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Autore: RobertaShaira    07/09/2015    2 recensioni
Cosa accadrebbe se due personaggi fossero costretti a vivere uno nel corpo dell'altro per un po'? Continuerebbero ad odiarsi? A non capirsi? A restare lontani? O si accetterebbero per quello che sono in realtà? Mi piacerebbe scoprirlo..
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Grant Ward, Leo Fitz
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Aprì gli occhi lentamente. Non riusciva più a dormire da quando Jemma era scomparsa. Non aveva idea di cosa le fosse successo e non si sarebbe dato pace fin quando non l’avrebbe ritrovata. L’oscurità lo circondava. Era troppo scuro per i suoi gusti, la sua stanza non era mai totalmente buia. Che ore potevano essere? Si allungò verso il comodino per accendere la lampada ma una sensazione di freddo lo spaventò, la sua mano stava toccando una superficie liscia e metallica, non il suo solito e affidabile comodino di legno. Cosa poteva essere quella cosa? Allungando ancora di più il braccio percepì un interruttore, indugiando un po’ si decise a premerlo. Si trovava in una stanza arredata in stile moderno, tutto grigio e nero, molto elegante. Come diavolo ci era arrivato, non ne aveva idea. Appena riuscì a focalizzare dopo essere stato abbagliato dalla luce scesa, trasalì rendendosi conto di una cosa assurda che andava contro ogni spiegazione logica. Quello non era il suo corpo. Si trovava in un altro stramaledetto corpo! Ed era il corpo di Grant Ward. 
L’ultima cosa che si sarebbe mai aspettato, andando a dormire tra i sonni agitati e le notti insonni, era risvegliarsi nel corpo di Grant Ward, la persona che gli aveva insegnato cosa fosse l’odio. Era passato del tempo da quando Ward aveva fatto parte del team, della famiglia. Perderlo era stata una delle cose più dolorose della sua vita. Perderlo perché li aveva traditi e lasciati a morire nell’oceano, era stato ancora più doloroso. Ed ora si trovava in quel corpo e si sentiva strano. Una sensazione inondò tutto il suo corpo e lo sommerse. L’abbandono. Si sentiva abbandonato e solo. Ma non erano le sue emozioni. Erano di Ward. 
Che in qualche modo questo assurdo scambio di corpi avesse lasciato le emozioni integre nel corpo del legittimo proprietario? 
Doveva capire cosa stava accadendo. Cercò di alzarsi dal letto ma improvvisamente mille immagini lo travolsero. Un piccolo Grant maltrattato dal fratello. Un piccolo Grant spaventato e solo in mezzo ad uno strano bosco. Un giovane Grant usato e condizionato da uomini che non potevano far altro che condurlo sulla strada del male puro. Ed eccola, l’Hydra. Fitz sentiva perfettamente ogni emozione che aveva provato Ward, come una valanga. Ward non era mai stato interessato agli ideali dell’Hydra, non era mai stato interessato all’Hydra in generale. Cercava solo un senso di appartenenza. 
Fitz ripercorse tutte le sensazioni di Ward da quando si era infiltrato nello SHIELD. Gli scorsero davanti agli occhi come immagini di un film tutti i loro momenti, tutti loro seduti ad osservare l’orizzonte, la loro missione e il panino, l’allenamento di Skye, l’intimità con May, il momento in cui si buttò dall’aereo per salvare Jemma. Non poteva essere tutta una menzogna. Fitz l’aveva sempre pensato, nonostante quello che gli aveva fatto. E ora ne aveva la conferma. Non era stato tutto finto. Grant gli aveva voluto bene, a suo modo. Perché quei tipi di rapporti umani erano una cosa nuova per lui, non aveva mai avuto qualcuno che ci teneva disinteressatamente. Ma il senso di appartenenza, quella cosa che lo aveva tenuto legato per gran parte della sua vita, aveva avuto il sopravvento. 
Fitz riuscì finalmente ad alzarsi dal letto, facendo fatica a trovare l’equilibrio a causa di quel nuovo corpo decisamente più alto del suo. Sbandò un attimo, poi si guardò intorno in cerca di un qualsiasi mezzo per comunicare con l’esterno. Un telefono, un computer, qualsiasi cosa. Vide sul tavolo un telefonino, probabilmente quello di Grant. Lo prese e scorse subito la rubrica in cerca di qualche indizio, magari qualche nome poteva saltargli all’occhio. La prima cosa che lo stupì fu riconoscere il suo nome. Non aveva idea che Ward conservasse il suo numero. In quel momento preciso un’altra valanga di emozioni lo travolsero di nuovo, come se Grant gli stesse parlando come non aveva mai potuto o voluto fare. Immagini della navicella in cui lui e Jemma erano stati prigionieri lo travolsero. Non aveva mai immaginato come poteva essere quella scena dal di fuori. Stava sentendo quello che Grant aveva provato e gli fece talmente male che cadde sulla prima sedia accanto al tavolo. Era come trovarsi in un abisso, oscuro e profondo. Più la navicella cadeva più Ward sprofondava. Quando la vide immergersi nell’acqua lui si perse totalmente nell’oscurità. Fitz tentò di aprire gli occhi ma riusciva a vedere solo nero. Le emozioni di Ward l’avevano quasi sopraffatto, doveva fare qualcosa. Quasi d’impulso premette ok sul telefono, stava chiamando se stesso.

