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Autore: The_BlackRose    03/09/2015    2 recensioni
"Io… io… mi dispiace." Era stata una voce sottile e soffice come lo zucchero filato a parlare.
Immediatamente si avvicinò a lei. "Tranquilla, non è successo niente. Stai bene?"
Lei ignorò la sua domanda. "Sono sbucata fuori così all'improvviso e ti ho fatto quasi andare fuori strada. Io… mi dispiace."
Un velo di preoccupazione avvolse Simon. "Ehi, ma stai bene? Sembri sconvolta." Si piegò per guardarla meglio nei brillanti occhi scuri. Erano lucidi. Lacrime? O era solo la pioggia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Izzy Lightwood, Simon Lewis
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La pioggia picchiettava insistente contro il parabrezza della macchina. La strada, resa scivolosa dall'acqua, era deserta e il sole oscurato dalle nubi temporalesche non permetteva la migliore delle visuali. Simon imprecò sottovoce quando la radio si bloccò per l'ennesima volta. Doveva proprio decidersi a comprare un'auto nuova. Diede un pugno al cruscotto nel tentativo di far ripartire l'impianto, ma non successe nulla. Lo colpì ancora e ancora. Tutto inutile.
"Oh, andiamo! Non lasciarmi proprio adesso." Mancava ancora un quarto d'ora di macchina per raggiungere casa sua e il brutto tempo non faceva altro che renderlo più nervoso. Se c'erano persone, con qualche evidente disagio mentale, che consideravano la pioggia rilassante, Simon non la riusciva a sopportare. L'umidità, il costante rumore di picchiettare, l'asfalto scivoloso, le pozzanghere, quel persistente odore di bagnato… No, non era per niente rilassante, tutto il contrario. E quando finalmente aveva trovato un modo per distrarsi dal tempo schifoso al di fuori del finestrino perdendosi a cantare a squarciagola canzoni sentite e risentite, ecco che la radio moriva. Di nuovo.
Simon odiava viaggiare in macchina senza la musica a riempire l'abitacolo, perché l'unica altra opzione che gli rimaneva era rimuginare sulla sua noiosa e insignificante vita di sedicenne liceale. E fu ciò che accadde in quel momento: si ritrovò a ripensare alla mattina triste e monotona che aveva avuto. Si era svegliato, aveva mangiato i soliti cereali insipidi, fatto una doccia gelata e corso come un pazzo fino a scuola con il suo catorcio di macchina per non arrivare in ritardo. Puntualmente il prof gli aveva fatto la sua solita ramanzina su come fosse deluso dal suo ennesimo ritardo e Simon aveva raggiunto il suo posto senza ascoltare una sola parola. Aveva passato la mattina a chiacchierare con Clary, la sua migliore amica dai tempi delle elementari, e si era beccato una punizione quando il signor Hensinton lo aveva interrogato e lui non era riuscito a rispondere ad una sola domanda, neppure quando gli era stata chiesta la data. Passato il pomeriggio ad impilare matite una sopra l'altra nel tentativo di costruire una fortezza inespugnabile, che un suo starnuto aveva poi raso al suolo, per passare le ore di punizione, era ora sulla strada di casa. E così succedeva ogni singolo giorno. Mica male la sua vita, no? No.
Mentre decideva se fare o meno una capatina al negozio di fumetti, una figura nera e sottile s'impalò proprio in mezzo alla strada. Simon sterzò rapidamente, tanto che per poco non andò a sbattere contro un albero che costeggiava il marciapiede del quartiere residenziale dove si trovava ora. Frenò di colpo e imprecò sonoramente scendendo dalla macchina. Tentò di coprirsi il capo con il cappuccio della felpa per proteggersi dalla pioggia, ma nel giro di pochi secondi era già zuppo. Si tolse gli occhiali e li asciugò nei jeans per riuscire a vedere meglio cosa avesse quasi investito.
"Io… io… mi dispiace." Era stata una voce sottile e soffice come lo zucchero filato a parlare.
Simon sgranò gli occhi quando riconobbe la persona che sostava proprio davanti a lui.
Era una ragazza dai lunghi capelli neri come la pece avvolta in una giacchetta leggera, troppo leggera per quel tempaccio. Era bagnata dalla testa ai piedi e si stringeva il corpo nel tentativo di riscaldarsi. Simon non credeva ai suoi occhi: Isabelle Lightwood era proprio lì di fronte a lui, la ragazza per cui aveva avuto una cotta dal primo giorno di liceo.
Immediatamente si avvicinò a lei. "Tranquilla, non è successo niente. Stai bene?"
