Serie TV > Sherlock (BBC)
Ricorda la storia  |      
Autore: Sarathehobbit    02/09/2015    2 recensioni
Dal testo:
"All'inizio erano tocchi casuali. Dita che si sfioravano mentre si passavano il the, spalle che si toccavano mentre erano sul divano, cose così."
- - -
Pre-slash.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

*Spazio autrice*
Salve a tutti, lettori e lettrici. Ritorno con una nuova storia, stavolta ispirata da una fanart che purtroppo ora non riesco a trovare, ma che vi assicuro essere dolcissima.
Come al solito, i personaggi non mi appartengono, ma sono di proprietà di sir Arthur Conan Doyle e del duo Moffat/Gatiss. Io non ci guadagno assolutamente nulla.
Se vi sono cose che ricordano altre storie, mi scuso ma è involontario.
Sarei ovviamente felicissima di sapere cosa ne pensate.
Buona lettura.



"I can't stop touching you"

 

All'inizio erano tocchi casuali. Dita che si sfioravano mentre si passavano il the, spalle che si toccavano mentre erano sul divano, cose così. Per John quei secondi erano giorni interi di sole e calore, punti di luce nel buio che l'aveva avvolto dopo Mary (1) e la missione (quasi) suicida di Sherlock nell'Est. Ma l'aveva salvato stavolta e quei piccoli momenti glielo ricordavano.

 

La situazione era precipitata circa un mese dopo la partenza di Sherlock. Con Mary era ormai finita e John era tornato a Baker Street, con la speranza come unica compagna. La speranza che il consulting detective tornasse, vivo e vegeto, a casa.
Da lui.
Poi una sera qualunque di un giorno qualunque aveva visto una macchina nera che lo aspettava e vi si era fiondato dentro.
Fa che sia vivo, ti prego. Fa che sia vivo.
Arrivato al Diogenes Club l'avevano fatto entrare in uno studio. Non ricordava l'ambiente, si era concentrato solo sulla figura di Mycroft, in piedi davanti alla finestra.

- Dimmi che è vivo - gli aveva detto.
- Dimmi che è tornato.

La mano del politico aveva tremato una frazione di secondo, abbastanza per far capire a John che qualcosa non andava.

- Dottor Watson, l'ho chiamata perché abbiamo perso le sue tracce da una settimana. Sospettiamo che sia stato rapito da una cellula terroristica.

La paura l'aveva invaso, pietrificandolo. Ma non era crollato, era rimasto in piedi in mezzo alla stanza, dritto nella postura del soldato.
Non me lo porteranno via, non di nuovo, non stavolta.

- Mi dica per dove e entro quando potrò partire.

Quando Mycroft si era girato aveva visto una luce assassina negli occhi dell'ex medico militare e aveva compreso che non si sarebbe arreso fino a quando non avesse trovato Sherlock.

Ed era riuscito a trovarlo. Una settimana ed era riuscito a scovare la cellula che lo teneva prigioniero. Non che fosse stato poi così difficile, non smettevano di vantarsi (idioti) di avere catturato il grande Sherlock Holmes. Nemmeno irrompere nel loro covo era stato molto complicato, i tirapiedi di Mycroft erano ben addestrati e nelle sue vene scorreva un'ira che non aveva lasciato loro alcuno scampo.
La parte peggiore era stata vedere Sherlock prigioniero, legato con delle catene al muro, mentre veniva picchiato da uno dei terroristi che intanto gli urlava qualcosa che John non riusciva a capire, assordato dal rombo del sangue nelle orecchie. Un colpo solo, dritto alla testa, aveva sprecato per quella feccia e poi era corso a liberare il suo migliore amico. Il suo corpo gli era sembrato un campo di battaglia: tagli e ferite su tutta la schiena, lividi e sangue sul suo viso, cicatrici che si sarebbero aggiunte a quelle che già possedeva. Una volta liberato dalle catene, aveva dovuto sorreggerlo altrimenti sarebbe crollato a terra. Aveva urlato che portassero una barella, mentre lo adagiava piano sul pavimento, la testa posata sulle sue gambe.

- John. Quindi, adesso oltre a sentire la tua voce riesco anche a vederti. Devo essere proprio impazzito. (2)

Una coltellata avrebbe fatto meno male. Sherlock aveva creduto che lui non fosse reale.

- Sono io, Sherlock. Sono davvero qui, non sei impazzito.

Il consulting detective lo aveva guardato, tentando di concentrarsi su di lui. Aveva alzato una mano, portandola al viso dell'altro.
- John - aveva sussurrato, posandogli la mano sul viso, mentre John l'avvolgeva con la sua. Poi uno spasmo di dolore l'aveva percorso.

- Non andare via, John - aveva poi detto prima di perdere i sensi.

