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Autore: Moonshade    04/09/2015    1 recensioni
*Momento ripreso dall'ultimo episodio della seconda stagione*
Per Sherlock è la resa dei conti. Moriarty lo aspetta sul tetto dell'ospedale per discutere sugli ultimi avvenimenti che hanno avuto un risvolto decisivo per il loro combattimento psicologico. Moriarty minaccia Holmes dicendogli che ha fatto appostare dei tiratori scelti per uccidere le persone che gli stanno più a cuore ma Sherlock scopre che per fermarli basterebbe pronunciare un codice che lui deve scoprire. Tutto andrebbe bene, se solo Moriarty non decide di suicidarsi con un colpo di pistola in bocca.
Con questo gesto, Sherlock va nel panico e si accorge che l'unica maniera per salvare le persone che gli stanno attorno, è buttarsi giù dal tetto.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Pronto? -
-John. -
-Ehi Sherlock, tutto bene? -
-Voltati e torna da dove sei venuto! -
La voce di Sherlock tuonava rabbiosa dall'altro lato della cornetta, ma John sentiva che qualcosa non andava. Un velo di insicurezza vibrava nel suo tono di solito sicuro e irremovibile. Aveva provato a convincere John di tornare indietro per non vedere quella scena raccapricciante, ma non sembrava averlo convinto del tutto.
-Sto arrivando – Dichiarò il dottore muovendo un passo dopo l'altro verso l'ospedale.
-Fa come ti sto dicendo! - Urlò di nuovo Sherlock tentando di convincerlo con quanta più cattiveria gli era rimasta in corpo - Per favore! -
Quell'ultima dichiarazione, assumeva un tono disperato, quasi irreale. Uno strano dolore gli prese la gola stringendo sempre più forte e le lacrime spingevano per uscire dai suoi occhi perfettamente azzurri come il cielo in una giornata senza nuvole.
-Dove? -
-Fermati lì. -
-Sherlock! -
-Ok, guarda in alto. Sono sul tetto. -
John alzò i suoi piccoli occhietti azzurri in direzione dell'uomo e rimase immobile, visibilmente scioccato e incredulo. Non capiva il comportamento di Sherlock o forse non voleva semplicemente comprenderlo. Riuscì soltanto a sussurrare un debole – Oh... - rimanendo sempre con il naso all'insù e lo sguardo fisso su quella figura magra e slanciata che si stagliava tremante verso il cielo grigio tipico di Londra. Nuvole di diverse dimensioni, si stavano avvicinando lentamente tra di loro oscurando quasi del tutto la luce del sole.
-I-io non posso scendere quindi noi dovremo proseguire in questo modo. - Balbettò Sherlock
-Cosa succede? - Continuò in un sussurro il dottore.
-Ti devo delle scuse. È tutto vero. -
-Cosa? -
-Tutto ciò che hanno detto su di me. - Rispose Sherlock con voce tremante - Io ho inventato Moriarty. -
-Perché dici così? -
-Sono un impostore. -
-Oh, Sherlock. -
La voce cominciava a vacillargli. Stava per cedere al pianto che lentamente lo sovrastava. Una voragine in mezzo al cuore lo aveva sorpreso proprio in quel momento, quando aveva bisogno di rimanere il più distaccato possibile. Fece un respiro profondo e cercò di controllare il tono della sua voce sperando di non ricominciare a tremare.
-I giornalisti avevano ragione. Voglio che tu lo dica a Lestrade. Voglio che tu lo dica alla Signora Hudson e a Molly. Devi dirlo a chiunque voglia ascoltarti: io ho creato Moriarty per scopi personali. -
Si voltò a guardare dietro di lui. Un rivolo di sangue usciva dalla testa dell'uomo che lo aveva messo in quel guaio, un sorriso beffardo gli era rimasto dipinto in volto quando si era suicidato. Era stato vittima della loro lotta, ma aveva vinto la partita. Era riuscito a battere il grande Sherlock Holmes muovendo le pedine dell'enorme scacchiera che era il mondo e ora lui si trovava in quella situazione.
Solo, abbattuto e disperato. Sherlock aveva trovato la soluzione, un modo per salvarli tutti e riacquistare la propria dignità, doveva solo scoprire quella parola che avrebbe bloccato l'azione degli uomini di Moriarty. Sarebbe riuscito nel suo intento se solo il suo acerrimo nemico non avesse deciso di spararsi in bocca. L'unica possibilità di salvare tutti era svanita insieme all'anima di Moriarty, se mai quell'uomo ne avesse avuta una, e a Sherlock rimaneva soltanto una cosa da fare.
-Ok, smettila Sherlock. Basta. Zitto. La prima volta che ti ho visto, la prima volta che ti ho visto sapevi tutto di mia sorella, giusto? - Chiese John con la rabbia che continuava a salire.
-Nessuno è tanto intelligente. -
-Tu sì. -
A quelle parole, Sherlock lanciò una risata che riecheggiò nella cornetta del telefono. Una risata dal sapore amaro e pungente come il freddo di quella tremenda giornata. Una lacrima gli scese lungo il volto fino ad arrivare sul mento. Il silenzio che aveva invaso tutta la città, amplificò il rumore che provocò quell'unica goccia quando cadde sulla sciarpa blu annodata intorno al collo del uomo. Un rumore sordo che vibrò per qualche secondo per tutta Londra diffondendo un senso di angoscia improvviso, come se tutti si fossero girati a guardare proprio in quella direzione. Case, alberi, monumenti. Tutto aveva assunto toni cupi e grigi.
-Io... ho fatto delle ricerche. Prima di incontrarti ho scoperto tutto il possibile per impressionarti. Era un trucco. - Disse lui scuotendo la testa e abbassando lo sguardo - Un semplice trucco. -
L'umiliazione era troppa. Non riusciva più a reggere tutta quella tensione e soprattutto non poteva più sopportare quell'enorme senso di colpa. Era costretto a fare tutto quello per risparmiare la vita delle persone che gli erano più care e a cui, suo malgrado, voleva più bene, ma non poteva di certo parlarne al suo più caro amico. In fondo non avrebbe capito e avrebbe cercato in tutti i modi di impedirglielo mettendo, così, a repentaglio la vita di tutti.
-No. Dai, smettila adesso. - John mosse due passi verso la direzione dell'ospedale.
-No, rimani esattamente dove sei. Non muoverti! - Urlò Sherlock con la disperazione che si era ormai impossessata completamente della sua voce.
-D'accordo. -
È strano come a volte la gestualità prende forma e rende ancora più drammatica la situazione. John teneva la mano libera in alto in segno di resa sperando di poter tranquillizzare in quella maniera, l'amico, mentre Sherlock protendeva una mano verso di lui come se lo volesse toccare, o come se volesse raggiungerlo e tranquillizzarlo in qualche maniera. Voleva dirgli tutto, confessargli quello che era successo, continuare a piangere e magari trovare una soluzione a quello che stava succedendo, ma sapeva benissimo che tutto quello non era possibile. Doveva affrontare quella situazione da solo.
-Tieni gli occhi fissi su di me. Fallo, te lo chiedo per favore. -
-Fare cosa?
-Questa chiamata è... è il mio biglietto... è così che le persone fanno, no? Lasciano un biglietto... -
 
