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Autore: gattina04    06/09/2015    4 recensioni
Due tempi, due storie: un futuro neanche troppo lontano e un presente.
Cosa accadrebbe se all’improvviso comparisse una bambina convinta di essere la figlia di Emma e Killian? Come reagirebbero i due scoprendo che presto la loro vita cambierà drasticamente?
E se dall’altra parte due genitori fossero alla disperata ricerca della loro piccola scomparsa? Cosa faranno per ritrovarla, come potranno reagire di fronte a quella che sembra una missione impossibile?
Genere: Avventura, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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1. Il tempo di una foto
 
Settembre 2022
Mi appoggiai al muro di fronte alla scuola, guardandomi intorno. Storybrooke sembrava non essersi ancora abituata a quel mio nuovo ruolo. Sentivo su di me gli sguardi indiscreti di molte madri, che come me, erano andate a prendere i loro figli a scuola. Il fatto che Emma fosse lo sceriffo di quella piccola cittadina e che a volte non poteva assentarsi dal lavoro, mi sembrava una scusa sufficiente per poter svolgere i miei doveri di padre. Invece no, c’era ancora chi fissava sbigottito il famoso, ed irresistibile, Capitano Uncino che andava a prendere sua figlia a scuola.
Il suono della campanella mi portò a concentrarmi su altro che non fosse la gente pettegola di quella assurda cittadina. I bambini cominciarono ad uscire a frotte dal grande portone d’ingresso. Cercai di sporgermi per riuscire a scorgere la testolina bionda della mia piccola in mezzo a tutta quella folla di ragazzini.
«Killian», mi sentii chiamare. Mi voltai e vidi Mary Margaret venire verso di me, uscendo insieme alla sua classe. «Che ci fai qua? Non avevamo deciso che avrei preso io sia Neal che Edith dato che io lavoro qui?».
«Beh sì. Ma oggi è stato il suo primo giorno di scuola elementare e volevo esserci».
«Attento potrebbe iniziare a circolare la voce che il temibile Capitano Uncino sia in realtà un sentimentale».
«Correrò questo rischio», replicai sorridendo. Sapevo benissimo di essere cambiato molto da quando era nata Edith: essere padre era sicuramente servito a rendermi un uomo migliore. Non avrei mai immaginato che nella mia lunga esistenza avrei provato un amore simile a quello. Fin dalla prima volta in cui l’avevo vista e tenuta tra le braccia avevo capito che non avrei mai più potuto essere un pirata egoista, non con lei. Per la prima volta nella mia vita qualcuno dipendeva completamente da me in un modo così assurdo ma bello, e avrei fato di tutto per non deluderlo. Emma scherzava dicendo che ero completamente innamorato di mia figlia tanto da farla ingelosire, però era vero e me ne rendevo benissimo conto. Forse era dovuto anche al fatto che da troppo tempo non avevo più nessuno che avesse il mio stesso sangue, qualcuno con cui avessi un legame indissolubile come quello che si crea tra fratelli o tra padre e figlia.
«Papà». La voce squillante della mia principessa mi fece individuare la sua piccola figura farsi avanti verso di me. «Sei venuto!».
«Certo. Avevi qualche dubbio? Te l’avevo promesso e io mantengo sempre la parola data». La presi in braccio sollevandola in modo che potesse allacciarsi al mio collo. Mi stampò un bacio sulla guancia e mi fissò col suo sguardo meraviglioso.
Dio! Mi sarei mai abituato a vedere i miei stessi occhi scrutarmi dal suo faccino vivace? Il fatto che avesse ereditato l’esatto colore delle miei iridi era una prova inconfutabile che fosse mia figlia, oltre alle altre mille evidenze che si palesavano ogni giorno. Emma diceva sempre che noi eravamo uguali anche se ritrovavo in Edith anche un bel po’ del suo caratterino.
«Come è andata oggi?», le domandai mettendola giù e prendendole lo zainetto. «Mi devi raccontare tutto».
«È stato strano. La nonna è la maestra della classe accanto alla mia. A proposito l’aspettiamo?». Mi guardai intorno per vedere dove fosse Mary Margaret ma lei era impegnata a parlare con Cenerentola e Aurora, probabilmente aspettando Neal.
