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Autore: Barbara Baumgarten    03/09/2015    1 recensioni
What if... storia d'amore che partecipa al contest E se... di milla4 sul forum. Una coppia strana, inaspettata. Una notte, un tradimento. Rose non saprebbe spiegare cosa sia accaduto, quella sera, quando, d'un tratto, fece l'amore con Jacob.
Genere: Introspettivo, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jacob Black, Rosalie Hale
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn
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~~Ero appena rientrata da una battuta di caccia, quando il telefono squillò. Ricordo che sbuffai, infastidita dal fatto di dover posticipare la doccia ancora di qualche istante. Sinceramente, fui molto tentata dal non rispondere, ma sentii che qualcosa non andava.
“Pronto?” dissi con il mio consueto tono altezzoso. Molti mi odiavano per quel tono, ma era l’unica cosa che mi rendeva, ancora, la donna che ero stata. Non so spiegare la sorpresa nel sentire la voce di Bella, dall’altro capo. Perché mi stava telefonando? Ma, soprattutto, perché mi chiamava Rose?
“Ho bisogno del tuo aiuto” mi disse. Incredibile! Pensai fra me, perché era noto a tutti il fatto che io e lei non fossimo, proprio, amiche. Io non avevo mai digerito la storia fra lei ed Edward, tanto più che lei sembrò fin da subito disposta a rinunciare alla sua mortalità per lui.
“Che c’è?” le chiesi indifferente. Silenzio. “Bella? Ci sei?” dissi, questa volta preoccupata. Doveva aver trattenuto il fiato, perché non riuscì a sentire il suo respiro.
“Si” disse “Non ho molto tempo per spiegarti” era impaurita, lo potevo avvertire con facilità dal modo in cui le tremava la voce. “Sono incinta e devi aiutarmi a salvare il bambino”. Fu un colpo. In un istante, mi sembrò che la terra sotto i miei piedi si fosse aperta e io stessi precipitando nel baratro. Incinta. Com’era possibile? Rimasi zitta, ricordo che non trovai le parole per descrivere ciò che provavo. Avrei dovuto dire qualcosa, lo sapevo, ma le parole non uscirono. Bella riagganciò la conversazione e venni sollevata dal dire qualsiasi cosa. Ricordo che posai il cellulare sul comodino e, lentamente, mi diressi verso la doccia. Non era possibile.

Due giorni dopo, Bella ed Edward varcarono la porta di casa. Prima del loro arrivo, Carlisle volle parlare a tutti noi della questione.
“Non riesco a trovare le parole per dirvi ciò che è accaduto” disse in tono grave, visibilmente in difficoltà.
“Bella è rimasta incinta”
Quelle parole fecero ammutolire perfino Emmet che mi guardò come a chiedermi se ne sapessi qualcosa.
“Stanno tornando a casa, così che possiamo interrompere la gravidanza, prima che Bella sia in pericolo” riferì Carlisle. Ecco perché Bella mi aveva chiesto aiuto: volevano che lei si disfasse del bambino.
“Perché credi si pericoloso, Carlisle?” chiesi, portando tutti a guardarmi come se fossi pazza.
“Perché non sappiamo cosa sia” disse Alice. “Non riesco a vedere il futuro del feto né quello di Bella. Sono entrambi scomparsi dalla mia vista, nel momento stesso in cui lei è rimasta incinta”
Non doveva essere, necessariamente, un brutto segno. Le visioni di Alice avevano dei buchi, così come l’esercito di neonati creato da Victoria aveva brillantemente messo a nudo, ma ciò non significava un pericolo per Bella. E poi, ero arcistufa di dover salvare continuamente la vita di quella ragazza: da quando era entrata nelle nostre vite, non avevamo fatto altro. Decisi, tuttavia, di non obiettare. Avrei avuto il tempo di pensare bene a cosa dire, mentre aspettavo l’arrivo di Bella.

