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Autore: my words_ my freedom    07/09/2015    0 recensioni
“Non può essere vero.” Si ripeteva a se stessa. “Invece sì, lo è. E da quanto lo sai…”
Le gambe le tremavano per lo sforzo e per la delusione, si accasciò sul letto cercando di fermare i brividi che le percorrevano tutto il corpo.
Pianse a lungo e in silenzio, come ormai era abituata a fare, quando realizzò quel piccolo pensiero che tanto tempo fa aveva riposto in un angolo remoto della sua mente e sul quale aveva guardato la polvere coprirlo fino a farlo quasi scomparire.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Sotto la polvere
 
Lo stavano facendo ormai da un po’ e lei sentiva che stava per arrivare all’apice del piacere. Ma come le era venuto in mente di farlo venire lì?
Erano in campo-scuola, nella camera d’albergo affidata a lei e altre sue due compagne, sarebbe stato terribilmente facile e imbarazzante essere scoperti. Eppure, per qualche assurdo motivo, prima di cena aveva fatto in modo di incontrarlo in corridoio. Aveva studiato tutto alla perfezione: i movimenti, le parole, così da farla sembrare sicura di se e di ciò che stava chiedendo. Si era appoggiata al muro perfettamente di fronte a lui, orami era abitudine che quando si trovavano da soli il ragazzo le stesse tanto vicino che se lei avesse mosso la testa anche solo di poco le loro labbra si sarebbero potute toccare e questo, in quel momento, giocava parecchio a suo favore. –So che sembra assurdo…- aveva iniziato a dirgli con la voce più sensuale che le venisse –ma ho una voglia pazza di te. Vediamoci in camera mia, dopo cena, trova una scusa per la quale non sospettino dove tu possa essere.- Ovviamente si stava riferendo ai compagni di classe che condividevano la stanza con il ragazzo, loro non sapevano e non dovevano sapere niente, per loro, i due ragazzi, si erano lasciati e ora erano solo buoni amici. Aveva finito la frase con velocità come se stesse trattenendo il respiro. Quando si fu staccata dal muro aveva fatto ben attenzione a sfiorargli le labbra con le sue, poi era scappata in camera a prepararsi.
La stessa camera dove ora stavano facendo sesso. Sentiva l’orgasmo subito dietro le porte del piacere, pronto ad uscire in un gemito incontrollabile, ancora qualche colpo di reni e… la porta! Qualcuno bussava con insistenza. Gli sguardi dei ragazzi si incontrarono in un attimo.
–Ignorali.- gli sussurrò sulle labbra proprio come un anno prima le aveva chiesto di ignorare le sue compagne di stanza che volevano entrare, ma a quel tempo era diverso, loro stavano insieme e tutti sapevano dove si trovassero, ora invece facevano tutto di nascosto e, anche se la cosa rendeva tutto più eccitante, si dispiaceva a prendere in giro gli amici che facevano di tutto pur di non lasciarli soli.
-Giorgia, siamo Cecilia ed Eleonora, facci entrare!- le gridarono dall’altra parte della porta strappandola dai propri pensieri. Lei chinò la testa di lato, scocciata, e con la voce più forte e stabile che poteva disse –Andate via!- i colpi alla porta cessarono e lei tentò di rilassarsi nonostante la sorpresa per il fatto che non avessero insistito. E infatti poco dopo tornarono a bussare la fuori, questa volta con più forza tanto che temette per un attimo che potessero sfondare la porta. –Forza facci entrare, dobbiamo prendere una cosa!- stavano mentendo, era ovvio, perché le sentì ridere a denti stretti.
