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Autore: Dario da Aguascalientes    06/09/2015    0 recensioni
Sabato sera. Da un po' di tempo la mente di Ale si raccoglieva immergendosi nelle grandi questioni esistenziali.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caraibi e Osterie

 

Sabato sera. Da un po' di tempo a questa parte durante il sesso, la mente di Ale si raccoglieva immergendosi nelle grandi questioni esistenziali.

“Chi sono?” Pensava mentre lo faceva in un bilocale situato nel centro storico con Valerié una studentessa francese erasmus. Valerié studiava sociologia e sarebbe volata oltralpe da qui a quattro mesi. Per la precisione si trovavano nella camera da letto di Valerié che divideva con una ragazza di Milano che però al momento non c'era.

Valerié giaceva nuda con gli occhi chiusi e in viso un'espressione contrita quasi sofferente, come se fare l'amore rappresentasse, per lei, un grande sforzo fisico.

Era alta e slanciata, con piccoli seni e piedi lunghi, leggermente sproporzionati per le sue caviglie sottili. Cingeva con entrambe le braccia le spalle di Ale che si muoveva sopra di lei. Non si baciavano. Solo scopavano con grande passione.

“Che cosa è veramente mio?” Insistette Ale fra sé e sé. “I miei ricordi. Ma se basta un incidente, una semplice botta in testa per perdere la memoria. - I ricordi non sopravvivevano alla morte e quindi, tutte le esperienze che stava vivendo, inclusa la scopata con Valerié erano destinate all'oblio. Poi prese la tangente. E facebook? Che succede quando muori? I tuoi amici possono continuare a taggarti, mandarti messaggi e rivedere quella foto nella quale compari ubriaco fra le braccia di gente ancora più ubriaca? Già, cosa succede quando muori con il tuo facebook?

Dalla cucina si udiva il ronzio meccanico del vecchio frigo anni ottanta. Succhiava un'esagerazione di energia elettrica per mantenere al fresco i gambi di sedano, gli yogurt e le uova con cui Valerié e la sua compagna d'appartamento erano solite alimentarsi. La cucina era piccola come, del resto, tutto l'appartamento.

La sua modestia, la lampadina nuda e fioca, il bidone dell'immondizia e il lavello colmo di piatti sporchi, trasmettevano una tristezza intollerabile. Per questo Ale preferiva passare il tempo in camera da letto quando andava a trovare Valerié. Almeno lì Valerié aveva appeso un bel poster dei Pirenei e i reggiseni variopinti abbandonati sul pavimento erano allegri da vedere.

Ale e Valerié si vedevano una o due volte alla settimana. Di solito era lei che gli mandava un messaggio e lui rispondeva di sì, che sarebbe passato.

Trascorrevano il tempo in camera a chiacchierare e a fare l'amore. Poi Ale si rivestiva e, insieme, guardavano la televisione o semplicemente continuavano a chiacchierare.

Infine Ale se ne andava.

Si erano conosciuti qualche tempo prima, ad una festa universitaria di quelle che nascono senza un perché.

Valerié, completamente ubriaca, aveva sedotto Ale trascinandolo nel cortile e avevano limonato vicino al cancello con gli invitati che si soffermavano ad osservarli sghignazzando mentre entravano od uscivano dalla festa.

Poi, giorni dopo, Valerié e Ale si erano rintracciati tramite Facebook ed erano cominciati gli incontri.

Ad Alex piaceva fare l'amore con Valerié. Fare l'amore per lui era come entrare in una camera piena di vapore o nuotare negli abissi del mare in completa solitudine. Si isolava dal mondo e lasciava affiorare i suoi pensieri più profondi.

Al momento si era dato l'ambizioso compito di capire chi era escludendo dal suo essere tutto ciò che gli avrebbe portato via la morte. Aveva considerato il suo corpo, i suoi ricordi, ma anche i sentimenti non sarebbero sopravvissuti, né tanto meno le altre emozioni perché esse non sono altro che scariche ormonali e connessioni di sinapsi. Chiuse gli occhi e si vide oltre la sua vita terrena. Immaginava l'altro mondo come una spiaggia del litorale veneto in un giorno d'autunno. Vedeva la spiaggia deserta sporca di detriti, un cielo plumbeo carico di pioggia e un vecchia barca abbandonata. Così si immaginava la vita oltre la morte e, quando faceva l'amore con gli occhi chiusi, gli si presentava innanzi questo paesaggio ed era una sensazione così dolce e malinconica.