Quando vidi Bella, quasi non riuscii riconoscerla. Era pallida e delle profonde macchie scure le circondavano gli occhi. La pancia poi… era decisamente più grande di quello che mi aspettavo. Carlisle provò ogni tecnica conosciuta per poter sondare il bambino, cercando di penetrare lo spesso sacco amniotico che lo separava dal corpo della madre. Senza successo. Passavamo ore in silenzio, guardandoci negli occhi e cercando di venire a capo di una situazione che, di certo, non avevamo mai affrontato. Ricordo che la mia mente era costantemente pervasa da mille pensieri, tutti in contraddizione fra loro. Dovevo aiutare Bella? Si, per il bene di Edward. Cosa portava in grembo? Un bambino. Ne ero convinta, lo sentivo con tutta me stessa. Ciò che Alice chiamava feto, in modo sprezzante, e che Edward appellava come mostro, per me, era chiaramente un bambino. Ciò che io avrei sempre voluto. Bella. Perché? Perché lei aveva diritto di vivere tutto ciò che io avevo desiderato? Era profondamente ingiusto. Edward mi guardava torvo e carico di rimprovero quando mi sorprendeva a fare quei pensieri. Avere un fratello che legge nella mente non era mai stata una cosa comoda, se così si può dire, ma in quella situazione di stava rivelando particolarmente complicata.
“Perché la odi così tanto, Rose?” mi chiese. Come fare a spiegare? Come trasferire, in parole, il dolore di un’esistenza vissuta odiando il proprio essere? In che modo dare voce allo strazio di una donna che non avrebbe mai potuto vivere, anche solo per un giorno, le gioie che quell’ingrata di Bella provava sulla sua calda pelle?
“Lo sai” riuscii a rispondere “E’ più facile trovare la risposta nei pensieri. Non chiedermi di dare corpo alla mia sofferenza”
“Lei non è un’ingrata” mi disse quasi ringhiando “Lei è la persona migliore che io abbia mai incontrato, con l’unico difetto di essersi innamorata di me”
Anche lui soffriva, potevo leggerglielo in faccia. Non c’era bisogno di alcun potere straordinario per vedere quanto si sentisse in colpa, per quello che, a suo giudizio, era stato un errore. Lui che l’amava così tanto, la stava condannando alla morte. O forse no…
“Certo che morirà, se non deciderà di far intervenire Carlisle!” mi disse con tono strozzato, come se potesse piangere da un momento all’altro. Non sarebbero scese lacrime, questo lo sapevo, ma lo strazio era profondo nella sua anima. 
“Edward” cercai di mantenere il tono calmo e parlare sinceramente. “Non credo che il bambino possa fare del male a Bella. Cresce in fretta, questo lo devo ammettere, ma troveremo una soluzione”
Lui non sembrò particolarmente rincuorato dalle mie parole, ma la mia convinzione lo persuase dal continuare la conversazione. Nel mio parere, Bella avrebbe portato avanti la gravidanza, a costo di dover combattere con la mia famiglia. Edward lesse questo nei miei pensieri, abbassò la testa e mi lasciò da sola.

Le giornate proseguivano identiche. Preoccupazione, una nuova idea e un ennesimo fallimento. Bella stava cambiando aspetto, secondo dopo secondo. Chiaramente, non stava bene. Ero frustrata, come tutti del resto. Da una parte, c’era lei, terribilmente sofferente; dall’altra, c’era il bambino che tutti, tranne me, volevano morto.
A volte si crede che una situazione tragica, non possa peggiorare e, immancabilmente, la vita ti dimostra il contrario. Sentii il fetore di lupo ancora prima che quel cane varcasse la soglia di casa, irruente e maleducato come al solito. Mentre saliva le scale, per raggiungerci, cominciai a ringhiare. Eccolo, in tuo il suo commiserevole aspetto: Jacob Black. Non avevamo mai avuto un buon rapporto coi lupi Quileute, tuttavia, ci sopportavamo a vicenda e, in alcune circostanze, si erano rivelati dei buoni alleati. Ma Jacob… era irritante, maleducato, altezzoso, spudorato, odioso. Non c’erano appellativi a sufficienza per descriverlo. L’antipatia era, ovviamente, reciproca. Jacob non mi sopportava, almeno quanto io ero insofferente alla sua presenza. Non capivo nemmeno perché Edward si ostinasse ad avere un rapporto con lui. Certo, Bella voleva bene a quel sacco di pulci, ma l’amor proprio ha un limite. Se solo avessi pensato che Emmett potesse avere un’amicizia così intima con una cagna del calibro di Jacob, le avrei staccato la testa ancora prima che potesse dire bau.
