misi davanti al ragazzo.
«Togliti» ringhiò Kaneki.
Adesso ero ancora più riluttante. Mi aveva riconosciuto nonostante avesse perso il controllo.
«Mi dispiace» sussurrai con la voce strozzata. E lo attaccai.
Il pugnale della quinque lo colpì e Kaneki cadde a terra, rialzandosi subito dopo, stordito.
Stava riprendendo il controllo, ma non avrei potuto lasciarlo andare via: c'era l'altro agente. Lo colpii all'altra gamba.
Non volevo ammettere che non avrei mai potuto mirare al cuore, alla testa o ad altri organi vitali e ucciderlo.
«Fallo» mormorò Kaneki, bloccandosi.
«Non ci riesco» dissi scuotendo la testa.
«Uccidilo adesso, non riesce più a muoversi» esclamò Fujiyama.
«Forza, Hide. È quello che desidero anche io. Non posso continuare a vivere in libertà» sussurrò lui.
Mi avvicinai e lo guardai un ultima volta, pieno di rimpianto. Come avrei fatto a dirlo a Tōka?
«Grazie, Hide»
La quinque gli trapassò il petto e Kaneki si accasciò a terra. Il suo sangue macchiò l'asfalto di rosso.
«Addio, amico mio» trattenni a stento le lacrime per non dover spiegare all'agente, abbastanza lontano da non aver sentito la conversazione fra me e Kaneki.
«Non... a... Tōka» Lo sentii spirare, ma non compresi appieno che cosa disse.
***
Aprii la porta del bar, sicuro di trovare Tōka. Infatti la vidi servire ai tavoli e riportare tazzine sporche dietro il bancone.
«Che ci fai qui? Questo non è posto per te» mi disse senza guardarmi.
«Kaneki» la vidi bloccarsi e alzare lo sguardo, incerta.
«Cosa? È evaso? Fallo tornare qui, allora» mi disse, con una nota di speranza nella voce.
«È... morto» 
Non seppi se crederci o meno, quando udii la ragazza singhiozzare.
«Alla fine, ha avuto ciò che voleva, vero?» chiese stringendo i pugni.
«Forse ha avuto ciò che non voleva, ma doveva avere. La libertà» mormorai.
«Forse davvero il mondo è rosso, quando si è Ghoul*. Forse è morto per poter rivedere i colori»

 

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Δ KIRAME'S WALL! Δ

Ehilà, gentaglia :) Questa è la mia prima storia su Tokyo Ghoul, e ovviamente dovevo far morire Kaneki! 

Cioè, era obbligatorio per il regolamento del contest, e all'inizio ero scettica, mi dicevo "Povero Kaneki..."

Poi ho pensato: "Ma perché l'eroe deve sempre essere buono e giusto? Perché deve sempre salvarsi?" In fondo, nella realtà non è mai così :(

E così, mi sono rimpinguata di un po' di dolcissimo angst, che non fa male a nessuno.

Forse Kaneki è un po' OOC, ma considerate l'evento traumatico che ha subito e il fatto di essere terrorizzato all'idea di poter ritornare libero.

Tutti i pareri sono ben accetti, purché, se negativi, rispettosi nei miei confronti e che facciano critiche costruttive.

Grazie per mille se mettereete fra le preferite, le ricordate, se recensirete, ma ringrazio tanto anche chi, in silenzio, legge ogni mia porcata -passatemi il termine- ^^''

Vi amo, lettori ♥

Δ Kirame Δ 

PS: i POV sono facilmente intuibili, ma in ordine sono:

-Narratore esterno

-Kaneki

-Hide

PPS: Voi non ne avete idea, ma troverete le mie amatissime Delta (Δ) dappertutto, d'ora in poi. Muhahahah -.-

 

   
 
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