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Autore: Bucky_of_Gondor    05/09/2015    0 recensioni
[Gente di Dublino]
Dublino, un uomo cerca un luogo in cui rifugiarsi dal resto del mondo e in un pub troverà qualcuno con cui ritrovare un istante di tranquillità.
Ispirata al romanzo di James Joyce
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
È la prima volta che pubblico una storia che ho scritto quindi non so bene come fare >.<  Questa è una one shot ispirata a un viaggio che ho fatto qualche anno fa in Irlanda: entrando in un pub a Dublino ho avuto la sensazione di essere stata catapultata in opera di James Joyce! Spero che vi piaccia e se c’è qualcosa di sbagliato o se ho inavvertitamente copiato qualcuno avvisatemi J
Ci vediamo al fondo!
Non scrivo a scopo di lucro, i personaggi sono di mia fantasia come gli avvenimenti. I luoghi citati non mi appartengono.

GENTE DI DUBLINO
Oh, caro vecchio Joyce. Ora capisco perché scrivevi spesso dei pubs.
Ci trovi di tutto: risse, tranquillità, ubriaconi conosciuti da tutti, tipi alla mano con cui parlare, donne facili, donne non facili. E molto di più.
E quale città meglio di Dublino può rappresentare tutto ciò?
Stanco di tutte quelle riunioni e i soliti “ricordati delle tue responsabilità” “non è una gita di piacere” mi sono fiondato fuori dall’ hotel cercando un posto dove bere una Guiness decente. Evitando Temple Bar (troppa gente, confusione, più facilità di essere riconosciuti) ho camminato per un po’ e alla fine sono arrivato qui. Il boccale, il secondo, è mezzo vuoto e mi sento già meglio. Nel locale non c’è molta gente: un uomo seduto al tavolino a destra al fondo della sala, lo chiamano Jack ma non è il suo nome. Dal quel che ho capito è il suo nomignolo, dato che è il quarto Jack Daniel’s che beve. C’è un gruppo di uomini al tavolo vicino al mio: quattro anziani che bevono whiskey e giocano a carte. Altre persone sono dall’ altra parte del locale ma non riesco a distinguerle. Osservo ancora un po’ i clienti e non mi accorgo dell’entrata di un altro. Fuori fa freddo, lo capisco da come lo vedo di spalle al bancone. Porta una giacca lunga e verde e un berretto di lana grigio, simili a quelli norvegesi. Ridicolo. Sembra uscito da un film scadente di Natale. O da un film horror. Per dieci minuti parla con il barista e si fa servire un Irish Coffee. Hai un fegato d’acciaio ragazzo mio.
Alla fine si toglie la giacca e il berretto. Dovrei decidermi a comprare un paio di occhiali, è una ragazza e non un uomo. E pensare che non ho bevuto tanto. La giovane porta gli indumenti all’ attaccapanni alla mia sinistra e mi guarda: un lampo di curiosità e stupore passa nei suoi occhi ma poi ritorna al suo sgabello. Anche io rimango colpito: altre donne nella stessa situazione si sarebbero avvicinate, avrebbero fatto qualche domanda e avrebbero sperato in una botta di fortuna e in un po’ di fama. Per ora nessuna ci era riuscita. Ma lei mi incuriosisce. La maggior parte degli uomini non la noterebbe o la guarderebbe di sfuggita. Io non sono la “ maggior parte”. Con un unico sorso finisco il mio boccale mi avvicino al bancone. Mi siedo a un posto di distanza da lei e ordino uno Scotch. Lei ha ancora il bicchiere mezzo pieno e dall’ espressione fissa nel vuoto capisco che sta pensando. Il barista mi porta il bicchiere.
< La ragazza ha già pagato? > chiedo sottovoce
< No,perchè? > risponde tra il perplesso e l’infastidito