Ward si girò un attimo nel letto e si portò il cuscino sopra la testa. C’era qualche spiraglio di luce poco lontano. Com’era possibile? La sua stanza era sempre buia al mattino. Aprì un occhio per capire cosa c’era che non andava, e non riconobbe l’ambiente che lo circondava. Si alzò di soprassalto e rimase paralizzato per un attimo quando capì cosa era successo. Era nel corpo di Leo Fitz. La persona che gli aveva insegnato cosa significava il rimpianto.
Non aveva idea di come fosse finito lì, una sorta di esperimento scientifico di quel cervellone, forse? Ma a che pro piazzare lui nel loro centro operativo? Non poteva essere una cosa voluta da loro, e non era neanche una cosa voluta da lui. Cosa diamine poteva aver portato ad una cosa del genere? Si alzò dal letto ma improvvisamente si sentì la testa pesante, pesantissima. Come se avesse un mattone sul cervello. Cos’era quella strana sensazione? Una conseguenza dello scambio di corpi? 
Pian piano capì che quella non era una sua sensazione, ma una sensazione del corpo in cui si trovava. Era come si sentiva Fitz, ogni giorno, da quando l’aveva buttato in fondo all’oceano. Era colpa sua. 
Insieme alla testa pesante arrivarono come una cascata un’infinità di emozioni. Le soddisfazioni al centro di addestramento, il lavoro con Simmons, l’affiatamento, la squadra. Provò un’ondata di amore verso sé stesso. Prima del tradimento, prima del cambiamento. Non aveva mai sentito così tanto amore in vita sua, di certo non per sé stesso. Amore per Grant Ward. Non l’avrebbe mai creduto possibile. Fitz gli aveva voluto bene, gliene aveva voluto davvero. Questo gli fece girare ancora di più la testa, si sdraiò di nuovo per evitare di cadere. Come diapositive sulla parete ogni scena gli sembrava vivida come se l’avesse vissuta lui, la paura sotto l’acqua, la paura che Simmons sarebbe morta, il suo sacrificio, il terrore quando Ward li stava buttando di sotto, l’immensa delusione, la tristezza, l’agonia quando capì che l’avrebbe fatto sul serio. Fitz aveva creduto in lui fino alla fine. E aveva fatto male. Fu sopraffatto dalla sensazione di perdita, perdita di Ward, della squadra e di Simmons, perdita di sé stesso. Fitz non era più lo stesso ed era tutta colpa sua. Subito dopo il dolore di Fitz per la scomparsa di Simmons colpì Ward come una pugnalata al petto. Come mille pugnalate. Sentire le emozioni di Fitz era la cosa più brutta che avrebbe mai potuto provare. Improvvisamente sentì lo squillo di un telefono. Non ne riconosceva la suoneria ma sapeva che era vicino, si voltò e lo vide. Sullo schermo lampeggiava il suo nome. Fitz aveva ancora il suo numero salvato sul telefono? Assurdo. Rispose.
 “Sei tu?” chiese Fitz “Cosa mi hai fatto?” gridò con la voce di Grant, non riconoscendosi neanche mentre parlava. Tutta quella situazione aveva dell’impossibile.
“Sono io.. Giuro che non ho idea di come sia successo” rispose Ward, sobbalzando sentendo la voce di Fitz uscire dalle sue labbra. Che non erano proprio le sue labbra, in effetti.
“Cosa è successo? Come sono finito nel tuo corpo? Non ci credo che tu non ne sappia niente” disse Fitz quasi disperato. “Ti odio!” sussurrò. 
Ward si sentì più ferito di quanto avrebbe mai immaginato. Perché ora, quell’odio, lo stava provando. L’odio di Fitz per lui. E faceva ancora più male perché quello non era davvero odio, era rassegnazione, era dolore, era tristezza mista a delusione. Una profonda, immensa, delusione. 
“Fitz, lo so che è assurdo ma devi credermi. Non c’entro niente con questa faccenda.” Sembrava quasi che lo stesse supplicando, aveva bisogno che gli credesse. 

