{ It aint’ easy
being me }
» 1. Burst your own bubble
Certe volte, per Haizaki Shougo il mondo sembrava come avvolto in una bolla.
Ciotola di riso in una mano
e bacchette in quell’altra, seguiva pigramente con gli
occhi uno di quegli ennesimi, vocianti litigi che si sprecavano sempre più
spesso, spostando prima lo sguardo da una parte, poi dall’altra, ma senza
realmente ascoltare ciò che quelle parole pregne da una parte di biasimo e
dall’altra di rimpianto cercavano disordinatamente di esprimere.
Era così normale,
ormai, sentirli darsi contro in quella maniera. Le loro discussioni stavano
iniziando a ripresentarsi giorno dopo pomeriggio dopo sera dopo notte dopo
mattina, ed era stato a proprie spese che aveva imparato che la cosa migliore
che poteva fare in quei momenti era starsene per conto suo, al difuori di
quella bolla di grida che risuonava ovattatamente
vicina, ma allo stesso tempo sufficientemente lontana da lui da farlo sentire
completamente indifferente. D’altronde, che poteva fare? Si sarebbe solo infilato
in un ginepraio di inutile spreco di energie, si
sarebbe sentito dire le solite cose (cosa ne sai, non fai niente dalla mattina
alla sera, pensa i fatti tuoi, e così via) e non avrebbe risolto assolutamente
nulla.
Non era un po’ quello che
faceva di continuo? Chiudere persone, questioni, difficoltà in metaforiche
bolle e soffiarle lontano, aspettando che esplodessero lontano da lui? Era
sempre stato il suo modo di risolvere i problemi, ben conscio che la pazienza e
la forza di volontà di fare davvero qualcosa per cambiare non ce l’aveva mai avuta.
Non si face-
- È il tuo lavoro! Il tuo
lavoro, cazzo, perché non riesci a stare attenta neanche in qualcosa che fai da
anni?! Cosa pensi di fare,
adesso, eh?! Ma come cazzo hai fatto poi a non
accorgertene prima! -
Oh, wow, quello sì che era
un urlo niente male. Persino i suoi pensieri furono interrotti dalla voce infuriata dell’uomo alla sua
destra, la quale si sovrappose a tutto il resto con tale veemenza da far
tremare pericolosamente le mura sottili di quella bolla.
Che aveva da sbraitare
tanto, poi, questa volta? Non che avesse davvero seguito la conversazione,
quindi tutte quelle accuse fecero sorgere una serie di domande. “Non se ne era
accorta”, quella svampita di sua madre non si era accorta di qualcosa… le
avevano rubato il portafogli?
Voltò lo sguardo verso di
lei, impassibile. Teneva il viso nascosto tra le mani, e si domandò se stesse
piangendo. In più, si ricordò anche che lei di soldi non ne teneva mai in tasca
— tutto quello che riceveva erano regali costosi
e gioielli più grandi di una noce. Difficile essere così disperati per un
portafoglio vuoto.
Si strinse nelle spalle,
cercando di ignorare tutte quelle domande. Dove era rimasto? Ah, sì — non
si faceva neanche un po’ schifo, immerso in questo totale e infantile
menefreghismo?
- È che non pensavo… ! Lo sai che ci faccio attenzione, per questo pensavo non
potesse essere possibile! Mi dispiace, lo giuro, mi dispiace che tutto questo
ti stia facendo arrabbiare così… -
Nah,
in realtà di schifo non se ne faceva. Perché aggiungere peso inutile alla
propria misera condizione ficcandoci pure del senso di colpa? Era la
rappresentazione più lampante della feccia della società, il fanalino di coda
dell’ultima ruota del carro, e quell’immagine di ragazzaccio
gli calzava come un guanto. Era da anni che si comportava in quel modo, e per
anni ancora era del tutto intenzionato a non
dar retta alla propria coscienza. Troppa fatica, e
soprattutto troppa poca voglia di mettersi a tu per tu col senso di colpa.
