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Autore: Bianconiglia    06/02/2009    3 recensioni
Una dolce e nostalgica storia, per il compleanno di Duff. Auguri Duffy Boy <3 // Slash/Duff.
Genere: Generale, Romantico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Slash e Duff non mi appartengono, così come nessuno dei personaggi qui presentati. Ogni riferimento a fatti e persone è puramente casuale. E…
TANTI AUGURI, DUFF! <3

February, 5th, 2009

«Daddy, quanto manca?»
Solamente da un'ora la jeep nera correva sulla strada per Seattle, sfilando per boschi e cittadine, e già il piccolo Cash si stava stancando.
Slash sospirò, e lanciò un'occhiata di traverso alla moglie, seduta al posto del passeggero.
Era già la quinta volta che il bimbo si protendeva in avanti tra i due sedili anteriori e chiedeva "quanto manca, daddy?" o "siamo arrivati?" oppure ancora "mi sto annoiando, facciamo un gioco?", e sbuffava quasi in lacrime quando Perla gli diceva che no, papi non poteva giocare, dal momento che stava guidando.
La donna si voltò a guardarlo e gli accarezzò la guancia.
«Pochissimo, honey, pochissimo. Perchè non giochi con tuo fratello, eh? Vedrai che non ti accorgerai nemmeno del tempo che passa.» Giocò la sua ultima carta, e quando pronunciò le fatidiche parole, London la guardò di traverso alzando lo sguardo dallo schermo del videogame con il quale stava trafficando.
«Su London, non stare sempre a guardare quell'affare. Fai giocare anche tuo fratello.» E ricambiò lo sguardo.
«Ma lui è troppo piccolo, non può giocare!»
«Non sono piccolo!»
«Sì che lo sei!»
«No!»
«Sì!»
Si sa che le madri adorano i propri figli, ma ognuna ha il proprio limite di sopportazione, e quello di Perla era giunto. Chiuse gli occhi, esausta di quelle liti che si ripetevano almeno dieci volte in una giornata.
Guardò il marito, sperando che sistemasse la situazione, e vide che rideva sotto i baffi.
Scosse la testa e guardò fuori dal finestrino, con aria esasperata. «London, Cash, se non la smettete di litigare dico a zia Susan di non darvi neanche una fetta di torta.»
Quello bastò. Ammutoliti, i due bimbi smisero di litigare. London guardò storto Cash, secondo lui colpevole di quella situazione, e Cash, già dimentico del bisticcio con il fratello, si appollaiò sulle ginocchia e si sporse tra i due sedili anteriori, chiaccherando a non finire di cose molto importanti per un bambino di 4 anni.
«Cash dice cose stupide!» sbuffò all'improvviso London.
«Non è vero!»
«Sì che è vero!»
Perla sbuffò.
Quella giornata sarebbe stata MOLTO lunga.

Nel quel di Seattle, nel frattempo, Mrs. McKagan preparava i muffins in una cucina da favola, indossando un grembiule da Biancaneve, i capelli raccolti in un'acconciatura principesca.
Ad aiutarla Grace e Mae Marie, una più carina e tenera dell'altra nei loro abitini rosa e lilla, infarinate dalla testa ai piedi.
«Tieni Gracy, mescola forte forte l'impasto.» chiese Susan alla figlia più grande, sorridendole e porgendole una grande terrina azzurra. Indicò la mensola in basso, guardando Mae Marie che la osservava speranzosa nell'attesa che la mamma le desse qualcosa da fare.
«Mae, mi prendi la bustina di cioccolato che sta dentro all'armadietto?»
Detto fatto.