Lei ignorò la sua domanda. "Sono sbucata fuori così all'improvviso e ti ho fatto quasi andare fuori strada. Io… mi dispiace."
Un velo di preoccupazione avvolse Simon. "Ehi, ma stai bene? Sembri sconvolta." Si piegò per guardarla meglio nei brillanti occhi scuri. Erano lucidi. Lacrime? O era solo la pioggia?
"Io…" Si coprì la faccia con le mani.
Simon le posò una mano sulla spalla. "Sei fradicia, entra un attimo in macchina così ti calmi, ok?"
Isabelle lo guardò un attimo negli occhi, o meglio, negli occhiali appannati e annuì. Simon la guidò così alla macchina e la fece accomodare sul sedile del passeggero. Ritornò al suo posto di guidatore e si chiuse la portiera alle spalle. Diede un'occhiata alla ragazza seduta accanto a lui e prese a frugare nel retro della macchina.
"Tieni," le disse allungandole la sua giacca militare.
Isabelle la prese sussurrando un debole ringraziamento e si tolse la sua giacca fradicia. Sotto portava solo una canottiera bianca che le si era appiccicata al corpo per via della pioggia ed era ormai quasi completamente trasparente. Simon si ritrovò a deglutire.
Strettasi dentro alla nuova giacca parve rilassarsi.
"Hai intenzione di dirmi perché eri lì fuori sotto alla pioggia da sola?" riprovò a chiedere Simon.
Isabelle prese un profondo respiro. "Quella è la mia casa." Indicò con un cenno una villetta bianca alle sue spalle. "Ho litigato con i miei genitori e non riuscivo più a stare là dentro, sono dovuta uscire."
"E dove pensavi di andare?"
Isabelle scosse la testa. "Non lo so, avevo solo bisogno di cambiare aria e per poco non ti ho quasi fatto ammazzare." Fece una risata amara. Fece un gesto della mano quasi come per tentare di scacciare via quel pensiero, dopodiché l'allungò a Simon. "Non ci siamo ancora presentati. Io sono Isabelle, ma puoi chiamarmi Izzy."
Simon prese la sua mano. "Lo so, cioè, ti ho già vista qualche volta a scuola," balbettò.
Isabelle piegò la testa e fece un'espressione interrogativa. Era adorabile. "Davvero? Non mi ricordo di te. Ci siamo mai parlati?"
"No, non ne abbiamo mai avuto l'occasione. Comunque io sono Simon."
"È un piacere, Simon. Grazie per non avermi investita," ridacchiò mostrando i denti bianchissimi. Simon era incantato.
"Non avrei di certo tirato sotto una ragazza così carina." Appena realizzò cos'aveva appena detto, serrò la bocca di scatto. Ma come gli era venuta in mente questa? Arrossì di colpo.
"Wow." Isabelle incrociò lo braccia e appoggiò la testa allo schienale sorridendo. "Vai dritto al sodo."
Il cervello di Simon si mise in moto per cercare di trovare una risposta intelligente.
"Non preoccuparti," lo tranquillizzò lei dandogli una pacca sul braccio. "Sembra che ti abbia appena tirato un ceffone." Gli scompigliò i capelli ridendo. Simon si sentiva in paradiso. Rise anche lui.
"Allora, perché hai litigato con i tuoi? Se posso saperlo, ovviamente."
Isabelle si strinse meglio la giacca attorno al corpo. "Mio fratello è gay e oggi ha trovato il coraggio per fare coming out. I miei non l'hanno presa bene." Scosse la testa e i capelli bagnati gettarono goccioline ovunque. "Mio padre ha cominciato a urlare e insultarlo dicendo che era una delusione. Io mi sono infuriata e ho tentato di difenderlo, così loro si sono accaniti anche su di me. Mio fratello è scappato via, probabilmente si sarà rifugiato dal suo ragazzo. Io non sono più riuscita a stare là dentro, avevo bisogno d'aria e così eccomi qua," concluse scrollando le spalle. "In una macchina con uno sconosciuto che potrebbe benissimo essere un maniaco a raccontargli i miei problemi."
"Non pensi che se fossi stato un maniaco avrei già provato a fare… insomma, cose da maniaco?"
Isabelle scoppiò a ridere e venne seguita a ruota da Simon.
Quando entrambi si calmarono, Simon parlò. "Mi dispiace per tuo fratello, vedrai che si sistemerà tutto. L'importante è che abbia qualcuno accanto a sé che lo sostenga."
Isabelle sorrise debolmente.