- Cosa
pensi che ci faccia, io, col tuo dispiacere? Non lo metto in tavola la
sera, il tuo cazzo di dispiacere! Finirà come con Shougo,
ce l’avrò IO la responsabilità di crescerlo e di
pagare le sue cazzate, tu tornerai a farti i fatti i tuoi! E chi è, intanto,
che si spacca la schiena? Chi fa due lavori contemporaneamente?! IO! -
Responsabilità,
ecco, l’aveva detto di nuovo. A suo fratello Shinya quella parola piaceva
veramente tanto, non faceva che metterla in ogni frase che pronunciava. Sei un
irresponsabile, ma chi me lo fare di tenerti sotto la mia responsabilità,
se non ti responsabilizzi adesso diventerai un
adulto di merda… tutti esempi della maggior parte delle discussioni che aveva
con lui. E dire che non era neanche tanto più grande — correvano giusto quattro
anni di differenza tra i due, eppure era da quando aveva memoria che si
atteggiava come l’Adulto con la A maiuscola.
… un po’ ne aveva tutto il
diritto. Era il suo perfetto opposto: odiava starsene con le mani in mano e, non appena aveva compreso appieno quale fosse l’aria
che tirava in quella casa, aveva lasciato gli studi per mettersi a lavorare.
Era il pilastro portante di quella famiglia, e forse, forse, aveva pure
il diritto di incazzarsi quando lui batteva la fiacca e non lasciava fruttare i
soldi che spendeva per la sua educazione, o quando la
loro madre non metteva di tasca propria praticamente nulla.
- Perché mi urli contro in
questo modo? Perché tratti così la tua mamma? Lo sai che se non sono stata
presente come avrei voluto era solo perché dovevo
stare dietro al mio lavoro! Perché mi fai sentire in colpa in questo modo?! -
- Perché del tuo ‘lavoro’
qua non è arrivato nessun frutto! Le collane, gli orologi, le pellicce, te li
sei tutti tenuti per ammaliare i tuoi clienti! Quando mai hai venduto qualcosa
per farci arrivare da mangiare?! -
- Li
venderò adesso, va bene? Non trattarmi come se avessi fatto qualcosa di
terribile! Mi stai facendo male! Mi ferisci! -
Ecco, appunto. Immersa
nelle sue lacrime di coccodrillo, quella donna se ne stava esattamente al lato
opposto rispetto al suo figlio maggiore. Sempre con la testa
tra le nuvole, incapace di prendere le cose seriamente e con l’età mentale di
un’adolescente, o forse pure meno.
“Sei uguale a lei”, ecco
un’altra delle cose che Shinya gli diceva sempre. E di che si sorprendeva? Il
sangue non è acqua - anche se riconosceva persino lui che, anche se era normale
essere così simili, non era comunque giustificabile,
né tantomeno giusto. Oh, andiamo - stava facendo davvero di questi pensieri,
proprio un attimo dopo aver appurato che non gliene fregava nulla di risultare detestabile e immaturo? Era colpa del contesto in cui viveva, mica poteva farci nulla!
- Ti sto trattando male
perché tu non sei una madre! Metti al mondo la tua prole, ci giochi per dieci
minuti e poi te ne freghi, tornando a far moine ai tuoi clienti! Ecco cos’è che
mi fa incazzare, il fatto che sfornerai un altro figlio che non ti degnerai
nemmeno per un attimo di trattare come tale! -
- Aspetta,
cosa?! -
Per
poco non si strozzò col riso, mentre le urla cessarono e le due parti in
gioco si voltarono, quasi sorprese, verso di lui. Erano passati secoli
dall’ultima volta che Shougo aveva messo bocca in una
discussione, facendone un avvenimento più unico che raro.
