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Autore: serClizia    05/09/2015    3 recensioni
Clark, un super-uomo che cerca di essere un giornalista qualunque, si imbatte nel fascinoso Bruce Wayne ad un ricevimento di gala.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Clark.

Clark si stringe il taccuino nelle mani, fingendosi nervoso tra la folla.
Potrebbe ucciderli tutti con uno sguardo, con un gesto della mano, e per questo è fondamentale avere l’aria di un uomo qualunque, con degli orrendi vestiti marroni, una tracolla inguardabile, e gli occhialetti sempre storti sul naso. Tenuti insieme con lo scotch, magari, come in questo momento.
Una musica soft scende sulla sala, accompagnando il tintinnio di bicchieri e di piatti, le risatine di circostanza, le conversazioni sottovoce per non fare troppo rumore – non sarebbe elegante, ad una serata come questa.
Gli uomini sorseggiano con garbo, tenendo dritte le spalle, le donne si toccano spesso i gioielli con le dita, come se temessero che qualcuno voglia portarglieli via.
Clark sta ricurvo su se stesso, aspettando il momento in cui Bruce Wayne apparirà su quel podio, farà il discorso di rito sull’apertura di una nuova ala per l’Ospedale Pediatrico di Gotham e lui, dopo aver scribacchiato due note sul suo taccuino, potrà tornarsene a casa.
Il suo travestimento funziona così bene che al Daily Planet solo Clark viene mandato a questi eventi insignificanti, che gli valgono giusto un trafiletto in quinta pagina.
Si sistema un’ennesima volta il papillon, il suo personaggio non ama stare tra la gente.
Un cameriere gli passa sotto il naso con un vassoio pieno di bollicine invitanti, ma non si ferma ad offrirgliele – un altro effetto collaterale del suo alter ego: essere invisibile. Un uomo in completo impeccabile spunta da dietro le tende (e non è facile sorprendere Clark Kent), ferma il cameriere con un gesto brusco e prende una delle coppette dal vassoio. Gli cade lo sguardo su Clark, sempre aggrappato al suo taccuino, così fuori posto in quella sala d’hotel di lusso. Inarca un sopracciglio verso i bicchieri, e Clark non può fare a meno di annuire con un gesto tremolante del capo. Il suo personaggio berrebbe qualcosa, in una situazione di nervosismo – e nemmeno a Clark dispiace del tutto.
L’uomo afferra un’altra coppetta e rilascia il gomito del cameriere, che si affretta a sgambettare altrove con uno sguardo imbarazzato – probabilmente con un po’ di rossore sul collo a fare da contrasto col bianco e nero della divisa. Gli passa la bevuta mentre sta già sorseggiando la propria.
Dev’essere nervoso anche lui, per qualche motivo: Clark si aspettava un leggero tintinnio di bicchieri per brindare educatamente alla salute reciproca.
L’uomo spalanca gli occhi azzurro ghiaccio – quasi come i suoi, ma più freddi – a metà sorsata, e si contrae in un’espressione colpevole. Abbassa il bicchiere. “Mi scusi. Non volevo essere maleducato.”
“Per nulla,” Clark agita le braccia e un po’ di champagne gli cade sulla giacca di tweed.
Si comporta in modo goffo come da copione, e si guarda impacciato la manica bagnata con un piccolo sorriso di scuse. L’uomo si toglie un fazzoletto di seta dalla tasca, porgendoglielo con uno sguardo calcolatore. Non sembra convinto di quello che vede; Clark ha la sensazione che non si stia bevendo la sceneggiata. Scuote la testa. “Non potrei mai… ma grazie lo stesso.”
Si rimette il fazzoletto in tasca, ma non smette di osservarlo. Gli allunga una mano, Clark si sforza di dare una stretta delicata senza spezzargli le ossa.
“Bruce,” si presenta.
Clark comincia a boccheggiare, ritira la mano come se si fosse scottato. “Wayne?”
Il signor Wayne – multimiliardario, orfano, filantropo, genio – annuisce, come se lo seccasse avere una reputazione che lo precede. Eppure è una gran bella reputazione, Clark lo invidia. Clark si ricorda del suo ruolo, e comincia a sfogliare il taccuino velocemente, farfugliando frasi spezzettate.
“Io… volevo chiederle... Sono qui appunto… ho una lista di… ah, vede… se potesse… un’intervista… se avesse un minuto…”
Una stretta salda gli preme sul braccio, all'altezza del gomito. “Per favore, no.”
Clark rimane con una paginetta a mezz’aria.
Un uomo che ha tutto dalla vita – dalla vita come la vorrebbe Clark, per lo meno – lo sta supplicando, lo sguardo fermo, la mascella contratta. Richiude il taccuino, perché sarà cresciuto in una cittadina di periferia, ma non gli è mai servita un’educazione di alto livello per capire quando un uomo si sente in trappola con se stesso. Bruce Wayne è un personaggio esattamente come lo è Clark Kent. È una maschera che mette su per andare sul podio e sorridere ai giornalisti, rilasciare interviste, pubblicizzare il proprio lavoro di beneficenza.
Quello davanti a Clark ora è l’uomo dietro la maschera, quello nervoso che ha bisogno di bere champagne prima di fare quegli scalini e sorpassare il velo, che lo ha notato in disparte e gli ha offerto un drink. Clark si infila il taccuino nella tracolla. Decide di abbassare la guardia di una tacca. Raddrizza le spalle, allunga nuovamente la mano.
“Clark Kent.”
Il signor Wayne sembra aver notato il cambiamento, stringe un po’ di più la presa, come se accettasse quello scambio da uomini alla pari. “Piacere di conoscerla, signor Kent.”
“Per favore, mi chiami Clark.”
“Bruce, allora.”
Da lì in poi, non c’è molto da dire. O meglio, ci sarebbe il mondo, ma nessuno dei due sembra disposto a fare il primo passo. Come si inizia una conversazione con qualcuno senza maschera? Senza dover recitare una parte? Nessuno dei due dev’essere abituato ad una situazione del genere.
Ha sentito dire, mentre si preparava all’evento e raccoglieva informazioni su di lui, che Bruce Wayne è un uomo attento, un osservatore, bravissimo a giudicare il carattere degli altri.
Si chiede cosa stia notando in lui, in quel pezzo di scotch sulla stanghetta degli occhiali, nella barba mal fatta, il vestito di un colore orribile. Si spinge a osservarlo a sua volta: il volto perfettamente rasato, il capello in piega col gel, il completo bianco e nero su misura.
Due maschere così uguali e così diverse, allo stesso tempo.
Si studiano a vicenda per parecchi minuti, finché il nome di Bruce viene chiamato dal palco. Le luci si fanno meno soffuse, il pubblico applaude.
Bruce guarda verso il podio bianchissimo, il microfono che svetta al di sopra, con un’espressione sofferente. Sospira, butta giù tutto lo champagne con un sorso, e gli rivolge un sorriso stanco mentre gli passa un bicchiere che Clark prende senza nemmeno pensarci su.
“Buona serata, signor Kent.”
“In bocca al lupo per il suo discorso, signor Wayne.”
Bruce annuisce a labbra strette e si avvia verso la sua grande serata.
Le maschere sono di nuovo al loro posto, soltanto che stavolta quella di Clark gli sembra un po’ più stretta del solito.
Sarà per questo che quando Bruce si toglierà il completo e svuoterà le tasche, come fa ogni sera, troverà il suo biglietto da visita nel taschino, assieme a quel fazzoletto bianco di seta.

 

  
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