"Beh, siamo in mezzo alla strada. Mi stupisco che qualcuno non ci sia ancora venuto addosso. Io direi di spostarci," propose Simon.
"Sono completamente d'accordo." Si sistemò meglio sul sedile e si allacciò la cintura. "Allora, dove andiamo?"
Simon la guardò. Doveva aver capito male. "Come, scusa?"
“Di certo non ho intenzione di tornare a casa. Andiamo da qualche parte e divertiamoci."
"Ehm… ok." Si allacciò a sua volta la cintura e accese il motore. "Dove vorresti andare?"
"Non saprei, dove stavi andando prima di quasi-investirmi?"
"In realtà stavo tornando a casa per la cena." Grandioso, Simon. Una ragazza fantastica ti offre la possibilità di passare del tempo con lei e tu rovini tutto così?
"Perfetto!" Batté le mani e guardò l'orologio digitale dell'auto. "È tardi, sono affamata."
Simon dovette girarsi verso di lei per essere sicuro di non aver capito male. "Come?"
"Andiamo da te, no? A meno che non sia un problema."
"No no, assolutamente no," rispose in fretta. Mise in moto e si diressero verso casa Lewis.
Stava davvero per portare Isabelle Lightwood a casa sua? Dopo averla quasi investita? Roba da matti.

"Mamma, abbiamo un'ospite stasera!" esclamò Simon quando varcarono la porta di casa.
Elaine Lewis sbucò in corridoio e venne in contro ai ragazzi. "Hai portato una ragazza?" Sorrise. "E che bella ragazza! Io sono Elaine," si presentò allungandole la mano.
"Isabelle, è un piacere conoscerla. Suo figlio è stato così gentile con me questa sera." Guardò Simon con un grande sorriso.
"Oh sì, mio figlio è proprio un tesoro."
"Mamma, per favore," la richiamò lui in imbarazzo.
"Isabelle, hai intenzione di rimanere per la cena?"
"Mi farebbe piacere, signora. Ma prima potrei chiederle se ha qualcosa con cui potrei cambiarmi?" chiese indicando i vestiti bagnati che indossava.
"Ma certo! Rebecca, mia figlia, deve avere all'incirca la tua taglia. Troveremo di sicuro qualcosa che puoi mettere." La trascinò al piano di sopra mentre Isabelle guardava Simon ridacchiando.

Avevano mangiato tutti insieme. Rebecca aveva trovato Isabelle molto simpatica, avevano passato tutta la cena a chiacchierare ed era stata più che disponibile a prestarle i suoi vestiti.
Ora erano in macchina. Nonostante avessero passato una bella serata, era ora per Isabelle di tornare a casa. Per qualche strano scherzo del destino la radio era tornata a funzionare e adesso i due cantavano a squarciagola la canzone sparata ad un volume assordante. Sorridevano entrambi e continuavano a scambiarsi occhiate mentre urlavano le parole della canzone. Simon si accorse in quel momento di quanto la ragazza fosse ancora più bella vista da vicino.
Purtroppo, però, arrivarono davanti a casa Lightwood fin troppo presto e dovettero scendere dalla macchina.
Giunti alla porta, Simon non avrebbe voluto lasciarla andare.
"Ti ringrazio per oggi. La tua famiglia è proprio simpatica."
"Grazie a te, era da tempo che non avevo una giornata un po' diversa dal solito."
Isabelle sorrise e si dondolò sui talloni. "Ok, direi che è ora che io vada. Vediamoci domani a scuola, ok?"
"C… certo, assolutamente," balbettò Simon. Questo era un sogno, lo voleva rivedere.
"Perfetto!" Si alzò sulle punte dei piedi e appoggiandosi al suo braccio gli stampò un delicato bacio sulla guancia. Si allontanò di poco sorridendo e osservò la sua reazione, senza però lasciare il suo braccio.
Inutile dire che lui era diventato completamente rosso, manco avesse mangiato uno di quei peperoncini super piccanti che facevano vedere in televisione. Deglutì.
Isabelle si mordicchiò il labbro inferiore e si staccò dal suo braccio. "Ci vediamo domani," annunciò camminando all'indietro senza mai staccare gli occhi dai suoi e afferrando la maniglia della porta. Simon la salutò con il viso ancora tutto arrossato e quando la porta si chiuse si girò con un'espressione trionfante in volto. Gonfiò il petto e si diresse alla suo catorcio, ma non prima di aver fatto il suo consueto salto della vittoria. Questo era molto meglio di un sogno.
"Amo la pioggia!"

  
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