Come apart, falling in the cracks
Of every broken heart, digging through the wreckage
Of your disregard, sinking down and waiting
For the chance, to feel alive
 
Una musica triste e malinconica si diffondeva nell'aria come se qualcosa stesse suonando. Sherlock lanciò uno sguardo dietro di se e vide nella tasca di Moriarty sbucare due cuffie. Ormai ne era sicuro, quell'uomo era diabolico e lo perseguitava anche dopo la morte. Aveva predetto quello che sarebbe successo e addirittura sembrava aver scelto pure la colonna sonora della loro morte.
-Lasciano un biglietto... quando? -
Ci sono momenti in cui bisogna dire addio, ci sono momenti in cui bisogna solo andare via senza mai voltarsi. Pensò Sherlock tra sé e sé valutando se dirlo o meno all'interlocutore dall'altro lato della cornetta.
-Addio, John. -
-N-no... Sherlock!! -
Il detective lanciò il cellulare all'indietro, poi rimase fermo a guardare in basso titubante. Spostava il peso da un piede all'altro sperando che quel momento non arrivasse mai.
Now in my remains
Are promises that never came
Set the silence free
To wash away the worst of me
Un ultimo respiro prima del grande salto.
Un volo a rallentatore.
Un tonfo assordante.
Un rivolo di sangue si fece strada sul marciapiede.
John cominciò a correre, ma cadde a terra per colpa di un ragazzo in bicicletta e battè la testa sull'asfalto freddo e duro come il marmo.
Una piccola folla di curiosi si raggruppò intorno al cadavere mentre lui cercò di rialzarsi per raggiungere il luogo della disgrazia.
-Sherlock... -
 
***
 
Una lapide nera e lucida si distingueva tra le mille altre. Caratteri d'oro segnavano il nome di Sherlock Holmes, il grande detective caduto durante la battaglia contro Moriarty, l'unico che era riuscito a metterlo in difficoltà fino a farlo arrivare alla conclusione di suicidarsi.
Un uomo giaceva solo, in piedi proprio di fronte a quella lapide. Grosse lacrime gli bagnavano il viso mentre fissava la pietra nera e lucida che veniva illuminata dai raggi solari. Ancora non riusciva a crederci, il suo più grande amico l'aveva lasciato da solo in quel mondo contro tutti e ancora non riusciva a comprendere il perché di quella dura decisione.
Si chinò verso la lapide e rimase in ginocchio mentre le ultime lacrime percorrevano i solchi lasciate dalle precedenti e, rapide, cadevano sul terreno smosso.
-Ti prego, c'è ancora un'ultima cosa... un ultimo miracolo, Sherlock, per me... - disse poggiando una mano sulla pietra liscia.
I singhiozzi continuavano a rompere la sua voce mentre, ignaro di quello che stava realmente accadendo, cercava di rivolgere un ultimo desiderio ad una pietra senz'anima.
-Non. Essere. Morto. -
Non poteva sapere che, pochi metri più in la, due occhi erano fissi proprio su di lui.
Due  occhi perfettamente azzurri come il cielo in una giornata senza nuvole.
  
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