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Autore: Puntaspilli    04/09/2015    3 recensioni
Lo ha saputo nel momento stesso in cui ha visto Antìloco. Lo ha saputo quando l’ansia ha iniziato a divorarne i nervi, iniettandogli in corpo il sapore acre e sconosciuto della paura. ( ... )
Genere: Malinconico, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Achille, Patroclo
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Note: Nata originariamente come un missing moment del libro 'La canzone di Achille', ha finito con il diventare qualcosa di a sè stante. Il risultato finale non mi soddisfa particolarmente, ma più modificavo il testo più si allontanava dalla mia intenzione di trasmettere qualosa al lettore.
Buona lettura.


***

Gli occhi scuri di Achille vagano per la piana di Troia, osservando inquieti l’infuriare della battaglia che si spalanca di fronte al suo sguardo come una bocca famelica; Patroclo è tra loro, rivestito dell’oro della sua armatura e ammantato della sua fama.
Achille si ferma e inghiotte un respiro profondo, torturando il tessuto della tonaca che gli copre il torace; è troppo distante per riconoscere gli uomini che si agitano come insetti voraci, e la polvere sollevata dalle bighe nasconde alla vista i bagliori aurei della propria corazza che ricerca in maniera febbrile.
Lo stridio dei cavalli gli giunge alle orecchie distante, mescolato alle grida di dolore degli uomini che muoiono, crollando come mosche e annaffiando la terra brulla di sangue denso e scuro. Lì, tra quello scempio di corpi massacrati e membra abbandonate sul terreno in maniera scomposta, c’è Patroclo. Ha accettato di cedergli le proprie armi per tenere fede alla propria promessa, eppure ora che l’ennesimo straziato grido di dolore gli arriva alle orecchie non può che pentirsene: avrebbe dovuto opporsi, trattenerlo accanto a sé e impedirgli di imbarcarsi in questa follia.
Serra i pugni e affonda le unghie nella pelle callosa dei palmi, tentando di tenere a bada la rabbia che gli azzanna i muscoli. È stato uno sciocco a permettergli di andare, a concedergli di scendere in battaglia a… Achille si distrae quando, da sotto le mura di Troia, si alza il grido di centinaia di voci che urlando di dolore. Tende il collo sottile e assottiglia lo sguardo, tentando di capire cosa stia accadendo: gli uomini sembrano volersi ammassare gli uni sugli altri, in un turbine di lance e spade che vengono mulinate in aria, riempiendola di grida che alle sue orecchie arrivano come suoni gutturali e inarticolati.
Patroclo saprà spiegargli cosa è accaduto, si rassicura, nascondendo per pochi secondi lo sguardo dietro le ciglia sottili.
Non è Patroclo, però, a risalire ansante la china della collina da cui Achille osserva la battaglia, ma Antìloco figlio di Nestore.
« Achille! Achille » grida, ormai roco, arrampicandosi carponi per tentare di raggiungere più in fretta l’amico, affondando le mani lorde di sangue nella terra morbida che cede facilmente sotto le sue dita.
Achille si volta nella sua direzione, sorpreso, e gli basta vederlo arrancare per sentire il cuore avvizzirgli nel petto. Il viso di Antìloco è una maschera di dolore e nulla, né i rivoli di sudore che gli colano sulla pelle scura, né le chiazze di sangue secco riescono a nascondere quello che ha scritto in volto.
Patroclo.
« Patroclo è morto. Ettore lo ha ucciso e depredato il suo corpo, abbandonandolo nudo alla mercé dei Troiani. »
Patroclo. Patroclo.
Achille lo guarda muovere la bocca, ma non riesce a comprendere le parole. Tutto ciò che comprende è il nome dell’amato. Non ha bisogno di sapere altro. Lo ha saputo nel momento stesso in cui ha visto Antìloco. Lo ha saputo quando l’ansia ha iniziato a divorarne i nervi, iniettandogli in corpo il sapore acre e sconosciuto della paura.
Patroclo non c’è più.