«No, tanto difficilmente la mamma avrà tempo di cucinare e casualmente passeremo a cena da loro». Edith ridacchiò, probabilmente pensando che in fondo non avevo tutti i torti. Mi prese l’uncino con la manina pronta per incamminarsi per le vie di Storybrooke.
«Allora dove andiamo? A casa?».
«No, che ne dici se ce ne andiamo un po’ sulla Jolly? C’è una sorpresa che ti aspetta, ma se fossi in te comincerei a raccontare a meno che tu non voglia che me la riprenda».
Sorrise e i suoi occhi scintillarono pensando ad un eventuale regalo. Temendo di potere perdere quel dono inatteso iniziò a espormi tutta la sua giornata: i compagni, le maestre, cosa avevano detto e fatto, tutto nei minimi dettagli.
Edith era una bambina sveglia, rimanevo meravigliato da quanto fosse precoce. Era intelligente, furba come me e testarda come sua madre. Aveva iniziato subito, imparando a parlare molto in fretta e adesso a sei anni sapeva già leggere e scrivere correttamente. In più era anche così solare e allegra ed ero più che orgoglioso di ciò che io ed Emma eravamo riusciti a creare, senza neanche volerlo. Edith era l’imprevisto più bello che fosse potuto capitarci.
Oltre a questo la mia principessa era molto di più. Era speciale esattamente come sua madre. Edith possedeva la magia, anche se ancora non riuscivamo a capire di che tipo. Ecco, se qualcosa doveva gettare un’ombra sul quel quadro idilliaco che era diventata la mia vita era proprio quell’aspetto e quella profonda incertezza. Non era la magia in per sé stessa il problema, quello non sarebbe stata una difficoltà né per me né per nessun altro della nostra famiglia. Ma il fatto di non sapere fino a dove potesse spingersi, quali fossero le sue potenzialità, come riuscire a controllarla, era un pesante fardello da sostenere. Edith era troppo piccola per arrivare a controllare i suoi poteri, e non si trattava solo di far traballare le luci di casa o di accendere o spegnere qualche candela. Riusciva a spostarsi con la sola forza del pensiero senza rendersene conto; era anche vero, che era riuscita al massimo a materializzarsi in un raggio di pochi metri, ma i suoi poteri stavano crescendo esattamente come il suo corpo. Neanche il Coccodrillo, a cui ci eravamo rivolti nonostante i nostri trascorsi, era riuscito a stabilire quanto fosse forte la magia di Edith, doveva prima crescere e solo da adulta avrebbe potuto esprimere tutto il suo potenziale.
Emma insieme a Regina avevano provato ad insegnarle a controllarlo, ma lei non si rendeva neanche conto di stare usando la magia ed era impossibile che canalizzasse il suo potere se non riusciva neanche a sentirlo.
«Papà! Mi stai ascoltando?». Sbattei le palpebre accorgendomi di essere rimasto sovrappensiero e di non aver più sentito cosa stava dicendo mia figlia.
«No tesoro, scusami. Puoi ripetere?».
«Devo chiamare Henry, glielo avevo promesso. Voleva sapere anche lui tutto di oggi».
«Certo. Dopo sulla nave puoi prendere il mio telefono per chiamarlo». Henry ed Edith erano stati fin da subito molto legati ed era stata una separazione traumatica per entrambi quando Henry era andato al college a New York. Lui ormai era grande e, nonostante fosse sempre attaccato a Storybrooke, aveva deciso di andare all’università per seguire un corso di letteratura, con enorme orgoglio di entrambe le sue madri.
«Ma forse è meglio se lo chiami stasera da casa», riflettei, «con quel congegno con cui lo riesci a vedere».
«Con skype», mi corresse.
«Insomma quello lì, sono sicuro che così potrai fargli vedere anche il tuo regalo».
«Sì forse sì».
Nel frattempo eravamo arrivati alla mia nave che, maestosa come sempre, resisteva imperterrita ormeggiata nel suo posto nel porto. Aiutai Edith a salire a bordo e dopo di che la lasciai correre libera verso l’alloggio del capitano. Ormai conosceva la Jolly nei minimi dettagli, era come una seconda casa non solo per me ma anche per lei.