E altrettanto unico e raro
era anche per lui, che spontaneamente aveva deciso di tendere una mano verso
quella bolla per capire, sconcertato, cosa stesse succedendo. Aveva sentito
bene, o era drogato il riso? E soprattutto, come aveva fatto a rendersi conto
solo in quel momento che era quello il motivo di un litigio tanto acceso?
Protagonista di
quell’improvviso silenzio, spostò la propria attenzione verso la madre ancora
scossa dagli spasmi del pianto.
- … ma’, ma che, sei… -
- Sì, Shougo,
è incinta, ora tornatene nel tuo oblio e non immischiarti. - eccolo lì, il
solito tentativo di cacciarlo da certe situazioni. Si girò stizzito verso il
fratello, le sopracciglia aggrottate e una mano che andò a sbattere minacciosa
sul tavolino.
- Oh ma che cazzo vuoi? -
sbottò, arcigno - Non è che potete dirmi ‘ste cose e
pretendere che me ne dimentichi, cazzo, è una cosa importante! -
Non l’avesse mai detto: la
manata che tirò Shinya al tavolo fu persino più violenta, mentre cupamente si
tendeva verso di lui.
- È importante per me
che pago, te non saresti nemmeno capace di assumerti
la metà delle… -
- … delle fottute responsabilità
di cui parli tutti i cazzo di giorni, lo so, per
forza! Ma se non mi ci fai neanche interessare, a ‘ste responsabilità di merda,
perché continui a lamentarti, allora?! Ti credi bravo
solo te, eh?! -
Si sentì afferrare per il
colletto, e strattonato con una veemenza tale che per poco
non si ritrovò riverso sulla cena. A discapito di quel gesto, però, non fece a
meno di ghignare: certo, Shinya era responsabile e maturo quanto vuoi —
ma era da lui che aveva imparato a risolvere i problemi con le nocche.
Chiuse gli occhi quando
vide il pugno già in dirittura d’arrivo, ma fortunatamente quel piagnisteo che avevano accanto si decise a fare qualcosa. Una mano spiaccicata
sul viso di Shougo e l’altra aggrappata al polso del
primogenito, e la sua voce rotta dai singhiozzi si fece
strada alla svelta nelle loro orecchie.
- Adesso basta! Non c’è
bisogno di aggiungere altri problemi, basta così! - urlò la donna, cercando di
impregnare la voce di quell’autorità che non aveva mai avuto. Fortunatamente,
però, bastò perché Shinya lasciasse la presa; e nell’esatto momento in cui lo
fece uno schiaffo si impresse sonoro sulla sua
guancia.
- Datti una calmata, hai
capito?! Shougo è tuo
fratello e merita di sapere tanto quanto te, merita di
dire la sua tanto quanto te! -
Sogghignò, il minore, ma
neanche il tempo di lasciar andare un commento velenoso che la stessa sorte si
abbatté su di lui.
- E tu— tu devi
portare rispetto per chi lavora! Shinya non ha mai chiesto niente in cambio, il
minimo che puoi fare è parlargli come si deve! -
Si imbronciò
come un bambino, portandosi la mano sulla guancia dolorante. Ugh… e si metteva pure a fare la voce della ragione? Ma che passava nella testa di quella tizia?
Vide con la coda
dell’occhio il fratello più o meno nella stessa
situazione, il palmo offeso spiaccicato sul viso e la fronte corrugata. Il
sangue non è acqua, appunto, e nonostante le differenze rimanevano comunque
entrambi degli stupidi permalosi.
- Beh, ora che si è
inserito nella discussione, quale grande idea ha in mente? - lo
sentì borbottare, il tono di voce finalmente un po’ più tranquillo - Non che le
cose cambino più di tanto. Avremo un’aggiunta in famiglia e
io probabilmente dovrò trovarmi pure un terzo lavoro. -
- Quanto cazzo la fai
drammatica, mamma t’ha tirato su per cinque anni
facendo quel che ha sempre fatto, pensi davvero che un moccioso possa mandarci
in rovina? -
- Ah, ma guada che sei tu
quello che mi preoccupa di più. -
Le pareti della bolla
oscillarono pericolosamente.
