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Autore: Shrader__    07/09/2015    2 recensioni
Sam è un ragazzo 'atipico', come a lui stesso piace definirsi. Spettatore dei continui tentativi dei genitori di nascondere i loro problemi coniugali e di una vita che non gli appartiene, custode di un segreto che ferisce e cura il suo cuore allo stesso tempo, l'adolescente sceglie di avvolgersi in un bozzolo fatto di commenti taglienti e cinicamente ironici su ogni cosa e persona che incontra.
Dopo l'arrivo di una ragazza, però, il mondo di Sam subirà uno stravolgimento, e non sarà l'amore a cambiarlo. Sarà una scoperta a renderlo sensibile a ogni cosa che gli accade intorno.
Tutti lo proteggono, tutti lo ingannano. Sam camminerà sospeso sul sottile filo che separa realtà e menzogna. Cadrà. Una volta nella realtà, quella seguente nella menzogna.
Intraprenderà un viaggio attraverso il suo passato e le sue emozioni, con una compagna dalla personalità ambigua e difficile da comprendere. Tutto ha a che fare con il suo passato, niente gli appartiene nel suo presente. Anche la sua relazione amorosa, forse l'unica base solida su cui può poggiare i piedi, verrà scalfita e vacillerà. Un'unica parola fungerà da chiave per raggiungere la verità: Sam.
Genere: Comico, Introspettivo, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Mentre aspettavo fuori il mio vialetto l'arrivo di Audrey, iniziai a riflettere su come potessero girare le rotelle del suo singolare cervello. Non la conoscevo, non potevo giudicare. Ero solo curioso di capire perché mi avesse chiamato. La scusa del voglio uscire con qualcuno di nuovo non reggeva. C'era qualcos'altro. Ero turbato dai suoi atteggiamenti? Probabile. 

Trascorsi circa dieci minuti a pensarci, fino a quando non sentii uno scalpiccio provenire dal lato destro del marciapiede. Audrey camminava a passo di marcia, ma appena incrociò il mio sguardo parve scuotersi dai suoi pensieri. Mi sorrise. Un sorriso che non presupponeva nulla se non cortesia e disinteresse. Eppure c'era qualcosa nel suo sguardo smeraldino che faceva trasparire altro; ma cosa?

«Ehi.»
Questa volta fui io il primo a parlare. Glielo dovevo.
«Ehilà!»
Il suo tono non era cambiato di una nota: era sempre quel timbro sincero e cordiale di un'ora fa. L'avevo appena conosciuta e già stavo per uscirci insieme? Speravo che non fosse un qualcosa di ufficiale. Sarebbe stato imbarazzante. 
«Allora... ehm... dove si va?»
La mia voce era tremula e sottile: ero imbarazzato, lo ammetto. 
«Andiamo al centro commerciale, no? Posso farti da guida, lo conosco come le mie tasche.»
In realtà al centro commerciale ci ero già stato un paio di volte per far compere insieme a mia madre. Mio padre era molto impegnato e non poté accompagnarla. 
«Okay. Andiamo, allora.»
Continuavo ad essere agitato. Non mi sentivo a disagio, era solo una situazione buffa. Non mi sarei mai sognato di uscire con una ragazza il mio primo giorno di scuola qui. Non mi sarei mai sognato di uscire con una ragazza, punto

Lungo il tragitto ci scambiammo qualche parola. In realtà fu più lei a parlare. Sembrava un fiume in piena: si interrompeva ogni tanto solo per aspettare un mio cenno di assenso. Erano più mhah-ah capisco, ma non mi lasciava molto tempo per articolare una frase di senso compiuto e a me andava bene così.

Mi raccontò di quando aveva avuto la varicella ed era rimasta in casa per tre settimane, mentre sua madre le preparava un qualche brodino vegetale a base di una specie di verdura a me completamente ignota. Probabilmente avrei continuato ad ignorarla, a giudicare dai commenti non proprio positivi di Audrey. 