Appoggiai il suo zaino per terra e la seguii nella mia cabina. Lei si era già tolta le scarpe ed era salita sul letto. Si guardava intorno aspettando curiosa la sua sorpresa. Una ciocca di capelli biondi le cadde davanti agli occhi facendomi sorridere ancora di più.
«Qualcuno qua è molto impaziente», scherzai andando a sedermi accanto a lei. Scostai con l’uncino i suoi capelli ribelli e la feci sedere sulle mie ginocchia.
«Andiamo papà me l’avevi promesso. Dove è il mio regalo?».
«Quanta fretta. Non dovresti essere così frettolosa visto che non sai ancora di cosa si tratta».
Mi fissò incerta per un secondo per poi sporgersi ad abbracciarmi e a darmi un bacio sulla guancia. «Ti voglio tanto bene papà». La mia piccola manipolatrice! Sapeva giocare bene le sue carte.
«D’accordo», cedetti. «Ora te lo prendo». Scese dalle mie ginocchia e si rimise a sedere sul letto in modo che potessi alzarmi liberamente. In realtà la sua sorpresa non era niente di che: era una specie di diario ancora bianco che avrebbe potuto riempire con tutti i suoi pensieri. L’unica particolarità consisteva nella copertina di legno con inciso un timone con incatenate una “E” e una “J”.
«Mi piace tanto questa foto», la sentii mormorare mentre aprivo l’armadio. Sapevo benissimo a quale foto si riferiva, anche perché era l’unica presente sulla nave. «Mi racconti la storia».
«Di nuovo?», sbuffai. «Non la sai a memoria?».
«Sì ma tu la racconti sempre così bene». Nel frattempo aprii il cassetto dove pensavo di aver messo il diario ma lo trovai vuoto. Probabilmente Emma l’aveva spostato pensando che Edith avrebbe potuto curiosare là dentro.
«Va bene, la mamma deve averlo messo nell’altra cabina. Tu aspetta qua». Richiusi l’armadio e mi voltai di nuovo verso di lei.
«Si però racconta». Si mise più comoda sul letto: aveva preso la foto e la stava fissando aspettando l’inizio della storia.
«D’accordo», incominciai per l’ennesima volta. «Come già sai questa foto l’abbiamo scattata qualche mese prima di sapere che saresti arrivata tu. Era settembre se non ricordo male ed io e la mamma eravamo sulla Jolly Roger durante la sua pausa pranzo». Intanto ero andato nell’altra cabina e avevo iniziato a cercare dove Emma avesse potuto nascondere quel dannato diario.
«E che cosa facevate?», mi domandò alzando la voce. Ricordavo benissimo cosa stavamo facendo e non era sicuramente una cosa da poter dire ad una bambina di sei anni.
«Stavamo mangiando no? Era la pausa pranzo», mentii. «E ci stavamo divertendo». Almeno questa parte era vera. «All’improvviso vidi la macchina fotografica di Henry in mezzo alla stanza; probabilmente l’aveva dimenticata lì durante una delle nostre escursioni in nave. Non conoscendo ancora bene che cosa fosse chiesi a tua madre a cosa servisse quel congegno e…».
«E la mamma ti rispose facendoti una foto», concluse lei per me.
«Sì e accecandomi con il flash». Non potei non sorridere ricordando quel giorno.
«E poi tu non volevi più farti fotografare e volevi vendicarti prendendole la macchina fotografica, ma lei ti convinse a fare una foto insieme visto che non ne avevate punte».
«Ehi ma non dovevo essere io a raccontare?», protestai. Proprio in quel momento trovai ciò che stavo cercando sepolto sotto delle coperte in un armadio di cui non ricordavo neanche la funzione.
«Sì lo so», mormorò. «Vorrei tanto esserci stata anche io, la mamma stava così bene con i capelli lunghi». Non potei che essere d’accordo, anche se il nuovo taglio di Emma non mi dispiaceva. Dovevo ammettere che era stato piuttosto traumatico vederla tornare a casa con i capelli corti che a malapena le sfioravano le spalle.
«Tesoro sto arrivando, chiudi gli occhi», esordii tornando verso la cabina del capitano. Ma quando ne varcai la soglia fui come raggelato. Il letto su cui avevo lasciato Edith era completamente vuoto, la cornice era per terra. Di lei non c’era neanche l’ombra, gli unici volti erano quello mio e di Emma che mi fissavano sorridenti dal pavimento.