- Che vuol dire. -
- Certo, crescere un
ragazzino costa. Ma stai iniziando a costare più te,
con i tuoi vizi e le tue stronzate, che altro. -
Altro tremore.
- … è un modo carino per
dirmi che sono un peso, o cosa? -
- Beh, fino ad ora non è che tu ti sia reso tanto utile in questa casa. E poi
sarà solo peggio. -
Boom. Insieme a quelle
parole, era quasi sicuro di aver sentito anche il rumore della bolla che
scoppiava, piovendo in tante piccole gocce di rimorso dritte sulla sua faccia
sconvolta.
La sua presenza sarebbe
stata un peso. Era la prima volta che lo realizzava: per gli altri lo
era, chiaro (d’altronde, chi non lo odiava?), ma non pensava di esserlo
addirittura nella propria famiglia. Cazzo, si vedevano
un’ora e mezza al giorno e a volte nemmeno si dicevano buongiorno o buonasera,
e nonostante tutto avrebbe comunque rappresentato un peso!?
In effetti, però, non
lavorava, e non si poteva dire neppure che fosse un gran
investimento per il futuro… Dio, perché tutte quelle realizzazioni arrivavano
tutte insieme? Si massaggiò una tempia con le dita, poggiando sul tavolo tutto
quello che aveva in mano.
Non sapeva neppure come
prenderla. Non erano un nucleo familiare unito, non erano il modello perfetto
del più puro legame parentale, ma per qualche motivo la consapevolezza di
essere ancora meno d’aiuto di quanto lo fosse quella scellerata sfornafigli della madre lo mise più a disagio di quanto
avrebbe pensato.
- Ma ti impegni
ad essere così stronzo o ti viene naturale? -
- Shougo,
Shinya voleva dire che… -
- L’ho capito,
sì, quello che voleva dire. Vado a fare la doccia, non rompete. -
E forse, l’unico motivo per cui l’aveva presa così male era perché sapeva che
Shinya aveva semplicemente detto la verità.
Era anche per quello che
preferiva che quelle bolle non scoppiassero mai, che rimanessero lontane da lui
senza tangerlo minimamente — perché quello che succedeva là dentro, le
cose che venivano dette, erano tutte verità che non
aveva voglia di sentirsi sbattere nel muso.
Non gli faceva onore, lo
sapeva bene. Continuare a vivere ignorando le proprie lacune era esattamente
ciò che l’aveva reso ciò che era in quel periodo della sua vita; ma era
infinitamente più facile nascondersi dietro mille scuse (sono ancora giovane, è
colpa della mia famiglia, è colpa delle persone che mi
circondano…) piuttosto che darsi una mossa e cercare di smentire almeno in
parte le etichette che gli avevano appioppato addosso per anni.
Che palle.
Nemmeno l’acqua che iniziò
a scorrergli sulla pelle aiutò a schiarirgli le idee. Anzi - l’unica cosa che
gli fu lampante era che aveva di nuovo un posto in
meno in cui sentirsi vagamente a suo agio.
Che palle.
Prima la squadra di basket
delle medie che l’aveva cacciato senza preavviso; poi quella delle superiori,
piena di teste di cazzo. Per non parlare di tutti i negozi, locali e sale
giochi in cui era stato costretto ad alzare i pugni per colpa di deficienti e
da cui era stato prontamente bandito!
E ora ci si metteva pure la
sua famiglia a mettere in chiaro che là dentro non era una presenza gradita?!
Che palle, che palle, che palle!
La volontà di sfracellarsi
la mano contro il muro era forte, ma preferì evitare che lo considerassero un peso
anche per aver incrinato le piastrelle del bagno. Allora cosa doveva fare?
Andare a vivere per strada? O era troppo irresponsabile per vivere da solo, e in quanto preoccupazione sarebbe stato
un peso anche maggiore?
