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Autore: AloneAgainstZombies    02/09/2015    1 recensioni
Ambientata dopo la 5x12 (SPOILER)
Una one shot scritta di getto in un momento di ispirazione. Dal testo:
Si passò una mano tatuata lungo il viso, massaggiandoselo mentre teneva l’altra dietro la nuca, steso su quello scomodo letto che ormai gli faceva compagnia da un anno a quella parte.
(Precede la long-fic "It’s gonna get bad before it gets good")
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Mickey Milkovich, Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Solo fottute lacrime

Mura grigie, porte blindate e tanti, troppi fottuti sbirri in giro.
Quanto tempo era passato? Un mese, due? No… troppo poco, era decisamente troppo poco tempo.
Quella routine gli era ormai entrata in testa, non che fosse la prima volta dentro un carcere, ma la condanna non era mai stata così alta. Se l’era sempre cavata con qualche mese di riformatorio, e molte volte era anche uscito prima per buona condotta o sovraffollamento.
Doveva scontare trent’anni dentro quella stanzetta spoglia, dove l’unico spiraglio di luce fuoriusciva da una finestrella sulla parte alta della parete.
Il giudice era stato irremovibile al processo: tentato omicidio.
Non che fosse stato l’unico ad architettare vendetta contro quella vipera bionda che si era catapultata nella sua vita, ma era stato lui e soltanto lui ad essere condannato.
Si passò una mano tatuata lungo il viso, massaggiandoselo mentre teneva l’altra dietro la nuca, steso su quello scomodo letto che ormai gli faceva compagnia da un anno a quella parte.

Un anno.

Un anno da quando aveva iniziato a sorbirsi la sbobba della mensa ogni santo giorno, abituandocisi.
Un anno da quando aveva dovuto marchiare il suo territorio per farsi rispettare dagli altri carcerati.
Un anno da quando aveva lasciato la sua vita nel South Side di Chicago.
Un anno da quando aveva visto per l’ultima volta quella testa rossa.
Un anno da quando aveva sentito il proprio cuore infrangersi in mille dolorosi pezzi, e mai se lo sarebbe aspettato.

Grattò le labbra carnose con i denti, nervosamente, mentre affondava gli occhi chiari in un punto indecifrato del soffitto. Li spostò per un instante sulla la finestrella da cui poteva intravedere la luna stagliarsi sul cielo limpido, di conseguenza concentrò la sua attenzione sull’orologio al di là delle sbarre della propria cella.

«Buon compleanno Mickey fottuto Milkovich.»

Bisbigliò piano, piegando l’angolo delle labbra in un leggero ghigno.
Era scattata la mezzanotte del 10 Agosto 2016 e Mickey aveva deciso che era giunto il momento di coricarsi e smettere di far lavorare il cervello, cosa in cui era sempre stato esperto.
 
* * *

«Hey, Milkovich.»

Una voce dura infranse quel chiacchiericcio che faceva sempre DA contorno all’ora di svago che ogni giorno gli veniva concessa.
Il moro soffiò via il fumo dalla bocca e gettò a terra il mozzicone della sigaretta con il suo solito fare strafottente, solo dopo averlo pestato con la scarpa decise di concedere la sua attenzione, puntando le iridi azzurre sulla guardia.
Cosa aveva da guardarlo così? Era addirittura più basso di lui, avrebbe potuto pestarlo se solo ne aveva la possibilità.

«Hai visite.»

Immediatamente il volto del ragazzo mutò in un’espressione di sorpresa mista a incredulità.
Era in quel buco da un anno e nessuno aveva avuto la decenza di andarlo a trovare, non che gli importasse più di tanto... apparentemente.
Non disse nulla, sprofondò le mani nelle tasche della sua divisa e seguì la guardia all’interno della struttura. Chi era la persona che aveva anche solo speso dieci minuti della sua cazzo di vita per andare a parlare con un ragazzo come lui? Feccia del South Side.
La porta della “stanza degli incontri”, come la chiamava lui le volte in cui era stato messo dentro, si aprì e Mickey potette vedere quella tipica sedia, il telefono e il vetro che lo divideva dal suo interlocutore.
Si umettò le labbra, mordendosele come era solito fare, e osservò oltre quel vetro sgranando gli occhi.

Doveva essere sincero con sé stesso: aveva sperato nel suo profondo che quella testa rossa, anche dopo il modo in cui lo aveva lasciato, lo venisse a trovare. Voleva vederlo, Dio solo sapeva quando gli mancava, ma allo stesso tempo non era passato giorno che desiderasse prenderlo a pugni per il suo comportamento.
Sapeva che era malato. Sapeva che aveva quel cazzo di bipoqualcosa… ma lui, Mickey Milkovich, aveva dato tutto se stesso per quel ragazzino. Era andato contro il suo stesso padre, aveva fatto coming out per lui. Aveva dato la sua parola: lo avrebbe protetto e ci sarebbe stato sempre per lui, per Ian Gallagher. Il suo Ian.

Ma chi si stagliava dietro quella spessa vetrata era qualcuno a cui aveva pensato remotamente, qualcuno per cui aveva creduto che quel saluto doloroso e non voluto fosse un addio… e invece eccola lì con il suo ghigno, tanto simile al suo, salutarlo innocentemente con una mano.
Mickey afferrò tremante la cornetta mentre non riusciva a staccare gli occhi da quelli della sua interlocutrice.