Insomma, privo di ricordi, emozioni, corpo o identità che sarebbe rimasto di lui?

In quel momento Valerié aprì la bocca e cominciò a gemere forte, come se il piacere che, fino ad un attimo prima controllava abilmente, avesse finalmente preso il sopravvento.

Ale non cambiò il ritmo. Sentiva le unghie di Valerié graffiargli la pelle delle spalle. Non aveva più tanto tempo. Tra un po' la spiaggia sarebbe scomparsa e con essa le questioni fondamentali dell'esistenza umana. E si sentiva così vicino alla soluzione.

...Alla soluzione,

...alla soluzione.

Che cosa sarebbe rimasto di lui? Pensò allora agli abiti che aveva usato, ai molti quaderni dove aveva preso appunti e si era esercitato.

Quaderni, vestiti, mobili, penne, vecchi giocatoli; ciò che sarebbe sopravvissuto di lui dopo l'esistenza terrena si sarebbe potuto vendere in un mercatino dell'usato. Che merda.

Poi ebbe una brillante intuizione. Si considerò come un cursore che lampeggia su un monitor. E l'aspetto importante del cursore non è il cursore in sé, né il suo continuo lampeggiare, bensì le parole che si lascia dietro.

Che si lascia dietro.

C-h-e s-i l-a-s-c-i-a d-i-e-t-r-o.

Valierie si inarcò, ora ansimava come in preda ad una crisi di asma e anche Ale era vicino.

Vennero insieme.

Ale chiuse gli occhi e, nell'orgasmo, stette con il suo mare, la sua spiaggia, le sue nuvole cariche di pioggia e la sua vecchia barca abbandonata.

Fine.

Ora, per quanto Ale tentasse di pensare a quel genere di cose non ci riusciva. Insistendo oltre le risposte gli sarebbero risultate banali o non sarebbero proprio venute.

Ale e Valerié si guardavano negli occhi aspettando che il respiro si normalizzasse. Poi Ale scivolò al fianco di Valerié.

Si tolse il preservativo, fece un nodo e lo appoggiò sul comodino. Il sudore cominciava a raffreddarsi. Si fecero strada le voglie post sesso.

Valerié dopo il sesso fumava. Conoscendo il rituale, aveva già predisposto l'occorrente sul comodino. Quindi allungò un braccio per prendere sigaretta, portacenere e accendino. Ad Ale piaceva invece ascoltare la musica ed aveva il suo I pod nella tasca della giacca a vento. Dopo il sesso voleva brani malinconici o ipnotici, roba profonda.

Le prime volte aveva offerto un auricolare a Valerié per ascoltare insieme ma poi si rese conto che infondo a lei la musica non interessava, preferiva fumare. Così ognuno si isolava con il suo svago post sesso.

“La petite morte.” Disse Ale dopo un po'.

“Uh?”

“Le petite morte, non è così che chiamate l'orgasmo, voi francesi?

“Sì, anche.” Valerié incominciò ad ispezionarsi la pelle delle gambe alla ricerca di brufoletti ed impurità. Lo faceva senza interesse, in attesa. In attesa di cosa?

Ale lo sapeva e, il il fatto di saperlo, lo metteva a disagio perché si trattava di una domanda la cui risposta poteva essere una verità inaccettabile o una bugia che un giorno gli sarebbe stata rinfacciata con rabbia.

La domanda era questa: che senso aveva incontrarsi, parlare di esami e di università e poi fare l'amore? Di solito questo tipo di cose lo fanno gli innamorati.

Valerié continuava ad esaminarsi le gambe però lanciava ad Ale sguardi inquisitori sempre più frequenti. Il silenzio cominciava a farsi sgradevole.

Ale balzò dal letto e prese a vestirsi. Desiderava uscire da lì e ricevere il fresco abbraccio della notte. Via, via, via. La presenza di Valerié lo metteva a disagio. Era intollerabile quella sua muta domanda alla quale non sapeva rispondere.

Era quasi vestito. Doveva solo allacciarsi le scarpe, mettersi la giacca e dirle qualcosa per congedarsi. Dio, quanto era sterile la sua fantasia, proprio adesso che aveva bisogno di creatività. Non trovò niente di meglio da dire che: “Beh è tardi. Io andrei.”