I raggi di sole del mattino filtravano dalle tende bianche e vaporose della camera da letto, posandosi sulle lenzuola candide e sul pavimento in parquet chiaro.
Duff mugolò piano, svegliato dal chiacchericcio leggero in cucina, dall'odore dei Pancake appena sfornati, e -questo cos'era?- giusto, cioccolata. Al latte, in tazza.
Scese lentamente dal letto, guardando la sveglia che segnava le 11.30 e scostando le lenzuola. Indossò una t-shirt e i pantaloni di una vecchia tuta, passandosi la mano tra i capelli biondi spettinati. Una sosta veloce in bagno a sciaquarsi il viso, e poi via, verso la cucina.
Quando scostò le tendine rosa di perline che dividevano la cucina dalla sala da pranzo, lo investì un dolce profumo di dolci e l'odore, inconfondibile, del bagnoschiuma di Susan e delle bambine.
«AUGURI PAPA'!»
Mae Marie gli corse incontrò, e lui la prese in braccio al volo. Le posò un bacio sulla testolina bionda e la rimise a terra.
Anche Grace gli andò incontro, più discreta perchè già ragazzina, e lo abbracciò.
«Auguri papà.»
Duff sorrise. La sua era la famiglia più bella del mondo, ne era sicuro.
«Grazie a tutte e due. Vi voglio bene.»
«Sembri già più vecchio, sai?»
«Grazie, Grace.» sarcastico.
Abbracciò anche Susan, che osservava il marito e le figlie in piedi, accanto al tavolo della cucina.
«Buongiorno tesoro.»
«Buongiorno. E… auguri.»
La baciò.
«Grazie» si voltò all'improvviso, quindi, verso le due ragazzine. «ALLORA! NON DATE IL REGALO AL VOSTRO PAPA'?» scherzò, fingendo di inseguire Mae Marie per tutta la cucina, come a voler prendersi il regalo.
«No, Daddy.» rise la bimba. «I regali li apri tutti stasera alla festa!»
«Già» sospirò Duff. «la festa.»

La tanto sospirata festa, avrebbe avuto luogo proprio a casa di Duff, alle 19.30 -orario stabilito dalle mamme dei mille bambini invitati-
Da che ne ricordasse, Duff non aveva mai e poi mai festeggiato nulla se non prima delle 23.00 -i suoi compleanni capitavano sempre quando lui era in tour-.
Compleanni in famiglia ne ricordava solo prima dei 17 anni, età in cui prese baracca e burattini e se ne andò a rockeggiare.
Da quel momento solo birra, ero, whisky, rock&roll, ancora whisky, ancora ero, e tante ma proprio tante groupies. E quando le groupies mancavano, c'erano le puttane -ma quelle andavano pagate, e allora erano meglio le groupie- Tant'è che, davvero, non ne sapeva niente di feste di compleanno tra famigliole felici viste da lato del festeggiato.
Decise di concedersi una bella doccia e di pensarci un po' su.

Invitati ce n'erano a bizzeffe; le zie della cugine della sorella di Susan, le sorelle di Susan, le nonne, le mamme, le amiche, le cugine, i rispettivi mariti e i rispettivi figli.
In quanto a lui, non aveva altri amici se non i componenti della sue band.
Quindi, tra gli altri, erano OVVIAMENTE invitati anche i coniugi Hudson e rispettiva prole, con la quale tra l'altro, le due sorelline McKagan sembravano aver stretto un forte legame fatto di giochi in scatola e scalate di alti alberi che facevano saltare il cuore in gola a mamma Perla e mamma Susan -se non che a portarle a urlare come delle folli nel vano tentativo di far scendere i figlioletti adorati; fortunatamente per Mrs. Hudson, Cash era ancora troppo piccolo per tentare un'arrampicata su un albero, quindi doveva preoccuparsi solo dell'avventuroso London.
Solo una telefonata a Jeffrey Isbell, in arte Izzy, che purtroppo negò dispiaciuto l'invito dichiarando di avere altri impegni. Si scoprì solo successivamente che era a Los Angeles, per un altro, compleanno. Ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta.

Qualche ora dopo, esattamente alle 19.27 minuti, si presentarono i primi invitati.
Erano -e Duff ne era sicuro dal vociare insistente che proveniva dall'ingresso e che si udiva sino al secondo piano- le migliori amiche di Susan; il terribile e pettegolo trio: Gloria, la ninfomane rifatta; Jennifer, la gallina del pollaio; e Yaeko, la occhi a mandorla fissata con la moda. Duff non le sopportava, ma Susan lo invitò, con un'occhiata che avrebbe spaventato il più agguerrito dei terroristi, a salutarle cordialmente e a sorbirsi dei baci -tutto sommato discreti, tranne, ovviamente, da Gloria; ma Susan pareva non farci caso, tutta fiera del marito- e pacchetti su pacchetti.
La folla in casa McKagan aumentò a dismisura; Duff era felice di essere diventato famoso, in modo da disporre di una casa pressochè enorme; Un po' meno di aver sposato una folle festaiola come Susan. Ma in fondo la amava perchè era lei, perchè era così. Un'amore di donna.