Che poi, chi l’aveva deciso
che non era una persona responsabile?! Poteva benissimo badare a se stesso, cazzo, avrebbe
potuto dimostrarglielo quando voleva!
Quasi saltò fuori dalla
doccia, afferrando il proprio telefono cellulare alla ricerca di qualche sito
di annunci di lavoro part-time. Non era più una
questione di responsabilizzarsi,
di crescere, o di maturare: per quanto non si rendesse contro star facendo un
incredibile passo avanti rispetto al solito Shougo Haizaki che era sempre stato, in quel momento tutto quello
che voleva era dimostrare che non era un perdente, un peso buono a nulla
come stavano cercando di dipingerlo. Si sarebbero ricreduti, fanculo, e in quel
momento sarebbero dovuti scivolare ai suoi piedi per
chiedergli scusa in ginocchio.
Avrebbe trovato qualcosa da
fare e tutte le sue stronzate se le sarebbe
pagato da solo, a costo di spaccarsi la schiena, a costo di dover trascurare lo
sport, le donne e pure gli studi.
… anche se non si poteva
certo dire che di quelli gliene fosse mai fregato veramente.
Hello there!
Dopo
un lungo ponderare ho finalmente deciso di postare questo primo capitolo,
gettandomi a capofitto nel tentativo di scrittura di una nuova longfic.
Chi mi segue da un po’ di tempo (ergo: nessuno) sa che il mio rapporto con le
long è davvero, davvero, DAVVERO complicato, e sa anche come io abbia una certa
abilità nel, ehm, perdere ispirazione o direttamente
al primo capitolo o proprio quando si entra nel vivo della storia. Stavolta,
però, voglio provare ad approcciarmi in modo diverso a quest’avventura, da una
parte pianificando meglio il lavoro, dall’altra però cercando di non
auto-assillarmi troppo.
Non
so se sia davvero una buona mossa quella di cacciare fuori una long che non
solo vede come protagonista qualcuno come Haizaki,
non esattamente uno dei personaggi più popolari del fandom,
ma che si prefissa anche di andare a parare nell’HaiKise
(o HaiKi?), coppia che probabilmente shippo io insieme ad altre cinque
persone. Ma alla fine mi permetto gentilmente di ignorare la cosa, e di provare
comunque a seguire la mia strada (anche perché l’alternativa
era un’ImaHana per la cui stesura non ho ancora la
forza psicologica necessaria) nonché avere anche l’ambizione di proseguire
laddove Fujimaki non abbia voluto approfondire,
perché ormai mi sa che prendere i suoi antagonisti e cercare in un modo o nell’altro
di farli ‘crescere’ sta diventando la mia vocazione.
Ma chi se ne importa
di queste cose? Le info importanti (???) sono qua di seguito:
• L’Haizaki che
voglio raffigurare, in questa storia ambientata un annetto
dopo le vicende della serie, è un ragazzo normale (seppur con un pessimo
carattere). Farò del mio meglio per renderlo da una parte IC, ma dall’altra nemmeno troppo statico, in quanto tentare di
svilupparlo è il mio pretenzioso obiettivo.
•
È canon che la famiglia di Haizaki
consista in madre e fratello maggiore, il cui nome mi è venuto in mente
provvisoriamente in via di stesura delle prime bozze, e poi è rimasto. Forgive me mother for being a weeaboo.
•
Il titolo generale viene da una canzone che in un modo o nell’altro mi ricorda
molto il pg di Haizaki, e visto che
voglio farmi del male asseconderò la mia incapacità di trovare titoli dando un
titolo ad ogni capitolo.
•
Non so selezionare i generi, gli avvertimenti e quant’altro, quindi il tutto
potrebbe cambiare.
Detto
questo, spero che questo primo capitolo vi abbia in qualche
modo incuriositi – e se sì, ma pure se no, ogni recensione è seeeempre ben accetta ~!
Alla prossima!