Valerié alzò lo sguardo. Aveva grandi occhi color nocciola, dannatamente espressivi.

“Ale, tu mi vuoi bene?” Puttana schifosa, pensò Ale, lo hai fatto. Si sentì irritato, impotente e fuori luogo. Ha rovinato tutto. Che fare? Dirle la verità o una bugia piccolina come un'ammissione di qualcosa che non era vero.

Poteva anche affrontare una lunga discussione sui massimi sistemi sentimentali, sarebbe bastato dire: “dipende”.

No, no, no.

“Ale?”

“Sì?”

“Allora?” Che buffa erre moscia, aveva Valerié. Così francese. Ale si allacciò le scarpe, la guardò negli occhi. Era troppo complicato dirle qualsiasi cosa.

“Senti, non lo so.” La porta, era solo a dieci passi, là fuori nel corridoio. Valerié ora aveva gli occhi gonfi di lacrime. Le tremava addirittura il mento.

Per Ale era troppo. Possibile che si debba far sesso solo fra innamorati senza doversi poi pentire? Puoi bere un bicchiere di vino con chiunque però devi fare sesso solo con qualcuno con cui vuoi invecchiare. Cosa poteva sapere Valerié della spiaggia e del cielo gonfio di pioggia. Che male c'era?

“Vado” disse Ale e, senza aggiungere altro, lasciò la stanza. Percorse il corridoio, aprì la porta e se la richiuse alle spalle. Libero.

Quasi; sapeva che là dentro Valerié stava piangendo a causa sua. Ma che poteva farci? Poteva lasciarla per esempio, magari incontrava qualcuno meglio di lui. O peggio, o uguale.

Si mise le mani in tasca e camminò per i tortuosi vicoli del centro fra le botteghe di antiquariato che esponevano vecchie statue barocche e mobili vetusti, negozi di ottica e bar chiusi. Alcune finestre erano illuminate dalle tenui luci bluastre delle televisioni accese. Vista l'ora, era da poco terminato il talk show politico in onda sull'emittente locale nel quale si era certamente parlato di immigrazione clandestina e di valori cattolici ed ora era cominciato il film erotico che avrebbe messo d'accordo fascisti, leghisti e comunisti.

Ale fece un lungo respiro e considerò la sua situazione. Era in forma, ben vestito, aveva venticinque anni, aveva scopato. Si sentiva affamato ed aveva soldi nel portafoglio.

D'improvviso dimenticò Valerié e lo prese come un senso di euforia. Si sentì ottimista, sano e pieno di energia. La notte era giovane.

Decise di abbandonare i vicoli e camminare lungo le vie principali del centro, sicuramente più frequentate. Aveva voglia di un kebab caldo e speziato. E di una birra.

Per la strada c'erano gruppi di giovani pettinati con il gel, ragazze con le borsette di marca che camminavano con i tacchi, qualche coppia matura alla ricerca di un tavolino rischiarato da una candela e teenager che marciavano con decisione a braccetto alla conquista del mondo.

Cellulari dappertutto, milioni di messaggi nell'etere.

Ale attraversò la piazza principale ed imboccò una via nella quale si trovava un kebab gestito da pakistani. Sul marciapiede circostante una decina di giovani, per lo più extracomunitari, stava mangiando il famoso panino mediorientale. I cuochi pakistani erano operosi e tranquilli. Tagliavano la carne, scaldavano il pane e lo riempivano di verdura e salse. Incassavano i soldi. Era incredibile che fossero venuti da così lontano solo per dedicarsi a vendere panini. Ale si mise in coda e, dopo pochi minuti, si aggiunse al gruppo di giovani che mangiava sul marciapiede.

“Ciao” Ale si voltò constatando che il saluto era proprio per lui e, a stento, nascose un'espressione di delusione.

Si trattava del Checco, un ragazzone massiccio dagli scarsi contenuti intellettuali ma mosso da un'incredibile voglia di comunicare e ancor più grande esigenza di farsi ascoltare. Era uno di quei tipi che se ti vedono distratto quando ti parlano, ti picchiettano sul petto con le dita.

Checco aveva visto Ale da lontano e lo aveva raggiunto per far due chiacchiere. Secondo Checco, Ale era un suo amico.

“Uhm ciao!” Fece Ale masticando. “Sì!” mentì poi: “raccontami tutto”. Checco esordì con una notizia che ad Ale non piacque per niente.