Erano le 20 e un minuto -Duff lo notò perchè, un momento prima che il campanello suonasse nuovamente, guardò l'orologio digitale a forma di gatto che Susan usava come soprammobile- quando arrivò lui. Slash.
Fu Susan ad aprire, e i bimbi le si gettarono al collo come se non la vedessero da una vita. Perla la salutò con un «Ciao tesoro, sei splendida oggi!» e due baci sulle guance. Duff era beatamente spaparanzato sul divano, a sorbirsi il racconto di guerra di una nonnetta sui novant'anni, ed udì la sua voce.
Si scusò con la nonnetta e a passo veloce si diresse all'ingresso.
Solo, si guardarono, e sorrisero entrambi, prima che Cash e London assalissero anche Duff piazzandogli un "TANTI AUGURI ZIO!» proprio nelle orecchie -perchè la furbizia gli aveva detto di abbassarsi al loro livello per salutarli.
«Auguri Duff, -Perla gli strizzò l'occhiolino dopo averlo baciato su una guancia- non si vede affatto che gli anni passano!» e gli piazzò una manata sul sedere, prima di dirigersi verso la folla di donne chiacchierine nel salotto e prendere aggraziatamente un Martini dal cameriere del bar. I bambini erano già spariti a distruggere qualcosa di -inevitabilmente- estremamente costoso.
«Ehi.» fu Slash, ad avvicinarsi per primo, mentre Duff osservava i bambini che correvano al piano superiore.
«Ciao.» gli sorrise Duff, avvicinandosi e dandogli una manata amichevole sulla spalla.
«Non fare il coglione, Duff, vieni qui.» Slash lo afferrò per le spalle, attirandolo a se per abbracciarlo.
«Auguri, vecchio. Rimarrai sempre un anno avanti a me, mi fai sentire giovane. Per questo ti voglio bene.»
Duff ricambiò l'abbraccio.
«Grazie mille, sono sempre felice di avere te a ricordarmi tutte le mie rughe.»
Sciolsero l'abbraccio.
«Sono qui per questo. Chiamami e io verrò!» scherzò, sferrandogli un pugno scherzoso e tornando all'atmosfera più amichevole e meno tesa che correva sempre tra loro.