Achille getta la testa all’indietro e spalanca le labbra per dar fiato al proprio dolore. È l’urlo di un uomo devastato quello che gli scortica il palato e si libra in aria, coprendo il clangore della battaglia distante e attirando le schiave che iniziano a percuotersi il petto piangendo.
Si accascia in terra, lordandosi il volto con manciate di terra in cui si rotola, affondandovi come se volessi svanirvi, il bel viso dilaniato da una sofferenza soffocante, insozzato dalla mota che si spinge addosso e infila tra i capelli biondi che afferra tra le dita tremanti; artiglia le ciocche bionde e le scaglia in terra, sordo al bruciore del cuoio capelluto e al sangue che inizia a sgorgare dalle ferite, colando lungo i tendini e le vene gonfie del collo, arrossato dalle grida strazianti che continua a scagliare contro il cielo.
Non c’è nessuno capace di calmare il dolore che, come una bestia affamata, dilania i suoi intestini e si ciba della sua anima. Patroclo gli è stato strappato e lui è solo.
Non saprebbe dire quando Antìloco è gli è arrivato accanto, ma sono le mani dell’amico a chiudersi attorno alle sue quando tenta di allungarle verso il fodero della spada, deciso a porre fine alla propria vita in quello stesso istante. Si dimena tra le sue braccia come una fiera in gabbia, spintonandolo e colpendolo con i pugni serrati mentre affonda i piedi nel terreno, sollevando zolle di terra che scaglia in aria, verso sé stesso e Antìloco che non smette mai di colpire, arcuando le dita per graffiarne le nocche e costringerlo a lasciarlo andare. 
Il sorriso di Patroclo che si fa largo nella sua memoria e gli ruba strida ancora più forti e selvagge. Urla il proprio dolore agli dei immortali, minacciandoli con la propria disperazione mentre invoca il nome del compagno di vita ormai perduto per sempre.
Il volto di Antìloco bagnato dalle lacrime è poca cosa rispetto a quello di Achille, la cui bellezza di semidio è svanita, tramutata in una furia cieca che si nutre della sua disgrazia: i lineamenti sono sformati, ingrossati come lo sono le vene che si gonfiano sotto la pelle e minacciano di lacerarla, inondagli il volto di una maschera sanguigna.
Le lacrime hanno reso fangosa la terra che si è strofinato contro il viso, creando un impasto che lo fa somigliare ad un’erinni, una creatura immortale che si nutre di dolore e vendetta.
Distante, ai piedi della collina, un malmesso corteo funebre porta con sé il cadavere straziato di Patroclo, parzialmente celato da un sudario bianco. Un piede nudo spunta dalle pieghe della stoffa, oscillando privo di vita nell’aria satura di lacrime. Ciocche castane filtrano tra il lucore del tessuto, risvegliando in Achille una brama primordiale.
L’idea che qualcun altro osi tenere il corpo di Patroclo tra le braccia lo acceca. Si alza in piedi con uno scatto fulmineo, dimostrando la sua natura divina nell’avventarsi su Menelao per strappargli il cadavere dalle braccia con un latrato umido, disperato, che gli risale gola e si infrange sul panno bianco che cela il volto dell’amato.
« Andatevene. Tutti. »
Sono suoni scomposti quelli che ancora una volta scavalcano i denti di Achille, più simili ad un ringhio minaccioso che a parole di senso compiuto. Eppure i suoi compagni si ritraggono, lasciandolo solo con il suo dolore, riverso al suolo con il corpo di Patroclo tra le braccia. Culla quell’involucro senza vita con la devozione e l’amore di una madre, scostando il tessuto intriso di sangue per sfiorarne il volto in punta di dita. Percorre con i polpastrelli sentieri che saprebbe tracciare ad occhi chiusi, inumidendone il sangue secco con le proprie lacrime copiose, inarrestabili.
Teti sorge dalle acque, richiamata dal dolore del figlio e le sue sorelle Nereidi si mescolano alla spuma marina, osservando la scena dal regno di loro padre mentre un canto funebre si libra dalle loro labbra e sembra cullare quello più alto di Achille.