Disse che aveva ricevuto una e-mail da Vianney la ragazza messicana che avevano conosciuto l'estate scorsa e con la quale avevano vissuto una serie di allegre nottate nelle osterie del centro a bere vino bianco e a cercare di sedurla.

Fu più brava lei perché sedusse tutti senza andare a letto con nessuno.

Le cose andarono pressapoco così.

Ale e Checco la incontrarono una sera in una piazzetta del centro. Stava consultando una mappa della città con lo zaino da viaggio in spalla. Era piccolina di statura con enormi occhi neri, culo e tette sodi e rotondi. Fu lei a chiamarli.

“Ehi, ehi, muchachos, disculpe”. Parlava con un buffo miscuglio di spagnolo e italiano; ogni dieci parole in spagnolo ne diceva una in Italiano. Chiese un'informazione che né Checco né Ale capirono. Allora lei si mise a ridere così di gusto che contagiò anche i due che prendevano coscienza di quel corpicino esotico niente male.

Sì, sì lo sé, lo sé hablo italiano, bruttissimo.” e continuò a ridere. Checco e Ale si sentirono improvvisamente euforici e lo divennero ancor di più quando lei propose:

“Che cosa facciamo, ahora?” Dopo un momento di esitazione decisero di portarla in un'osteria a provare vino tipico. Lei si ubriacò e fece conoscenza con tutti gli avventori che la trattarono con molta gentilezza studiando in segreto se c'era un modo di portarsela a letto. Lei toccava braccia e spalle di tutti, improvvisava passi di ballo, chiedeva il nome della gente:

“E tu como te llamas?” e poi aggiungeva: “Yo soy Vianney de México”. Alle tre di notte Checco e Ale la accompagnarono all'ostello della gioventù dove si supponeva doveva recarsi al momento del loro incontro.

“Quanto ti fermi?” le chiese Checco. Lei spiegò che aveva sì tempo e la città le piaceva molto, però non molti soldi e che quindi non poteva permettersi una lunga permanenza all'ostello.

“Io ti aiuto” disse Checco afferrando l'opportunità come un cane che acchiappa una mosca con un colpo di mandibola: “Puoi venire a casa mia e stare nella camera di mio fratello che si è sposato”. Lei resistette solo un po' dicendo che non aveva i mezzi per sdebitarsi ma Checco insisteva e insisteva mentre, ad Ale, gli giravano a mille.

Alla fine Vianney capitolò.

Sale, ma usciamo siempre insieme, vieni anche tu Ale, verdad?” Per Ale andava benissimo. Vianney li baciò con calore sulle guance e andò a dormire.

“Che scossa al cazzo” commentò Checco. Ed era vero, non esisteva definizione migliore.

I giorni successivi furono indimenticabili. Visitarono i dintorni, andarono a pranzo in trattorie che da anni non frequentavano, passeggiarono in collina e andarono al lago dove Vianney prese il sole con un bikini che creò molta aspettativa e nervosismo. Aveva davvero un bel corpo, non solo da scopare ma anche da proteggere, una terra fertile nella quale seminare la propria discendenza. Un corpo che sarebbe stato bello anche carico di anni.

Vianney era sempre di buonumore, scattava foto, beveva e mangiava di gusto. Le piaceva molto il gelato e riusciva a mangiarsene anche tre al giorno. Distribuiva con generosità abbracci e baci sulle guance.

La notte, prima di ritirarsi, i tre erano soliti conversare per ore. Ad Ale sarebbe piaciuto di più un tete a tete con Vianney.

Non gli piaceva dover scendere in intimità con gente come Checco che esponeva una visione del mondo da uomo di Neanderthal e Ale temeva che Vianney potesse crederli simili.

Nonostante tutto, ebbero modo di conoscersi.

Vianney era originaria di Città del Messico però lavorava a Cancun come animatrice turistica o barista, dipendeva dalle stagioni. Si era concessa un viaggio in Italia perché la considerava un bellissimo paese ricco di storia e suggestioni. Ideale per scattare foto.

Ale le chiese perché era sempre così gioviale e lei rise. Disse che i messicani sono così. Prendono la vita nel suo lato migliore sorridendo per ogni cosa positiva che il giorno regala. Provate a vivere fra cieli azzurri, sole caldo, spiagge di sabbia bianca, musiche caraibiche, cocktail a base di rum e frutta. Pensate di ballare tutti i giorni, di essere circondati da bella gente. Come potete essere tristi? Anche se siete poveri sarete comunque contenti, non è la felicità che vi manca.