Durante la festa, si divertirono di più le donne e i bambini. Gli uomini parlarono, più che altro. Tra questi, oltre agli sconosciuti ma ugualmente ricchissimi mariti delle parenti e delle amiche di Susan, anche Matt e Dave dei Velvet Revolver e tutti i componenti dei Loaded. C'era anche qualche amico di vecchia data, qualche ex componente di qualche ex gruppo e naturalmente i fratelli e i cugini di Duff.
In qualche modo, Duff si sentiva escluso. Una sensazione anormale, dal momento che tutti erano lì per il suo compleanno, ma ugualmente presente dentro di lui.
Scusandosi, si assentò e si versò un bicchiere di gazosa, mangiando un salatino. Niente alcolici, per lui. Il suo pancreas -o almeno, quello che ne restava- non avrebbe gradito.
Uscì dalla stanza e si diresse in camera da letto, uscendo dopo qualche minuto sul grande terrazzo che mostrava l'intera Seattle. Si appoggiò alla ringhiera in ferro battuto, e osservò la città di notte, con tutte quelle luci. Così familiare. La sua città, che conosceva così bene. Si sentiva bene in quel momento, nonostante l'aria fosse fredda e minacciasse di piovere. Riavviò i capelli con un gesto distratto, e udì dietro di lui il rumore della porta a vetri che scorreva.
Eccolo lì, il suo amico di sempre, l'unico su cui sapeva di poter sempre contare. Anche con Matt era così, ma non in quella maniera. Si fidava di Slash nella stessa quantità in cui sapeva di potersi fidare di sua moglie. Solo, era una cosa diversa. Entrambe giuste, entrambe assolute, ma diverse.
«Ehi, non vieni ad aprire i regali? Io ti ho comprato una Lamborghini.» scherzò, avvicinandosi a lui e appoggiandosi al suo fianco alla ringhiera. Tra le mani, un bicchiere di Pepsi.
«Grazie, non dovevi.» sorrise Duff.
Rimasero zitti qualche minuto, solo ad osservare Seattle. Fu Slash a rompere il silenzio.
«Lo so cosa stai pensando.»
«Cosa?» Duff lo guardò, mentre Slash fissava la città di fronte a lui.
«Pensi che ti senti solo, che tutti siano qui solo perchè sei famoso -a parte quelli famosi quanto te, vabbè- e che, in fondo, a nessuno interessi niente di te.»
«Se me lo stai dicendo, significa che è quello che senti anche tu.»
«Lo sai come mi sento io. Sento di non appartenere a questo mondo, di non esserci tagliato. Di non essere tagliato a fare il padre, o il marito, anche se Perla e i bambini affermano il contrario. Non fraintendere, io li amo. Ma…»
«Ti manca quello che eri vent'anni fa, giusto? -continò Duff per lui- Ti manca la capacità di distinguere chi ti vuole bene da chi è solo ipocrita, ti manca la libertà, ti manca persino poter bere un Jack in santa pace mentre suoni chiuso in una sala prove schifosa e piena di ragni.»
Risata.
«Sì, ma. So che quello che ho fatto in passato ha contribuito a rendermi l'uomo che sono oggi.»
«Santo cielo, Slash, non ti avevo mai sentito parlare così.»
«Sì, a volte anche io so mettere insieme delle frasi di senso compiuto, Mr. Laureato.» Sarcastico. «Scherzavo.» Aggiunse.
«Lo so.» Duff sorrise, un sorriso tirato.
«Ti conosco da anni e anni. Sei permaloso, e senza il mio "scherzavo", mi avresti guardato con quella faccia che fai quando ti offendi e avrei dovuto scusarmi almeno tre volte.»
Questa volta sorrise apertamente, e finì la sua gazosa appoggiando il bicchiere vuoto sulla balaustra.
«Dicevo. Ho fatto delle cose di cui non mi pento affatto. Una in particolare, che mi ha permesso di continuare a vivere. Non fosse stato per quello, chissà dove sarei ora. Forse con delle puttane come quel coglione di… guarda, non lo voglio nemmeno nominare. Io lo so dov'è andato Izzy. Mi dispiace per lui. Quella cosa, comunque, che mi permette ora di amare Perla e di amare i miei figli.»
Si girò a guardare l'amico, appoggiato di lato alla ringhiera.
«E sarebbe?» Duff lo guardò, indagatore.
«A Los Angeles, alla festa di…del coglione.» Scosse la testa, come rassegnato.
«Non quello, coglione che non sei altro. -rise Duff- Lo sai cosa ti ho chiesto, non cambiare discorso.»
Slash lo guardò, con la faccia di uno che è stato scoperto. «Non dovevo parlare, lascia stare.»
«Cazzo, no. Ora me ne parli. Iniziamo una conversazione seria per quella che sarà la terza volta da quando ci conosciamo, ed ora me la tronchi a metà. Parla.»
«Lascia stare, ti ho detto.» Fece per andarsene, Slash, ma Duff gli afferrò un braccio coperto dalla felpa scura.
«Parla.»
Un sospiro, e Slash si lasciò cadere nuovamente con i gomiti appoggiati alla balaustra.
«Un discorso da ragazzine, cazzo.» Borbottò tra se. «Non posso farlo. A 43 anni, porca puttana.»
«Puoi parlare con me, invece di parlare da solo come un coglione?»
Si guardarono. E Slash esordì, con un:
«Ti amo.» «Lo so, ti amo anch'io. Amo anche Perla e i bambini, lo sai che siete come una famiglia per me.»
«No cazzo. Non hai capito. Tutti gli anni passati a… lo sai. È quasi quindici anni che noi non… E non te l'ho mai detto.» «Non me l'hai mai detto, ma io sì.» Si scurì in volto Duff, quando capì. Di cosa stessero parlando.
«Lo so e… cazzo, se mi sento in colpa. Tu mi avevi dato il tuo cuore, quasi materialmente. E io non te l'ho mai detto. Quanto ti amavo. In quel senso, lo stesso con cui me lo dicevi tu il mattino appena svegli. E facevo finta di essere ancora addormentato. E facevo finta, quando facevamo l'amore, che fosse solo una scopata. Una scopata con il mio migliore amico. E capisci, era troppo per me.»
«Non lo capisco.»
«Io penso che… che tu mi abbia insegnato come si fa. Ad amare intendo. Ed ora sono l'uomo che sono, il marito e il padre che sono, perchè tu me lo hai insegnato. Ti ho preso per il culo, però. Incazzati pure.»
«Non sono incazzato. Lo sai che ti amo ancora. Ma ho Susan, e le bambine. E tu hai Perla e i bambini. Il nostro cuore è già occupato.»
«Nel mio è rimasto un po' di posto. Per te.»
«Anche nel mio.»

Non seguirono altre conversazioni del genere. Nessuno dei due fece mai cenno al loro dialogo sul terrazzo, solo, si amarono. E ora sapevano di amarsi. A 45 anni, finalmente lo sapevano. E non serviva loro nient'altro.

Aaaallora. Se siete arrivati fino a qui, beh, grazie. Lo so che è una cazzata buttata lì di getto, ma capitemi, lavoro sino alle 19.30 e vado in piscina. E mi sono presa in ritardo, come al mio solito. Ah, un commentino è sempre gradito…
  
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