Sono centinaia i baci che lascia sul volto di Patroclo, implorandone il perdono mentre lo stringe al petto, alternando quelle tenerezze a grida scomposte con cui tiene a distanza chiunque osi avvicinarsi.
Persino Teti, immortale, rimane in disparte. Osserva lo strazio di Achille dalla battigia, i piedi nudi che affondano tra la sabbia umida; c’è del disprezzo a farsi largo tra i lineamenti divini, incurvandone la linea sottile delle labbra in una smorfia di disdegno.
Suo figlio, Achille, destinato ad essere più famoso di Eracle, più rinomato di Teseo si dispera come una prefica.
Achille, per la prima volta nella sua vita, non si accorge dell’arrivo della dea né le porge il saluto, immerso nel proprio dolore al punto da riuscire a bisbigliare solo un basso e terribile:
« Lo ucciderò. Li ucciderò tutti, tutti » il cadavere di Patroclo ancora saldo al petto e le labbra incollate alla sua tempia mentre con le dita sottili scivola a carezzarne i capelli scuri, umidi di sangue. « ucciderò ogni Troiano che mi si parerà di fronte. Ucciderò Ettore, ora. Non gli permetterò di vivere un istante di più, non mentre Patroclo … » non riesce a terminare la frase, straziato da un singhiozzo che ne scuote il torace con la violenza di un’esplosione.
« Antiloco, la mia spada. »
Teti scuote la testa e gli offre poco più che il proprio profilo, lanciando uno sguardo saturo di disgusto al resto dei Greci prima di tornare al figlio.
« Ettore ha la tua spada. » la sua voce suona come una pioggia gelida che si abbatte su di un mare in tempesta.
« Allora combatterò senza. Gli strapperò la gola con i denti e trascinerò il suo cadavere nella polvere per giorni. » grida ancora Achille, e al contempo bacia la fronte pallida di Patroclo, lì dove i suoi polpastrelli insanguinati ne hanno lordato la pelle in scie ferrose. Cerca la propria lancia, ma il corpo di Patroclo lo incatena al suolo.
Non può lasciarlo. Non può permettere a qualcun altro di toccarlo.
Patroclo è suo, anche ora che è poco più che muscoli, carne ed ossa è ancora il suo Patroclo.
« Non essere sciocco. Avrai una nuova armatura, domani. »
La risposta di teti è gelida, distante, ma ad Achille non importa, annuisce e continua a sfiorare Patroclo, incapace di fermarsi, incapace di trovare qualcosa che sani il dolore che, come una ferita infetta, gli pulsa nelle tempie e gli stritola il cuore.
Invoca il nome altrui come potesse essere udito, scuote il corpo senza vita che culla tra le braccia, grida il suo nome e poi lo sussurra con la dolcezza di un amante, cercando di attirarlo nuovamente a sé, ma non ottiene nulla e piange; singhiozza come un bambino mentre sfiora con le proprie le labbra gelide di Patroclo.
Ha barattato la propria longevità con la gloria, ma non sapeva quanto gli sarebbe costato. Non immaginava che gli dei, crudeli, gli strappassero l’unico tesoro che gli avevano donato.
Cos’è la gloria senza Patroclo? Cos’è la vita senza la sua risata, il suo sorriso e i suoi occhi scuri. Che senso ha continuare a trascinarsi, a uccidere e continuare a vivere se non potrà mai più sentirlo pronunciare il proprio nome?

Patroclo.
Patroclo.
Patroclo.


Achille riesce a dire solamente questo mentre lo prende in braccio, riservando a quelle membra dilaniate la tenue delicatezza che potrebbe avere per un infante. Dà le spalle ai propri compagni e si trascina nella tenda che divideva con Patroclo; è sul loro letto che lo appoggia, stendendosi al suo fianco, tornando a carezzarlo e a coprirlo di baci, supplicandolo con sussurri spezzati di tornare da lui. Di sfuggire ad Ade e tornare ad essere solamente suo, geloso persino della morte, di quel regno che gli è precluso e in cui ora Patroclo cammina da solo, lontano e inarrivabile. 

  
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