Ale pensava alla tristezza e al grigiore della sua città, a quello strangolante senso di frustrazione che lo prendeva ogni volta che entrava in un ufficio pubblico o a un colloquio di lavoro.

Stress, code, umiliazioni. Era come se Vianney gli stesse dicendo che il paradiso esisteva davvero e non bisognava morire per andarci.

Allora Ale e Checco le dissero che avrebbero mollato tutto e l'avrebbero seguita a Cancun. Vianney rise e li incoraggiò a farlo che era una buona idea che li avrebbe aspettati, che sarebbero andati insieme alla spiaggia.

Non tardarono molto a parlare delle rispettive situazioni sentimentali. Checco si dilungò a descrivere le sue pene d'amore ed Ale pensava che non c'era speranza per lui. Era la legge della selezione naturale di Darwin che operava. La gente come Checco marciava inesorabilmente verso l'estinzione.

Quando fu il suo turno, Ale spese cinque minuti per descrivere l'amarezza della sua ultima relazione che si era spenta miseramente dopo un mese. Ti vorrei con più coglioni, gli disse la sua ragazza prima di lasciarlo, però questo non lo confidò a Vianney.

Vianney invece rivelò che, al momento, era libera però che qualche mese prima, a Cancun aveva conosciuto un gringo bellissimo, moro e muscoloso che tutte le notti suonava la chitarra in spiaggia. Si erano baciati e lui aveva promesso di tornare e sposarla. Quindi ti sposi con lui? Non lo so, prima deve tornare, però sì mi piacerebbe.

I giorni passavano veloci. Si accumulavano foto, chilometri in treno, chilometri in macchina, conti di trattorie e osterie. Ale e Checco erano due cavalieri galanti, dei piacevoli accompagnatori.

Entrambi però vivevano in un limbo di nervosa aspettativa. Si aspettavano qualcosa da Vianney; un bacio vero, una dichiarazione d'amore, una notte di passione ma preferivano non forzare le cose per paura di rompere la magia.

Una mattina Vianney annunciò la sua partenza così i due dovettero accompagnarla all'aeroporto. Stettero con lei durante il check in. Poi Vianney abbracciò forte prima Ale e poi Checco e disse che li avrebbe ricordati per sempre che erano due ragazzi fantastici e che augurava loro ogni bene.

Con incredulità i due stettero ad osservarla mentre passava attraverso i metal detector. Lei si voltò a salutarli un'ultima volta e poi scomparve nella folla.

Ale chiuse le mani a pugno e le scoprì piene di nulla.

Checco propose di andare a far colazione al bar dell'aeroporto ma Ale disse che non aveva tempo, che aveva cose da fare e se ne andò.

Vianney lasciò un vuoto nella vita di Ale. Nei giorni seguenti Ale ebbe nostalgia delle sue risate, della sua vitalità però si rendeva anche conto che le sue mani erano sempre state vuote.

Vianney aveva fatto il suo viaggio, si era divertita ed era tornata a casa. Punto.

Qualche giorno dopo Ale, Checco e Vianney erano amici su Facebook. Vianney pubblicò alcune foto del suo viaggio in Italia, in una comparivano Checco e Ale, i miei cari amici italiani.

Al principio Ale aggiunse qualche commento carino ma poi si rese conto che quelle foto lo facevano stare male.

Nelle settimane seguenti Ale spiava la vita di Vianney attraverso Facebook. Lei scriveva in spagnolo che era arabo per lui però dalle foto si capiva che la sua vita fluiva serenamente. Andava fuori a cena e a feste di compleanno. Compariva felice mentre abbracciava bei giovanotti locali. Più Ale seguiva la vita di Vianney più si sentiva disperato. Perché lei stava così bene e lui così male?

Più e più volte rifletté se partire per il Messico e vivere il resto dei suoi giorni sulla spiaggia bianca. Quando però apriva una pagina web per prenotare il biglietto, si paralizzava al momento di inserire la data. Quando sarebbe partito? Nei sogni era facile partire per qualsiasi destinazione ma farlo su serio era invece difficile. Cosa avrebbe detto alla sua famiglia? Come sarebbe sopravvissuto senza saper nemmeno una parola di spagnolo?