E John non se n'era andato da allora. Sherlock al risveglio in ospedale l'aveva trovato addormentato con la testa sul suo letto e la mano sulla sua. L'aveva guardato per un po' e aveva pensato che ancora una volta quel piccolo soldato testardo era riuscito a salvarlo.
John era rimasto accanto a lui durante tutto il periodo in cui era stato in ospedale, leggendogli fascicoli di vecchi casi irrisolti, regalo di bentornato di Lestrade. Lo toccava spesso, a volte con la scusa di mettere a posto i cuscini o di controllare le fasciature o i punti, a volte semplicemente per avvisarlo che stava andando a prendere qualcosa da mangiare, vuoi che ti porti qualcosa?
Sherlock era rimasto sempre stupito dalla sensazione di benessere che lo pervadeva ogni volta che il suo corpo entrava in contatto con quello di John. Aveva temuto di non vederlo più, aveva creduto in quelle due settimane di prigionia e tortura di dover morire davvero lì, in quel lurido scantinato, senza neanche vedere John un'ultima volta. Perché nonostante la previsione di Mycroft, lui era sempre stato convinto che avrebbe potuto farcela. Era Sherlock Holmes, che diamine! Ma si erano ritrovati e quei piccoli tocchi glielo ricordavano.

Quando finalmente era uscito dall'ospedale, malandato e debole, ed era tornato al 221B aveva tirato un sospiro di sollievo. Sorretto da John, era salito e poi si era diretto verso la sua poltrona. Odiava ammetterlo, ma gli era mancato tutto di quell'appartamento, a cominciare dal rumore di John che preparava il the. Da tempo era ormai sceso a patti con il sentimento che provava per l'ex medico militare e tuttavia faceva ancora fatica ad accettare pienamente i suoi effetti.
John era poi tornato con due tazze piene del liquido caldo, passandone una a Sherlock e andando a sedersi sulla sua poltrona. Il consulente detective lo aveva osservato di sottecchi. Durante la sua degenza ospedaliera non avevano parlato del futuro nè tantomeno del passato, si erano limitati a ignorarli entrambi, come se ci fosse solo un eterno presente per loro. Adesso nessuno dei due sapeva come affrontare quel futuro imminente e quel passato troppo vicino. Il primo a parlare era stato John che al contrario di quanto aveva pensato Sherlock, aveva posto una semplice domanda con tono tranquillo, come se stesse parlando del tempo.

- Siamo ancora solo noi due contro il resto del mondo?

E il futuro era già cominciato.

 

Dicevamo, all'inizio erano tocchi casuali. Dita che si sfioravano mentre si passavano il the, spalle che si toccavano mentre erano sul divano, cose così. Per John quegli attimi erano giorni interi di sole e calore, secondi di luce splendente. Il dottore, troppo preso dal prendersi cura di uno Sherlock ancora convalescente, decise di ignorare le sensazioni che quei momenti gli procuravano e ci riusciva anche bene. Ma quando arrivava la notte si rigirava nel suo letto, incapace di prendere sonno per i troppi e confusi pensieri che si aggiravano nella sua testa.

Era passata quasi una settimana dal ritorno di Sherlock al 221B. Era notte fonda e John ancora una volta si rigirò nel suo letto. Era stanco e nervoso. Aveva passato la giornata a tentare di non uccidere Sherlock che, annoiato, non faceva altro che lamentarsi di tutto, dalla tv al the, dal cibo ai suoi maglioni. Alla fine a sera l'aveva mandato al diavolo ed era salito in camera sua, lasciando il detective sul divano. In più c'era quel sentimento (amore?) con il quale aveva dovuto fare i conti e il suo desiderio schiacciante di toccarlo continuamente, come per assicurarsi che fosse ancora lì, che fosse vero, vivo. Anche in quel momento, mentre era nel suo letto e l'unica cosa che avrebbe dovuto sentire era irritazione nei confronti del detective, in realtà avrebbe voluto andare a vedere come stava, se stesse dormendo o se fosse ancora sveglio e poi sfiorarlo casualmente, per sincerarsi di non essere impazzito.
Decise di scendere a prepararsi una camomilla, sperando che magari l'avrebbe fatto rilassare.

Quando John se n'era andato, Sherlock per un attimo era rimasto stupito. Immobile sul divano, aveva pensato che per la prima volta da quando si erano ritrovati l'ex medico militare l'aveva lasciato solo. Quel pensiero l'aveva tenuto occupato per un bel po' di tempo. Gli provocava sensazioni che non riusciva bene a catalogare. Si addormentò mentre era ancora intento a trovare una spiegazione logica, quasi senza volerlo, spossato dalla convalescenza e dalla leggera febbre che aveva. Un attimo prima stava camminando verso la biblioteca del suo palazzo mentale e l'attimo dopo quest'ultimo era scomparso. C'era solo il buio e una voce troppo lontana che Sherlock non riusciva a riconoscere all'inizio. Tentò di seguire la voce e man mano che camminava l'ambiente in cui si trovava si rischiarava. Ciò che vide però lo pietrificò sul posto: la voce che non riusciva a riconoscere era quella di uno dei terroristi che l'avevano catturato, solo che non era lui quello incatenato, era John. John che chissà come conosceva la lingua del suo aguzzino e che rispondeva a tono ad ogni frase. John che aveva il corpo cosparso di ferite. John che veniva ucciso dal terrorista che all'improvviso era diventato Moriarty e che ora rideva. John che non respirava più, gli occhi blu che si chiudevano piano.
JohnJohnJohnJohn.