Il suo sguardo diventa ancora più confuso, alla fine sbuffa e prende i soldi.
Mi volto verso di lei e vedo che ha preso un libro e lo sta leggendo. Vedendo il titolo mi scappa una breve risata che non sfugge alla giovane donna che ora mi guarda. Spero che cominci a parlare e invece richiude il libro e finisce il suo Irish Coffee. Non arriva neanche al fondo ma si alza e prende la giacca e il berretto.
“Porca miseria, sei proprio un cretino” mi ripeto ma non riesco a una parola. Il comincia a battere troppo forte. Decido di tornare al mio tavolo. Nel frattempo lei ritorna al bancone per pagare ma il barista ripete ciò che gli ho detto. Non chiede chi sia stato così cortese ma si un’altra volta verso di me. E in un battito di ciglia è fuori dal pub.
< Merda > dico prima di uscire anche io, con il cuore che batte all’ impazzata (non ero così agitato dall’ ultima partita della squadra). Non ho il tempo di chiudere la porta e odo una voce:
< Perchè ti faceva ridere? > né banale né particolare, come il suo aspetto. Ha qualcosa di “maschiaccio” e “giovane” nel tono.
< Cosa? >
< Hai sentito >
< Beh pensavo che 'Dubliners' di Joyce fosse il libro migliore da leggere in un pub, ti immedesimi nei racconti >
Mi guarda un po’ scettica, ma alla fine sorride debolmente.
< Non c'era bisogno di pagarmi da bere >
< Sai, mio padre diceva che bere da soli porta sfortuna e noi due eravamo soli quindi...> non finisco la frase per non sembrare stupido (lo sei caro mio, lo sei).
< Bene. Invece dalla mie parti si dice che una ragazza per bene non dovrebbe andare in giro da sola di notte > Detto ciò si incammina nel viale. Rimango fermo per un bel po’ finché lei si gira e urla:<< Hey man! Come on!>> e allora la seguo.
Parliamo per tutto il tragitto. Lei sembra leggermi nel pensiero perché camminiamo in posti molto belli e poco frequentati. Ho capito che le piace parlare e anche ascoltare. Quando inizio a raccontare qualcosa vedo che socchiude gli occhi, deve piacerle il mio accento da inglese del Nord. In molti elogiano la mia voce ma solo ora mi rendo conto di come sia. Anche lei non è del luogo, ha una cadenza che a volte compare quando parla più velocemente. Parliamo di qualsiasi cosa: libri, musica, macchine, sport, viaggi, cibo e qualsiasi altra cosa per tenerci compagnia.
A un certo punto si ferma su uno dei ponti che attraversa il fiume Liffey e titubante mi dice che è arrivata a casa. Il suo alloggio è nella palazzina dopo il ponte. No voglio lasciarla. Vorrei stare ancora con lei ed è un pensiero reciproco.
< Se vuoi possiamo stare un po' qui sopra e parlare >
< Certo, qui è tutto tranquillo >
Ci appoggiamo alla balaustra, ma tra noi regna il silenzio. Sappiamo entrambi che la serata dovrà finire e che forse non ci rivedremo più. Tutto ciò mi mette tristezza. Agisco d’istinto e le stringo la mano. Non è la tipica mano da ragazza ma non mi importa. Mi piace. Alla fine è lei a rompere il silenzio:
< Ti piace scrivere lettere? >
< Si le scrivo ancora anche se ormai la tecnologia sta superando la carta >
< Bene > Si mette di fronte a me. Non è molto alta, devo abbassare di poco la testa per guardarla.
< Donald Smith, Townsend street*, 317a, usa quel nome è del vecchio affittuario > esclama < Questo è il mio indirizzo, quando vuoi mandami i tuoi saluti >
Mi porge la mano e la stringo forte, come fosse una promessa , un patto tra due complici. Dopo di che la ragazza si incammina verso casa. La guardo andare via e sento gli occhi pungere, così mi giro verso il fiume. In questo modo mi perdo il “dietro-front” di lei che torna da me, mi fa voltare e mi da un piccolo e veloce bacio. Poi torna correndo a casa.
Rimango ancora qualche minuto sul ponte con il sorriso sulle labbra, e poi decido di tornare in hotel.
E ripercorrendo le strade di Dublino, ripenso a lei, al pub, a Joyce, a tutto. E non vedo l’ora di scriverle.
Magari un giorno…
-fine.
 
*è una delle vie di Dublino più vicine al fiume Liffey ed è abbastanza distante dal centro città

Note di Bucky
Alloooora….siete arrivati alla fine. Cosa posso ancora dirvi? Ringrazio chi recensirà o leggerà la mia storia e chi avrà il coraggio di seguire le altre (vi consiglio di scappare muahahah)
Alla prossima e PER GONDOOOOOOR!!!
   
 
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