Sospirò. Sentiva che l’eccitazione stava svanendo velocemente e presto lui se ne sarebbe andato. Doveva trovare un modo per cacciarle e farsi lasciare in pace. –Beh almeno che non mi vogliate vedere vomitare…- iniziò mal celando tutta l’irritazione che aveva dentro in quel momento –vi consiglio caldamente di andarvene!- disse serrando i denti a tempi irregolari per simulare i conati di vomito. –Stai davvero così male?- sentì chiedersi dalla voce di Cecilia, ora seriamente preoccupata. Giorgia buttò la testa sul cuscino prima di ritrovarsi a urlare –No guarda, mi sto facendo una passeggiata sulla Luna, vuoi venire anche tu?- non ricevette risposta e non l’aspettò. Mise una mano dietro la nuca di Andrea e lo costrinse ad abbassarsi per baciarla nuovamente. Ma fu interrotta per l’ennesima volta da Eleonora –Ti serve una mano?- Giorgia alzò gli occhi al cielo prima di rispondere –No, andate dai ragazzi, vi raggiungo lì appena mi sento meglio!-
-Sicura?-
-Sì, ve ne volete andare, cazzo!- a quest’ultima risposa Andrea soffocò una risata che spinse lei a guardarlo male. –Scusa.- le sussurrò in un orecchio ridendo e facendola sorridere.
Andrea si chinò a baciarla ancora una volta ma lei gli posò un dito sulle labbra in segno di attesa e silenzio. Ascoltò a lungo i passi delle ragazze, e le loro voci, allontanarsi. Solo quando furono così lontane da non poter distinguere più una parola dall’altra allora spostò il dito per finire il prima possibile.
Non riuscì più a ritrovare l’eccitazione, ormai il momento era passato, ma lui dopo poco le venne dentro con un gemito che le fece scendere un brivido lungo la schiena. Lo osservò uscire dal letto e rivestirsi con una tale naturalezza che sembrava davvero che per lui fosse normale tutto quello. Lei, invece, sentiva, appena il piacere l’abbandonava, un onda di panico e tensione avvolgerle la bocca dello stomaco. Cercò di ignorare lo stato di disagio ma non resistette all’istinto di coprirsi con il lenzuolo, lo portò fin sopra al seno e si accucciò leggermente sul fianco cercando quel po’ di sicurezza che era sparita quando Andrea si era allontanato. Finito di sistemarsi, il ragazzo, si avvicinò al letto e lasciò un tenero bacio sulla fronte di Giorgia, lei, di riflesso, chiuse gli occhi e aspirò profondamente il suo profumo nel vano tentativo di trattenerlo dentro di se.
-Vuoi che resti un altro po’ qui?- chiese Andrea quasi sussurrando. Lo guardò un attimo soppesando l’opzione di farlo rimanere con quella di restare un po’ da sola per perdersi nei propri pensieri.
Andate dai ragazzi, vi raggiungerò appena mi sentirò meglio! la sua voce le risuonò nelle orecchie. Le ragazze l’aspettavano e se si fosse presentata assieme a lui sarebbe stato difficile trovare una scusa plausibile. –No, va nella tua camera, tran po’ arrivo pure io… il tempo di sistemarmi.- gli disse cercando di apparire convinta e per nulla spaventata (quando, in realtà, moriva al timore che i suoi compagni potessero scoprire tutto quello).
-Ok.- accettò Andrea alzandosi dal letto e dirigendosi verso la porta.
-Dì che ti sei fatto un giro, mi raccomando!- gli urlò Giorgia prima che uscisse.
Come fece prima con le sue compagne di stanza, aspettò che il rumore dei passe su facesse così lontano da non poterlo sentire, prima di rilassarsi. Si diede un occhiata veloce intorno a se per cercare i vestiti. Li raccolse da terra svogliatamente e si chiuse in bagno a chiave. Una volta rivestita si buttò un po’ d’acqua fredda sul viso sperando che l’aiutasse a scacciare i brutti pensieri che lottavano per prendere il controllo della sua mente.
“Forza. Ora devi indossare la maschera.” Si concentrò su quella frase e con gesti meccanici, che ormai conosceva da tutta una vita, iniziò a prepararsi.
