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Autore: Part of the Masterplan    04/09/2015    1 recensioni
Se n’è andata per sempre, dall’altra parte del mondo. Mi ha lasciato qui, solo, senza i suoi capelli biondi, il suo accento mancuniano, i suoi rimproveri e l’odore di Benson così familiare.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Until Sally I was never happy.'
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Sono le cinque di mattina, o giù di lì. Non ho molti riferimenti, se non indovinare dalla luce che è mattina presto, e solo qualche macchina passa lenta in strada.
Coricato su un fianco, la guardo rannicchiata nella medesima posizione, quella cascata di capelli biondi sulle spalle e sul cuscino. Mi sembra ancora la bimba che mi si addormentava accanto a me dopo essersi svegliata dagli incubi.
Non ho sonno, a dire il vero sto bene così. L’unica cosa che vorrei fare oggi è starmene qui a guardarla in silenzio, sorridendo per qualche smorfia che fa nel sonno, quando si avventura in quei sogni pazzi che poi mi racconta con gli occhi sgranati. La nostra mente è proprio strana, ripete ogni volta e ogni volta io ne rido. Mi è mancata, mi è mancata davvero. Tante volte mi sono chiesto come sarebbe stato averla di nuovo qui accanto a me, con una mano appoggiata sul mio fianco, fissando il suo corpo così piccolo e perfetto. “Non ho bisogno di altro che una chitarra e la mia immaginazione”, affermavo convinto da quel pagliaccio di Chris Evans, qualche anno fa. In un certo senso è ancora così, ma dopo tutto questo tempo – e tutto quello che ha portato con sé – ho finalmente capito che insieme alla musica, è lei che deve esserci per rendermi felice. Non sono ancora abbastanza maturo per confessarglielo, ma ho capito che ho bisogno di lei. Io, Noel Gallagher, ho bisogno di un altro essere umano per sentirmi completo. Incredibile. Trattengo una risata.
In solitudine ci sono sempre stato bene, perché ero obbligato, perché era l’unica via d’uscita o perché ne sentivo il bisogno. C’è chi la mia solitudine la ringrazia, perché se non mi fossi rotto quel piede e non fossi stato seduto sempre nello stesso posto guardando la pioggia di Manchester, chissà se avrei scritto Live Forever. La solitudine per me non è un problema, anche se dopo tutto quello che è successo negli ultimi anni, ritrovarmi a casa da solo senza casino, gente appesa sui lampadari e modelle che saltavano sul letto un po’ mi è sembrato strano. Strano forse no, ma… Non so, la solitudine ha assunto altri tratti. Come se fosse qualcosa di necessario per riflettere, per pensare, per guardare fuori dalla finestra e lasciare che la mia ispirazione mi parlasse di altro, della mia vita, dell’uomo che ero – o non ero – diventato.
Ho pensato a tutto ciò che ho fatto e al mio modo di rovinare tutto quello che di buono avevo conquistato. Ho rinnegato album e canzoni, ma soprattutto ho rinnegato persone. E non me lo sono perdonato.
Ma io avevo sempre un occhio su questa donna, cercavo sempre in qualche modo di sapere dove fosse e con chi, che fosse da Gem, o da Ourkid – che me lo diceva per poi insultarmi – o dalla yankee, che in tutto questo tempo ha risposto ai miei messaggi in modo diretto e conciso, senza però rivelare niente a Sally. Non le ho chiesto di stare zitta, ma lei l’ha fatto, come se sapesse che era il mio modo di accertarmi che blondie stesse bene. A volte, nelle sue risposte ai miei messaggi – tipicamente “Tutto ok?” – rispondeva con un piglio che sembrava dire “Certo che è tutto ok, idiota senza palle, cosa credi, che senza te non sopravviva?”
E’ che a sopravvivere siamo bravi tutti, ad amare davvero ci vuole forza abbastanza.
Ha addosso la maglietta del tour del 1996, il che mi fa sorridere di nuovo, perché eravamo sull’onda lunga del nostro successo ed eravamo folli, fuori di testa. Ma c’erano dei riti, che fossero fermarla quando lei e i ragazzi si rincorrevano sul tour bus, o prenderle le mano e dirle che volevo andare a casa con lei, o guardarla scattare e fare il suo lavoro con l’ammirazione che vedevo nei suoi occhi quando stavo lì a suonare. E’ una delle cose che ho sempre amato di lei, il suo essere indipendente e orgogliosa e una gran lavoratrice. Sempre con una macchina fotografica in mano, sempre pronta a catturare il suo punto di vista sulle cose. Insisteva molto su questo e spesso ne parlava con Bonehead. Lei era parte del team, ed era in un certo senso il collante in molte situazioni. Lo è ancora ora. Per questo il fatto che se ne sia andata ha portato un peggioramento, una specie di squilibrio: non c’era lei. La sua presenza era una rassicurazione per tutti noi, anche se di fatto non faceva niente di che. Se non essere se stessa. Di lei amo il fatto che ha sempre fatto di testa sua. E più sto qui a guardarla, più penso che tra i due, quella davvero forte, è sempre stata lei, non io. Averla dalla mia parte è una sicurezza, una di quelle che mi sono sentito scivolare via dalle dita quando la cercavo, inconsciamente, tra i corridoi e negli stadi. E lei non c’era. E ogni testa bionda che incrociavo con lo sguardo pensavo “E’ lei, questa volta è lei.” Invece no. Irremovibile. Lei non c’era.
Questa sera ho chiuso il mondo fuori dalla porta e sono tornato a essere invincibile, addirittura felice. Perché so che la amo, perché ho di nuovo i suoi capelli biondi accanto e quel sorriso che potrei rimanere ore a descrivere. Perché stare a guardare fuori dalla finestra è la cosa che amo fare di più al mondo, ma guardare lei lo è ancora di più.
Perché Sally ha sempre aspettato, ma a non guardare al passato con rabbia, io ho imparato da lei.
  
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