«Mandy…»

Un sussurro incredulo e il tono flebile non si riuscivano a collegare a Mickey. Per tutta risposta Mandy ridacchiò e scosse la testa. Il suo volto era stanco ma, con grande sollievo di Mickey, intonso dai segni di violenza che lo avevano caratterizzato le ultime volte in cui aveva potuto vederla.

«Cos’è quella faccia da coglione?»

Lo rimbeccò immediatamente la sorella, con una leggera risatina mentre si passava una mano tra i capelli scuri. Li aveva tagliati, faticavano ad arrivare alle spalle e la frangia che la contraddistingueva era sparita lasciando posto ad un ciuffo corvino che le copriva leggermente l’occhio sinistro.

«Quando cazzo sei tornata? Cioè… come cazzo hai fatto a tornare? Hai fatto fuori quel figlio di puttana?»

La tempestò di domande, dal suo tono si poteva cogliere gioia nel rivedere la sorella e sapere che stava bene.
Mandy gli sorrise mentre stringeva la cornetta con la mano, si concesse di rispondere solo dopo qualche secondo.

«Sono riuscita a combattere, a vincere. Ho denunciato Kenyatta e, architettandogli un’imboscata, sono riuscita a farlo arrestare. Ergastolo in un merdoso carcere nel Colorado. – Fece una piccola pausa mentre sentiva gli occhi farsi umidi. Aveva sperato di tornare a casa sua e di ricominciare… ma anche nel South Side le cose erano cambiate, l’unica ancora di salvezza che sapeva di avere era suo fratello. – Quanto tempo, Mickey?»

Gli chiese con la voce tremante per le lacrime imminenti, non voleva piangere davanti a lui, se ne vergognava.
Il moro spostò lo sguardo di lato, sapeva che se le avesse risposto e detto la verità si sarebbe potuta frantumare proprio davanti ai suoi occhi come finissima porcellana.

«Trent’anni.»

Disse alla fine, senza nemmeno guardarla, sapendo già che le sue guance erano rigate dalle lacrime. La sentì singhiozzare e ciò lo portò a guardarla, sentendo una morsa attanagliargli il petto.

«S-scusa… non… non volevo fa-farlo davanti a te…»

Pianse, coprendosi la bocca con una mano. Era paonazza per la vergogna di mostrarsi fragile davanti al fratello maggiore e cercò di mascherare il tutto chinandosi verso la borsa che teneva in grembo. Oltre al pacchetto di fazzoletti per asciugarsi il viso estrasse un pezzo di carta, presumibilmente una polaroid, che appoggiò sul tavolino davanti a lei.
Mickey spostò l’attenzione su quest’ultimo, confuso ma allo stesso tempo incuriosito. Non disse nulla, aspettando che la sorella si riprendesse.

«B-buon compleanno, Mickey…»

Disse, dopo dieci secondi buoni di silenzio. Aveva preso il foglietto e lo aveva girato verso il vetro, mostrandogli il contenuto.
Una foto, una semplicissima foto, anche leggermente sfocata, ma ciò che importava era il soggetto, e quello si vedeva bene.
Un ragazzo che camminava, le mani infilate nelle tasche di quell’inconfondibile cappotto dagli interni arancioni, lo sguardo vacuo, la pelle diafana con qualche lentiggine non colta dalla fotocamera, i capelli rossi scombinati. C’era una data sul lato destro della foto: 10 Agosto 2016.

«Sono tornata questa mattina a casa, Iggy mi ha detto del tuo arresto e sono corsa da te. Ma prima di arrivare… l’ho intravisto e gli ho fatto una foto per mostrartelo: sta bene.»

Ormai Mickey non la stava nemmeno più ascoltando, gli occhi erano stati rapiti da quel ragazzo che non vedeva da tempo. Meccanicamente pose una mano sul vetro, sfiorando con i polpastrelli i lineamenti di quel volto che quasi tutte le notti gli faceva visita durante il sonno.
Era cambiato, Mickey, non avrebbe mai immaginato di fare una cosa che anni prima avrebbe reputato “da froci”. Ma non gli importava, in quel momento non era lì.

«Come abbiamo fatto ad incasinarci la vita con due Gallagher?»

Domandò Mandy, sorridendo tra le lacrime.
Lacrime.
Solo fottute lacrime.

 

Hello there!
Non scrivo molto spesso fanfiction, ma quando sono ispirata devo scrivere qualcosa oppure non mi do pace, lol. Sto amando Shameless e tutti i suoi personaggi, ma mi sono innamorata della storia dei Gallavich e... dato che non riesco ad attendere l'inizio della sesta stagione e sperare di vedere Mickey ancora all'azione, ho deciso di scrivere questa breve storia incentrandola sulla reclusione di quest'ultimo in carcere per il tentato omicidio di Sammy. Oh, e ovviamente spero in un ritorno di Mandy (cosa che però non credo succederà, sigh.)
Spero vi sia piaciuta e... chissà, magari mi gira e creo una raccolta di ministorielle! Ahahah!
Lasciatemi una recensione per sapere se vi è piaciuta o se avete delle critiche da muovere; ho sempre immaginato dal punto di vista di Ian e scrivere di Mickey è stata la prima volta... quindi pardon! XD
A presto!


K
   
 
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