Il mio cuore si fermò e potei sentire una morsa chiudermi lo stomaco. Ebbi la netta sensazione che non fosse come le altre volte ma che fosse successo qualcosa di terribile.
 
Present day (settembre 2015)
Le passai l’uncino su e giù lungo la schiena non riuscendo a trattenere un gemito. Con la mano mi aggrappai alle lenzuola cercando di darmi un contegno. Il grande Capitano Uncino non poteva essere così sottomesso al fascino di una donna, anche se quella donna era Emma Swan. Del resto, il mio cigno ci sapeva proprio fare quando ci si metteva.  
Chiusi gli occhi lasciando che fossero gli altri sensi a prevalere. Emma era a cavalcioni sopra di me, un peso insignificante da sostenere, le sue gambe strette intorno al mio bacino. Le dita lunghe e affusolate erano appoggiate sul materasso proprio accanto alla mia testa. Ma ciò che era più importante erano le sue labbra che stavano lasciando una scia di baci sul mio corpo. La sua bocca calda sembrava infuocare ogni punto della mia pelle che riusciva a toccare: era un miracolo se non ero già andato a fuoco.
Una mano si portò sul mio fianco, accarezzandomi i muscoli del torace; subito dopo fu seguita dalle sue labbra. Depositò un bacio sullo sterno, per poi proseguire il suo percorso: salì lentamente dall’addome al petto, dal petto alle spalle, dalle spalle al collo. Tirai indietro la testa per poter rendere più accessibile il percorso a quelle calde labbra che mi stavano facendo impazzire. Quelle continuarono a salire, sempre depositando bollenti baci a cui rispondevo inevitabilmente ansimando. Arrivarono sul mio mento, lungo la mia mandibola, sulla guancia, vicino al mio orecchio. Sentii le ciocche dei suoi capelli sfiorarmi il viso e fu inebriato dal loro profumo.
I suoi denti mi mordicchiarono il lobo, mentre la sua mano si era portata sulla mia guancia, le dita a sfiorare l’attaccatura dei miei capelli. Avrei voluto passare anche io le dita in quei boccoli dorati, ma probabilmente se avessi lasciato la presa che avevo sul letto, avrei perso il controllo, di nuovo.
«A qualcuno qui piacciono le coccole», sussurrò ad un centimetro dal mio orecchio.
«Emma», riuscii solo a mormorare. Dio! Ero completamente alla mercé di quella donna.
«E non è ancora stanco», continuò, «nonostante che sia già venuto… due volte». Rimarcò le ultime parole, lanciandomi quella che era una palese frecciatina. Ovviamente quello era troppo e non potevo non rispondere.
Con un colpo di reni, ribaltai la situazione portandomi sopra di lei. I suoi capelli si sparpagliarono sul cuscino, mentre le mie dita si intrecciarono alle sue. I suoi occhi erano più accesi che mai e dalla sua bocca uscì una risatina. Le sue labbra arrossate mi rivolsero uno dei suoi più meravigliosi sorrisi, uno di quelli che era difficile far comparire.
«Beh per essere chiari Swan, sei stata tu che hai continuato a baciarmi, non paga dell’orgasmo di poco fa. Non puoi accusarmi se poi il mio corpo reagisce così ai tuoi baci. E poi non credo di essere l’unico qui a cui piacciono le coccole». Senza lasciarle il tempo di rispondere, mi avventai sulle sue labbra gustando il suo dolce sapore. La sua risposta fu subito pronta: mi strinse a sé annullando anche la più minima distanza tra i nostri corpi. Le sue gambe mi circondarono il bacino, facendomi capire che era di nuovo pronta per me.
«Killian». La sua voce era solo un sospiro ma adoravo sentirla pronunciare il mio nome, soprattutto quando lo pronunciava come se fosse stata la parola più bella del mondo.
Proprio in quell’istante, come a voler rovinare quel momento perfetto, il suo parlofono iniziò a squillare. Chiunque fosse aveva un tempismo perfetto.
«Non rispondere», la supplicai.
«Potrebbe essere importante».