Per prima cosa si lavò accuratamente i denti per cancellare ogni traccia di odore dell’ipotetico vomito. Buttò i polsi sotto l’acqua finché non le parve di sentire il sangue che le si congelava nelle vene. Si bagnò due dita per inumidirsi il collo e la fronte per simulare il sudore per lo sforzo fatto. Osservò un attimo i suoi vestiti “Sono troppo ordinati.” Notò con rabbia. Con gesti quasi isterici sgualcì la maglietta e i pantaloni specialmente all’altezza della vita a testimonianza di essere stata piegata in due. Strofinò per bene le guance finché non diventarono rosse e non le sembrò che andassero a fuoco. “E ora il tocco di stile.” pensò prima di portare nuovamente un dito sotto l’acqua, questa volta calda. Dopo averlo tolto aspettò di poter vedere una goccia dopo l’altra cadere lentamente, alzò la mano e piegò indietro la testa, premette la falange dell’indice per far scendere una delle gocce in un occhio. Fece la stessa cosa con l’altro e, dopo averli chiusi leggermente, si osservò soddisfatta per l’effetto degli occhi umidi tipici di quando si ha pianto un po’ e si ha smesso da poco. Avrebbe potuto ottenere lo stesso effetto (anzi probabilmente molto più credibile) tenendo gli occhi aperti per qualche secondo ma ci sarebbe voluto troppo. Prese il deodorante e iniziò a spruzzarlo nel bagno finché l’aria non ne fu totalmente impregnata, aspirò profondamente per calmarsi ma fu scossa da svariati colpi di tosse per l’odore troppo forte. Uscì dalla stanza con una mano che le copriva la bocca e il naso per proteggersi dal profumo pungente.
Arrivata davanti alla porta della stanza dei ragazzi si prese qualche secondo per controllarsi, sapeva che non l’avrebbero guardata molto ma ogni singolo dettaglio era importante perché credessero alla sua versione. “Inizia lo show.” pensò con un sospiro e bussò.
Ad aprirle la porta fu Leonardo, come sempre, che non le disse niente e si limitò a spostarsi per farla entrare. Dentro la stanza si trovò accerchiata da sette paia di occhi che la fissavano come per studiarla. Sentiva il disagio salirle dalla bocca dello stomaco alla gola e si sforzò per mantenere un espressione più che tranquilla quando in realtà dentro si trovava scossa dal panico.
-Beh, che vi succede? Sembra che abbiate visto un’estranea entrare in un luogo proibito.- ringraziò se stessa per essere riuscita a far uscire la voce senza che le tremasse. Con un leggero sforzo alzò i due angoli della bocca in un sorriso che doveva essere malizioso e che sperava non sembrasse ridicolo e imbarazzato.
-Dove sei stata fino ad ora?- le chiese Lucrezia con un tono d’accusa. “Manco se fossi una sospettata di omicidio userebbero questo tono.”
-In camera, mi sentivo poco bene.- rispose il più velocemente possibile per impedire alla sua voce di tradirla.
-E chi era con te in camera?- la domanda di Cecilia la colpì alle spalle peggio di una pugnalata.
-Nessuno.- ribbattè secca.
-Bugiarda.- questa volta era stata Eleonora a parlare. –Sappiamo quello che hai fatto.- continuò la compagna.
-Ma davvero?- le fece il verso Giorgia. –Cosa sapete? Che ho vomitato l’anima? Complimenti allora sapete ascoltare quello che vi dico.- stava iniziando ad arrabbiarsi, non erano fatti loro quello che faceva o non faceva in camera sua.
-Non è quello che ci ha detto Andrea.- affermò nuovamente Cecilia. Gli occhi di Giorgia si scagliarono addosso al ragazzo. –Ma che hai fatto?!-
-Io ho detto solo che mi sono fatto un giro, non ho parlato proprio di lei.- si difese Andrea alzando le mani come se gli stessero puntando una pistola contro.