Eppure… non so spiegare ancora oggi cosa accadde in quei giorni. Quando ripenso a quello che ho fatto, mi preme un senso di colpa profondo, imperdonabile. So che Edward conosce il mio segreto, ma lo apprezzo per la riservatezza con cui continua a trattare l’accaduto. Se Emmett sapesse…
A mano a mano che le ore passavano, la vicinanza di Jacob mi procurava uno strano senso di mal di stomaco. Sembrava che, improvvisamente, stessi cadendo da un’altezza considerevole. Vuoto allo stomaco, ecco cos’era. L’odore era ripugnante e l’intera casa ne era, ormai, intrisa. Chissà se avremmo mai reso l’aria di casa respirabile, prima o poi.
Un giorno, ero sulla grande terrazza che guardavo i boschi, scrutando nell’ombra della notte. Sentivo la presenza degli altri cani. Jacob aveva lasciato il branco, per proteggere Bella. Ammirevole. Non ebbi bisogno di voltarmi, per sapere che Jacob era lì, accanto a me.
“Ci controllano” disse, senza guardarmi negli occhi.
“Forse non hanno la pappa” risposi sarcastica. Lui sorrise, amaro.
“Si può sapere perché ti infastidisco così tanto?” mi chiese. Lo guardai. Sarà stata la Luna, l’aria fresca che mitigava il suo puzzo, la sete, che da giorni non veniva placata, non so. In quel momento, mi accorsi che, forse, era bello. I suoi lineamenti erano dolci, aggraziati, non induriti dall’immortalità. E il calore del suo corpo mi ricordava l’umanità che avevo perduto.
“Non lo so” risposi, sincera “Forse, non ho mai amato i cani: troppe coccole, troppo pelo”
Lui sorrise, questa volta divertito.
“Sai” disse “se non fossi stanco, penserei che il tuo tono fosse meno acido del solito”. Davvero? Pensai. Forse aveva ragione. Lui allungò una mano verso il mio braccio e quando ci fu il contatto fra le nostre carni, il vuoto allo stomaco si fece più forte, togliendomi il fiato. Mi allontani di scatto ringhiando.
“Cosa stai facendo?” sillabai, arrabbiata. Jacob scosse la testa, si voltò e tornò dentro. Non so perché mi pentii di essermi ritratta. Quella notte, non riuscii a pensare ad altro: al suo tocco, caldo, morbido sulla mia pelle. Alla sua voce.
Ogni ora che passavamo assieme, la tensione fra noi si trasformava in qualcosa d’altro. So che dovrei usare la parola attrazione, ma non lo farò. Sarebbe troppo difficile tornare indietro, se ammettessi ciò che ho provato. Poi, tutta quella tensione trovò uno sfogo. Dapprima un litigio, forte e furente. Eravamo da soli, nel bosco e, come al solito, lui emerse dalla vegetazione seminudo. Odiavo il modo in cui riusciva a farmi sentire in imbarazzo.
“Che ti prende, Rose? Ti imbarazza il mio corpo?” mi canzonò. Ringhiai, cupa. Odioso, sacco di pulci maleodorante.
“No, Jacob. Non è il tuo corpo il problema, ma l’odore” ero sprezzante, ma era l’unica cosa che riuscisse a farmi mantenere le distanze da lui: convincermi che lo detestavo. Lui sorrise. I denti, bianchi, riflettevano la fioca luce della Luna. Lentamente, si avvicinò. Camminava attento, eppure sicuro, verso di me. Il vuoto allo stomaco cominciò a farsi sentire.