«È la tua pausa pranzo, abbiamo ancora tempo».
«Potrebbe essere un’urgenza», replicò. «Ricorda siamo a Storybrooke».
«Possono sopravvivere senza la Salvatrice per un altro po’». Mi sorrise ma si sporse comunque verso quel congegno infernale. Tuttavia non la lasciai andare, non avevo intenzione di fermarmi in quel modo.
«Potrebbe essere mio padre. Che cosa penserà se non rispondo?».
«Che non puoi rispondere?», azzardai. Il telefono continuava imperterrito a squillare.
«E se mi chiedesse cosa stavo facendo? Non credo che tu voglia che sappia cosa fa la sua pura e casta bambina durante le sue pause pranzo».
«Sicuramente poco fa non eri né pura né casta», ridacchiai.
«Killian», mi rimproverò.
«E va bene». Mi spostai su un fianco dandogliela vinta e permettendole di prendere il telefonino dal piano accanto al letto. Peccato che proprio in quel momento il suono cessò. Chi l’aveva chiamata aveva deciso di desistere un po’ troppo tardi oramai.
Emma si mise a sedere guardando lo schermo, mentre io mi posizionai meglio su un fianco, poggiando la testa sulla mano e osservando la sua candida schiena.
«Era mia madre, la richiamerò più tardi».
«Lo vedi? Ci siamo fermati per niente».
«Beh accontentati. Penso che per oggi tu mi abbia avuto a sufficienza».
Si alzò permettendomi di osservare il suo corpo perfetto. Iniziò a cercare i suoi vestiti che dovevano essere sparsi nella cabina; non avevo fatto molto caso a dove li avevo buttati.
Mi guardai intorno e la mia attenzione fu catturata da un oggetto che stonava con il resto della stanza. Quello sicuramente non era mio e non era della Jolly Roger.
«Credo che quello l’abbia lasciato qui Henry». Puntai il dito verso il congegno sopra il tavolo.
«Cosa?». Emma si voltò perplessa, mentre si stava agganciando il suo moderno corsetto. Aveva già trovato anche gli slip: sapeva vestirsi un po’ troppo velocemente per i miei gusti.
Puntò lo sguardo nella direzione indicata dal mio dito e il suo viso si illuminò. «Ecco dove l’aveva lasciata. Pensava che fosse da Regina: ieri sera era disperato».
«Che cosa è?», le domandai perplesso.
«Una macchina fotografica, deva averla usata l’ultima volta che siete usciti in barca». In effetti, facendoci mente locale, mi ricordavo di quello strano apparecchio che aveva usato Henry.
«Swan ti dispiace ricordarmi a cosa serve?».
«Dai Killian è facile, lo dice anche il nome». Senza aggiungere altro andò al tavolo e la prese. Tornò sorridendo verso di me e poi se la portò di fronte al viso. Sicuramente se era qualcosa che mi impediva di vedere i suoi meravigliosi occhi verdi non mi sarebbe mai piaciuto.
All’improvviso, senza nessun preavviso, un lampo uscito da quello strano macchinario mi accecò.
«Per mille balene!», inveii. «Sei impazzita? Che razza di magia è questa?».
Emma per tutta risposta scoppiò a ridere. «Suvvia Killian! Era solo il flash!».
«Il cosa? Ma ti sembra normale andare in giro ad accecare la gente? Come puoi permettere a tuo figlio di usare un attrezzo del genere?».
«Oh andiamo! Che sarà mai. Adesso lo tolgo, tu fatti fare un’altra foto».
«Te lo puoi scordare, io non mi farò più colpire da quel coso». Tentò di ripetere il gesto di prima ma io mi alzai prontamente dal letto.
«Come se ti avesse fatto male! Quante storie per un flash», ridacchiò.
«Beh guardiamo come ti trovi tu a situazioni invertite». Mi avvicinai per afferrare la macchina, ma lei fu più veloce e si scostò.
«Prima devi riuscire a prendermi Capitano». Bene voleva giocare: non sarei stato di certo io a tirarmi indietro. La rincorsi per tutta la cabina, ma Emma era veloce e agile e sapeva come non lasciarmi neanche avvicinare a quel maledetto congegno. Ogni volta che arrivavo quasi a sfiorarlo lei cambiava immediatamente direzione, facendomi girare a vuoto.