Fitz dall’altro capo del telefono non aveva idea di cosa fare, stava impalato su quella sedia da quando ci si era accasciato poco prima e si chiedeva se anche Ward avesse vissuto quella stranezza. 
“L’hai provato anche tu?” gli chiese. 
Ward rimase in silenzio.. Dopo qualche secondo rispose. “L’ho provato anch’io.. e mi dispiace. Così tanto..”
Fino alla sera prima Fitz non gli avrebbe mai creduto ma ora sapeva. Sapeva che gli era dispiaciuto, sapeva che una parte di lui, quella sana, quella che aveva provato ad esistere con tutte le sue forze ma che non era sopravvissuta, era immensamente dispiaciuta per quello che aveva perso e per quello che aveva fatto loro. Ma a cosa serviva, adesso, tutto quello che stavano vivendo? A cosa serviva sentire il dolore dell’altro? Ormai erano spezzati, non si poteva tornare indietro.
“Se ti azzardi a fare qualcosa a qualcuno della squadra ora che sei libero di muoverti sull’aereo giuro che troverò il modo per fartela pagare. Sono nel tuo corpo, non dimenticarlo.” Affermò Fitz tentando di ricordare a sé stesso che era con un nemico che stava parlando.
Ward accennò un mezzo sorriso, quella forza gli era sempre piaciuta. Quel coraggio che Fitz nascondeva dietro l’apparenza del nerd.
“Non torcerò un capello a nessuno, non è mai stata questa la mia intenzione..” disse. “Ma dobbiamo risolvere questa faccenda!” continuò.
“E in fretta!” replicò Fitz. 

Si diedero appuntamento in una zona neutrale, nessuno avrebbe dovuto sapere niente di quello che stava succedendo loro. Ward avrebbe potuto cogliere l’occasione per ficcare il naso ovunque, ma il cerchio alla testa sempre più pesante e le emozioni incalzanti di Fitz non lasciavano spazio a nient’altro se non ad un buco nero di rimpianti. 
Fitz, appena uscito dall’appartamento, capì che si trovava in un edificio dell’Hydra. Era al piano più alto, l’appartamento sovrastava una miriade di uffici in cui tante persone lavoravano indaffarate. Il suo animo scientifico ardeva dal desiderio di fermarsi ad indagare, fare qualche analisi in uno di quegli uffici in cui oggetti non bene identificati venivano spostati o poggiati con attenzione da alcune persone in camice bianco. Cosa stava succedendo all’Hydra? Cosa avevano in mente? Cercò di scavare nella mente di Ward, ma a quanto pare quello scambio di corpi e di emozioni non comprendeva i pensieri e i ricordi recenti. Sembrava tutto troppo preciso e ben programmato per essere un incidente. Doveva esserci l’Hydra dietro. Nonostante la tentazione di fermarsi ad indagare, l’animo ferito e insofferente di Grant lo portò via da quell’edificio, lontano da casa sua che non sentiva veramente casa. Nessun posto era mai stato casa per lui.