-Anche noi stavamo facendo un giro…- ecco di nuovo Eleonora con quel suo irritante suono da saputella che metteva sempre una voglia a Giorgia di sbatterle la testa contro il muro. -…ma non ti abbiamo mai incontrato, come mai?-
-Beh è passato da me…- si stava davvero stufando di quella discussione e la tentazione di dire loro cosa stesse succedendo tra lei e Andrea era forte, ma la paura del giudizio altrui lo era ancora di più. –Già proprio così, è venuto nella nostra stanza ma per cinque minuti, il tempo di farsi ridare il cellulare che gli avevo preso per scherzo… contenti?- cercò di non urlare ma finita la finta spiegazione si buttò esausta sul letto accanto ad Edoardo, che la guardava come se la stesse studiando.
-Cosa c’è?- chiese in preda all’isteria. –Cosa c’è?!- si portò due dita sulla parte superiore del setto nasale e strinse con forza. La testa le scoppiava ma non doveva cedere.
-Ecco noi crediamo che sia successo qualcos’altro nella tua stanza con Andrea…- le disse Daniele guardandola maliziosamente. “Lo sanno. Lo sanno! No, calmati. È solo una supposizione. Puoi ancora negare tutto.” Sbuffò mostrandosi scocciata da quella storia.
-Io e Andrea ci siamo lasciati da quasi tre mesi, sì, siamo rimasti buoni amici, ma come potete credere che gliel’abbia data ora che non stiamo più insieme? Se mai lo avrei fatto molto prima. Non sono una troia che ricorre a questi stupidi trucchetti per tenersi vicino l’ex. Non sono disperata al punto di fare sesso con lui solo per illudermi che sia ancora mia, che quello che voi andate dicendo (che ci siamo lasciati) è tutta una grande cazzata!-  mentre diceva questo si era alzata di scatto come se qualcosa l’avesse punta. La testa le girava, e nella mente le rimbombavano le parole appena dette. Ma chi le aveva urlate in realtà, i suoi compagni o se stessa? La domanda le crebbe in testa gonfiandosi, facendosi più forte e arrivando ad avvolgerle tutto il corpo.
“Non può essere. Io non sono così.
Ah sì? E chi sei tu in realtà” quest’altro dubbio iniziò a picchiare fortemente contro la sua corazza, contro la maschera da brava ragazza che si era ritagliata apposta per lei. No, non ora. Non doveva cedere davanti a loro.
Girò su se stessa e a grandi passi si diresse verso la porta ignorando l’insistenza degli amici perché rimanesse. –Dove vai?-
-Non mi sento bene.-
-Ehi, non puoi scappare…- non fece finire la frase a chiunque stesse parlando che sbatté la porta. Una volta fuori iniziò a correre, la sua stanza non era così lontana da quella da cui era appena uscita ma le sembrava che il corridoio si fosse allungato, così, per farle un dispetto, per prolungare la rottura del suo scudo contro cui lei lottava con tutte le forze perché non avvenisse lì fuori dove tutti avrebbero potuto vederla.
Arrivò alla camera con il fiato corto, per fortuna aveva solo lei la chiave così che nessuno avrebbe potuto disturbarla una volta dentro. Varcata la porta aveva già il viso rigato di lacrime. “Non può essere vero.” Si ripeteva a se stessa. “Invece sì, lo è. E da quanto lo sai…”
Le gambe le tremavano per lo sforzo e per la delusione, si accasciò sul letto cercando di fermare i brividi che le percorrevano tutto il corpo.
Pianse a lungo e in silenzio, come ormai era abituata a fare, quando realizzò quel piccolo pensiero che tanto tempo fa aveva riposto in un angolo remoto della sua mente e sul quale aveva guardato la polvere coprirlo fino a farlo quasi scomparire.
Ora si chinò e lo raccolse delicatamente, ci soffiò sopra per pulirlo dagli stupidi e inutili pensieri che lo avvolgevano per coprirlo e nascondere la sua vera natura. Se lo girò tra le mani non sapendo cosa fare: se ridere o abbandonarsi alle lacrime, così si limitò ad accarezzarlo e ad imprimersi di nuovo la sua forma nella mente. Erano due parole, che facevano male, ma erano vere. Pesanti ora, ma una volta leggere come l’aria e cariche di felicità.
-Lo ami.- sussurrò a denti stretti per la paura dell’enorme forza che contenevano quelle due, singole parole.
  
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