Alla fine, però, riuscii a prevedere la sua mossa e riuscii ad intrappolarla tra le mie braccia. Il mio movimento, che era stato troppo repentino, ci fece perdere l’equilibrio cadendo, per fortuna, sul letto.
Mi ritrovai di nuovo sopra di lei, le labbra ad un centimetro dalle sue. «Ti ho presa», sussurrai. Per tutta risposta annullò la poca distanza che ci separava, baciandomi con passione.
«Hai visto?», sospirai infine. «Siamo di nuovo su questo letto con tu che continui a baciarmi». Mi alzai mettendomi a sedere per evitare di schiacciarla; anche lei si alzò: il suo sorriso sempre più mozzafiato.
«Beh hai ragione. Consideralo come un incentivo per farmi perdonare».
«Con un incentivo del genere è difficile avercela con te».
«Allora saresti disposto anche a fare una foto?». Feci una smorfia. «Insieme questa volta».
«Insieme?».
«Sì. Non abbiamo punte foto di noi due. Potresti tenerla tu e metterla qui sulla nave». Noi due: quelle sei lettere suonavano così bene pronunciate dalla sua bocca. In effetti avere una specie di ritratto di me ed Emma sarebbe stato bello, soprattutto in un giorno che lei era così solare. Vedere quel sorriso radioso era raro e riuscire ad immortalarlo era un evento ancora più insolito.
«Va bene», acconsentii.
«Perfetto e niente flash lo giuro». I suoi occhi si illuminarono; si avvicinò a me stringendomi con un braccio mentre con l’altro teneva la macchina fotografica sopra di noi. Schiaccio un pulsante e, come aveva promesso, non ci furono altri lampi.
«Ecco fatto, guardiamo come è venuta». Proprio in quel momento sentimmo un tonfo, come un corpo che cadeva, provenire da sopracoperta.
Mi staccai da lei per cercare di capire cosa era appena successo. «Cosa è stato?».
«Non ne ho idea». Si alzò e andò ad infilarsi i jeans. Anche io mi rivestii più in fretta che potei. Mi infilai i pantaloni ed iniziai ad abbottonarmi la camicia.
Era improbabile che qualcuno fosse venuto a cercarci a bordo, come era altrettanto improbabile che fosse un qualche ladro. Non c’era un granché da rubare e poi tutti sapevano che era una vera assurdità tentare di rapinare un pirata. Forse il vento poteva aver spostato qualcosa, ma il mare sembrava fin troppo calmo per poter essere quella la spiegazione.
«Sarà caduto qualcosa», suggerì Emma poco convinta.
«Può darsi». Stavamo per uscire dalla cabina, quando la maniglia della porta si abbassò segno evidente che stava entrando qualcuno. Emma estrasse prontamente la pistola, mentre io afferrai il primo oggetto contundente che trovai sul tavolo, sollevando anche l’uncino per essere pronto ad ogni eventualità.
Nonostante ciò, quando la porta si spalancò fummo del tutto presi alla sprovvista. L’intruso non era altro che una piccola bambina bionda. Ma non fu quello a destabilizzarmi: fu esattamente quando alzò lo sguardo su di me, incrociando i miei occhi, che tutto perse di significato. Fu proprio come guardarmi allo specchio: le sue iridi erano le mie, brillavano di un colore che ero abituato a vedere associato solo al mio volto da molto, moltissimo tempo.
Come se quel semplice dato non bastasse per inquietarmi, le parole che uscirono dalla sua bocca furono sufficienti a farmi crollare il mondo sotto i piedi.
«Papà!».


 
Angolo dell’autrice:
Salve a tutti! È un bel po’ che ho in mente questa storia e adesso, finalmente, mi sono decisa a pubblicarla. Spero che l’idea vi piaccia e che vi incuriosisca.
Pensavo di organizzare ogni capitolo, con una vicenda del presente e una del futuro, per vedere come si evolveranno le situazioni da entrambe le parti.
Fatemi sapere cosa ne pensate, se l’idea vi piace e se avete qualche suggerimento!
Spero di aggiornare abbastanza velocemente, nonostante i mille impegni!
Un abbraccio
Sara 

 
  
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