Can
you
hear me… ?
Lascia che sia il
cuore a condurre i tuoi passi.
"Credo che fra
un po’ toccherà a noi." Mi voltai verso quello che
era
il mio migliore amico, nonchè mio bassista. Si, sarebbe
toccato a noi. Avrei
preso ancora in mano quella chitarra e avrei fatto ciò che
mi riusciva meglio,
o peggio, nella vita: suonare. Annuì col
capo mandando già un altro sorso di birra, che fredda mi
solleticò e
gelò la gola. Faceva freddo fuori, e pioveva. Accanto al
vetro della finestra
sentivo le mille goccioline picchiettare sul vetro appannato dal calore
del
piccolo locale.
Mi piaceva
sonare lì, era tutto, molto intimo. Non avevo mai amato
suonare in
pubblico, suonavo più che altro per piacere personale,
eppure per qualche
strano motivo -forse per i miei miglior amici che da anni suonavano con
me-
prendevo quella chitarra e salivo su quel palco.
Quella sera
tutto, ogni suono mi arrivava distante e lento, timido. Ogni suono
mi arrivava ovattato.
Se voltavo lo
sguardo vedevo... amore. Era ciò che probabilmente, anzi,
sicuramente mi faceva star così male. Sguardi che
contenevano dolcezza,
tenerezza. Abbracci caldi e vivaci. Risate, sorrisi. Mani che delicate
si
sfioravano e cercavano, parole sussurrate troppo piano all'orecchio,
labbra che
baciavano bianche guance, labbra che si modellavano su quelle della
persona
amata. C'era troppo amore intorno a me, amore che mi faceva ricordare
cosa
avevo perduto.
L'avevo amata,
l'avevo desiderata, l'avevo voluta. Ma non era destino. Lei...
non mi amava. E l'ho capito troppo tardi, quando oramai quella strana
relazione, per me si era tramutato in qualcosa che andava al di
là dei semplici
atti fisici. Sentimenti che di certo da lei non erano ricambiati.
Un buco quello
scavato nel mio petto. E bruciava, bruciava come alcool su
ferita. Bruciava come limone, sale. Era reale, lo percepivo. Come
dolore fisico
e ogni gesto in quella stanza punzecchiava la ferita, l'allargava.
Risucchiava
piano la mia... anima.
"Ehi, Rob."
Alzi lo sguardo lentamente, vuoto, apatico.
"Amico tutto
okay?" Annuì col capo. Facevo oramai anche fatica a
parlare. La mia bocca era come sigillata. Se solo un suono fosse uscita
da essa
in quel momento sarebbe stato un urlo di dolore, lancinante e
straziante.
"Tocca a noi."
Sorrise flebilmente. Oramai non si preoccupavano di
chiedermi neppure come stavo. Soffrivo da solo. Meglio così.
Presi la mia
chitarra infischiandomi degli applausi e degli incoraggiamenti.
Spensi la sigaretta che avevo fra le labbra. Qualcuno ci
presentò. Non gli
prestai attenzione. Chiusi gli occhi concentrandomi sulle corde sotto
le mia
dita affusolate. I rumori, i suoni, erano qualcosa di distante. Ancora
ad occhi
chiusi comincia a muovere le dita della tastiera mentre un sorriso
malinconico
si dipingeva sul mio viso. Le note fluttuavano nell'aria unendosi a
mille altri
suoni provenenti dagli strumenti accanto a me. Diventavano parte di me,
si
fondevano col mio corpo, con il mio respiro. Il mio cuore, i suoi
battiti, i
miei respiri erano un tutt'uno con essa, con il ritmo incessante della
batteria. Cantare, gridare al microfono fu per me fonte di grande
sollievo. Il
dolore, la rabbia, le felicità negata si staccavano dal mio
corpo confondendosi
con l'odore di fumo. Mille immagini si susseguirono nella mia testa.
Vidi il
suo volto, la sua pelle ambrata, i suoi occhi dorati, i capelli chiari
che
lunghi accarezzavano la sua schiena liscia e nuda. Potevo sentire il
suo
profumo, il dolce e suadente suono della sua voce. Le sue mani
accarezzare il
mio corpo, il mio viso. Le sua labbra poggiarsi con desiderio sulle
mie.
Muoversi lenti e veloci sulle mie. Immagini troppo dure e dolorose da
essere
sopportate.
Decisi di
aprire gli occhi.
Ciò
che vidi mi mozzò il fiato.
Era strano
come in un solo secondo tutte le preoccupazioni scivolavano su di me
condendosi con la musica. Il mio cuore perse un battito prima di
intraprendere
una folle corsa. Intorno a quel punto, su cui i miei occhi erano fissi,
non esisteva
più nulla. C'erano solo quegli occhi azzurri come il mare in
cui da bambino
amavo perdermi, quel viso dello stesso colore della porcellana, i
capelli neri
come la notte che la rendevano la cosa più bella che i miei
occhi avessero mai
visto. E non sentivo più la mani muoversi meccanicamente
sulla chitarra, le
note penetrarmi fino alle ossa che d'un tratto si erano fatte leggere.
Dimenticai il volto che mi aveva tormentato fino ad allora.
E il mio cuore
ebbe un sussulto nell'esatto momento in cui un sorriso comparve
sul suo viso.
Apro gli occhi. La
luna illumina flebilmente la stanza.
Un sogno, solo
un sogno.
Realtà.
Un ricordo.
Volto il capo
verso colei che tranquilla dorme accanto a me.
I capelli
neri, la pelle diafana.
"Ti amo."
Sussurra. Non dorme. Veglia su di me, come io meglio su di
lei.
"Ti amo
anch'io."
Un sussurro
che dentro di me ha l'effetto di un urlo. Un urlo di gioia, di
felicità.
Un urlo
d'amore.
Io grido al
mondo che l'amore esiste.
Non so da quale parte del cervello mi sia uscita questa one shot.
L’ho scritta un
po’ di tempo fa dopo una serata “gruppi
live” in un locale, dove c’erano un
sacco si coppiette e… ecco qui!
E' qui grazie a te...