- John!

Si svegliò di soprassalto, sudato e con il fiatone come se avesse corso una maratona.
Il medico era in cucina e si stava preparando la sua camomilla, quando sentì Sherlock.

- Sherlock, scusa. Non volevo svegliarti.

Lo guardò e doveva avere davvero una faccia sconvolta perché John si zittì, facendosi subito serio. Sherlock non riusciva a pensare, le mani gli tremavano, l'immagine di John sanguinante ancora negli occhi. Lo fissò, beandosi della sua figura in pigiama e con la terribile voglia di toccarlo, affondare il viso nell'incavo del suo collo, solo per sentire che l'incubo di poco prima non era reale, che John era lì e non se ne sarebbe mai andato.

- Stai bene, Sherlock? - gli chiese John, avvicinandosi preoccupato.

Aveva una faccia sconvolta e i suoi occhi erano accesi da qualcosa che il medico non avrebbe mai voluto vedere, non negli occhi del consulting detective. Quelli erano occhi pieni di paura e dolore.

- John. Io.. sì. Sì, sto bene - gli rispose, risultando falso perfino a se stesso.

- Sherlock, non prendermi in giro - gli disse il medico guardandolo serio.

Il più giovane si sedette, prendendosi la testa tra le mani. Quell'incubo l'aveva davvero sconvolto e ora si sentiva fragile e scoperto. Ma sapeva di potersi fidare di John.

- Ho avuto un incubo - cominciò, sforzandosi di tenere ferma la voce.
- Ti ho sognato. Eri incatenato al mio posto e c'era uno di quei terroristi che ti torturava e che poi ti.. uccideva.

La voce gli si spezzò sul'ultima parola. John vide una lacrima cadere e scivolare lungo la guancia del detective.
Sherlock alzò la testa e lo guardò negli occhi, poi risprese a parlare con voce tremante.

- Mentre ero prigioniero ho spesso pensato che non sarei riuscito a rivederti, che sarei morto lì e questo pensiero era peggio di tutte le torture che subivo. Poi ci siamo ritrovati e tu mi hai salvato e io credevo di essere impazzito perché avevo perso ogni speranza. E da allora io ho bisogno di continue conferme della tua presenza, registro dettagli insignificanti come due tazze di the, l'odore del tuo dopobarba, i tuoi stupidi maglioni, il tocco delle tue spalle sul divano. Capisci, John? Io, che memorizzo queste cose solo per assicurarmi di non essere impazzito e..

John gli si avvicinò e lo abbracciò, sorprendendo dapprima se stesso. Ma non aveva mai visto Sherlock così umano, così uguale a lui. Perché il consulting detective non lo sapeva, ma quelle che aveva appena descritto erano anche le sensazioni dell'ex medico militare.
Sherlock si zittì immediatamente, aggrappandosi al medico in un modo che nessuno dei due avrebbe mai ritenuto possibile. John poi si sedette e fece in modo che Sherlock si distendesse, posando la testa sulle sue gambe. Rimasero semplicemente così, a guardarsi negli occhi e a sfiorarsi, le mani sul viso dell'altro. Poi John decise di parlare perché ne sentiva il bisogno.

- Quando ho saputo che avevano perso le tue tracce ho avuto paura. Paura che ti portassero di nuovo via e che io non ti riuscissi di nuovo a salvare. Ma non potevo permetterlo. E da quando siamo tornati ti sarai di sicuro accorto con quel tuo cervello superintelligente che non faccio altro che trovare scuse per sfiorarti e rassicurarmi che tu sia vero e non uno scherzo della mia mente. Non riesco a smettere di toccarti. A dire il vero, credo che non riuscirò a smettere mai.

Si sorrisero, complici come lo erano sempre stati. Per quella notte non ci sarebbero state altre parole, dichiarazioni, baci. Ci sarebbe stato tempo per quello, per parlare e mettere sul tavolo i loro sentimenti ormai palesi. Ora l'unica cosa di cui avevano bisogno era di lenire i corrispettivi dolori e leccarsi le ferite, lasciandosi invadere dalla sicurezza che da quel momento in poi sarebbero stati sempre, senza più niente e nessuno a dividerli, il consulting detective e il suo blogger.

Note
1. Adoro il personaggio di Mary, ma in questa storia ho deciso di "toglierla di mezzo", non so esattamente in che modo, forse è partita, forse semplicemente John non vuole più vederla, decidete voi insomma.
2. Ho immaginato che Sherlock sentisse la voce di John durante la prigionia, come in alcune scene della 3x01, magari per un bisogno inconscio di sopperire alla sua mancanza.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Sarathehobbit