I suoi avevano divorziato da circa otto anni: un fulmine a ciel sereno, mi spiattellò davanti questo particolare come se fosse stato un episodio di influenza durato qualche giorno. Fu una separazione scaturita da una lite piuttosto violenta che coinvolse anche lei e suo fratello maggiore. Non si sprecò in tanti dettagli - come era normale che fosse -, ma disse che fu suo fratello a mettere fine alla discussione, sferrando "un particolarmente ben riuscito gancio destro" a suo padre, il quale stava tentando di mettere le mani addosso a sua madre. Non lo disse esplicitamente, ma mi fece intendere che la loro separazione era stata provocata da questi bruschi sfoghi di suo padre, che andavano avanti da molto tempo prima dello scoppio della bomba. Mi sorprendeva il modo in cui mi raccontava delle vicende legate alla sua famiglia: era tutt'altro che restia a parlarne e sembrava covare una buona quantità di rabbia repressa verso il padre. Era come se io fossi stato il primo a cui stava comunicando quelle cose, ma non lo faceva per me: lo faceva per lei.

«L'assistente sociale, una vecchia donna di una gentilezza condita con una buona dose di disprezzo per il proprio lavoro, fece di tutto per separarci da nostra madre e abbandonarci in qualche casa famiglia.» Il suo tono iniziò ad essere più flebile: si stava davvero aprendo. Dopo aver ripreso fiato, continuò a raccontare. «Mio fratello sarebbe diventato maggiorenne a breve, quindi sarei rimasta sola in quel posto. Lui diceva che non voleva lasciarmi e che non mi avrebbe abbandonata lì dentro, ma io avevo paura.» Stavo ancora cercando di capire il motivo per cui una ragazza che avevo conosciuto poco più di un'ora fa si fosse aperta così tanto con me, quando mi accorsi che l'imponente centro commerciale svettava sul resto delle costruzioni vicine, con tanto di bandiere e insegna luminosa. Continuai a guardare dritto davanti a me, ascoltando silente lo sfogo di Audrey. E io che pensavo che fosse una psicopatica ossessionata dai ragazzi di altre città che si chiamavano Samuel. 
«Alla fine, dopo mille tentativi miei e di mio fratello di far cambiare idea a quella vecchia, il tribunale dei minori acconsentì a lasciare la custodia a nostra madre. Lei decise di non sporgere denuncia, nonostante le numerose sollecitazioni di mio fratello, ma mio padre venne comunque allontanato definitivamente da noi con un'ordinanza restrittiva. Eravamo stati noi a parlare, noi ad allontanarlo.»
Si sentiva un pizzico di rimorso nella sua voce, come se lei, nonostante tutto, si fosse pentita di aver tagliato fuori quell'uomo dalla sua vita. Era pur sempre suo padre, certo, ma per come ne aveva parlato pensavo che non provasse nient'altro che disprezzo per lui; invece c'era ancora quel sentimento di riconoscenza e rispetto verso il proprio genitore, verso colui che aveva contribuito alla sua messa al mondo. 

Eravamo arrivati alle porte di vetro scorrevoli del grande edificio blu, quando parve accorgersi della mia presenza.
«Scusami» 
Ero sorpreso. Il suo sorriso si era indebolito, ma era sempre lì, con la sua sincera cordialità.
«Va tutto bene»
Le sussurrai quelle parole, perché anch'io avevo subito parte del dolore che provava lei. Ero stato una sorta di pattumiera, in cui aveva sputato tutto quello che aveva dentro, tutto ciò che avrebbe dovuto vomitare molto tempo addietro. Ero stato proprio io la sua pattumiera. Perché? 

Ebbi un impulso strano, ma decisi di assecondarlo. La abbracciai. In un primo momento mi parve agitata tra le mie braccia, ma non si sottrasse. Resto lì, si fece piccola, più minuta di quanto non fosse. Non pianse, ma si appoggiò alla mia spalla e rimase lì per un paio di minuti. Era una cosa strana, lo so bene, sembra incredibile, ma successe. Stavo abbracciando la mia amica stalker. 
Dopo quei due minuti rilassai un po' le braccia e la lasciai andare. Guardai attraverso la porta a vetri e intravidi un chioschetto nella piazzetta d'ingresso. Controllai di avere qualche moneta nella tasca destra, poi guardai nei suoi occhi verde-azzurri, che ora erano un po' acquosi. Le sue labbra bagnate si erano incurvate in un sorriso strano, eccessivamente largo e leggermente inquietante. Mi decisi a rompere il silenzio.
«Ehi, ti va una granita? Offro io.»

 

   
 
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