“Perché fai questo?” gli chiesi, tremando. Jacob non fermò la sua andatura se non quando fu abbastanza vicino da sentire il suo alito caldo sulla mia faccia. Non rispose. Mi baciò.


Sebbene la mia mente rifiutasse quel contatto, ogni fibra del mio corpo lo desiderava. Socchiusi la bocca, permettendo alle nostre lingue di accarezzarsi, affamate. Non fu un bacio dolce, ma violento. Sembrava che entrambi non aspettassimo altro, da lungo tempo. Mi afferrò la testa, premendola contro la sua, mentre il suo respiro si faceva accelerato. Trattenevo il respiro, perché sapevo che avrebbe rovinato tutto sentire il suo odore. Si staccò da me per guardarmi e solo Dio sa quanto, in quell’istante, sarei voluta sprofondare nell’abisso piuttosto che reggere il suo sguardo. Mi vergognavo, come mai nella vita mi era accaduto. Ma presi l’iniziativa. Lo baciai ancora, accarezzando il suo petto muscoloso, delineando con le mie dita fredde il contorno del suo addome. Lo desideravo, tanto. Mi afferrò per i fianchi, sollevandomi e adagiandomi contro il tronco di un grosso albero. Non parlammo, non volevamo rovinare quel momento. Mi sollevò l’abito, fino alla vita. Sentire il suo contatto, caldo, mi eccitava come da molto tempo non avevo provato. Facemmo l’amore, così in silenzio. Solo leggeri sussurri e il battito del suo cuore che accelerava, fino ad impazzire. Ancora oggi, un fremito mi percorre la schiena al ricordo di quella notte. Ci salutammo con un ultimo bacio: sapevamo entrambi che non avrebbe avuto un seguito. Era stata la pazzia di una notte, forse. L’errore di un’esistenza, sicuramente.
Rientrata in casa, mi accolsero due sguardi torvi. Il primo, fu quello di mio fratello, Edward. Poteva leggere i recenti eventi nella mia mente, con la stessa lucidità con cui si assiste ad un film. Non dire nulla pensai sistemerò la cosa da sola. Lui rispettò la mia richiesta e gli sarò per sempre grata. L’altro sguardo fu quello di Alice, meno difficile da sostenere, ma più complicato da tranquillizzare.
“Dimmi che quello che ho visto, non è mai accaduto” mi disse, allarmata. La guardai, scuotendo la testa. Andai in camera mia, dove Emmett mi aspettava. Il mio maschione. Così forte e così protettivo. Non avevo la forza necessaria per sostenere il suo sguardo, così andai velocemente in bagno, per fare una doccia. Sapevo che l’odore di Jacob era forte, sul mio corpo, e sono convinta tutt’ora che, in un qualche modo, Emmett si sia accorto di qualcosa. Lasciai che l’acqua scorresse abbondante, tentando di lavar via la macchia della quale mi ero sporcata per sempre. Emmett non mi avrebbe mai perdonata e, soprattutto, io stessa non sarei stata in grado di farlo. Mi lascia alle spalle del tempo quella notte, senza pensarci, senza darne importanza. Il rapporto con Jacob subì una violenta trasformazione: il mio disprezzo diventò più evidente, quasi eccessivamente conclamato. Ad uno sguardo poco attento, sembrava che io non reggessi più la sua vicinanza, tollerata solo per la situazione tragica che coinvolgeva la mia famiglia. Ma agli occhi di Edward, era il segno evidente di quanto mi vergognassi per ciò che avevo fatto.
Ora so che ogni scelta comporta un segno. Talvolta è una cicatrice esterna, sul corpo. Altre volte, è una ferita interiore, nel profondo del nostro essere. Di segni ne ho molti, tutti nascosti, il peggiore dei quali è quello che mi sono procurata quella notte, quando nel bosco ho deciso di tradire Emmett.

   
 
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