Incontrare sé stessi fu la cosa più strana. Fitz si avvicinò a Ward che era seduto ad un tavolo della caffetteria dove si erano dati appuntamento. Si sedette dall’altra parte del tavolo.
“Come ci comportiamo per sistemare questo casino?” si affrettò a chiedere Ward. “Sei tu il cervellone, spara.”
“Io non sono un cervellone, sono uno scienziato.” Rispose stizzito Fitz e come riflesso quasi incondizionato Ward scoppiò a ridere. 
“E’ davvero questo quello su cui ti vuoi soffermare, adesso?” disse divertito.
“Non c’è niente da ridere!” lo ammonì Fitz. 
Guardare l’espressione quasi offesa di Fitz sul suo stesso volto frastornò Ward ancora di più. “Ok, ok. La faccenda è seria. Che si fa?”
Fitz espose la sua teoria a Ward. Doveva essere opera dell’Hydra, mentre usciva dal palazzo in uno degli uffici aveva visto uno strano oggetto luminoso controllato a vista da quattro guardie e due tecnici. Ward non aveva idea di cosa stesse parlando, possibile che qualcuno avesse fatto qualcosa alle sue spalle? Volevano mandarlo nella bocca del leone? Sbarazzarsi di lui? Non tutti avevano accettato la sua leadership? Oppure qualcuno dei sui voleva convincerlo ad attaccare lo SHIELD visto che lui si era rifiutato di farlo? D’altronde, come aveva detto a Fitz, non era mai stata sua intenzione ferire loro. 
La cosa poteva reggere, doveva indagare. E se erano stati quelli dell’Hydra a scambiare i loro corpi, sapevano perfettamente che vedendo Ward avrebbero avuto a che fare con un inerme Leopold Fitz. Doveva entrare di nascosto nella sua stessa organizzazione.
 I due riuscirono ad arrivare fuori la stanza incriminata, Fitz aveva appena finito di assemblare un esplosivo di fortuna dal quale fuoriusciva del gas e riuscì a distrarre le guardie mentre Ward lanciò l’esplosivo nella stanza, un’enorme nube di fumo si alzò dando modo a Ward di prelevare quello strano oggetto luminoso. 

Seduti su una panchina in un parco stavano cercando di capire la tecnologia con cui avevano a che fare, sembrava di certo una cosa aliena. Fitz capì quasi subito come riportare la situazione alla normalità, avevano mischiato delle loro gocce di sangue all’interno di un ampolla nell’oggetto misterioso. Bastava eliminare quel sangue e le cose sarebbero tornate come prima. 
Eppure, ora che sapeva come fare, faticava a voler tornare quello di prima. 
Il cerchio alla testa di certo non gli mancava, ed era stato bello collaborare di nuovo con Ward. Provare le sue emozioni. Non avrebbe mai potuto perdonarlo, probabilmente neanche capirlo, ma l’aveva accettato. 
Ward d’altro canto tutto voleva tranne che tornare in quell’appartamento freddo, in un organizzazione che probabilmente l’aveva sabotato. Era stato difficile provare quello che aveva provato Fitz, ma gli era servito. La sua freddezza emotiva era stata completamente distrutta dal calore umano di Leo. Non voleva liberarsi di quella sensazione. Non voleva tornare a non sentire. 
“In fondo è stato bello lavorare di nuovo insieme..” disse Fitz con l’ampolla in mano. Era giunto il momento, doveva tornare in sé, doveva trovare Simmons.
“Ed è stato bello essere te per un po’..” rispose Ward, “Il nostro sangue mescolato è una gran bella combinazione. Stare nei tuoi panni è stato interessante”.
Fitz lo guardò per un altro attimo, prima di versare sull’erba tutto il sangue che l’ampolla conteneva. Improvvisamente si ritrovano l’uno nel proprio corpo. Si sentirono storditi, di nuovo loro stessi, ma con un pezzo in più. 
“Cosa dovremmo fare adesso?” chiese Fitz con un tono quasi speranzoso. “Simmons è scomparsa, devo trovarla. Forse tu hai i mezzi necessari per capire cosa le è successo! Io ho provato di tutto..” farneticò non sapendo bene perché avesse detto una cosa del genere. 
“Non ho più nessun mezzo, a quanto pare. L’Hydra mi ha sabotato, se non te ne fossi accorto. E non credo che io da solo potrei essere di qualche aiuto..” disse rassegnato Ward, ben consapevole del fatto che nessun’altro l’avrebbe accolto nonostante Fitz fosse disposto a provarci. “Non c’è più spazio per me..”
Si alzò e fece qualche passo allontanandosi dalla panchina. 
“Nessun posto è il mio posto” gli disse fermandosi a guardarlo. “Spero che ritroverai Simmons. Davvero.” Si allontanò.
Fitz rimase seduto lì a pensare, non sapeva come avrebbe dovuto reagire a tutto quello che era appena successo. Non avrebbe dovuto, ma era dispiaciuto per Ward e per il fatto che se ne fosse andato, di nuovo. D’altronde non poteva biasimarlo. Nessuno lo avrebbe accolto e questo lo sapeva bene anche lui. 
“Un posto nel mondo, però, ce l’hai..” sussurrò Fitz toccandosi con la mano il petto, battendola sul cuore. E Ward, di nuovo solo, come sempre e da sempre, adesso sapeva che, nonostante tutto quello che gli aveva fatto, Fitz aveva un posto per lui nel suo cuore. 
Forse, in fondo, c’era ancora speranza per Grant Ward.
 
   
 
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