Resistette ancora un paio di settimane poi, in preda ad una crisi di pianto, cancellò la sua amicizia con Vianney. Quella notte si addormentò fra le lacrime e sognò di andare da lei.

Sognò di stare seduto attorno al fuoco in una spiaggia tropicale circondato da giovani che bevevano birra e cantavano canzoni. Provò un senso di euforia pensando di avere vinto la sua paura e di essere finalmente giunto da lei.

Chiese di Vianney e gli risposero che stava facendosi una nuotata e che presto li avrebbe raggiunti. Così Ale, nel sogno, si rilassò contemplando le fiamme del fuoco.

Poi d'improvviso sentì la sua risata. Vianney camminava sulla spiaggia completamente nuda e gocciolante. Il cuore prese a martellargli forte. Vianney lo riconobbe e gli corse incontro.

“Oh sei arrivato!” Ale poteva distinguere ogni particolare del suo corpo dai capezzoli bruni e turgidi, alla pelle d'oca, alle gocce d'acqua che brillavano fra i suoi peli pubici neri come petrolio. Vianney nel sogno gli tese la mano e fu allora che Ale si rese conto di stare sognando e si svegliò ansimante.

“Mio Dio”, pensò “Ho avuto una visione”. Si sentiva così sconvolto che si mise la tuta e le scarpe da ginnastica e uscì a fare jogging alle quattro del mattino.

Ci volle del tempo prima che le cose tornassero alla normalità.

Ora, dopo quasi un anno e mezzo Checco gli stava dicendo di aver ricevuto una mail da lei.

Ale rivide la disarmante nudità di Vianney e riaffiorò l'amarezza.

“E che dice?” Chiese Ale.

“Niente, dice che si va sposare con l'americano. E' tornato. Mettono su una specie di centro con bungalow e ci invita a passare le vacanze.”

“Troia” Commentò Ale.

“Chiede anche perché l'hai cancellata da facebook”

“Troia” Ripeté Ale poi stappò la birra e se la bevve tutta con rabbia. Ruttò.

“Vado Checco. Ci si vede in giro, eh”.

“E a Vianney che le dico?”

“Lascia perdere.”

Ale si allontanò, camminò per quasi un'ora alla deriva travolto da ondate di brutti pensieri. Che ore erano? Dove stava andando? Alla fine si sedette su una panchina vicino al fiume. La città era deserta e silenziosa. Duecentocinquantamila persone dormivano. Il fiume scorreva nero e scintillante. Un gatto spelacchiato esplorava circospetto un'aiuola.

“Che cosa è veramente mio?”

“Vianney non è mia”.

Si alzò e mestamente tornò sui suoi passi. Chissà se Valerié dormiva. Quando fu sotto casa sua vide la finestra illuminata. Il portone era aperto. Era di quelli vecchio stile. Se Valerié voleva chiuderlo doveva scendere e usare la chiave da dentro. Però non lo faceva mai.

Ale salì lentamente le scale. Entrò nell'appartamento silenzioso. All'ingresso vide la borsa di stoffa di Valerié dove era solita mettere il lucida labbra, gli occhiali da sole e il telefonino. Bussò alla porta della sua camera. Valerié sobbalzò.

“Tranquilla, sono io.”

“Sei tu?”

“Sì sono io”

“Cosa fai?”

“Entro?”

“Entra”

Ale entrò e si sedette sul letto. Valerié si era messa il pigiama e guardava la televisione. Non sembrava arrabbiata, solo stanca.

“Cosa guardi?”

“E' appena finito un film in bianco e nero.”

“Sì”

“Era la storia di un sindaco e di un prete che litigavano sempre però che in fondo erano molto amici.”

Ale sorrise: “Lo conosco, quando ero bambino lo vedevo spesso e mi faceva ridere. Specie la scena dove il prete lancia un tavolo sopra dei tizi che lo prendono in giro. Sai l'attore che interpreta il prete? Sì? E' francese si chiama Fernandel. Lo conosci?

“Sì lo conosco, dormi con me questa notte?” Ale si tolse le scarpe e si sdraiò sul letto di Valerié. I muscoli della schiena si rilassarono e sentì sopraggiungere il sonno. Era tardissimo.

“Valerié?”

“Oui?”

“Non hai come la sensazione che il tuo letto sia come una zattera e che stiamo galleggiando soli in mezzo al mare?”

“A volte”

Ale chiuse gli occhi.

   
 
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